domenica 15 maggio 2011

L’Italia promette soldi al Fondo per la lotta contro l’Aids. Poi non li dà ed è estromessa. - di Carla Rumor


Il nostro è l’unico paese a non aver versato la quota all'organizzazione che investe in progetti contro Hiv, malaria e tubercolosi. Non ha dato né i 160 milioni di dollari annunciati da Berlusconi per il 2009, né i 183 milioni per il 2010. E l'insolvenza è costata il posto nel consiglio di amministrazione

L’Italia lascia il suo posto nel consiglio di amministrazione del Fondo globale per la lotta contro Aids, malaria e tubercolosi. E’ stata esclusa perché indietro con i pagamenti di ben due anni. E su quella sedia ora siede la Francia.

L’organizzazione, con sede a Ginevra, è un partenariato internazionale che si occupa di raccogliere e distribuire risorse per prevenire queste tre malattie con oltre 600 progetti in 140 paesi del mondo. Dicono che sia un vero peccato per l’Italia, che è stato il paese promotore del Fondo al tempo del G8 di Genova.

Nel 2009 all’Aquila, sempre in occasione del G8, il presidente del Consiglio dichiarò durante la conferenza stampa del secondo giorno di lavori che era stato lui a volere fortissimamente l’organizzazione ginevrina. ”Il nostro Paese – disse – è in leggero ritardo nel versare i soldi al Global Fund, ma entro il prossimo mese verseremo 130 milioni di dollari a cui ne aggiungeremo altri 30″.

Quei soldi non sono mai arrivati. E a quei 160 milioni di dollari che Silvio Berlusconi prometteva (una cifra fra l’altro che non corrispondeva a quanto promesso dall’Italia, che, secondo fonti del Fondo globale, aveva previsto per il 2009 una donazione di circa 183 milioni di dollari) si sono aggiunti altri 183 milioni per il 2010. In totale, mancano all’appello circa 366 milioni di dollari, oltre 240 milioni di euro.

Degli oltre 40 paesi donatori (a cui vanno aggiunte associazioni come quelle che fanno capo a Bill Gates e a Bono Vox) l’Italia è l’unico a non aver ancora versato la quota del 2009. Per quell’anno un miliardo di dollari è arrivato dagli Stati Uniti, 400 milioni dalla Francia, 184 dalla Gran Bretagna, 57 dalla Russia. Le stesse cifre più o meno sono state donate l’anno successivo: Australia, Belgio, Olanda, Cina, India, Giappone, Kuwait, Polonia, Romania, Sud Africa, Tailandia, solo per citarne alcuni, tutti i donatori hanno rispettato i loro impegni internazionali. Mancava di nuovo l’Italia, nel 2010 in compagnia del Portogallo, sull’orlo del tracollo finanziario.

“Essendo uno dei paesi promotori, spero davvero che l’Italia possa continuare a supportare il Fondo sia politicamente che finanziariamente – dice il presidente del Fondo Michel Kazatchkine -. E’ vero che a causa delle recenti sfide economiche, l’Italia ha avuto delle difficoltà a mantenere le promesse, ma spero vivamente che si possa trovare una soluzione”.

La cosa peggiore, aggiunge Stefan Emblad, responsabile della gestione delle risorse del Fondo, è che l’Italia non è riuscita a fare nessuna promessa per il periodo 2011-2013. “A ottobre al quartier generale dell’Onu di New York, si è tenuta la conferenza del Fondo presieduta dal segretario generale Ban Ki-moon - spiega Emblad-. Un appuntamento che ogni tre anni riunisce tutti i paesi donatori che in quell’occasione dichiarano con quale cifra si impegnano a sostenere i progetti da realizzare nel triennio successivo. Ebbene, nessuna promessa è arrivata dall’Italia”.

Se da un lato è meglio non promettere se poi bisogna disattendere, dall’altro, il fatto di avere completamente disatteso gli impegni e aver fatto scena muta sul futuro, ha causato la perdita del seggio. “A seguito della discussione fra i paesi membri si è deciso di sostituire nel consiglio di amministrazione l’Italia con la Francia, uno dei paesi più generosi, insieme agli Stati Uniti – ha detto Embland -. Di certo continueremo a dialogare con il ministero, ma credo che ci sia un impasse politico in Italia oltre che una generale mancanza di soldi”.

“Ma quei soldi sono davvero necessari per portare avanti altri progetti. Per dare un’idea di come opera il Fondo – ci spiega Embland – con circa 100 milioni di dollari (67 milioni di euro circa) il Fondo Globale può finanziare programmi annuali in cui fornisce farmaci antiretrovirali a 92mila persone affetta da Hiv, prevenendo 10mila morti l’anno, fornisce profilassi a 13mila donne sieropositive incinta per evitare la trasmissione madre-figlio, distribuisce oltre due milioni di zanzariere per proteggere le famiglie dalla malaria, medicine per oltre un milione di malati di malaria e cure per 83mila persone malate di tubercolosi”.

Il che vuol dire lottare contro malattie che limitano la possibilità di crescita economica e sociale di un paese e contribuire allo stato di salute del pianeta. Eppure i fondi non bastano mai. “Servirebbero oltre 15 miliardi di dollari per il triennio a venire – aggiunge il presidente Kazatchkine -. I donatori che si sono incontrati a New York ne hanno assicurati circa 11,7, una cifra che conferma la fiducia che i paesi hanno nel Fondo ma che purtroppo non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi e debellare le tre malattie. Personalmente, continuerò instancabilmente nel mio sforzo di cercare risorse addizionali al Fondo per contribuire anche al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (otto traguardi di sviluppo che i membri dell’Onu si sono impegnati a raggiungere entro il 2015, ndr)”.

Ecco perché la donazione dell’Italia è così importante, soprattutto se si pensa che a luglio Roma ospiterà dopo vent’anni anni la Conferenza mondiale sull’Aids, dove sono attesi scienziati ed esperti internazionali, rappresentanti del mondo politico ed economico che affronteranno anche il tema dell’accesso alle cure nel sud del mondo, nell’anno del trentesimo anniversario della scoperta del virus dell’Hiv.

Come paese ospitante sarà il primo ministro a fare gli onori di casa. Già nel 2000 Berlusconi parlò di Aids, a bordo della nave Azzurra, sulla quale fece la crociera elettorale lungo le coste italiane. Sui malati raccontò una barzelletta.



Regione autonoma della Sardegna - Elezioni e referendum.

Elezioni e referendum
Elezioni
La Regione gestisce direttamente le procedure relative alle elezioni regionali ed ai referendum regionali. La data delle elezioni provinciali e comunali è fissata con decreto dal Presidente della Regione.
ElezioniIl 15 e 16 maggio si vota per amministrative e referendum Con le legge approvata dal Consiglio regionale lo scorso 16 marzo , sarà possibile svolgere referendum consultivo pro o contro il nucleare ed elezioni amministrative nelle stesse date. Si vota il 15 e 16 maggio. Grazie all'accorpamento si avrà un giorno in più per partecipare al referendum e un notevole risparmio di risorse.
ReferendumAbbinamento referendum-elezioni: Cappellacci, segnale importante e concreto "Si tratta di una scelta che non solo consente un considerevole risparmio di risorse pubbliche, ma che, facendo coincidere la data del referendum con quella delle elezioni amministrative, influirà positivamente sulla partecipazione ad una consultazione, quella contro il nucleare, di fondamentale importanza". Così ha detto il presidente Cappellacci.
ReferendumReferendum contro le centrali nucleari e lo stoccaggio si scorie radioattive: voto fissato per il 15 maggio Per il 15 maggio 2011 il presidente Cappellacci ha indetto il referendum consultivo popolare regionale sul tema "centrali nucleari".


Referendum 2011: in Sardegna si vota insieme alle amministrative per il consultivo sul nucleare.


Mentre tutta l'Italia, come abbiamo visto, rimane in attesa della decisione della Cassazione per sapere se alle urne del 12/13 giugno dovrà esprimersi anche per il nucleare, c'è una Regione, la Sardegna, in cui non solo è certo che si voterà sull'atomo, ma avverrà già questo week end in concomitanza con le elezioni amministrative.

Si tratta di un referendum consultivo (e non abrogativo come quello nazionale) popolare regionale che chiederà al popolo sardo se è favorevole o meno all'installazione in Sardegna dicentrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive rispondendo SI o NO a questo quesito:

"Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?"

L'accorpamento del referendum consultivo alle amministrative è stato indetto con Decreto n.1/E del 30 Gennaio 2011 e successivo Decreto di revoca n. 36 del 21 Marzo 2011 dal Presidente della Regione Sardegna che ha fissato la nuova data di svolgimento nei giorni 15 e 16 maggio 2011, gli stessi delle elezioni amministrative.

Dalla Sardegna arriverà un segnale importante per tutto il Paese. Proprio alla vigilia della discussione alla Camera del dl omnibus col quale il governo vuole fermare, ma solo per un po’, i programmi nucleari” così il Comitato Vota Sì per fermare il nucleare sottolinea il valore della consultazione: “ Invitiamo tutti i cittadini sardi ad andare a votare e ad esprimersi contro il ritorno all’atomo – si legge in una nota – perché è un diritto, loro come di tutti gli italiani, far sentire la propria voce su un tema che investe il loro futuro, quello dei loro figli, il destino energetico e anche industriale dell’Italia. Sarà l'occasione per dare un segnale importante a tutto il paese".

Un diritto, protestano le oltre 80 associazioni che animano il Comitato, “contro il quale sono in corso manovre truffaldine". In primis quella contenuta nel decreto Omnibus, all'esame dell'Aula della Camera il 17, che prevede lo stop a tempo del programma atomico nazionale. "E’ necessario andare tutti a votare e bocciare il nucleare, dunque - è l'appello del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare - per far capire a chi vuole togliere ai cittadini il diritto di parola che gli italiani il nucleare non lo vogliono, e che non cambieranno idea tra qualche mese o qualche anno”.

Ricordiamo che il referendum consultivo per essere valido basta che riesca a raggiungere il quorum quorum del 33% e non del 50% + 1 come nel caso dei referendum abrogativi.

Che il popolo sardo riesca allora attraverso questo referendum ad esprimere una volontà che siamo sicuri sarà rappresentativa di tutta l'Italia.

Simona Falasca

http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/4835-referendum-2011-nucleare-sardegna


Municipalità, trentacinque nomi sospetti La Digos ha inviato un elenco in Prefettura


L'individuazione dei cognomi anche da parte dei carabinieri. Ci sarebbe una ripartizione trasversale degli incandidabili tra destra e sinistra.

NAPOLI— Spulciando i casellari giudiziali dei candidati napoletani per le municipali, polizia e carabinieri hanno trovato di tutto. Fonti politiche parlano di ventisette nominativi inviati dalla Digos di Napoli alla Prefettura, mentre i carabinieri, riferiscono fonti dell’Arma, hanno comunicato una lista di otto nominativi. Le forze di polizia mantengono stretto riserbo sulla faccenda, che si presterebbe, altrimenti, a facili strumentalizzazioni.
Ad ogni modo, il capo della Digos di Napoli si limita a spiegare che il numero di nominativi inviati in Prefettura è di molto superiore a ventisette, e che i reati commessi dai candidati— si parla di sentenze passate in giudicato— sono più svariati.

Alcuni politici parlano di una ripartizione trasversale degli incandidabili, che apparterrebbero dunque quasi tutti i partiti presentatisi in occasione delle elezioni del 15 e 16 maggio. La polizia non ha la responsabilità di decidere in merito all’eventuale incandidabilità di soggetti con precedenti penali. A dover decidere in questo senso è la Prefettura, che in una nota spiega: «proseguono senza sosta le verifiche sui candidati per l’accertamento di eventuali cause ostative previste dall’articolo 58 del decreto legislativo 267 del 2000, anche se dal momento dell’intervenuta affissione dei manifesti elettorali, le commissioni elettorali, secondo un costante orientamento del Consiglio di Stato, non possono più cancellare i nominativi degli incandidabili dalle liste» . In buona sostanza, anche nel caso in cui venisse acclarata l’incandidabilità di un soggetto, questi non potrebbe comunque essere cancellato dalle liste elettorali.

«Eventuali casi di incandidabilità — prosegue la Prefettura— faranno scattare la denuncia alla Procura della Repubblica per falsa dichiarazione dei candidati e la segnalazione al Consiglio comunale neo-eletto affinché in sede di convalida prenda atto della nullità della elezione dei soggetti che presentano cause ostative» . In buona sostanza, gli incandidabili rimarranno in lista, e soltanto dopo l’avvenuta elezione, in sede di convalida, si potrà procedere alla loro rimozione. Il fenomeno delle liste inquinate raggiunge il suo apice nell’hinterland partenopeo, dove sembra che i candidati non abbiano alcuna preoccupazione davanti al fatto di proporre il proprio nominativo anche in condizioni per così dire «delicate» . Risalgono a una decina di giorni fa i quaranta arresti effettuati dai carabinieri di Napoli, guidati dal colonnello Mario Cinque, che hanno praticamente «commissariato» il Pdl di Quarto.

Fra le persone raggiunte dall’ordinanza dei pm della Dda napoletana Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera, figurano anche due candidati del Pdl. Si tratta di Salvatore Camerlingo, cugino del boss Salvatore Liccardi, e di Armando Chiaro. I due sono stati arrestati nell’ambito di un’inchiesta sul clan camorristico Polverino e sul traffico di droga gestito dal clan tra l’Italia e la Spagna. La fase pre-elettorale, inoltre, risulta gravemente macchiata dai ben noti (e sfuggenti) fenomeni di compravendita del voto. Un candidato collegato alle liste pro-Morcone ha denunciato alla polizia di aver ricevuto minacce di morte e atti intimidatori dopo aver cercato di raccogliere, nei Quartieri Spagnoli, prove schiaccianti su presunte operazioni di compravendita del voto messe in atto da altri candidati. Ancora, da altri quartieri — come quello di Pianura — giungono voci di voti messi in vendita per la modica cifra di trenta euro. Bastano pochi spiccioli, a Napoli, per comprarsi la preferenza di chi, a una condizione economica precaria, affianca un discutibile senso della moralità. S. P.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/elezioni2011/notizie/municipalita-trentacinque-nomi-sospettila-digos-ha-inviato-elenco-prefettura--190644135025.shtml


sabato 14 maggio 2011

Pedofilia, arrestato parroco e subito sospeso Bagnasco: “Sconcerto e dolore per l’accaduto”


Le accuse: violenza sessuale su minore e cessione di droga. La curia ha disposto per il sacerdote "la sospensione da ogni ministero pastorale e da ogni atto sacramentale, nonché la revoca immediata della facoltà di ascoltare le confessioni sacramentali". Il presidente della Cei scrive alle vittime: "Piena fiducia alla magistratura"

Lo scandalo pedofilia torna a scuotere la Chiesa.Don Riccardo Seppia, 50 anni, parroco della chiesa di Santo Spirito di via Calda di Sestri Ponente, in provincia di Genova, è stato arrestato dai carabinieri del Nas (nucleo antisofisticazione) di Milano con le accuse di violenza sessuale su minore e cessione di droga.

La curia di Genova ha disposto per Seppia “in conformità alla disciplina canonica e in particolare alle ‘Linee guida’ della Congregazione per la Dottrina della Fede, la sospensione da ogni ministero pastorale e da ogni atto sacramentale, nonché la revoca immediata della facoltà di ascoltare le confessioni sacramentali”.

Un sacerdote ha letto pubblicamente nella chiesa di Santo Spirito un messaggio del presidente della Cei ed arcivescovo di Genova: ”Il cardinale esprime sconcerto e dolore per la gravità di quanto accaduto ed ha piena fiducia nella magistratura; esprime inoltre la sua vicinanza alle famiglie delle vittime e prega per tutti”, ha scritto il cardinal Angelo Bagnasco.

Sull’inchiesta al momento gli investigatori mantengono uno stretto riserbo, ma, da quanto si è appreso, il reato è stato compiuto a Genova, benché a richiedere l’arresto sia stata la Procura di Milano. Decisione poi sottoscritta dal gip di Genova Annalisa Giacalone. A livello operativo, i carabinieri del Nas di Milano hanno agito insieme ai colleghi del Comando provinciale di Genova. La vicenda che ha determinato l’arresto del parroco è emersa nel corso di un’altra inchiesta che stavano svolgendo i carabinieri del Nas.
I militari, infatti, stavano lavorando su tutt’altra vicenda: nel corso delle indagini si sono “imbattuti” nei fatti che poi hanno determinato l’arresto del sacerdote. Secondo quanto trapela dagli inquirenti, don Seppia avrebbe avuto rapporti sessuali con un ragazzino genovese di 16 anni. Secondo gli investigatori, gli abusi sarebbero stati ripetuti e si sarebbero protratti nel tempo. Non si esclude che possano aver coinvolto anche altri ragazzi della zona.

Nell’indagare e intercettare alcune persone nell’ambito di una inchiesta riguardante un presunto traffico di cocaina nel capoluogo ligure che avrebbe coinvolto anche minorenni, i carabinieri si sarebbero “imbattuti” nell’adolescente che frequentava don Riccardo. Da alcune telefonate, dunque, gli inquirenti avrebbero accertato e compreso i rapporti tra il sedicenne e il sacerdote.

Prima di diventare parroco a Sestri Ponente, nel 1996, don Riccardo è stato nella chiesa di San Giovanni Battista, a Recco (Genova) e poi in quella di San Pietro di Quinto (sempre nel Levante genovese), in val Brevenna (nell’entroterra di Genova).



Lombardia, 80 milioni ai comuni che minacciano la secessione. - di Claudia Campese


Il lago d'Idro potrebbe iniziare a parlare trentino. Così come altri 125 comuni delle province di Brescia e Sondrio che lamentano la disparità con i municipi pochi distanti, ma autonomi o a statuto speciale. E così Formigoni li paga per restare

La Lombardia perde pezzi. E il governatoreRoberto Formigoni ha già trovato il collante: 80 milioni di euro. Per convincere i comuni secessionisti a non abbandonare la regione. Le amministrazioni ribelli sono più di cento e minacciano una lotta all’arma bianca: ilreferendum. Per passare con tutti i crismi della legge dove l’erba è più verde, cioè nel giardino del vicino. Soprattutto verso la provincia autonoma di Trento, dove gli asili non si pagano e gli incentivi alle imprese sono almeno doppi rispetto a quelli lombardi. Così, il presidente Formigoni rischia di perdere impianti sciistici e persino il lago d’Idro, che potrebbe iniziare a parlare trentino. Troppo per una regione nota proprio come ‘la terra dei laghi’. La soluzione? Ricoprirli di denaro sonante, per attenuare le differenze tra i comuni di confine e le regioni a statuto speciale o la Svizzera.

Sono 125 i comuni lombardi delle province di Brescia e di Sondrio consociati all’Ass. Comi. Conf., associazione dei comuni di confine che raggruppa 454 municipi secessionisti diLombardia, Piemonte e Veneto che sostengono di essere penalizzati. A volte poche centinaia di metri li dividono da un paradiso di possibilità offerte dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalle regioni a statuto speciale come Valle d’Aosta e Friuli o dalla civilissima Svizzera.

“Noi ci sentiamo un po’ libici, per restare attuali. Di qua la Libia, di là l’Italia”, scherza, ma non troppo, il presidente Marco Scalvini. Così, dal 2001, ventisette comuni hanno approvato con un referendum la secessione. E altri venti hanno presentato richiesta tra novembre e dicembre dello scorso anno. Anche dove la popolazione si è già espressa, manca ancora il sigillo della Camera, così i comuni restano nel limbo. “Beh, capisco che il Veneto non voglia perdere Cortina d’Ampezzo…”, commenta Scalvini. E il vicino Formigoni è così corso ai ripari, per evitare che i suoi di impianti sciistici passino in altre mani. Oppure Bagolino, in provincia di Brescia, con il suo carnevale tra i più attrattivi dell’arco alpino. Per non dire delle eccellenze gastronomiche delle valli lombarde. Una questione di orgoglio, ma anche di business. Che coinvolge innanzitutto i 13 comuni associati direttamente confinanti con la provincia autonoma di Trento. Per arrivare al numero di 125, vanno poi aggiunti i comuni di seconda fascia: i vicini dei confinanti, coinvolti di riflesso.

Così il governatore ha deciso di aggiungere 80 milioni di euro agli altrettanti messi a disposizione dalle province autonome di Trento e Bolzano, 40 ciascuno. “Questo fondo – ha dichiarato Formigoni – rappresenta un segnale di grande importanza nei confronti di una parte così rilevante del territorio italiano e lombardo così ricca di eccellenze naturali e ambientali”. Le risorse sono rivolte a quei comuni che vedranno approvati i propri progetti, da presentare entro il 30 giugno. Progetti però “strutturali”, precisano dall’associazione. Una definizione ambigua che per i secessionisti potrebbe cambiare tutto. E lasciarli ugualmente scontenti.

“Tu governatore non puoi dire a me, sindaco, dove devo mettere i soldi”. E’ indignato, Scavini, per come sono state fatte le cose. Ai comuni non interessano strade e ponti – interventi strutturali appunto – ma fondi per far sentire meno penalizzati nella vita quotidiana i propri cittadini. “Poniamo che un abitante di Bagolino voglia costruire, che so, un hotel e abbia 250 mila euro. – fa un esempio pratico il presidente dell’Ass. Comi. Conf. – In Lombardia può realizzare al massimo una struttura da 350 mila euro, a Trento un bell’albergo da 1 milione di euro, perché gli si garantisce il 75 per cento a fondo perduto per iniziative alberghiere o commerciali”. Per non parlare della pressione fiscale, i trasporti pubblici e le scuole. E’ questo che i sindaci dei comuni secessionisti mettono sul piatto per restare. Un fondo autogestito. Formigoni non dev’essere stato abbastanza attento: altro che investimenti ‘strutturali’.

Che alla regione Lombardia abbiano fatto male i conti? “Secondo me sanno già cosa ci devono fare con questi soldi, dove metterli” è l’idea di Scavini. Se per il governatore lombardo gli 80 milioni di euro sono il prezzo delle “zone di alto pregio ambientale”, come le ha definite, per le province autonome sono un investimento. Come la strada statale 45 bis del bresciano. “Potrebbe collegare le province di Brescia a Madonna di Campiglio, ma si è fermata 25 chilometri prima del confine con il Trentino. – spiega Scavini – Adesso loro vorrebbero prolungarla, ma a noi non interessa”. Per Formigoni, quindi, secessione non ancora scampata.




ABOLIZIONE DEI VITALIZI PARLAMENTARI, LA CAMERA SI OPPONE - DIFFONDETE!!!!!



il 21 settembre 2010 il Deputato Antonio Borghesi dell'Italia dei Valori ha proposto l'abolizione del vitalizio che spetta ai parlamentari dopo solo 5 anni di legislatura in quanto, affermava, tale trattamento risultava iniquo rispetto a quello previsto dai lavoratori che devono versare 40 anni di contributi per avere diritto ad una pensione. Indovinate come è andata a finire...:

Presenti 525
Votanti 520
Astenuti 5
Maggioranza 261

Hanno votato sì 22
Hanno votato no 498 !!!!!!!!!!!!!