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lunedì 16 ottobre 2023

LA GEOPOLITICA DELL’OPERAZIONE AL-AQSA FLOOD. - Pepe Escobar thecradle.co

 

L’operazione Al-Aqsa Flood di Hamas è stata pianificata meticolosamente. La data di inizio scelta sulla base di due fattori scatenanti.

Il primo era stato l’intervento del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre, quando aveva presentato la sua mappa del “Nuovo Medio Oriente”, in cui aveva completamente cancellato la Palestina e si era fatto beffe di ogni singola risoluzione ONU sull’argomento.

In secondo luogo, le continue provocazioni alla sacra Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, compresa la goccia che ha fatto traboccare il vaso: due giorni prima dell’Operazione Al-Aqsa Flood, il 5 ottobre, almeno 800 coloni israeliani avevano preso d’assalto i dintorni della moschea, picchiando i pellegrini e distruggendo i negozi dei palestinesi, il tutto sotto gli occhi delle forze di sicurezza israeliane.

Chiunque abbia un po’ di cervello sa che Al-Aqsa è l’ultima linea rossa, non solo per i palestinesi, ma per l’intero mondo arabo e musulmano.

Ma c’è di peggio. Gli israeliani hanno poi invocato la retorica di “Pearl Harbor”. Questo è quanto di più minaccioso possa esistere. L’attacco a Pearl Harbor era stato il pretesto dell’America per entrare in una guerra mondiale e bombardare il Giappone e questa “Pearl Harbor” potrebbe essere la giustificazione di Tel Aviv per lanciare un genocidio a Gaza.

I settori dell’Occidente che applaudono l’imminente pulizia etnica – compresi i Sionisti che si atteggiano ad “analisti” dicendo ad alta voce che i “trasferimenti di popolazione” iniziati nel 1948 “devono essere completati” – credono di poter ribaltare la situazione in breve tempo, annientando la resistenza palestinese e indebolendo gli alleati di Hamas, come Hezbollah e l’Iran.

Il loro progetto sull’Ucraina si è arenato, lasciando non solo uova marce sulla faccia dei potenti, ma intere economie europee in rovina. Eppure, mentre una porta si chiude, un’altra si apre: passare dall’alleato Ucraina all’alleato Israele e puntare sull’avversario Iran invece che sull’avversario Russia.

Ci sono altre buone ragioni per andare avanti a tutta forza. Un’Asia occidentale pacifica significherebbe la ricostruzione della Siria – in cui la Cina è ora ufficialmente coinvolta; la riqualificazione attiva dell’Iraq e del Libano; l’Iran e l’Arabia Saudita che entrano a far parte dei BRICS 11; il partenariato strategico Russia-Cina pienamente rispettato e attivo con tutti gli attori regionali, compresi i principali alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico.

Incompetenza. Strategia intenzionale. O entrambe le cose.

Questo ci porta al costo del lancio di questa nuova “guerra al terrorismo”. La propaganda è in pieno svolgimento. Per Netanyahu a Tel Aviv, Hamas è l’ISIS. Per Volodymyr Zelensky a Kiev, Hamas è la Russia. In un fine settimana di ottobre, la guerra in Ucraina è stata completamente dimenticata dai media mainstream occidentali. La Porta di Brandeburgo, la Torre Eiffel, il Senato brasiliano sono ora tutti israeliani.

L’intelligence egiziana sostiene di aver avvertito Tel Aviv di un imminente attacco da parte di Hamas. Gli israeliani hanno scelto di ignorarlo, così come avevano fatto con le esercitazioni di Hamas viste nelle settimane precedenti, compiaciuti della loro superiore consapevolezza che i palestinesi non avrebbero mai avuto l’audacia di lanciare un’operazione di liberazione.

Qualunque cosa potrà accadere, Al-Aqsa Flood ha già irrimediabilmente infranto la pesante mitologia popolare sull’invincibilità di Tsahal, del Mossad, dello Shin Bet, del carro armato Merkava, dell’Iron Dome e delle Forze di Difesa Israeliane.

Anche se ha abbandonato le comunicazioni elettroniche, Hamas ha approfittato dell’incredibile defaillance dei multimiliardari sistemi elettronici di Israele che monitorano il confine più sorvegliato del pianeta.

I droni palestinesi a basso costo hanno colpito diverse torri di sensori, hanno facilitato l’avanzata delle truppe in parapendio e hanno spianato la strada a squadre d’assalto in maglietta e AK-47 che hanno aperto brecce nel muro e attraversato il confine, una cosa che nemmeno i gatti randagi osavano fare.

Israele, inevitabilmente, ha iniziato a colpire la Striscia di Gaza, una gabbia completamente circondata di 365 chilometri quadrati con 2,3 milioni di persone. È iniziato il bombardamento indiscriminato di campi profughi, scuole, condomini civili, moschee e baraccopoli. I palestinesi non hanno una Marina, né un’aviazione, né unità di artiglieria, né veicoli da combattimento blindati, né un esercito professionale. Non hanno quasi mezzi di sorveglianza ad alta tecnologia, mentre Israele può avere accesso ai dati NATO, se li vuole.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha proclamato “un assedio completo sulla Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è chiuso. Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza”.

Gli israeliani possono tranquillamente impegnarsi in una punizione collettiva perché, con in tasca tre veti garantiti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sanno di poterla fare franca.

Non importa che Haaretz, il più autorevole quotidiano israeliano, ammetta apertamente che, “in realtà, il governo israeliano è l’unico responsabile di quanto è accaduto (l’Operazione Al-Aqsa Flood) per aver negato i diritti dei palestinesi”.

Gli israeliani non potrebbero essere più coerenti. Già nel 2007, l’allora capo dell’intelligence della Difesa israeliana, Amos Yadlin, aveva dichiarato: “Israele sarebbe felice se Hamas prendesse il controllo di Gaza, perché l’IDF potrebbe trattare Gaza come uno Stato ostile”.

L’Ucraina invia armi ai palestinesi.

Solo un anno fa, il comico di Kiev con la maglietta sudata parlava di trasformare l’Ucraina in un “grande Israele” e veniva debitamente applaudito dalla claque del Consiglio Atlantico.

Ebbene, le cose sono andate diversamente. Come mi ha appena confidato una fonte del Deep State della vecchia scuola:

“Le armi destinate all’Ucraina finiscono nelle mani dei palestinesi. La domanda è quale Paese le pagherà. L’Iran ha appena concluso un accordo con gli Stati Uniti per sei miliardi di dollari ed è improbabile che lo metta a rischio. Ho una fonte che mi ha fornito il nome del Paese, ma non posso rivelarlo. Il fatto è che le armi ucraine stanno andando nella Striscia di Gaza e vengono pagate, ma non dall’Iran”.

Dopo l’incredibile incursione dello scorso fine settimana, Hamas si è già assicurata una leva negoziale maggiore di quella che i palestinesi avevano avuto per decenni. Significativamente, mentre i colloqui di pace sono sostenuti da Cina, Russia, Turchia, Arabia Saudita ed Egitto, Tel Aviv si rifiuta. Netanyahu è ossessionato dall’idea di radere al suolo Gaza, ma, se ciò accadesse, una guerra regionale più ampia sarebbe quasi inevitabile.

Gli Hezbollah libanesi – un fedele alleato dell’Asse della Resistenza palestinese – preferirebbero non essere trascinati in una guerra che potrebbe essere devastante sul loro lato del confine, ma le cose potrebbero cambiare se Israele perpetrasse un genocidio de facto a Gaza.

Hezbollah possiede almeno 100.000 missili balistici e razzi, dai Katyusha (gittata: 40 km) ai Fajr-5 (75 km), Khaibar-1 (100 km), Zelzal 2 (210 km), Fateh-110 (300 km) e Scud B-C (500 km). Tel Aviv sa cosa significa e rabbrividisce per i frequenti avvertimenti del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che la prossima guerra con Israele sarà condotta all’interno del Paese.

Il che ci porta all’Iran.

Plausibile negatività geopolitica

La principale conseguenza immediata di Al-Aqsa Flood è che il sogno erotico dei neoconservatori di Washington di una “normalizzazione” tra Israele e il mondo arabo svanirà semplicemente, se questo scontro si trasformerà in una guerra lunga.

Ampie fasce del mondo arabo, infatti, stanno già normalizzando i loro legami con Teheran – e non solo all’interno dei nuovi BRICS 11.

Nella spinta verso un mondo multipolare, rappresentato dai BRICS 11, dall’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), dall’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) e dall’Iniziativa Belt and Road (BRI) della Cina, tra le altre istituzioni innovative dell’Eurasia e del Sud Globale, non c’è posto per uno Stato d’Apartheid etnocentrico e amante delle punizioni collettive.

Proprio quest’anno, Israele si è visto disinvitato dal vertice dell’Unione Africana. Una delegazione israeliana si era comunque presentata, ma era stata espulsa senza tanti complimenti dalla sala principale, un’immagine diventata virale. Il mese scorso, durante le sessioni plenarie delle Nazioni Unite, un diplomatico israeliano aveva cercato di interrompere il discorso del presidente iraniano Ibrahim Raisi. Nessun alleato occidentale si era schierato al suo fianco e anche lui era stato fatto allontanare dalla sala.

Come aveva diplomaticamente affermato il presidente cinese Xi Jinping nel dicembre 2022, Pechino “sostiene fermamente l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente che goda di piena sovranità sulla base dei confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. La Cina sostiene la Palestina nel suo diritto a diventare un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite”.

La strategia di Teheran è molto più ambiziosa: offrire consulenza strategica ai movimenti di resistenza dell’Asia occidentale, dal Levante al Golfo Persico: Hezbollah, Ansarallah, Hashd al-Shaabi, Kataib Hezbollah, Hamas, Jihad islamica palestinese e innumerevoli altri. È come se tutti facessero parte di un nuovo Grande Scacchiere supervisionato di fatto dal Gran Maestro Iran.

I pezzi della scacchiera erano stati accuratamente posizionati da nientemeno che il defunto comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, il generale Qassem Soleimani, un genio militare unico nella vita. Era stato determinante nel creare le basi per i successi degli alleati iraniani in Libano, Siria, Iraq, Yemen e Palestina, oltre a creare le condizioni per un’operazione complessa come Al-Aqsa Flood.

Altrove nella regione, la spinta atlantista per aprire corridoi strategici attraverso i Cinque Mari – il Mar Caspio, il Mar Nero, il Mar Rosso, il Golfo Persico e il Mediterraneo orientale – si sta arenando.

La Russia e l’Iran stanno già distruggendo i progetti statunitensi nel Caspio – attraverso il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INSTC) – e nel Mar Nero, che sta per diventare un lago russo. Teheran sta prestando molta attenzione alla strategia di Mosca in Ucraina, anche se sta affinando la propria strategia su come debilitare l’egemone senza un coinvolgimento diretto: chiamiamola plausibile negatività geopolitica.

Addio al corridoio UE-Israele-Arabia Saudita-India

L’alleanza Russia-Cina-Iran è stata demonizzata come il nuovo “asse del male” dai neoconservatori occidentali. Questa rabbia infantile tradisce un’impotenza cosmica. Questi sono veri Paesi sovrani, con cui non si può scherzare, perché, in caso contrario, il prezzo da pagare sarebbe incalcolabile.

Un esempio chiave: se l’Iran, attaccato da un asse USA-Israele, decidesse di bloccare lo Stretto di Hormuz, la crisi energetica globale schizzerebbe alle stelle e il collasso dell’economia occidentale sotto il peso di quadrilioni di derivati sarebbe inevitabile.

Ciò significa, nell’immediato futuro, che il sogno americano di interferire attraverso i Cinque Mari non si qualifica nemmeno come un miraggio.  Al-Aqsa Flood ha anche seppellito il corridoio di trasporto UE-Israele-Arabia Saudita-India, annunciato di recente e tanto sbandierato.

La Cina è ben consapevole di tutta questa incandescenza giusto una settimana prima del suo terzo Belt and Road Forum a Pechino. In gioco ci sono i corridoi di connettività BRI, quelli che contano: attraverso l’Heartland, attraverso la Russia, oltre alla Via della Seta marittima e alla Via della Seta artica.

Poi c’è l’INSTC che collega Russia, Iran e India – e, per estensione, le monarchie del Golfo.

Le ripercussioni geopolitiche dell’Operazione Al-Aqsa Flood accelereranno le connessioni geoeconomiche e logistiche di Russia, Cina e Iran, aggirando l’egemone e il suo impero di basi. L’aumento degli scambi commerciali e il transito ininterrotto delle merci favoriscono i buoni affari. In condizioni di parità, con rispetto reciproco – non esattamente lo scenario del Partito della Guerra per un’Asia occidentale destabilizzata.

Oh, le cose che possono accelerare delle truppe in parapendio in lento movimento sopra un muro di confine.

Pepe Escobar

https://comedonchisciotte.org/la-geopolitica-delloperazione-al-aqsa-flood/

lunedì 23 aprile 2018

Soldi sporchi o politica sporca? L’ipocrisia del Regno Unito sugli “oligarchi russi”. - Neil Clark



Secondo il procuratore generale della Russia, 61 criminali, colpevoli di aver indebitamente accumulato in Russia almeno 10 miliardi di dollari, stanno facendo la bella vita nel Regno Unito. La Gran Bretagna asserisce di essere preoccupata per i “soldi sporchi”, ma ha rigettato le richieste di estradizione da parte di Mosca.
Era stata la truffa finanziaria del secolo. Il saccheggio delle ricchezze della Russia sovietica, da parte di un gruppo di oligarchi molto ben ammanigliati, aveva, nei primi anni ‘90, arricchito poche persone, ma aveva impoverito vaste fasce della popolazione locale. Le basi di questa massiccia redistribuzione della ricchezza (il contrario di quello che avrebbe fatto Robin Hood) erano state gettate dalle riforme economiche “per la ristrutturazione ” di Gorbachev, alla fine degli anni ‘80.
I beni statali erano stati regalati come confetti ai membri della cerchia ristretta di Yeltsin. Nel 1996 il popolo russo, che aveva visto il proprio tenore di vita andare in caduta libera dopo la fine del comunismo, ne aveva avuto abbastanza. La popolarità di Yeltsin nei sondaggi era arrivata alla cifra unica, mentre i comunisti erano sulla cresta dell’onda. Perciò, gli oligarchi amici del Presidente, insieme ai loro alleati occidentali, avevano lavorato di comune accordo affinchè le elezioni andassero nel modo “giusto”.
Gli Stati Uniti avevano fatto in modo che il FMI concedesse alla Russia un prestito di 10,2 miliardi di dollari, in modo che i salari degli statali, che erano senza stipendio da mesi, potessero essere finalmente pagati. Con i media controllati dal governo, o dagli oligarchi, era stata lanciata una massiccia offensiva propagandistica. Arrivati al ballottaggio, Yeltsin era stato dichiarato vincitore con il 54% dei voti. C’erano state numerose accuse di frodi elettorali, ma l’Occidente aveva fatto orecchie da mercante. “Americani al salvataggio; La storia segreta di come i consulenti americani hanno aiutato Yeltsin a vincere,” titolava in prima pagina Time Magazine. “Bill (Clinton) chiamava con il telefono rosso e parlava con Yeltsin. Gli diceva quali erano gli spot elettorali da mandare in onda, dove andare a parlare, quali posizioni prendere, era (il Presidente degli Stati Uniti) diventato in pratica il consulente politico di Yeltsin,” aveva ammesso Dick Morris, un manager della campagna Clinton.
Bisognerebbe ricordare gli eventi del 1996, quando si sentono le asserzioni gratuite sui russi che avrebbero “aggiustato” in favore di Trump le elezioni presidenziali del 2016. Con Yeltsin nuovamente al potere, gli oligarchi avevano stappato lo champagne e si erano preparati a fare ancora più soldi sulle spalle del popolo russo.
“Avevamo ingaggiato il Primo Ministro Chubais. Avevamo investito grosse somme di denaro. Avevamo garantito la rielezione di Yeltsin. Adesso abbiamo il diritto di occupare posti di governo e godere i frutti della nostra vittoria,” si era vantato Boris Berezovsky, il cosiddetto “Padrino del Cremlino” al Financial Times nel 1997.
Gli anni ‘90 sono stati un decennio che la gente normale in Russia preferirebbe dimenticare. Per loro le cose avevano iniziato a migliorare solo quando erano stati fatti i primi passi per reintrodurre nel sistema un minimo di legge e di ordine. Il processo era iniziato con il Primo Ministro Yevgeny Primakov, ma aveva acquistato velocità con Vladimir Putin.
Un momento determinante era stato l’arresto, nel 2003, di Mikhail Khodorkovsky, ritenuto allora l’uomo più ricco di tutta la Russia. Infatti, l’attuale “Guerra Fredda 2.0” nei confronti della Russia, portata avanti dai neoconservatori occidentali, è riconducibile a questo evento. Al momento del suo arresto, Khodorkovsky era in contatto con alcune compagnie petrolifere americane, in vista di una fusione con la sua multinazionale Yukos. L’Occidente, come ho spiegato nel New Stateman, ha sempre considerato gli oligarchi un mezzo con cui assumere il controllo della Russia. Avevo fatto notare che: “Ora, con il loro uomo di Mosca dietro le sbarre, era arrivato il momento, per i neoconservatori, di spingere al massimo la propaganda bellica contro Putin. Richard Perle era stato il primo ad uscire dai blocchi di partenza, con la richiesta di espulsione della Russia dal G8, la sua esclusione dai contratti petroliferi postbellici iracheni e con l’accusa di collusione con il programma iraniano per l’energia nucleare.”
Il caso Khodorkovsky era diventato famoso, mentre anche Boris Berezovsky era stato trattato come una celebrità da certi esponenti dell’establishment quando aveva rinunciato a ritornare in Russia, dove lo attendeva un procedimento penale, ed aveva ottenuto asilo politico in Gran Bretagna.
Una segnalazione (Red Notice) dell’Interpol, con una richiesta per il suo arresto, era stata ignorata. Il controverso oligarca, ora trasformato in “sostenitore della democrazia”, mangiava e beveva con i rappresentanti dei media anglosassoni, ed era anche stato invitato al programma televisivo della BBC Question Time, per offrire (al pubblico) le sue idee di “democrazia.”
All’epoca, a Londra c’era scarsa o nessuna preoccupazione per i soldi russi “sporchi”. Più ricchi erano i Russi che si riversavano a Londra, meglio era. Ma, negli ultimi mesi, tutto è cambiato. La deliberata escalation della tensione di (questa) Guerra Fredda 2.0, dovuta alla frustrazione causata dal sabotaggio russo ai piani per il cambio di regime in Siria, ha avuto come risultato che i Russi facoltosi residenti in Gran Bretagna sono ora nel centro del mirino.
“Ai Russi in Gran Bretagna è stato comunicato di rendere pubblica la loro ricchezza,” ha riportato un titolo del quotidiano neoconservatore Times.
Il Ministro alla Sicurezza Ben Wallace,  come ha riferito ITV, ha detto che saranno utilizzati “i pieni poteri del governo” nei confronti dei criminali stranieri e dei politici corrotti che usano la Gran Bretagna come rifugio. Il suo riferimento alla serie televisiva McMafia, sugli oligarchi russi, ha chiarito quali fossero i “criminali stranieri” a cui si riferiva.
Verranno utilizzati gli Unexplained Wealth Orders per chiedere alle persone facoltose una giustificazione dei patrimoni in loro possesso. Ma solo a certe persone.
Chiaramente, il sistema è aperto agli abusi. I Russi facoltosi che odiano Putin e che dicono le cose giuste sul governo russo, probabilmente non hanno nessun motivo di preoccupazione. Ma, tutti quelli che a Mosca non sono “personae non gratae” troveranno tutta la faccenda molto più dura.
Nel mese di Gennaio, il Daily Telegraph ha riferito che Roman Abramovich, proprietario del Chelsea Football Club, che non è in rotta con il governo russo, era stato incluso per la prima volta in un “elenco di funzionari ed oligarchi” che potrebbe servire da “base per future sanzioni alla Russia.”
Abramovich era stato anche incluso, il 18 marzo, in una “hit list” del Times sugli “oligarchi amici di Putin con miliardi in beni inglesi” che potrebbe servire da ”base per future sanzioni alla Russia.”
Penso che ormai tutti vedano la piega che stanno prendendo le cose. I Russi facoltosi che vivono in Gran Bretagna dovranno prendere le distanze dal Cremlino, se vorranno essere lasciati in pace. La chiave di tutto non sarà “dove hai preso i soldi?”, ma (piuttosto) “chi sostieni?”Qualcuno se la sta già facendo sotto. Nel mese di marzo, subito dopo i fatti di Salisbury, Sergei Kapchuk, un uomo d’affari russo residente in Gran Bretagna, aveva lasciato il paese, riferendo di essere stato spaventato dai servizi di sicurezza inglesi, dopo essere stato messo sotto pressione, durante un’intervista televisiva, da un uomo che “sembrava un funzionario dell’intelligence”, che aveva insistito molto affinchè lanciasse un appello a Putin.
La caccia alle streghe anti-russa ha portato anche all’assurdo spettacolo dell’”attivista per i diritti umani” Peter Tatchell che auspica che i figli delle “famiglie e dei funzionari del regime” siano espulsi dalle scuole.
La settimana scorsa, su The Independent una donna russa residente in Gran Bretagna ha scritto: “Ho capito in fretta che, in Gran Bretagna, ammettere di essere russi è come ammettere di soffrire di una malattia mortale e di avere solo poche settimane di vita.” Il fatto che si sia sentita obbligata a scrivere il pezzo utilizzando lo pseudonimo di “Valerie Stark” ci fa capire quanto grave sia ormai la situazione.
E’ chiaro che ciò che sta alla base della cosiddetta “lotta al denaro sporco” del governo inglese non è moralità (e come potrebbe esserlo, con un governo che ha imposto dure misure di austerità al suo popolo), ma geopolitica. Bisogna vederlo in un contesto più ampio, come parte di una campagna di russofobia da parte delle elites guerrafondaie. “Fino ad ora non se ne erano preoccupati perché approvavano il latrocinio indiscriminato dei beni russi di allora ed il regime di Yeltsin che lo aveva facilitato,” ha recentemente detto a RT George Galloway.
Ora però, con la Russia che, in Medio Oriente, ostacola le aspirazioni egemoniche dei neoconservatori, è tutta un’altra storia.
Neil Clark è giornalista, scrittore, commentatore radiofonico e blogger. Ha scritto su molti quotidiani e riviste in Gran Bretagna e all’estero, inclusi The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week e The American Conservative. Collabora regolarmente con RT ed è anche apparso alla BBC radio e TV, Sky News, Press TV e The Voice of Russia. E’ co-fondatore della Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. Il suo pluripremiato blog può essere raggiunto all’indirizzo www.neilclark66.blogspot.com. Twitta di politica e di affari internazionali @NeilClark66.
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARKUS