lunedì 5 maggio 2014

Renzi: c’è una batost@ per te, “mandatemi una mail”. - Anna Lombroso

Senigallia

Sarò prevenuta e disfattista, ma io non noto una gran differenza tra le risate degli ilari imprenditori che si telefonano nella notte del terremoto dell’Aquila e il saluto benedicente del presidente del consiglio planato in elicottero su Senigallia ferita a morte e che si accomiata dai cittadini prostrati dell’emergenza, incoraggiandoli alla Petrolini “ la città risorgerà più belle a splendente che pria “ e poi con una frase che suona oltraggiosa più che inopportuna “mandatemi delle mail”.

Mi auguro che la sua casella di posta e il suo hashtag Renzi # sprezzantebastardo siano inondati di messaggi, che alle prossima scadenza elettorale non la passi liscia, che quelli che pensano che sia ineluttabile, inevitabile, inesorabile, fatale firmare l’ennesima cambiale in bianco a favore di lui, del partito unico, frutto di una alleanza di ferro con il promoter di quegli imprenditori ridanciani, della larga intesa che mette d’accordo chi sbeffeggia esodati, giovani disoccupati, cinquantenni licenziati, condannandoli alla precarietà come gli alluvionati sui tetti, ebbene se ne ricordi di quel “mandatemi una mail”, provocazione di un bullo senza scrupoli, di un ragazzino che falsifica la firma dei genitori, di un teenager che lascia la morosa con l’emoticon triste sul cellulare.

Anche il mio pc è stanco di scrivere che ogni pioggia diventa un’alluvione, che ogni temporale si converte in catastrofe. E che alla fonte c’è una irresponsabilità globale, quella dei governi che negano il cambiamento climatico che produce eventi estremi, con la stessa proterva e dissennata determinazione con la quale continuano a chiamare fenomeni naturali le conseguenze dell’incuria combinata con la corruzione, il malgoverno, l’inadeguatezza e l’incompetenza. Le scelte del governo Renzi sono chiare, dietro e davanti le promesse, dietro e davanti la rivendicazione “non ci sono quattrini”. E non prevedono investimenti per la tutela e il risanamento del territorio, anzi in nome della guerra alla burocrazia e per favorire al “semplificazione” e lo snellimento delle burocrazie per lasciare maggiore libertà alle imprese e ai privati, lo smantellamento del sistema di controlli e autorizzazioni. Mentre per le grandi opere, che quel territorio lo devastano senza ripercussioni positive, economiche o sociali sui cittadini, i soldi si trovano, dietro il simulacro illusorio della “partecipazione”, del project financing , cui nessuna azienda, regolare o criminale, pensa davvero di partecipare preferendo le formule largamente parassitarie favorite dai governi che si sono succeduti anche andando molto in là negli anni e che si fanno sempre più sofisticate.
Perché, ridendo o no, non usufruire di quel sistema che scarica, attraverso una trama a cascata di appalti e subappalti, la competizione verso il basso e induce, anche nella piccola e media impresa, una competizione tutta fondata sullo sfruttamento del lavoro nero, grigio, precario, atipico. Perché la classe dirigente politica e imprenditoriale non dovrebbe, visto che a questo scopo sono state create tutte le condizioni favorevoli, scaricare sul debito pubblico le risorse necessarie alla realizzazione o in alcuni casi anche solo alla profittevole progettazione, di interventi largamente inutili, quando non dannosi? Il progetto Tav ha costituito un modello, un laboratorio finanziario e contrattuale di questo sistema, così come la cordata del Mose, così come saranno i canali, per ora solo virtuali, che produrranno esiti catastrofici sull’equilibrio della Laguna di Venezia, con il ricorso all’istituto del contratto di concessione, nel quale la funzione del committente si trasferisce al privato e l’elemento finanziario diventa fondamentale. Così che il regime “personale”, come in politica, ed il fattore finanziario sono dominanti e si rendono inutilizzabili o di impossibile applicazione le norme di contrasto della mafia, della corruzione o di tutela del lavoro, che sono state concepite e codificate per procedure di affidamento tradizionali, in particolare per l’appalto tipico.
È l’economia informale, questa, che facilmente sconfina nell’illegittimità e nell’illegalità, e che nel caso delle “catastrofi naturali”, che senza nessuna naturalezza si abbattono con tragica e ricorrente puntualità sul Paese, sono aiutate dall’abitudine ormai secolare di lasciare decantare crisi in modo che diventino emergenze da affrontare con misure eccezionali, commissari ad hoc, poteri speciali, repressioni di chi rivendica la potestà di intervenire sulle scelte che riguardano le vite di tutti noi. Mandiamogli una mail, si ricordi che le nostre vite, i nostri beni, le nostre decisioni ce le riprendiamo.

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