giovedì 11 aprile 2024

Cos’è il bosone di Higgs? La spiegazione chiara e semplice.

 

Ecco tutto quello che c’è da sapere sul bosone di Higgs. Un viaggio storico fino alla grandiosa rilevazione nel 2012.

Il bosone di Higgs è una particella estremamente importante per tutti i fisici ed è stata una scommessa, a quanto pare vinta, dei modelli che descrivono i mattoni fondamentali della materia e come essi interagiscono per formare le strutture che vediamo, dagli atomi alle stelle. A partire dagli anni 60 del secolo scorso, i fisici delle particelle avevano compreso che tutta la materia era formata dalla combinazione di alcune, poche, particelle fondamentali. A tal proposito fu compilata una tabella, una specie di tavola periodica delle particelle, detta modello standard. In questa speciale tabella trovano posto due gruppi di particelle fondamentali (particelle che non si possono più dividere): quark e leptoni sono chiamati fermioni e rappresentano le lettere dell’alfabeto attraverso le quali si costruiscono nuclei atomici e atomi. L’altro gruppo è composto dai bosoni, particelle estremamente particolari, che hanno il compito unico di trasmettere nello spazio le informazioni sulle proprietà dei fermioni.

Comunicazione tra particelle.

Bosone di Higgs
Credit: CERN for the ATLAS and CMS Collaborations

Possiamo immaginare i bosoni come particelle utilizzate dai fermioni per comunicare e interagire tra di loro. Quando un fermione si avvicina ad un altro e vuole interagire con esso, prende il telefono e comunica attraverso l’emissione di bosoni. Ma rispetto ad una classica telefonata, c’è qualcosa di diverso. A seconda del modo in cui due fermioni vogliono comunicare, utilizzano un determinato bosone. In tutto i bosoni a disposizione sono quattro: quattro modi di comunicare tra le particelle elementari. Questo numero non è di certo casuale. Le particelle elementari, in effetti, hanno solamente quattro modi possibili per interagire tra di loro. I fisici le chiamano le quattro forze fondamentali della Natura. In realtà non tutti i fermioni hanno a disposizione tutte e quattro le interazioni. Solamente i quark hanno piena libertà di scelta. I leptoni, a cui appartengono l’elettrone e gli sfuggenti neutrini, ne hanno a disposizione solamente 3. A prescindere da questa piccola differenza, le interazioni fondamentali sono: forza elettromagnetica, forza gravitazionale, forza forte e forza debole. Tutto l’Universo obbedisce a queste quattro forze fondamentali, dalle galassie a noi che spingiamo il carrello della spesa ostacolati dalla forza di gravità e dall’interazione elettromagnetica con il pavimento che causa l’attrito. Le prime due sono ben conosciute, le ultime un po’ meno, perché agiscono solamente su scala subatomica. Ma non è importante capire quale sia il significato delle interazioni, piuttosto è fondamentale aver chiaro che quando due particelle fondamentali “scelgono” il modo di interagire, emettono i bosoni relativi a quella determinata interazione, i quali trasmettono nello spazio tutte le informazioni necessarie per capire come dovrà essere portata avanti l’interazione.

Fin qui tutto bene.

Attraverso l’interazione forte, i quark generano le particelle costituenti dei nuclei atomici: protoni e neutroni. La combinazione tra protoni e neutroni dà luogo ai nuclei atomici tenuti insieme dalla forza forte, aiutati dalla forza debole responsabile di alcuni processi, come il decadimento beta. La combinazione dei nuclei atomici con gli elettroni dà vita agli atomi, grazie alla forza elettromagnetica. Gli atomi si combinano e danno origine a molecole, le quali danno vita a strutture più grandi, fino ai pianeti e le stelle, regolati dalla forza di gravitazione. Il modello così presentato sembra funzionare molto bene. Ogni particella è caratterizzata da un pacchetto di proprietà che ne costituisce la perfetta carta d’identità, tra cui possiamo citare la carica elettrica, lo spin, e molte altre che non ci interessano. La carta d’identità di ogni particella determina il comportamento ed il risultato una volta che sceglie di comunicare con un’altra particella attraverso l’emissione di bosoni. Tuttavia nella carta d’identità manca un dato fondamentale: la massa. Il modello descrive perfettamente le proprietà e le modalità di interazione di tutte le particelle, arrivando a giustificare la formazione di tutta la materia e l’esistenza stessa dell’Universo, ma senza considerare la massa. Questo è un gran problema: è come dire di essere in grado di prevedere alla perfezione il comportamento e le proprietà dell’Universo, a patto di affermare che gli oggetti non abbiano massa, che pianeti, stelle, esseri umani siano fatti di particelle senza peso, non materiali.

hubble
Credit: NASA/ESA/CSA James Webb Space Telescope (JWST) to study. Acknowledgement: D. Coe et al.

Per capire che questa è una grande contraddizione, non c’è bisogno di essere dei fisici: provate ad attraversare un muro e ditemi se non sentite la consistenza del cemento! La situazione era ancora più seria, in realtà, perché se si introduceva nel modello una nuova proprietà che in qualche modo teneva conto della diversa massa delle particelle, tutto il castello crollava su se stesso: le interazioni, addirittura l’esistenza stessa della materia, non erano più giustificabili. Com’è possibile tutto questo? Il modello è sbagliato? Ma allora perché prevede così bene la realtà, a patto di non considerare la massa delle particelle?

Peter Higgs

Il fisico Peter Higgs

Il grande imbarazzo fu superato, almeno dal punto di vista teorico, da un fisico inglese, un certo Peter Higgs, negli anni 70. Il fisico britannico affermò che la massa è una proprietà esterna alle particelle, associata ad un campo, analogo a quelli responsabili delle quattro interazioni fondamentali, detto campo di Higgs. Il campo di Higgs può essere immaginato come una fitta trama gelatinosa che permea tutto lo spazio, nella quale le particelle si muovono e per qualche motivo incontrano una resistenza al moto. L’effetto osservato è del tutto equivalente a quello di una particella dotata di una massa intrinseca che si muove nello spazio, ma l’origine è ben diversa. Di fatto, questo modello ci dice una cosa sconvolgente: le particelle, quindi tutte le strutture dell’Universo, compresi noi, abbiamo massa, una consistenza, solamente perché ci muoviamo attraverso questa fitta rete gelatinosa che trattiene e regola i nostri movimenti. L’idea non è poi così assurda, se non altro perché il campo gravitazionale è responsabile di un effetto simile: trattiene a sé i corpi, regolando le proprietà dei loro movimenti. Introducendo in termini matematici l’idea di questo campo di Higgs ed integrandola al modello standard, tutto sembra funzionare alla perfezione. Come comunicano, però, il campo di Higgs e le particelle che lo devono sentire? È qui che entra in gioco il famoso bosone di Higgs. Sappiamo infatti che i bosoni sono i modi per comunicare una precisa interazione, quindi se esiste il campo di Higgs che dà massa alle particelle, deve esistere il suo messaggero, il bosone di Higgs. Per provare l’esistenza del campo, quindi, è necessario osservare il bosone di Higgs.

Rilevazione della particella.

LHC

Attualmente la gran parte degli sforzi dei fisici delle particelle si rivolge verso la rilevazione sperimentale di questa particella, che si pensa avere una massa circa 200 volte maggiore del protone. Per rilevare la sua presenza, occorre che gli acceleratori di particelle siano in grado di raggiungere un’energia di 200 GeV (Giga elettronVolt), teoricamente alla portata del nuovo acceleratore LHC (Large Hadron Collider) di Ginevra e del Fermilab di Chicago. E in effetti nell’estate del 2012 gli scienziati di LHC hanno annunciato di aver trovato le prove di questa importantissima e sfuggente particella. Sembra proprio, quindi, che la teoria era corretta. Per quanto possa sembrare strano, la Natura funziona in questo modo!

Articolo scritto in collaborazione con Daniele Gasparri.

https://www.passioneastronomia.it/cose-il-bosone-di-higgs-la-spiegazione-chiara-e-semplice/

Milioni di anni fa scomparve un intero continente. Ora sappiamo dov’è. - Lucia Petrone

 

Secondo un nuovo studio, il continente Argoland, che apparentemente scomparve dopo essersi separato dall’Australia 155 milioni di anni fa, è stato finalmente scoperto.

Le divisioni continentali di solito lasciano tracce in antichi fossili, rocce e catene montuose. Ma fino ad ora gli scienziati non erano riusciti a scoprire dove fosse finita l’Argolandia. Ora i ricercatori dell’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, pensano di aver scoperto la misteriosa massa continentale, nascosta sotto le isole orientali del sud-est asiatico. La scoperta potrebbe aiutare a spiegare qualcosa noto come la linea Wallace, che è un confine immaginario che separa la fauna del sud-est asiatico e quella australiana. “Avevamo letteralmente a che fare con isole di informazioni, motivo per cui la nostra ricerca ha richiesto così tanto tempo. Abbiamo impiegato sette anni per mettere insieme il puzzle”, ha detto l’autore dello studio Eldert Advokaat, geologo dell’Università di Utrecht, in un comunicato stampa. Ci è voluto un attento lavoro investigativo per scoprire dove fosse andata Argoland dopo essersi separata da quella che sarebbe diventata l’Australia. Gli scienziati avevano trovato frammenti di “continenti a nastro” attorno al Sud-est asiatico, ma non erano riusciti a rimetterli insieme, ha detto Advokaat. Alla fine, hanno avuto un’illuminazione: e se Argoland fosse iniziata come una serie di frammenti di continente, piuttosto che come un pezzo solido? “La situazione nel sud-est asiatico è molto diversa da luoghi come l’Africa e il Sud America, dove un continente si è diviso nettamente in due parti”, ha affermato Advokaat nel comunicato stampa. “Argoland si è frantumato in molti frammenti diversi. Ciò ha ostacolato la nostra visione del viaggio del continente”, ha detto. Partendo da questa ipotesi, hanno scoperto che l’Argolandia non era realmente scomparsa. Era sopravvissuto come un “insieme molto esteso e frammentato” sotto le isole a est dell’Indonesia. Con questo lavoro sono riusciti finalmente a riportare in vita il viaggio dell’Argoland negli ultimi 155 milioni di anni. Puoi vedere Argoland, in verde, alla deriva in basso.

Poiché non si tratta di una massa solida, ma piuttosto di una serie di microcontinenti separati dal fondale oceanico, Advokaat e il suo collega geologo dell’Università di Utrecht Douwe van Hinsbergen hanno coniato un nuovo termine per definire l’Argoland più precisamente: un “Argopelago”. Potrebbe anche aiutare gli scienziati a comprendere meglio la bizzarra linea di Wallace , una barriera invisibile che attraversa il centro dell’Indonesia e separa mammiferi, uccelli e persino le prime specie umane nelle isole del sud-est asiatico, ha detto Advokaat. La barriera ha lasciato perplessi gli scienziati a causa della netta separazione tra la fauna selvatica dell’isola. A ovest della linea ci sono mammiferi placentari come scimmie, tigri ed elefanti, che si trovano anche nel sud-est asiatico. Ma questi sono quasi del tutto assenti a est, dove si possono trovare marsupiali e cacatua, animali tipicamente associati all’Australia. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che l’Argoland porta via la propria fauna selvatica dalla futura Australia prima che si schiantasse nel sud-est asiatico. “Queste ricostruzioni sono vitali per la nostra comprensione di processi come l’evoluzione della biodiversità e del clima, o per la ricerca di materie prime”, ha affermato van Hinsbergen.


https://www.scienzenotizie.it/2024/04/08/milioni-di-anni-fa-scomparve-un-intero-continente-ora-sappiamo-dove-5573130

Alternative sostenibili alla plastica ottenute dai batteri ingegnerizzati.

Queste alternative sostenibili alla plastica sono più resistenti dell’acido polilattico usato di norma.

(Rinnovabili.it) – Gli sforzi per trovare alternative sostenibili alla plastica convenzionale stanno raggiungendo nuovi traguardi. Il lavoro di ingegneri e ricercatori impegnati nella ricerca di soluzioni innovative è in crescita. Restano però alcune sfide aperte. Ad esempio, trovare un materiale che possa offrire le stesse prestazioni delle plastiche tradizionali evitando i loro impatti ambientali.

Oggi sappiamo che l’acido polilattico (PLA) è una delle alternative più promettenti. Si può produrre da fonti vegetali e plasmare con una certa efficienza. Tuttavia, presenta limitazioni legate alla sua fragilità e alla sua degradabilità. Per superare queste difficoltà, i bioingegneri dell’Università di Kobe, in collaborazione con la Kaneka Corporation, hanno sviluppato una tecnica innovativa. Mescolando l’acido polilattico con un’altra bioplastica chiamata LAHB, sono riusciti a ottenere un materiale con proprietà desiderabili, come la biodegradabilità e una maggiore lavorabilità.

Una fabbrica di batteri per produrre plastica biodegradabile.

Il processo ha richiesto l’ingegnerizzazione di ceppi batterici per produrre il precursore del LAHB, manipolando il loro genoma per ottimizzare la produzione. I risultati, pubblicati sulla rivista ACS Sustainable Chemistry & Engineering, indicano la creazione di una “fabbrica di plastica batterica” che produce catene di LAHB in quantità elevate, utilizzando solo il glucosio come materia prima. Con la manipolazione genetica dei batteri, dicono gli scienziati, è possibile controllare la lunghezza delle catene e quindi le proprietà della plastica risultante.

Il materiale ottenuto, chiamato LAHB ad altissimo peso molecolare, è stato aggiunto all’acido polilattico per creare una plastica altamente trasparente, più modellabile e resistente agli urti rispetto all’acido polilattico puro. Inoltre, questa nuova plastica si biodegrada nell’acqua di mare entro una settimana. Potrebbe essere l’anello mancante tra la sostenibilità e la versatilità delle bioplastiche?

Il team che lo ha sviluppato ci crede e guarda al futuro con ambizione. Tra le ipotesi di lavoro future c’è l’uso della CO2 come materia prima per la sintesi di plastiche utili.

https://www.rinnovabili.it/economia-circolare/ecodesign/alternative-sostenibili-alla-plastica-ottenute-dai-batteri-ingegnerizzati/

mercoledì 10 aprile 2024

Ecco la vista più dettagliata (finora) sulla storia dell’Universo in espansione. - Mariasole Maglione


Installato sul telescopio da 4 metri Nicholas U. Mayall della NSF, presso il Kitt Peak National Observatory in Arizona, c’è uno strumento scientifico impegnato in una delle ricerche più importanti mai portate avanti. Si tratta di DESI, acronimo di Dark Energy Spectroscopic Instrument, e sta conducendo un’indagine quinquennale per creare la più grande mappa 3D dell’Universo mai ottenuta.

Frutto di una collaborazione scientifica internazionale di oltre 900 ricercatori provenienti da oltre 70 istituzioni in tutto il mondo, DESI è gestito dal Lawrence Berkeley National Laboratory (LBNL) del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Dall’inizio della sua indagine del cielo nel 2021, lo strumento ha osservato 5000 galassie ogni 20 minuti, per un totale di oltre 100 mila galassie a notte.

Gli astronomi stanno ora eseguendo l’analisi iniziale dei dati del primo anno di quest’indagine. Utilizzando gli spettri delle galassie vicine e dei quasar distanti, i ricercatori sono riusciti a misurare la storia dell’espansione dell’Universo con la massima precisione mai raggiunta prima, migliore dell’1%.

I risultati confermano le basi del modello cosmologico standard dell’Universo, e forniscono uno sguardo senza precedenti sulla natura dell’energia oscura e sui suoi effetti sulla struttura su larga scala dell’Universo.

Una fetta della mappa 3D delle galassie raccolta nel primo anno di dati di DESI. La Terra è sulla punta, con le galassie più lontane tracciate a distanze di 11 miliardi di anni luce. Ogni punto rappresenta una galassia. Questa versione della mappa DESI comprende 600.000 galassie, meno dello 0,1% del volume totale dell'indagine. Credits: DESI Collaboration/NOIRLab/NSF/AURA/R. Proctor
Una fetta della mappa 3D delle galassie raccolta nel primo anno di dati di DESI. La Terra è sulla punta, con le galassie più lontane tracciate a distanze di 11 miliardi di anni luce. Ogni punto rappresenta una galassia. Questa versione della mappa DESI comprende 600.000 galassie, meno dello 0,1% del volume totale dell’indagine. Credits: DESI Collaboration/NOIRLab/NSF/AURA/R. Proctor

Mappando l’Universo, galassia dopo galassia

Per mappare il cosmo, DESI raccoglie la luce da milioni di galassie in più di un terzo dell’intero cielo. Scomponendo la luce di ciascuna galassia nel suo spettro di colori, DESI può determinare quanto la luce è stata spostata verso il rosso, o allungata fino a una lunghezza d’onda maggiore (effetto di redshift), dall’espansione dell’Universo durante i miliardi di anni che ha viaggiato prima di raggiungere la Terra. In generale, maggiore è lo spostamento verso il rosso, più lontana è la galassia.

Dotato di 5000 minuscoli “occhi” robotici, DESI è in grado di eseguire questa misurazione a una velocità senza precedenti. Solo nel suo primo anno, DESI ha superato tutte le precedenti indagini di questo tipo in termini di quantità e qualità.

Con incredibile profondità e precisione, i dati del primo anno del DESI hanno permesso agli astronomi di misurare il tasso di espansione dell’Universo fino a 11 miliardi di anni fa, quando il cosmo aveva solo un quarto della sua età attuale, utilizzando una caratteristica della struttura su larga scala dell’Universo: le Baryon Acoustic Oscillations (BAO), oscillazioni acustiche barioniche.

Indagando la storia cosmica grazie alle BAO

Le BAO sono l’impronta residua delle onde di pressione che permeavano l’Universo primordiale quando non era altro che una zuppa calda e densa di particelle subatomiche. Mentre l’Universo si espandeva e si raffreddava, le onde ristagnavano, congelando le increspature e generando i semi di future galassie nelle aree più dense.

Questo modello può essere visto nella mappa dettagliata di DESI, che mostra filamenti di galassie raggruppate insieme, separate da vuoti dove ci sono meno oggetti.

La sezione sullo sfondo mostra le galassie mappate nel primo anno dell'indagine quinquennale del DESI. La Terra è al centro di questa sottile fetta della mappa completa. Nella sezione ingrandita si può vedere la struttura sottostante della materia nel nostro universo. Credits: Claire Lamman/DESI Collaboration
La sezione sullo sfondo mostra le galassie mappate nel primo anno dell’indagine quinquennale del DESI. La Terra è al centro di questa sottile fetta della mappa completa. Nella sezione ingrandita si può vedere la struttura sottostante della materia nel nostro universo. Credits: Claire Lamman/DESI Collaboration

Ad una certa distanza, le BAO diventano troppo deboli per essere rilevate utilizzando le galassie tipiche. Quindi gli astronomi guardano ciò che è retroilluminato da nuclei galattici estremamente distanti e luminosi noti, i quasar. Mentre la luce dei quasar viaggia attraverso il cosmo, infatti, viene assorbita dalle nubi intergalattiche di gas, consentendo agli astronomi di mappare le sacche di materia densa. Per implementare questa tecnica, i ricercatori hanno utilizzato 450mila quasar, il set più grande mai raccolto per questo tipo di studio.

Grazie alla capacità unica di DESI di mappare milioni di galassie vicine e quasar lontani, gli astronomi possono misurare la diffusione delle increspature in diversi periodi della storia cosmica, per vedere come l’energia oscura ha modificato la scala nel tempo durante l’espansione.

Dettagliando sempre più la storia cosmica

Anche se la storia dell’espansione dell’Universo potrebbe essere più complessa di quanto si immaginasse in precedenza, la conferma di ciò dovrà attendere il completamento del progetto DESI. Entro la fine della sua indagine quinquennale, DESI prevede di mappare oltre 3 milioni di quasar e 37 milioni di galassie. Man mano che verranno rilasciati più dati, gli astronomi miglioreranno ulteriormente i loro risultati.

“Questo progetto sta affrontando alcune delle più grandi domande dell’astronomia, come la natura della misteriosa energia oscura che guida l’espansione dell’Universo” ha affermato Chris Davis, direttore del programma NSF per NOIRLab.

E mentre DESI continua a stupire con le sue prestazioni, gli scienziati già sanno che i suoi dati funzioneranno in armonia con le future indagini del cielo condotte dall’Osservatorio Vera C. Rubin e dal Nancy Grace Roman Space Telescope. La collaborazione DESI sta attualmente studiando potenziali aggiornamenti allo strumento e pianificando di espandere la propria esplorazione cosmologica in una seconda fase, DESI-II.

questa pagina sono reperibili una serie di pubblicazioni a partire dal primo rilascio di dati DESI.

https://www.astrospace.it/2024/04/06/ecco-la-vista-piu-dettagliata-finora-sulla-storia-delluniverso-in-espansione/

ANUNNAKI. - Emilia Zareva

 

I primi faraoni che hanno conosciuto la realtà fisica, conservando la coscienza del corpo leggero, hanno voluto viaggiare nel loro corpo verso dimensioni superiori. E inoltre, intendevano conservare la loro forma fisica anche dopo la morte. Dei orgogliosi, hanno portato nei mondi delle Pleiadi e di Sirio l'esperienza dell'espressione attraverso la materia densa riflettendo le più alte frequenze dell'esistenza materiale alle frequenze luminose di molte dimensioni.
I loro corpi emotivi rafforzati, polarizzati dalla dualità elettromagnetica di Gaia, inviarono onde di grande amore, desiderio e piacere alle Pleiadi, il chakra del cuore dell'universo, e la coscienza siriana era terreno fertile per nuove equazioni, sfide e possibili realtà da cristallizzare e prendere forma.
L'insediamento dell'Egitto è stato uno dei grandi esperimenti delle dimensioni superiori, e poi tutti gli occhi erano puntati su Gaia, proprio come ora rivolgiamo la nostra attenzione al grande risveglio del tuo mondo. Ancora una volta sentiamo e sappiamo che il vostro amore si riversa nei cieli e attraverso l'unione Pleiadi e Sirio ora attivata, desideriamo risvegliare la vostra memoria astrale della geometria sacra e forma della coscienza sesta dimensione in unione con l'amore delle vibrazioni pleiadi - per essere in grado di inviare la musica delle vostre anime attraverso onde di coscienza universale e di conoscere il Primo Creatore in ogni momento della vostra esistenza.
Non ti sentirai più orfano. La tua famiglia galattica sogna il momento in cui ti riunirai per celebrare la liberazione di Gaia e il tuo rilascio dalle pressioni della realtà 3D. La griglia che un tempo teneva la Terra nell'oscurità del controllo Anunnaki semplicemente non riesce a gestire le frequenze che la griglia sta inviando in tutto l'Essere Universale.
Patricia Corey
Foto - Egitto dallo spazio

Una gigante batteria di sabbia può immagazzinare energia per una città intera: la svolta in Finlandia. - Martina Di Paolantonio


Quando si parla di surriscaldamento globale, crisi climatica e inquinamento non si può non far riferimento alle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo. Il mondo odierno, infatti, necessita di grandi quantità di energia per poter funzionare… peccato che la maggior parte di questa energia sia prodotta a partire da fonti fossili.

Negli ultimi anni l’emergenza climatica ha reso sempre più necessario il ricorso a fonti di energia alternative, rinnovabili e pulite. In tal senso la ricerca e lo sviluppo di tecnologie sostenibili hanno fatto passi da giganti, arrivando a proporre prodotti quali i pannelli solari calpestabili oppure enormi batterie piene di sabbia che immagazzinano il calore.

Un’enorme batteria piena di sabbia può conservare l’energia per mesi

Ebbene sì, proprio una simile tecnologia è stata da poco presentata in Finlandia, per la precisione nella città di Pornainen. Lì la Polar Night Energy ha messo a punto un’enorme batteria di 13 metri di altezza per 15 metri di larghezza. Questo grande silos viene poi riempito con tonnellate di sabbia, in grado di immagazzinare calore ed energia per mesi.

Il suo funzionamento è semplice: durante i picchi di produzione l’energia in eccesso viene immagazzinata nella sabbia sotto forma di calore. In seguito il calore viene riconvertito in elettricità oppure usato per riscaldare gli edifici pubblici e privati connessi al sistema di teleriscaldamento locale. E in un posto freddo come la Finlandia una tecnologia simile può davvero fare la differenza!

Come si diffonderà l’uso di questa tecnologia?

La batteria è infatti in grado di erogare 1 MW di energia termica e di conservarne fino a 100 MWH, in altre parole si tratta del corrispettivo di una settimana di riscaldamento durante l’inverno o di 1 mese durante l’estate. Una tecnologia del genere ha un enorme potenziale dal punto di vista della sostenibilità: le emissioni di anidride carbonica possono ridursi anche del 70%, pur conservando inalterato il rifornimento energetico della città.

La batteria di sabbia, prodotta con materiali locali, presenta però alcune difficoltà nell’applicazione, una tra tutti la necessità di un sistema di teleriscaldamento urbano, che non è di certo presente in tutti i centri cittadini. La batteria di Pornainen è un primo passo verso la possibile diffusione di tecnologie simili, che potrebbero essere sfruttate anche in altri posti per ridurre considerevolmente le emissioni di gas serra.

https://www.orizzontenergia.it/2024/04/07/una-gigante-batteria-di-sabbia-puo-immagazzinare-energia-per-una-citta-intera-la-svolta-in-finlandia/