Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 4 agosto 2025
martedì 8 luglio 2025
IL MIRACOLO MELONIANO... A PICCO!
Buongiorno ![]()
Sono usciti i dati ISTAT...volete sapere cosa sta succedendo realmente? ![]()
IL MIRACOLO MELONIANO... A PICCO!
Altro che ripresa, qua ci stanno rovinando col sorriso sulle labbra...
Pressione fiscale in aumento: +0,5% nel 1° trimestre 2025.
Ma tranquilli, è per "difendere l’interesse nazionale". Tradotto: noi paghiamo, loro brindano.
Export extra-UE: maggio -5,2%.
Nel 2022 eravamo a +20,1%, oggi… un misero +0,5% nei primi 5 mesi del 2025.
Altro che "rilancio dell’economia", qui è crollo assistito.
Con la Cina, poi, è un capolavoro:
Esportazioni: -13,2%
Importazioni: +32,2%
Risultato? Uno sbilancio commerciale di -20,3 miliardi di euro.
Abbiamo comprato venti miliardi di roba in più di quanta ne abbiamo venduta.
E poi parlano di "sovranismo economico"... RIDICOLI.
E mentre i numeri affondano, loro continuano a suonare la fanfara della propaganda:
"Giorgia ci ha restituito dignità", "L’Italia cresce", "Il governo del fare"…
Sì, fare disastri.
La verità? Questo governo sta demolendo il Paese pezzo per pezzo, ma vi vuole far credere che è tutto merito del "destino patriottico".
E intanto il Paese sprofonda… con orgoglio, ma sprofonda.
By Massimo Baruffa
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domenica 4 luglio 2021
Tassa minima globale: Irlanda, Estonia e Ungheria contro il via libera finale (per ora). - MIchele Pignatelli
Il nodo dell'unanimità. Tre paesi non hanno firmato l'intesa Ocse e per una direttiva Ue serve il via libera di tutti gli Stati membri.
All’indomani di quella che Janet Yellen, segretaria al Tesoro Usa, ha definito «una giornata storica per la diplomazia economica», l’intesa sulla tassazione globale minima siglata con il coordinamento dell’Ocse da 130 Paesi su 139 inizia a fare i conti con gli ostacoli che ancora restano per renderla effettiva.
All’appello tra i firmatari mancano 9 Paesi, ma a preoccupare sono soprattutto le tre defezioni europee. Irlanda, Ungheria ed Estonia per il momento hanno detto no al piano, già avallato dal G7, che prevede una corporate tax minima del 15% e una redistribuzione almeno parziale delle tasse pagate dalle multinazionali, allocando parte di quel gettito nei Paesi in cui gli utili vengono effettivamente realizzati.
Irlanda, Ungheria ed Estonia insieme valgono appena il 4% del Pil Ue e il 3,6% della popolazione, ma il loro potere negoziale è amplificato dalle normative comunitarie, che richiedono il varo di una direttiva approvata all’unanimità. E i primi segnali non sono incoraggianti.
L’Ungheria, spina nel fianco Ue.
«La minimum tax globale ostacolerebbe la crescita, l’aliquota del 15% è troppo alta e non dovrebbe essere applicata alle attività economiche reali», ha sentenziato ieri il ministro delle Finanze ungherese Mihaly Varga, salvo poi smorzare i toni dicendosi pronto a continuare colloqui «costruttivi» con i partner Ocse per raggiungere «un accordo appropriato».
Budapest, con una corporate tax del 9%, ha l’aliquota più bassa nell’Unione europea e l’ha sfruttata per attrarre robusti investimenti nel settore automobilistico e manifatturiero (da Bmw agli impianti per la produzione di batterie); investimenti che hanno trainato la crescita e l’impiego, contribuendo a rafforzare il potere del premier Viktor Orban e offrendogli una solida base di consenso per reggere lo scontro con l’Unione europea sullo Stato di diritto. Non è un caso che Orban qualche giorno fa abbia definito «assurdo» il fatto che «un’organizzazione internazionale si arroghi il diritto di dire quali tasse l’Ungheria può imporre e quali no», tanto più – ha aggiunto - che il Paese «non è un paradiso fiscale», ma attrae imprese che investono veramente e non scelgono l’Ungheria soltanto come sede legale per pagare meno tasse.
L’Irlanda, allievo modello.
Discorso diverso per l’Irlanda, assurta a esempio di politiche virtuose negli anni seguiti alla crisi finanziaria e ai piani di bailout europei e ora ben integrata nelle isituzioni comunitarie, dove tra l’altro detiene, con il ministro delle Finanze, Pascal Donohoe, la presidenza dell’Eurogruppo. Alleanze strategiche e capacità negoziali hanno consentito a Dublino di resistere per anni agli attacchi di quei Paesi – Francia in testa – che l’accusavano di concorrenza sleale per una corporate tax al 12,5% e, ancor di più, per agevolazioni o accordi mirati che hanno favorito l’elusione o consentito alle multinazionali di pagare imposte irrisorie.
L’attrattività fiscale è stata un fattore chiave per portare a Dublino il quartier generale di colossi come Google, Apple e Facebook e le nuove regole mettono ora in pericolo, secondo le prime stime, due miliardi di euro all’anno di entrate da imposte societarie, anche per effetto della riallocazione del gettito nei Paesi che sono vero mercato delle multinazionali. Così ieri il ministro delle Finanze Donohoe, che già giovedì aveva espresso le riserve irlandesi, ha ribadito la contrarietà di Dublino: «In Irlanda questo – ha detto in un’intervista radiofonica – è un tasto molto sensibile e nel testo che mi è stato presentato non c’erano sufficiente chiarezza e un adeguato riconoscimento di una questione per noi chiave».
Il ministro ha espresso tuttavia ottimismo sul raggiungimento di un’intesa entro l’anno. Ed è probabile che Dublino, con qualche ulteriore concessione, sia pronta a dire sì; anche il mondo del business sembra già preparato alle nuove regole, forte di un appeal basato anche su altri fattori oltre a quello fiscale e su investimenti ormai consolidati nel Paese.
L’Estonia e gli utili detassati.
L’Estonia, da anni in cima alla classifica di competitività fiscale del think tank americano Tax Foundation, ha tra i suoi punti di forza una corporate tax relativamente bassa (oscilla tra il 14 e il 20% degli utili) applicata però solo in caso di dividendi. Non vengono cioè tassati gli utili reinvestiti.
Il Paese baltico si è opposto con decisione alle nuove regole. Il ministero delle Finanze ieri ha diffuso un comunicato in cui sottolinea che il Paese non è pronto «a sostenere completamente» le proposte per una minimum tax globale. Più esplicita (e dura) era stata nei giorni scorsi la ministra delle Finanze Keit Pentus-Rosimannus, che aveva definito la proposta «pericolosa per le imprese, la concorrenza internazionale e la creazione di posti di lavoro».
Verso il via libera del G20.
Nonostante gli ostacoli - tra i quali vanno menzionati anche la necessaria approvazione del Congresso Usa, con i repubblicani pronti a dare battaglia, e il nodo della digital tax, su cui Janet Yellen e la vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, avranno un colloquio il 6 luglio - all’indomani dell’intesa prevale l’ottimismo, anche considerando che l’hanno siglata Paesi importanti e in dubbio fino all’ultimo, come l’India e la Cina (con le regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao).
In attesa dei dettagli tecnici, da mettere a punto ancora in sede Ocse a ottobre, sembra dunque spianata la strada al via libera dei ministri delle Finanze del G20, in programma a Venezia la prossima settimana, priorità della presidenza italiana. «Le notizie che arrivano dall’Ocse - ha confermato il ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco - sono un passo avanti verso l’intesa politica. Siamo fiduciosi sulla possibilità di trovare un accordo a livello G20 sulla struttura di nuove regole per la riallocazione dei profitti delle grandi multinazionali e per la tassazione minima effettiva, che cambierebbero radicalmente l’attuale architettura della fiscalità internazionale».
Intanto, mentre il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, promette di raddoppiare gli sforzi per convincere i Paesi riluttanti, la Commissione Ue mantiene un cauto ottimismo. «Siamo fiduciosi che, mentre si mettono a punto i dettagli, anche gli altri Stati membri possano firmare», ha dichiarato un portavoce.
IlSole24Ore
giovedì 13 agosto 2020
Quando ’Ndrangheta e Cosa nostra dicevano: “Abbiamo il paese nelle mani”. - Lucio Musolino

Dopo la condanna all’ergastolo del boss Giuseppe Graviano e di Rocco Santo Filippone il 24 luglio, le indagini proseguono sulle tracce di “altri soggetti” che, secondo gli inquirenti, avrebbero collaborato al “disegno di destabilizzazione del paese”. In primo piano nelle dichiarazioni dei pentiti il “patto” tra Berlusconi e Cosa nostra, attraverso Dell’Utri, di cui la mafia avrebbe informato i calabresi.
domenica 12 luglio 2020
Le concessioni sono solo l’inizio. Ora il Paese può cambiare. - Gaetano Pedullà

giovedì 24 luglio 2014
Ticket stellari e attese infinite, italiani in fuga dal Ssn: spesi oltre 30 mld in sanità privata.
Per l'esattezza 30,3 mld, tra farmaceutica, assistenza e cura, diagnostica e altro, che - come si legge nel documento - costituiscono "una percentuale rilevante della spesa sanitaria complessiva". Una spesa ingente che - osservano i deputati - "pur non collocandosi su un livello non dissimile da quella di altri Paesi europei, è nel nostro Paese quasi per intero 'out of pocket', mentre altrove è in buona parte intermediata da assicurazioni e fondi". L''indagine della Camera svela anche i motivi di questa emigrazione di pazienti dal pubblico al privato: "E' stato rilevato - si legge nel documento - come l'applicazione dei ticket stia di fatto escludendo le fasce economicamente più deboli della popolazione dall'accesso alle prestazioni sanitarie, in particolare a quelle di specialistica e diagnostica".
