giovedì 10 ottobre 2019

La verdinità perduta - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 10 Ottobre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

Siccome sono masochista, mi leggo avidamente tutti i commenti sul taglio dei parlamentari da 945 a 600 (400 deputati e 200 senatori). E ne ricavo un’impressione: ammazza quanto rosicano i giornaloni! Ma anche tre domande. 
1) Perché mai il taglio sarebbe una brutta notizia? 
2) Perché mai lo sarebbe solo oggi, mentre era sempre stato cosa buona e giusta quando ci provavano – senza riuscirci – la Bicamerale Bozzi del 1983 (514 deputati e 282 senatori), la Bicamerale De Mita-Iotti del 1994 (400 e 200), la Bicamerale D’Alema (500 e 200), la schiforma di centrodestra nel 2006 (518 e 252), la bozza Violante del 2007 (512 e 186), la schiforma Boschi-Verdini del 2016 (630 deputati e 100 senatori non più eletti)? 
3) Perché mai 945 parlamentari, non uno di meno né di più, garantirebbero i sacri valori della democrazia, della rappresentanza, della Costituzione e della Resistenza, mentre 600 sarebbero uno stupro antiparlamentarista, qualunquista e populista? Bisognerebbe spiegarlo alla Germania (709 deputati e 69 senatori), alla Spagna (350 e 265), agli Usa (435 e 100): tutti stuprati a loro insaputa. Se tutti ci provavano invano dal 1983 -prima che si chiamasse “populismo” tutto ciò che vuole la gente- forse è perchè lo sapevano tutti che il nostro Parlamento è sovradimensionato: abbiamo 96 mila abitanti per deputato, contro i 133 mila della Spagna, i 116 mila di Francia e Germania, i 114 dell’Olanda. Ora avremo un deputato ogni 151mila e risparmieremo pure: un bel sacrificio da una classe politica che tanti ne chiede ai cittadini e così riabilita parzialmente le istituzioni dal discredito in cui le ha cacciate.

Poi, certo, ci vorrà una legge elettorale conseguente: la crisi di rappresentanza viene di lì, dai parlamentari nominati anziché eletti e dunque tendenti al trasformismo perché svincolati da ogni impegno con gli elettori (la Boschi paracadutata da Arezzo a Bolzano, Fassino da Torino a Ferrara e a suo tempo Mattarella da Palermo a Trento: do you remember?). Gira e rigira, il problema di lorsignori è soltanto uno: la riforma è popolarissima e, quel che è peggio, è dei 5Stelle. I quali, ora che son riusciti dove quelli bravi e competenti avevano fallito, rischiano di guadagnare consensi. Di dimostrare che riescono a migliorare persino i vecchi partiti. E di smentire chi li dipinge come degli incoerenti che rinfonderano le proprie bandiere per le poltrone (invece ne tagliano un terzo, anzitutto a se stessi). Infatti i giornaloni hanno scatenato contro il taglio dei parlamentari un fuoco di sbarramento che difficilmente avremmo visto se si fossero ripristinate la garrota, la pena di morte e le leggi razziali.


E mai avevamo visto per le 60 leggi vergogna di B.. La Stampa, in overdose da rosicamento, per non dare la notizia s’è inventata il consueto scisma quotidiano: “Taglio dei parlamentari, fronda nel M5S: prende forma la scissione. Oggi il voto decisivo: 30 grillini si sfilano, riforma a rischio” (risultato: 553 Sì, 14 No, 2 astenuti; chissà dove s’erano nascosti i 30 volponi). Carlo Nordio, sul Messaggero, ha spiegato affranto che l’“umiliante pedaggio ridurrà la rappresentatività e persino le entrate (è noto che i parlamentari contribuiscono al finanziamento del loro partito)”. Testuale. Ma niente, non se l’è filato nessuno. Ezio Mauro, su Repubblica, è riuscito a scrivere che la sforbiciata è “un rito pagano” (tre pateravegloria) che “altera il sistema senza preoccuparsi di ricomporlo”, “produce un disequilibrio al di là delle cifre”, roba tipica del “perno qualunquista e anti-istituzionale dei 5Stelle, che continuano a produrre antipolitica anche dalle stanze del governo, non essendo in grado di pensare altrimenti”, poveri baluba. E poi: “definitiva semplificazione del concetto di rappresentanza, appiattimento del parlamento su una formula demagogica da gettare in pasto agli istinti dell’elettorato”, il famoso popolo bue, “come già con la ‘rottamazione’ proclamata (non si precisa da chi, ndr)”, “tentativo di introdurre il vincolo di mandato, manomettendo la libertà costituzionale dei parlamentari” (di vendersi un tanto al chilo al miglior offerente, come han fatto in 950 negli ultimi 11 anni), “adulazione del popolo mentre lo si inganna”. Perbacco.


Mauro ha pure scoperto che Di Maio era “in evidente difficoltà dopo lo scontro con Salvini e un’alleanza col Pd che non è stato capace di motivare” e “aveva bisogno di uno scalpo da gettare nell’arena”. Tipo previdente, questo Di Maio: il primo dei quattro voti sulla riforma è del 7 febbraio e lui già sapeva delle rottura con Salvini e dell’alleanza col Pd in agosto, ergo già preparava lo scalpo per l’arena. Mauro non dorme la notte perché il contagio grillino ha infettato “Pd e renzisti, sempre contrari a questa riforma mutilata e mutilante”: strano, noi li ricordavamo nel 2016 sulle barricate del referendum a spacciare il taglio dei parlamentari per nascondere lo scempio di un terzo della Costituzione; e, quel che è più comico, su quelle barricate c’era pure Repubblica al gran completo. Anche Massimo Giannini è in ambasce perchè il Pd, contaminato dal M5S, perde la verginità, anzi la verdinità (le ultime volte governava con B., Verdini e Alfano). E, quel che è peggio, fa qualcosa di buono e popolare insieme: non sia mai. Dunque giù botte contro il “grottesco Truman Show in piazza”,“la scenetta da b-movie”, “lo spot circense”, ma soprattuto contro i pidini grillizzati che “si calano le braghe” (parola del “vecchio saggio Macaluso”, e ho detto tutto), “la televendita populista”, “la purga contro la Casta” in vista del “mitico regno di Gaia” casaleggiano, “finalmente dominato dalla dittatura della Rete e liberato dai vecchi legacci del parlamentarismo”. Pare infatti che i 600 parlamentari superstiti non saranno più eletti: li sceglierà direttamente Casaleggio su Rousseau.


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