venerdì 21 maggio 2010

Intercettazioni, SKY ricorrerà presso le autorità competenti

L'azienda in quanto editore di SKY TG24 e di SKY.IT chiederà l'intervento di tutte le autorità internazionali competenti, compresa la Corte europea per i diritti dell'Uomo. Le nuove norme sarebbero un grave attacco alla libertà di stampa e di espressione



SKY Italia accoglie con grande preoccupazione le norme previste dal disegno di legge sulle intercettazioni approvate ieri dalla Commissione Giustizia del Senato.

Queste norme rappresentano un grave attacco alla libertà di stampa e di espressione, ma soprattutto costituirebbero una grande anomalia a livello europeo. Per questo motivo SKY, editore di SKY TG24 e di questo giornale online, chiederà un intervento a tutte le Autorità internazionali competenti, anche ricorrendo presso la Corte europea dei diritti dell'Uomo.

Il diritto a un’informazione completa è un diritto irrinunciabile per ogni cittadino, ma è anche un dovere fondamentale per ogni editore. Per questo motivo SKY TG24 e SKY.IT, che in questi anni hanno sempre cercato di compiere la propria missione con la massima professionalità e imparzialità, continueranno a lavorare avendo come unico scopo quello di fornire ai cittadini un’informazione obiettiva e più completa possibile.

"C’è grande preoccupazione per queste norme. - ha dichiarato il direttore di SKY TG24 Emilio Carelli
al periodico online della Fondazione Farefuturo - Se fossero approvate, si tratterebbe davvero di un pesante attacco alla libertà di stampa e alla libertà di espressione. E si tratterebbe, oltretutto, di una grave anomalia a livello europeo. Non a caso, Sky ha minacciato di ricorrere contro queste norme presso tutte le autorità competenti, anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se necessario. Il nostro impegno è e resta quello di informare i cittadini in maniera completa, obiettiva, imparziale. Ma se vogliamo continuare a farlo, non possiamo subire limitazioni di questo tipo. Intanto aspettiamo di vedere il testo definitivo. Ovviamente, auspichiamo un ripensamento".
"Sono d’accordo sulla difesa della privacy, - ha aggiunto il direttore - ed è vero che alcuni giornali negli ultimi mesi hanno esagerato, e hanno pubblicato intercettazioni prive di contenuti rilevanti. Però, ciò non toglie che va garantito il diritto di pubblicare tutto ciò che ha a che fare con reati importanti, come la corruzione, la mafia".



Ci vuole tutti zitti - Antonio Padellaro



20 maggio 2010

Il Senato mobilitato anche di notte: B. e la destra hanno fretta. Fino a 464.000 euro di multa per gli editori che pubblicano intercettazioni. Carcere per i giornalisti

Molti di noi hanno cominciato a fare i giornalisti spinti da un’ideale giovanile. Dicevamo a noi stessi: troverò le notizie che gli altri non hanno, racconterò le verità che gli altri non raccontano e, se ne vale la pena, rischierò pure la pelle. Come tutti gli ideali coltivati a vent’anni non sempre sono durati abbastanza e qualche volta la vita con le sue necessità materiali ha reso più astratto il nostro sogno di perfezione. Non è stato così per Fabio Polenghi il fotoreporter italiano caduto a Bangkok. Lui, come centinaia di altri giornalisti uccisi in prima linea, mentre cercavano di cogliere quella immagine o raccontare quella scena che nessun altro avrebbe pubblicato.

L’infamia di una legge sulle intercettazioni voluta da un tirannello borioso per nascondere certe sue vergogne e votata da parlamentari che si nascondono come ladri nella notte, consiste certamente nella violazione del diritto dei cittadini di sapere e del dovere dei giornali di informare, come ha detto
Ezio Mauronell’intervista a Silvia Truzzi. Ma c’è qualcosa che è forse peggio della soppressione di una libertà ed è la spinta alla rassegnazione, all’accettazione supina di un arbitrio. Negli anni abbiamo imparato a conoscere il personale di cui si serve il premier per le sue malefatte. Si tratta di gente che in cambio di denaro e poltrone si è venduta dignità e reputazione. Sono gli eunuchi del sultano, manutengoli sazi e appagati ma con il cruccio che non tutti siano ridotti come loro. Per esempio. Ci sono dei giornalisti che vogliono raccontare le risate degli sciacalli del terremoto o come un senatore si è venduto ai boss o l’affaire di un ministro a cui comprarono la casa sul Colosseo? Spezziamogli la penna, mettiamogli paura finché si convincano che l’unica informazione possibile in questo Paese è quella autorizzata dall’alto.

Naturalmente, è una violenza che non può essere accettata. Naturalmente, se la legge infame passerà, assieme ai tanti giornalisti liberi che ancora ci sono, noi del “Fatto” ricorreremo a tutte le forme possibili di disobbedienza civile. Lo diciamo ai nostri lettori ed è bene che lo sappiano gli eunuchi di Palazzo: non gli daremo tregua. Se per una fotografia c’è chi si fa ammazzare, per una notizia si può anche rischiare un po’ di galera.

LEGGI

Il bavaglio è al rush finale di Antonella Mascali e Sara Nicoli

Mauro: 'Adesso si muovano le grandi firme' di Silvia Truzzi

Intercettazioni: così il Fatto si opporrà al bavaglio di Peter Gomez

Da
il Fatto Quotidiano del 20 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2489566&title=2489566


Alle Tv un regalo da 2 miliardi


di Roberta Carlini
Tutti gli Stati Ue vendono le frequenze lasciate libere dal digitale terrestre. Unica eccezione: l'Italia che ha invece rinunciato al ricco business

Angela Merkel ha i suoi problemi con le casse europee, ma per quanto riguarda quelle tedesche può consolarsi guardando al tesoretto che si sta accumulando ai piedi della vecchia tv. All'asta pubblica partita da alcune settimane, gli operatori di telefonia mobile fanno la fila con il portafoglio in mano per aggiudicarsi le frequenze lasciate libere dal passaggio al digitale terrestre. Finora sono entrati 2,5 miliardi di euro, la previsione del governo è di chiudere con un incasso che tra i 4 e gli 8 miliardi. E i tedeschi non sono soli: dall'Europa agli Usa, il "dividendo digitale" fa gola a molti governi. Ma non al nostro, che ha deciso di dare quelle frequenze gratis alle televisioni. Rinunciando a un bel gruzzoletto che il bilancio pubblico poteva incassare "senza mettere le mani nelle tasche degli italiani", come ama dire Tremonti.

Secondo una stima della Commissione europea, il valore dello spettro liberato con lo switch-off è di 44 miliardi di euro. A tanto ammonta lo stimolo all'economia dell'Unione che si avrebbe se quelle frequenze fossero destinate allo sviluppo dell'Internet mobile. Una buona fetta della torta potrebbe andare ai governi, che hanno vari strumenti a disposizione per farsi pagare le frequenze (le aste, ma anche l'esazione di canoni). Senza contare le ricadute sociali positive: accessibilità a tutti della banda larga ad alta velocità e riduzione del digital divide. Per questo dalla Commissione viene un'indicazione per tutti gli Stati membri: aprite lo spettro alla telefonia mobile. E così hanno fatto, o stanno facendo, Germania, Olanda, Danimarca, Finlandia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Francia. Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, dove il governo federale ha incassato 19 miliardi solo per il 2009.

In Italia, niente di tutto questo. Il governo Berlusconi ha deciso di non trarre alcun vantaggio economico (pubblico) dal dividendo digitale. Eppure, alla vigilia dello switch-over, le potenzialità economiche dello spettro italiano erano già evidenti agli esperti del settore: una stima allargata ai possibili vari usi delle frequenze (fatta in uno studio del 2007 da Carlo Cambini, Antonio Sassano e Tommaso Valletti) valutava l'incasso potenziale per lo Stato in 2 miliardi di euro all'anno. Più di recente, un'analisi dello stesso Cambini, del Politecnico di Torino, nell'ambito del progetto Isbul dell'Autorità per le comunicazioni, ha calcolato il costo-opportunità delle frequenze: in pratica, si calcola il costo della rinuncia a quelle frequenze per un operatore tv e per uno di telefonia mobile. In questo contesto, viene fuori che 1 Megahertz di frequenze più o meno simili "vale" 4 milioni per l'uso di una tv digitale, 10 milioni per la telefonia. Ma è una stima super-prudente, avverte lo stesso Cambini, perché non tiene conto del valore del business che gli stessi operatori si attendono dallo sviluppo di quelle frequenze: molto più alto, come si vede ogni volta che viene fatta un'asta. Basta vedere quel che è successo in Germania, dove finora gli operatori hanno offerto per frequenze analoghe circa 40 milioni per Mhz.

Insomma le frequenze sono una miniera d'oro, che il governo, attraverso l'allora ministro Claudio Scajola e il viceministro Paolo Romani, ha deciso di non far fruttare. Infatti la gara a cui sta lavorando l'AgCom di Corrado Calabrò è riservata alle tv, e non è un'asta ma si chiama "beauty contest": non si chiede denaro a chi partecipa, ci si limita a dettare i requisiti che bisogna avere per poter ricevere il dono. Che sarà spartito tra Rai-Mediaset, Telecom Italia, e qualche new entry di contorno.


SANTORO ATTACCA LA RAI E I PARTITI - 1^ e 2^ parte - 20 maggio 2010



giovedì 20 maggio 2010

Che facciamo in Afghanistan? - Massimo Fini



20 maggio 2010

Gli americani, secondo stime che risalgono al 2009, hanno perso 850 uomini, gli inglesi 216, i canadesi 131. la Danimarca 26. Da allora sono caduti altri 200 soldati della Nato

Dopo l'agguato talebano che è costato la vita a due nostri militari ferendone gravemente altri due, il ministro della Difesa
La Russa si è affrettato a chiarire che “non è stato un attacco all'Italia”. Certo, nella colonna di 130 mezzi che trasportava 400 uomini c'erano americani, spagnoli e soldati di altri nove Paesi che, nella regione di Herat, occupano l'Afghanistan. È stato un attacco alla Nato. Riaffiora però qui la retorica, tipicamente fascista, degli "italiani brava gente" che, a differenza degli altri, sanno farsi voler bene dalla popolazione che quindi non li prende di mira. Sciocchezze. Gli italiani sono odiati esattamente come tutti gli altri occupanti, con l'eccezione negativa degli americani che sono odiati di più perché tutti sanno, in Afghanistan e altrove, che questa guerra è voluta da Washington e che il presidente-fantoccio Hamid Karzai, che nel Paese non gode di alcun prestigio perché mentre negli anni '80 i suoi connazionali si battevano con straordinario coraggio contro gli invasori sovietici lui faceva affari con gli yankee, è alle dirette dipendenze dell'Amministrazione Usa. Non è per la morte di due soldati che dobbiamo lasciare l'Afghanistan.

Gli americani, secondo stime che risalgono alla fine del 2009, hanno perso 850 uomini, gli inglesi, che sono i soli a battersi, anche se non sempre, "all'afghana", cioè senza l'uso sistematico dei bombardieri che uccidono ed esasperano la popolazione civile, 216, i canadesi 131, la Danimarca 26, più del 10% del suo piccolo contingente di 200 uomini. Da allora sono caduti altri 200 soldati della Nato e l’altro giorno ne sono caduti altri sei, cinque americani. Ma la domanda “Che cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?” abbiamo pur il diritto di porcela e di porla alle nostre classi dirigenti.
Berlusconi, Frattini, La Russa hanno cantato la solita solfa. Berlusconi: “La nostra missione in Afghanistan è di straordinaria importanza per la stabilità e la pacificazione di un'area strategica”. Frattini: “La nostra è una missione di pace, fondamentale, che continuerà per la nostra sicurezza e il bene del popolo afghano”. La Russa: “È una missione per la sicurezza e la pace a casa nostra”. Ora, in tutta la storia, passata e recente, dell'Afghanistan non c'è un solo afghano che si sia reso responsabile di un atto di terrorismo internazionale, cioè fuori dal proprio Paese. E se dal 2006 anche gli afghani si sono decisi a utilizzare il terrorismo e i kamikaze, cosa totalmente estranea alla loro cultura e natura di guerrieri, dopo un aspro dibattito all'interno della leadership talebana (il Mullah Omar era contrario perché il terrorismo, anche se sempre mirato, nel caso talebano, a obiettivi militari e politici, colpisce inevitabilmente anche la popolazione civile sul cui appoggio si sostiene la guerriglia) è perché gli eserciti occidentali, a differenza di quello sovietico, (contro cui non ci fu mai un atto di tipo terroristico) non hanno nemmeno la dignità di battersi sul campo, ma usano a tappeto l'aviazione, spesso con aerei senza equipaggio, i Dardo e i Predator, bombardando indiscriminatamente i villaggi uccidendo vecchi, donne e bambini.

Contro un nemico che non combatte con lealtà, dignità, onore, ma usa i robot, che cosa può fare una resistenza se non ricorrere alle povere armi di cui dispone, ordigni quasi sempre rudimentali messi insieme con materiali di fortuna come i tergicristalli? I "vigliacchi", egregio ministro La Russa, stanno da un'altra parte. In quanto all’“insicurezza e alla instabilità del Paese” è del tutto evidente che è provocata proprio dalla presenza delle truppe straniere, che gli afghani, popolo orgoglioso come pochi, non hanno mai tollerato cacciando, nella loro storia, inglesi e sovietici così come, prima o poi, cacceranno gli odierni occupanti. L'Afghanistan talebano era sicuro e stabile. Aveva un regime, delle leggi, dei costumi che non ci piacciono. Ma si può fare la guerra a un popolo solo perché è diverso da noi e non si ispira ai sacri principi di
Locke e di Stuart Mill? Pretendere di omologare ogni popolo che ha storia, cultura, vissuti diversi, ai nostri valorièunaformaditotalitarismo indegno di un mondo che si definisce liberale e democratico.

Un liberale che pretende che tutti siano liberali non è un liberale: è un fascista. Nell'atroce vicenda afghana siamo noi, paradossalmente, i fascisti mentre i talebani hanno la parte dei difensori della libertà, la loro libertà da un'occupazione straniera, comunque motivata. È un modo molto curioso quello di “operare per il bene del popolo afghano”, per esprimerci con le parole del ministro Frattini, uccidendo i suoi abitanti a centinaia di migliaia, come del resto abbiamo già fatto in Iraq. Se la morte di due soldati provoca sofferenza e dolore nelle loro famiglie , nei padri, nelle madri, nei figli, nei fratelli, nelle sorelle, che cosa devono dire gli afghani? Non hanno anch'essi padri e madri e figli e fratelli e sorelle che ogni giorno che dio manda in terra devono piegarsi sui propri morti, siano essi guerriglieri, soldati "regolari" del grottesco esercito di Karzai che si sono arruolati perché la disoccupazione, che noi abbiamo portato in quel Paese, non gli lascia alternative, o, peggio, civili? Smettiamola con questa farsa tragica. Con le ipocrisie ributtanti. Noi siamo in Afghanistan solo per un malinteso senso di prestigio. È per difendere la faccia, la nostra bella faccia, che uccidiamo ogni giorno, noi o i nostri alleati, gente che non ci ha fatto nulla e, a volte, veniamo anche noi, del tutto legittimamente uccisi. Ritorniamo a casa nostra, ai nostri
Scajola,ai nostri Anemone, ai nostriBalducci, alla nostra corruzione, alla nostra pubblicità, ai nostri giochini idioti, al nostro grasso benessere, al nostro marciume materiale e morale, e lasciamo che un popolo, infinitamente più dignitoso di noi, anche antropologicamente, possa decidere da sé del proprio destino.

Da
il Fatto Quotidiano del 20 maggio


mercoledì 19 maggio 2010

G8 Genova, ribaltata la sentenza di primo grado: condannati i vertici della Polizia


Genova - (Adnkronos) - Dopo 11 ore in camera di consiglio, i giudici della terza sezione della Corte d'Appello del Tribunale di Genova hanno condannato 25 imputati su 27 a quasi un secolo di carcere per l'irruzione nella scuola Diaz del luglio 2001

Genova, 19 mag. (Adnkronos) - Ribaltata in appello la sentenza di primo grado per l'irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova la notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, durante il G8. Stanotte, dopo 11 ore in camera di consiglio, i giudici della terza sezione della Corte d'Appello del Tribunale di Genova hannocondannato 25 imputati su 27 a quasi un secolo di carcere, compresi i gradi più alti della polizia.

Il capo dell'anticrimine Francesco Gratteri è stato condannato a quattro anni, l'ex comandante del primo reparto mobile di Roma, Vincenzo Canterini, a cinque anni, l'ex vicedirettore dell'Ucigos Giovanni Luperi, a quattro anni, l'ex dirigente della Digos di Genova, Spartaco Mortola, a tre anni e otto mesi, l'ex vicecapo dello Sco, Gilberto Caldarozzi, a tre anni e otto mesi.

Altri due dirigenti della polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono stati condannati a tre anni e nove mesi. Aumentate le pene per i 13 poliziotti condannati in primo grado. Prosciolti, per prescrizione, Michelangelo Fournier e Luigi Fazio.

Il procuratore generale, Pio Macchiavello, aveva chiesto oltre 110 anni di reclusione per i 27 imputati. In primo grado, il 13 novembre 2008, erano stati condannati 13 imputati per un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione e ne erano stati assolti 16, tra cui Gratteri, Luperi, Mortola. I pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini avevano chiesto 29 condanne per 109 anni e nove mesi di carcere.

Diaz, condanne per i dirigenti di polizia



Qualche crepa nel sistema dell’impunità. La “macelleria messicana” di Genova non fu opera di un pugno di agenti colti da raptus, come si voleva far credere. Dopo lasentenza d’appello per le torture a Bolzaneto, arriva la condanna in appello per i dirigenti della polizia coinvolti negli abusi alla scuola Diaz. Sono passati quasi nove anni da quella notte. Nel frattempo - in assenza di inchieste di carattere istituzionale e disciplinare - hanno fatto tutti carriera. Con in testa Gianni De Gennaro, il quale - da Capo della Polizia all’epoca dei fatti - non si accorse né fu informato di nulla: così almeno dovremmo credere. Ora è capo dei servizi, custode di molti segreti. In caso di conferma in Cassazione, ci si può almeno attendere che certi personaggi siano cacciati per sempre dalla polizia?
Grazie a coloro che in tutto questo tempo non hanno mai smesso di lottare civilmente per la verità e la giustizia: hanno dato a questo sventurato Paese una lezione di dignità.
Qui il comunicato di Vittorio Agnoletto.