(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Da quando, a luglio, citò il Terzo Reich per dire che l’aggressione russa all’Ucraina era “della stessa natura”. Fino a venerdì scorso quando ha chiesto ai partiti di non fare storie nel sostenere le “necessarie” spese per la Difesa, “nel momento in cui il modello democratico appare sfidato da Stati sempre più segnati da involuzioni autoritarie”. Il protagonismo di Sergio Mattarella sul conflitto Russia-Ucraina espresso nelle più svariate circostanze rituali, e dalle più alte cattedre europee, non conosce sosta. Sono soprattutto gli attacchi frontali che il capo dello Stato sferra continuamente contro il Cremlino a fare notizia. “Non evochi la pace chi muove la guerra”. “La sola minaccia del nucleare è un crimine contro l’umanità”. “La Russia vuole ridefinire con la forza i confini dell’Europa”. “Mosca fuori dalla storia”. “È in atto un’operazione contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni”. Queste incisive frasi, e le numerose altre che non riportiamo per ragioni di spazio, proprio per la vasta risonanza suscitata e, naturalmente, per il ruolo e l’autorevolezza di chi le ha pronunciate. Non dovrebbero indurre a qualche seria riflessione sulle conseguenze che ne derivano? Prima di tutto l’esposizione in prima persona del presidente della Repubblica alle ritorsioni e alle minacce russe, affidate alla postura aggressiva della portavoce Maria Zakharova incaricata di sibilare le veline di Vladimir Putin. Colpisce poi una certa solitudine del nostro capo dello Stato rispetto ai suoi pari grado occidentali, anche nel gruppo dei cosiddetti volenterosi, che preferiscono non esporsi su un terreno così minato e che, a sua differenza, adottano preferibilmente un cauto linguaggio di stampo paludato-istituzionale. Esiste, infine, un contesto interno che potrebbe riguardare, sul tema della guerra, non solo una certa sovraesposizione del linguaggio allarmato ed esplicito del Quirinale rispetto a quello più diplomatico del governo, ma appunto le scelte che ne scaturiscono. Data la natura delle questioni sollevate, le parole di Mattarella infatti non possono essere rubricate semplicemente nella categoria dei “moniti”, frequentemente usati (e abusati) nella storia recente e passata dagli inquilini del Colle. Il capo dello Stato, tra gli altri incarichi, presiede un organismo di eccezionale importanza strategica come il Consiglio supremo di difesa, nel quale insieme ai vertici militari siedono i ministri di Esteri, Interno, Economia, Difesa, Sviluppo economico. Si suppone che nelle riunioni di questo alto consesso venga praticata l’arte della sintesi, né si hanno notizie in contrario. Ma qualche interrogativo sulle indicazioni di fondo rimane. Prendiamo la linea del governo Meloni-Salvini favorevole a quel piano Trump che non esclude, anzi, la cessione alla Russia del Donbass, almeno quella parte prevalente della regione già conquistata dall’esercito di Putin sul campo. Come si concilia tutto ciò con le parole di Mattarella? Quando per esempio egli sostiene che “non si possono ridefinire con la forza i confini dell’Europa”? E dal tradizionale discorso di fine anno quali scenari di pace e di guerra saranno disegnati da colui che oggi, di fatto, appare il frontman della politica italiana estera e di difesa?
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