Dopo Roma, la nuova grana del governo è Milano. La legge Delrio che ha cancellato la Provincia ha scaricato sulla Città metropolitana i debiti dell'ente soppresso e insieme ai tagli ai trasferimenti sottrae quasi 500 milioni di euro in tre anni al motore economico dell'Italia. Pisapia non ci sta: aveva programmato un'uscita di scena in punta di piedi, deve invece battere i pugni sul tavolo. I candidati a sostituirlo ne approfittano per aprire la campagna elettorale. E Roma, per ora, tace.
Non solo Roma e Mafia Capitale. Si materializza un’altra grana per il governo di Matteo Renzi. La Grande Milano che ha voluto e varato è appena nata e già rischia di fallire, facendo virare sul rosso anche la “rivoluzione arancione” del suo sindaco, quel Giuliano Pisapia che voleva uscire di scena in punta di piedi e si ritrova invece a battere i pugni sul tavolo del governo. Sembra un fulmine a ciel sereno, in realtà il rischio default era stato rappresentato per tempo a Palazzo Chigi. Tutto nasce dalla riforma Delrio, quella che per i gufi premonitori era un gigantesco “pasticcio” e si scopre ora una ciambella col buco. Il buco è appunto quello della Città metropolitana di Milano, l’ente di area vasta che assorbe l’ex provincia e ne eredita anche il debito: 94 milioni di euro. La scoperta ha mandato su tutte le furie il sindaco che giovedì scorso ha mollato su due piedi la first lady d’America, Michelle Obama, in visita all’Expo per volare a Roma a recapitare un messaggio a Palazzo Chigi: la città metropolitana rischia di sprofondare sotto il combinato disposto dei tagli ai trasferimenti al nuovo ente e dei debiti che eredita dalla disciolta provincia. Un’emergenza conti che diventa un boccone amarissimo per Pisapia e assai goloso per i candidati alla sua successione.
I conti in rosso: 500 milioni di bucoI numeri parlano chiaro. Il bilancio preventivo 2015 della Città Metropolitana sconta pesantemente la serie di tagli programmati dal governo agli enti di primo livello che sono stati fissati in un miliardo di euro, con una ricaduta sul capoluogo lombardo di 27 milioni nel 2015, il doppio nel 2016 e nel 2017 di 54 milioni. Così, lo squilibrio nei conti si attesterà a 94 milioni quest’anno, 163 milioni nel 2016 e altri 212 nel 2017. In tutto sono 500 milioni di euro. Poco o nulla, nel frattempo, è arrivato dalla rimodulazione del decreto sugli enti locali che doveva attenuare la corsa ai tagli: gli effetti del decreto si riducono essenzialmente al risparmio sullo sforamento del Patto di Stabilità della defunta Provincia, quantificato da 60 a 10 milioni. Il debito contratto defluisce dalle scritture contabili dell’ente morto. L’allarme risuona a sirene spiegate: per non portare i libri in tribunale ed evitare il commissariamento tocca correre ai ripari entro il 31 di luglio, un mese e poco più. Da contabile la vicenda diventa subito politica, perché nel 2016 si vota e i candidati in corsa che scaldano i motori si vedono già apparecchiato, sul piatto d’argento, un bellissimo boccone per cui scannarsi.
Le accuse di Passera e Gelmini, già in campagna elettoraleA cogliere la palla al balzo, ad esempio, è Corrado Passera, candidato a sindaco nel 2016 con la sua Italia Unica: “Ancora un volta emerge un buco di bilancio, e stavolta ci va di mezzo la Grande Milano. Ancora una volta comincia un rimpallo di responsabilità tra il sindaco e Palazzo Chigi su chi e come deve “ripianare”. Uno scaricabarile a cui i cittadini sono stanchi di assistere”. Stessi bersagli individuati dalla coordinatrice regionale di Fi, Mariastella Gelmini: “Non è Milano che affonda con la Città metropolitana: ad affondare è la sinistra milanese e nazionale e la sua costante, immutabile inconcludenza. Nel 2011 hanno promesso la “primavera” arancione per Milano, fallita a poco più di metà mandato con la rinuncia del sindaco a ricandidarsi e nessuna realizzazione del programma. Ora anche la Città metropolitana naufraga dopo alate promesse e decine di convegni a base di favole. Invece che abolire le Provincie e distribuire le competenze tra Comuni e Regioni, il governo ha creato un carrozzone vuoto con la Delrio. Ora naufraga nei debiti, con un surreale scaricabarile tra il Pd milanese e il Pd governativo”.
Via alle svendite di fine stagione: caserme, prefettura e immobili di lusso.Intanto la Grande Milano si prepara alle svendite per tappare una parte del buco. La Città metropolitana è pronta a vendere Palazzo Diotti, la storica sede della Prefettura e un paio di caserme che ora ospitano polizia e forze dell’ordine. Il piano di rientro allo studio del sindaco è subordinato alla possibilità di poter utilizzare almeno il 50 per cento proveniente dalle dismissioni del patrimonio immobiliare per la spesa corrente. Il palazzo e le caserme, spiega il Corriere della Sera, dovrebbero essere già inserite nel primo lotto del fondo Invimit, la società di gestione del risparmio del ministero dell’Economia e delle Finanze, dove confluiscono gli immobili delle Città metropolitane e delle Province che non sono più funzionali agli scopi dei nuovi enti. Chiaramente la funzione pubblica resta preservata e quindi non ci sarà nessuno “sfratto” della Prefettura o delle forze dell’ordine. Il valore degli immobili collocati nel fondo varia tra gli 80 e i 90 milioni di euro, a cui si aggiungerebbero i 38,7 milioni per la vendita del palazzo di corso di Porta Vittoria che è stato “prenotato” con una proposta irrevocabile.
Il “tradimento” di Pisapia, padre nobile della Grande MilanoE tuttavia il pasticcio politico resta. Per Pisapia e la sinistra milanese diventa un peso enorme in vista della competizione del 2016. Ci sono poi da rilevare due aspetti che possono fare la differenza nei rapporti sull’asse Roma-Milano. Il primo è che proprio Pisapia è stato tra i “padri nobili” delle città metropolitane. Lo raccontava lui stesso, in una lettera, durante lo sfibrante confronto parlamentare sulla riforma Delrio. “Oltre dieci anni fa – ricordava Pisapia – quando si è discusso del titolo V della Costituzione ero stato tra i proponenti della Città metropolitana. Nella stessa seduta avevo anche presentato un emendamento per una graduale soppressione delle province che, invece, non è stato accolto”. Insomma, il padre nobile non riconosce la sua “creatura” per come la disegna il governo Renzi. Pisapia, va detto, aveva pure lanciato l’allarme per tempo, definendo Milano come una “Ferrari senza benzina”, e avvertendo il governo sul rischio di non riuscire a garantire più servizi essenziali come la manutenzione delle strade, i servizi scolastici, gli aiuti ai disabili.
La beffa dei congedi in rosso: la Moratti lasciò un buco da 186 milioni.
Ma c’è di più. Se si torna al 2011 si comprende meglio il furore che ha colto Pisapia il “mite”, quello della “rivoluzione gentile”. Quando si è insediato a Palazzo Marino, il neo sindaco di Milano e il suo assessore al bilancio Bruno Tabacci scoprirono nei conti del Comune un buco da 186 milioni di euro lasciato in eredità dall’amministrazione Moratti. “Siamo davanti a un disavanzo potenziale che rischia di mettere in ginocchio la città”, accusavano. E ora a Pisapia, dopo quattro anni di governo della città, non pare vero di ritrovarsi nella stesa situazione, con i candidati sindaco che banchettano sul “pasticcio”, imputandogli di aver lasciato la città coi conti in rosso. Ecco perché ha messo da parte il suo fair-play, ecco perché picchia i pugni sul tavolo. Il fallimento della città, ragiona il sindaco, non può essere la mia targa di addio alla Grande Milano.
Ma c’è di più. Se si torna al 2011 si comprende meglio il furore che ha colto Pisapia il “mite”, quello della “rivoluzione gentile”. Quando si è insediato a Palazzo Marino, il neo sindaco di Milano e il suo assessore al bilancio Bruno Tabacci scoprirono nei conti del Comune un buco da 186 milioni di euro lasciato in eredità dall’amministrazione Moratti. “Siamo davanti a un disavanzo potenziale che rischia di mettere in ginocchio la città”, accusavano. E ora a Pisapia, dopo quattro anni di governo della città, non pare vero di ritrovarsi nella stesa situazione, con i candidati sindaco che banchettano sul “pasticcio”, imputandogli di aver lasciato la città coi conti in rosso. Ecco perché ha messo da parte il suo fair-play, ecco perché picchia i pugni sul tavolo. Il fallimento della città, ragiona il sindaco, non può essere la mia targa di addio alla Grande Milano.
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