lunedì 30 settembre 2013

Intesa, uscita lampo per Cucchiani. Lascia la banca con 7 milioni.

Intesa, uscita lampo per Cucchiani. Lascia la banca con 7 milioni


L'istituto di credito anticipa i consigli di sorveglianza e di gestione dopo che le incertezze sulla guida del gruppo sono costati cari in Borsa. Carlo Messina è dato in pole per sostituire l'ad, mentre è smentito da più parti un possibile ritorno di Corrado Passera.

Uscita lampo di Enrico Cucchiani dal vertice di Intesa Sanpaolo. Nemmeno due anni di sua gestione e l’ex numero uno di Allianz è stato accompagnato alla porta della banca. Una parabola che si è consumata in fretta e con un’accelerazione nelle battute finali, durata soltanto cinque giorni da quando sono uscite le prime indiscrezioni su diversi siti, riprese e ampliate poi anche dal Financial Times.
Le previsioni indicavano che la partita si sarebbe chiusa martedì con le riunioni dei consigli (sorveglianza e gestione) già convocati. Ma i vertici capitanati dal presidente Giovanni Bazoli hanno capito che bisognava fare in fretta, anche perché le incertezze sulla guida della banca sono costati cari in Borsa, dove il gruppo ha bruciato 2 miliardi di capitalizzazione in poche sedute in un momento difficile per il settore, complicato dalla crisi politica.
E così la scelta di cambiare il vertice, legata soprattutto alle tensioni sorte all’interno degli organi di comando, e che peraltro dovrebbe portare nelle tasche di Cucchiani circa 7 milioni di euro tra stipendi mancati e buonuscita, è stata varata in tempi lampo. L’ormai ex consigliere delegato, tornato sabato da New York, ha incontrato nel pomeriggio di domenica Bazoli e Gian Maria Gros-Pietro (presidente del consiglio di gestione) per un chiarimento e per la consegna della lettera di dimissioni. A seguire, i consigli si sono riuniti in seduta straordinaria per prendere atto del passo indietro e nominare il nuovo consigliere delegato.
Scelta che dovrebbe ricadere nella persona di Carlo Messina, attuale direttore generale vicario e numero uno della rete di Intesa Sanpaolo, nota all’interno del gruppo col nome di Banca dei territori. Un manager che ha maturato la sua esperienza a Bnl e al Banco Ambrosiano, prima di arrivare a Intesa, nella quale dal 2008 ricopre anche il ruolo di direttore finanziario. E’ stato smentito da più parti, invece, un possibile ritorno di Corrado Passera, che pagherebbe gli insuccessi proprio dell’operazione Telecom, ma anche quella di Alitalia, che in Intesa non sono state dimenticate e peseranno sui bilanci dei prossimi mesi.
Cucchiani è accompagnato alla porta da Bazoli prima che esploda la bomba dei prestiti senza garanzia all’amico Romain ZaleskiIntesa, negli anni del boom finanziario, ha prestato 1,8 miliardi al finanziere franco-polacco per giocare in Borsa, di cui una cifra tra 800 milioni e un miliardo senza nessuna garanzia. Soldi ormai pressoché persi, tanto che nell’ultima semestrale Intesa ha passato 800 milioni nella colonna degli “incagli” che sono l’anticamere dalla perdita secca.
Pare che il manager con il passare dei mesi avesse creato parecchi malumori interni alla banca, e non solo nei rapporti con il top management. Tensioni interne, che poi hanno trovato un nuovo acme nelle settimane scorse quando Cucchiani al forum Ambrosetti venerdì 6 settembre ha dichiarato: “Zaleski è stato finanziato non soltanto da noi ma anche da altre banche. Io nel 2008 non ero neanche in Italia ma il punto fondamentale è quello di assicurarsi il miglior recupero di tutte le posizioni con rigore e sano pragmatismo“. E ha aggiunto: “Certamente andiamo avanti e ragionevolmente troveremo un accordo, una soluzione ragionevole. Per chi fa il mio mestiere l’importante è andare avanti e non giudicare il passato“.
Proprio l’assenza di Cucchiani lunedì scorso, mentre si decidevano i destini di Telecom attraverso il riassetto di Telco favore di Telefonica, contrapposta all’attivismo di Bazoli, avevano accelerato e dato fiato ai rumors sull’uscita di scena del manager.
Voltata la pagina su Cucchiani, Intesa avrà nuove importanti decisioni da prendere. In primis quella sulla governance. Tema che potrebbe essere già affrontato domani dai presidenti delle fondazioni azioniste del gruppo, che dovrebbero incontrarsi in giornata. Dopo diverse pressioni della Banca d’Italia, fatte proprie dalla Compagnia di San Paolo, primo azionista di Cà de Sass, i tempi sembrerebbero maturi per tornare alla governance tradizionale, in sostituzione del sistema duale nato in seguito alla fusione sull’asse Milano-Torino.

domenica 29 settembre 2013

Lacrime da coccodrillo. - Marco Travaglio



Da qualche tempo a questa parte, appena prende la parola, il che gli accade ormai di continuo, in una logorrea esternatoria senza soste, anche due volte al giorno, prima e dopo i pasti, il presidente della Repubblica piange. 
È una piccola variante sul solito copione: il monito con lacrima. 
A questo punto mancano soltanto le scuse al popolo italiano, unico abilitato a disperarsi per lo schifo al quale è stato condannato da istituzioni e politici irresponsabili. Cioè responsabili dello schifo. L’altro giorno, mentre Letta Nipote garantiva agli americani che il suo governo era stabile e coeso come non mai e B. raccoglieva le firme dei suoi 188 servi in Parlamento per minacciare di rovesciarlo, Napolitano definiva “inquietante” la pretesa del Caimano di condizionarlo per fargli sciogliere le Camere e interferire nei processi giudiziari. E lo dice a noi? Sono anni e anni che lui, non noi, corre in soccorso dell’Inquietante non appena è in difficoltà.

Lo fece nel novembre 2010, quando Fini presentò la mozione di sfiducia al governo B. e lui ne fece rinviare il voto di un mese, dando il tempo all’Inquietante di comprarsi una trentina di deputati. Lo rifece nel novembre 2011, quando B. andò a dimettersi per mancanza di voti alla Camera, e lui gli risparmiò le elezioni anticipate, dando il tempo all’Inquietante di far dimenticare i suoi disastri quando i sondaggi lo davano al 10 per cento. Lo rifece quest’anno, dopo la batosta elettorale di febbraio (6,5 milioni di voti persi in cinque anni): prima mandò all’aria ogni ipotesi di governo diverso dall’inciucio, tappando la bocca ai 5Stelle che chiedevano un premier fuori dai partiti; poi accettò la rielezione al Quirinale, sostenuta fin dal primo giorno proprio da B., quando ancora Bersani s’illudeva di liberarsi della sua tutela; infine impose le larghe intese, in barba alle promesse elettorali di Pd e Pdl, e nominò premier Letta Nipote che, come rivela Renzi nel suo libro, era stato scelto da B. prim’ancora che dal Pd.

L’idea di consultare gli elettori gabbati per sapere che ne pensavano (come si appresta a fare l’Spd con un referendum fra i suoi elettori prima di andare a parlare con la Merkel), non sfiorò nessuno. Tanto i giornaloni di destra, centro e sinistra suonavano i violini e le trombette sulla “pacificazione” dopo “vent’anni di guerra civile”. E B., semplicemente, ci credette: convinto che Napolitano e Pd l’avrebbero salvato un’altra volta. Il Fatto titolò: “Napolitano nomina il nipote di Gianni Letta”. Apriti cielo. A Linea notte Pigi Battista tuonò contro quel titolo “totalmente insensato, eccentrico, bizzarro, non certo coraggioso” perché “non riconoscere che Enrico Letta sia una figura di spicco del Pd e scrivere che la sua unica caratteristica è essere nipote di Gianni Letta è una scemenza. Non vorrei che passasse l’idea che ci siano giornali, come il Corriere su cui scrivo, accomodanti e trombettieri, e altri che dicono la verità, sono coraggiosi, stanno all’opposizione”. Ieri il coraggioso Corriere su cui scrive Battista pubblicava le foto di Enrico e Gianni Letta imbalsamati che sfrecciano sulle rispettive auto blu dopo l’incontro al vertice di venerdì, quando “a Palazzo Chigi arriva anche lo zio di Enrico, Gianni Letta. Incontri non risolutori, che preparano il colloquio delle 18 al Quirinale”. C’era da attendersi un puntuto commento del coraggioso Battista per sottolineare quanto fosse insensata, eccentrica, bizzarra questa simpatica riunione di famiglia fra il premier e lo zio, sprovvisto di qualunque carica pubblica, o elettiva, o partitico, che ne giustificasse la presenza a Palazzo Chigi.

L’indomani Napolitano lacrimava alla Bocconi perché B. ha “smarrito il rispetto istituzionale”. Perché, quando mai in vent’anni l’ha avuto? Per smarrire qualcosa, bisognerebbe prima possederla. Intanto il ministro Franceschini , in Consiglio dei ministri, si accapigliava con Alfano: “Voi volete solo salvare Berlusconi!”. Ma va? E quando l’ha scoperto? Infine ieri, mentre tutti parlavano di fine del governo e di “punto di non ritorno”, Napolitano dimostrava che il punto di non ritorno non esiste, la trattativa Stato-Mediaset è più che mai aperta.

Infatti chiedeva, eccezionalmente a ciglio asciutto, “l’indulto e l’amnistia”. Ma sì, abbondiamo. Così sparirebbero per incanto i processi Ruby-1 e Ruby-2, De Gregorio, Tarantini, Lavitola, la sentenza Mediaset e tutti i reati commessi da B. ma non ancora scoperti. I detenuti perbene dovrebbero dissociarsi e rifiutare di diventare gli scudi umani per B.& N., a protezione del sistema più marcio della storia. Essi sì avrebbero diritto a versare qualche lacrimuccia. Invece in Italia lacrimano solo i coccodrilli: chi è causa del nostro mal, piange al posto nostro.


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L'albero dei valori.



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Saldi all’Italiana. - Loretta Napoleoni

Saccomanni è un uomo ottimista, meno male perché c’è ben poco da stare allegri. Secondo il Fondo Monetario lo stato della nostra economia è preoccupante. Quest’anno il Pil dovrebbe diminuire dell’1,7 per cento, a detta del Tesoro, ma il Fmi non esclude una contrazione del 2 per cento. Siamo al quarto anno di recessione dal 2008, con alle spalle un calo del 2,4 per cento nel 2012. I conti pubblici, poi, non sono affatto a posto. Il deficit tendenziale per il 2013 è del 3,1 per cento, ragione per cui serviranno 1,5-20 miliardi per non sforare il limite massimo consentito dall’Europa pari al 3 per cento. Il problema è dove li troviamo tutti questi soldi?
C’è chi sostiene che si potrebbero vendere i beni pubblici ancora in nostro possesso: se escludiamo beni come l’acqua che un referendum ha sancito di propietà esclusivamente pubblica, ci sono rimasti solo caserme e monumenti. Quasi tutti i gioielli di famiglia industriali se ne sono andati nel 1992, per far fronte alla crisi della lira. Naturalmente quella svendita, gestita dall’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi,  non portò, come era stato promesso, al miglioramento dei conti pubblici. Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108 miliardi di lire, il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 fu di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5 per cento.
Piuttosto i saldi all’italiana produssero lo smembramento dell’industria pubblica a vantaggio di élite straniere ed italiane, oggi finalmente abbiamo capito che ha contribuito al processo di deindustrializzazione del paese che tanto preoccupala Commissione Europea. Ed è bene rinfrescarci la memoria su come furono gestiti quei saldi per evitare di doverne pagare il conto ancora una volta noi.
Dal 1992 al 2002 il Tesoro gestì direttamente operazioni di privatizzazione per un controvalore di circa 66,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno però aggiunte le privatizzazioni gestite dall’Iri (sempre sotto il coordinamento del Tesoro), per un controvalore di circa 56,4 miliardi di euro, le dismissioni realizzate dall’Eni (5,4 miliardi di euro) e la liquidazione dell’Efim (440 milioni di euro). Si tratta di cifre molto consistenti, da cui è facile intuire il valore e l’importanza dei beni venduti, o per meglio dire “svenduti”.
Per capire quanto valgono questi stessi beni che non ci appartengono più possiamo comparare gli incassi delle privatizzazioni con i valori delle rivendite degli stessi da parte dei privati o i valori attuali.
Il gruppo Benetton si aggiudicava per 470 miliardi GS Autogrill che poi ha rivenduto ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto.
Nel 1992 la cessione del 58 per cento del Credito italiano produsse ricavi lordi per 930 milioni di euro, nel 2002 Unicredito italiano capitalizzava 26.593 milioni di euro.
Tra il 1994 e il 1996 la cessione del 36,5 per cento dell’Imi rese 1.125 milioni di euro, le successive 3 tranche, pari al 19 e al 6,9 per cento, rispettivamente 619 e 258 milioni di euro, nel 2002 Imi-Sanpaolo capitalizzava 16.941 milioni di euro.
Un caso a parte è poi rappresentato dal Banco di Napoli: quel 60 per cento che lo Stato ha venduto alla BNL per 32 milioni di euro (una volta ripulito delle perdite e dei crediti inesigibili con 6.200 milioni di euro di denaro pubblico), viene rivenduto dalla BNL, a distanza di pochi anni, per 1.000 milioni di euro. È anche vero chela BNL lo ha risanato completamente, ma la differenza tra i due valori è enorme. In ogni caso perché questo risanamento non poteva avvenire per mano dello Stato? Perché è gestito da incompetenti e da pirati.
Alle cifre di vendita da parte del tesoro vanno aggiunte le commissioni per i collocatori di borsa, banche che compongono il sindacato di collocamento e altri consulenti, così come le spese di registrazione e listing sui mercati azionari, spese per adempimenti CONSOB, SEC eccetera. Questi costi nel corso degli anni sono diminuiti, ma si aggirano comunque tra il 2 e il 3 per cento dell’ammontare totale del ricavato. Una fetta consistente di questo denaro, circa l’1 per cento, l’hanno poi incassata le maggiori investment banks anglosassoni, come J.P. Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, First Boston, Merrill Lynch e così via, per la loro attività di consulenza. Il tutto senza ovviamente rischiare in proprio neanche un dollaro, e senza dover neppure sostenere una gara pubblica per l’affidamento dell’incarico.
La seconda fase del processo di privatizzazione riguarda invece le banche di diritto pubblico, e include la privatizzazione de facto della Banca d’Italia i cui azionisti fino ad allora erano banche italiane di diritto pubblico. Dal 1992 la proprietà passa nelle mani di privati spesso addirittura esteri, che hanno rilevato quote sostanziose delle banche italiane come BNP Paribas, Crédit agricole, Banco Bilbao, Allianz eccetera, il tutto in palese violazione dell’articolo 3 del vecchio statuto, sostituito soltanto nel 2006. Le conseguenze più importanti di questa decisione riguardano la creazione di moneta, che dalle mani dello Stato – cioè noi cittadini – passa a quelle di soggetti esteri, a questi ultimi viene virtualmente ceduta una fetta della nostra sovranità nazionale.
Completate le privatizzazioni comincia il gioco delle sedie: alcuni personaggi chiave lasciano il settore pubblico e vanno a lavorare per le grandi banche straniere che hanno guidato la vendita del patrimonio nazionale sul mercato: Mario Draghi diventa vicepresidente della Goldman Sachs e Vittorio Grilli, ai tempi vicedirettore generale del Tesoro con delega alle privatizzazioni, viene assunto al Credit Suisse.
Qualcuno ha scritto che ciò che è successo in Italia assomiglia allo smembramento delle aziende di stato della vecchia Unione Sovietica, ed in parte il parallelo è giusto. Ma gli oligarchi russi se ne impossessarono, i manager ed i politici italiani le hanno smembrate per regalarle ai loro amici stranieri in cambio di posti di lavoro all’estero. 

La casa su ruote.


La casa è un luogo per trascorrere il tempo con le persone che amiamo, luogo per vivere, un riparo. Una casa è generalmente costruita su un appezzamento di terreno in una posizione particolare e non può muoversi, ma non sempre è così! Immaginate di poter diventare cittadini del mondo e abitare un po’ ovunque, non solo per le vacanze, non un semplice camper, ma una vera e propria casa… Sarebbe fantastico. Libertà assoluta, una vita avventurosa sicuramente.
L’azienda UNICAT ha sviluppato questa casa su ruote chiamata TerraCross. La UNICAT ha una sola ambizione: il veicolo deve garantire sicurezza e comfort soprattutto, durante i viaggi giornalieri.
Ecco perché ogni veicolo è dotato di standard di qualità che rendono sicuri i viaggi, a discapito forse dei costi! I veicoli UNICAT hanno il loro bel prezzo, naturalmente, ma dicono che ne vale la pena vista la longevità dei mezzi.
Ma vediamo com’è questa casa su ruote…
Dimensioni esterne della cabina
Lunghezza 4.600 millimetri, larghezza 2.360 millimetri, altezza 2105 millimetri
Dimensioni interne della cabina
Lunghezza 4.480 millimetri, larghezza 2.240 millimetri, altezza 1950 millimetri
Layout interno
Zona soggiorno per 2-4 persone con tavolo abbassabile sul piedistallo nella parte anteriore della cabina
Panca trasformabile in letto

Letto matrimoniale con sospensioni, ventilazione e comodo materasso nella parte posteriore
Dimensioni: 1500 x 2000 mm

Il guardaroba è nella zona salotto sotto il letto, un ampio vano portaoggetti si trova sotto il piedistallo del letto.
La doccia combinata e i servizi igienici sono in una camera con porta che la isolano dalla zona giorno

Per la cucina c’è il piano di lavoro con lavello integrato in acciaio inox
Stufa in GPL a 3 fuochi
Frigorifero con congelatore valutato 3 stelle da 85 litri
Mobile cucina con cassetti su cuscinetti a sfera

Tutti i mobili sono costruiti secondo i più alti standard di ebanisteria e realizzati in paniforte utilizzando serrature pesanti e cerniere. Le finiture possono essere scelte dal cliente.

Tutto dal disegno e colore del pavimento, alle pareti fino al soffitto possono essere scelti dal cliente e anche possono essere dipinti con strati multipli e con tappezzeria in tessuto!
Cosa ne pensate? un’alternativa alla vita monotona di tutti i giorni? Una sfida? O uno stile di vita impossibile? Fateci sapere cosa ne pensate!

venerdì 27 settembre 2013

Il Mago Attel fa il Gatto e la Volpe allo stesso tempo. E a New York fa un tonfo colossale. - Sergio Di Cori Modigliani



Siamo il paese dei balocchi, è cosa nota. Dopotutto, ha anche una sua ragione.
In fondo, Pinocchio lo abbiamo inventato noi e quella immortale favola rimane pur sempre un caposaldo universale del genio italiano.
Ma Collodi, per l'appunto, voleva regalarci una bella favola e niente di più, sperando che gli italiani capissero quale profondo lascito ci lasciava in eredità, nel comunicare ai posteri l'urgenza esistenziale, valida per tutti i cittadini del mondo,  di doverci trasformare da semplici burattini in uomini in carne e ossa.
Il Mago Attel, invece, ha una sua visione surreale e tutta personale di Pinocchio: ha cambiato il finale.
A questo serve l'abile pratica dell'illusionismo.
Dopo essere uscito dalla pancia della balena (non a caso era il nome, illo tempore, della Democrazia Cristiana) e aver finalmente raggiunto da naufrago la spiaggia, invece di trasformarsi in bambino, decide di rimanere burattino per sempre. Questa è l'eredità che intende lasciare a noi.
Povero Collodi! Quale terribile insulto alla sua memoria.
Basterebbe il commento di un noto analista di borsa americano, ieri in un furibondo talk show televisivo dedicato alla finanza europea, per comprendere la catastrofe annunciata del suo viaggio in Usa: "qui siamo a Wall Street e non a Las Vegas, forse in Italia non lo hanno ancora capito".
Il Mago Attel, comunque, si sta comportando come aveva fatto a suo tempo Mario Monti, non a caso viene da quella scuola: avvalersi del silenzio stampa garantito dalla cupola mediatica e comparire dopodomani alla tivvù italiana, finalmente a casa, spiegandoci quale incredibile successo il "sistema Italia" ha riscosso all'estero presso i cosiddetti finanziatori internazionali. Come aveva fatto il ragionier vanesio nell'aprile del 2012, dopo il colossale fallimento della sua visita a New York, qui in Italia, invece, presentata come un trionfo.
E' un po' come andare a Londra, parlando di calcio, e sostenere che il Sassuolo è primo in classifica.
Così si costruiscono teatri non corrispondenti alla realtà e si spingono le persone in una perenne nebbia di confusione e disinformazione, pensando di poter far loro credere che le parole e gli slogan possano sostituirsi ai fatti concreti.
Fine della premessa.

Veniamo ai fatti.
La patata bollente è rappresentata da questo signore la cui immagine vedete riprodotta in bacheca. Una persona famosissima, per chi conosce la politica europea negli ultimi quindici anni, una assoluta eccellenza nel suo campo. E' l'incubo di PD PDL e Lista Monti. Se lo sognano la notte nei loro spaventosi incubi. L'attività di quest'uomo sta producendo una ventata di anti-europeismo in Italia, ben alimentata dalla cupola mediatica, dai partiti, anche e soprattutto sul web dove migliaia di siti e bloggers analfabeti stanno montando -grazie alla demagogia, alla facile retorica, e all'uso di argomentazioni false prive di sostanza- l'attacco contro quest'uomo, che la classe politica dirigente italiana vuole eliminare dalla scena europea il più velocemente possibile.
Chi è questo signore? Che cosa fa? Perchè rappresenta, attualmente, il pericolo più forte e reale per l'attuale classe dirigente italiana?
Si chiama Joaquìn Almunia.
E' di nazionalità spagnola. Nato a  Bilbao a metà degli anni'40. Sposato con due figlie. Cattolico praticante. Del segno dei Gemelli con ascendente Pesci. Grande tifoso dell'Atletico Bilbao. Laureato in Economia e poi dottorato di ricerca in Tecnica Bancaria della Finanza all'Ecole des Hautes Etudes a Parigi. Grazie alle sue pubblicazioni ottiene una cattedra a Harvard in Scienza delle Finanze, ma dopo tre anni lascia per ritornare nella sua terra e dedicarsi all'attività politica a tempo pieno. Da sempre socialista, fin da giovane si fa notare nel sindacato ed emerge come figura carismatica al punto da diventare segretario della UGT e poi in seguito deputato al parlamento nel PSOE, il Partito Spagnolo Socialista Operaio. Nel 2000 si candida alle primarie e perde. Ma dieci giorni dopo presenta un esposto alla magistratura e al comitato direttivo del suo partito contro il candidato vincente, sostenendo che si tratta di una personalità corrotta, un uomo finanziato dai colossi della speculazione internazionale anglo-americana. In Spagna esplode il caso. Vince lui. Tutti gli esponenti socialisti da lui accusati finiscono in galera, insieme a tre cardinali. Si va alle elezioni e lui perde, perchè il PSOE, allora, era come il PD oggi, travolto da una lotta all'ultimo sangue tra correnti diverse e contrapposte, e la corrente più clientelare (lo ammetteranno dieci anni dopo pubblicamente) si dà al sabotaggio per impedirne l'elezione. Ma Joaquìn Almunia è un politico di classe. Non si scompone e prosegue nella sua battaglia che ruota intorno a due principii cardini della sua attività: chiarezza e trasparenza. Nel 2004, finalmente il PSOE trova una personalità di sintesi in Zapatero, che lui sostiene per disciplina di partito. Subito in parlamento inizia una zuffa tra lui e il keader socialista. Almunia lo accusa di essere un populista pericoloso che porterà la Spagna alla rovina perchè il suo piano di investimenti immobiliari è, in realtà, una truffa. Joaquìin Almunia si rifiuta di avallare il piano del governo. Viene presa una decisione salomonica. Pedro Solbes (un altro economista socialista di lungo corso) accetta di diventare Ministro dell'Economia e si dimette dal suo incarico di membro della commissione bilancio della UE.
Al suo posto ci va il nostro eroe.
Lo tengono in disparte, ma data la sua imbattibile competenza tecnica e una profonda conoscenza dei meandri inestricabili dei nodi tra politica, banche, finanza, vaticano, nella zona del Mediterraneo si conquista i gradi sul campo e finisce per diventare il vice di Barroso. Finchè, nel 2010, viene nominato per 4 anni, fino al maggio del 2014, presidente della commissione europea banche & finanza. E lì, comincia la sua lotta politica. Stende una propria rete di alleati con successo finchè non riesce a far approvare il testo unico che lancia (dal 1 maggio del 2014) la Unione Bancaria che comporta il controllo incrociato di tutte le attività bancarie nei 28 paesi dell'Unione e l'applicazione di una rigida normativa di verifica, soprattutto nei due settori cari ad Almunia: speculazione sui derivati e crediti agevolati per malleveria politica. Nel maggio del 2013 viene in missione ufficiale in Italia (poco più di zero news sull'evento) e si incontra con Ignazio Visco, il nostro governatore della Banca d'Italia. Gli consegna l'esaustivo rapporto della sua commissione sulle banche italiane relativo a Banca Popolare di Spoleto, Banca dell'Etruria, Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Banca delle Marche, Banca Carige, Credito Valtellinese, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, e uno studio ponderato di ben 150 pagine sulle attività di Monte dei Paschi di Siena. Visco si mette, va da sè, subito a disposizione, e dichiara che farà tutto il possibile. Si intende, all'italiana. Ma Almunia ha un jolly dentro la manica, un foglietto di venti righe, ottenuto grazie alle pressioni dei francesi, olandesi, belgi, finlandesi, austriaci, nel frattempo conquistati alla sua visione. E' la delega ufficiale da parte della BCE firmata da Mario Draghi che consente alla commissione -cioè ad Almunia- il diritto di prelazione sulle decisioni prese dal governo italiano rispetto alle proprie banche. Tradotto: se il governo italiano non risolve per bene il collasso delle proprie banche corrotte inzuppate di mafiosi, l'Unione Europea si riserva il diritto di avviare una propria ispezione e imporre da Francoforte e Bruxelles il controllo della  trasparenza "dell'intero sistema creditizio bancario italiano". Poi se ne va. Visco comunica al Mago Attel, a Monti e Alfano l'esito della visita. E lì iniziano le liti e le zuffe inter-governative tutte finte: l'Imu, l'Iva, l'omofobia, gli F35. Robbetta demagogica.
La realtà è che è arrivato l'oste a presentare il conto. E l'Europa pretende che a pagarlo, questa volta, siano il PD, il PDL e simili, dato che loro esponenti risultano essere i principali beneficiari a tutti gli effetti di circa 250.000 crediti agevolati senza adeguate garanzie, lo zoccolo duro dell'esercito di criminali malfattori, sul nome e cognome dei quali è meglio stendere un velo pietoso, diciamo quasi l'intera classe dirigente politica e imprenditoriale italiana. Ce n'è per tutti i gusti, dall'estrema destra all'estrema sinistra. E così, a metà luglio, Visco lancia una "ispezione eccezionale" della Banca d'Italia. Solo che, questa volta, ci vanno anche contabili esperti di fiducia di Almunia. E inizia (toh guarda caso!) una nuova fibrillazione nel governo. Ecco come la Repubblica dava la notizia alla fine dello scorso Luglio:


Bankitalia: ispezioni su 20 banche; per 8 su tutti crediti


Bankitalia sta svolgendo ispezioni su 20 banche e per 8 gruppi ha esteso le verifiche all'intero portafoglio dei crediti, non solo ai prestiti deteriorati. E' quanto si evince dalla recente analisi dei prestiti deteriorati condotta dalla Banca d'Italia .
29 LUGLIO 2013
Tutto qui. Neppure una parola in più.

In rete, invece, si trova un unico pezzo pubblicato da TMNews nel quale si cita però il Wall Street Journal dando una idea tragica del paese, che spiega il motivo per cui in classifica siamo l'ultimo paese dell'Unione Europea come libertà e diffusione dell'informazione. Nel pezzo, infatti, si racconta che il Wall Street Journal è stato in grado di "avere accesso a documenti riservati della Banca d'Italia". Come a dire: in Italia non siamo capaci, noi giornalisti, di avere quel tipo di documenti. 
(O non possono averli? O ce li hanno ma non li possono pubblicare? O scelgono di non pubblicarli?) Ecco il testo (che nessuno comunque ha neppure divulgato) rilanciato sulla piattaforma tiscali.

New York, 29 lug. (TMNews) - La Banca d'Italia sta esaminando i bilanci dei principali gruppi bancari della Penisola. Lo sostiene il Wall Street Journal, che ha avuto accesso a documenti riservati e secondo cui il frutto di tale operazione potrebbe portare alcuni gruppi a vendere asset. L'analisi in corso sarebbe il proseguimento di quella eseguita in autunno e che ha portato Bankitalia a ordinare alle banche di mettere da parte 3,4 miliardi di dollari circa per proteggersi da eventuali perdite e prestiti in sofferenza. Secondo il documento ottenuto dal quotidiano americano, via Nazionale sta prestando particolare attenzione proprio ai prestiti in sofferenza, in rialzo - ricorda il WSJ - da 27 mesi consecutivi. A fine marzo hanno raggiunto quota 249 milioni di euro, il 14,2% del totale dei prestiti concessi. A fine 2010, il dato era a 157 milioni di euro, l'8,9% del totale.
L'ispezione ha comportato il commissariamento immediato della Banca delle Marche (primi di agosto), l'arresto di diversi dirigenti di Mps (metà agosto ma l'Italia era presa dalla sentenza Berlusconi) una denuncia contro la Banca Carige, la più antica banca del paese, il vecchio Monte di Pietà genovese fondato a metà del '400, perchè è venuto fuori che c'era un buco di 800 milioni di euro in bilancio non conteggiato, e gli altri istituti in linea. Tra l'altro, l'ispezione rileva che da marzo del 2013 si sono addirittura scatenati: sono diminuiti i mutui alle aziende ma sono aumentati i crediti agevolati senza garanzie: una vera pacchia.
E così si arriva alla visita del Mago Attel a New York per incontrare la finanza che conta.
Lui si muove sempre sapendo (e sperando) che a parargli il culo ci sia il Bilderberg, l'Aspen Institute,la Trilateral, quello che in Usa viene definito dalla stampa Washington consensus, sempre pronti a sostenere i governi. In cambio, si intende, di un loro profitto certo e garantito da qualche parte.
Per qualche motivo che ignoro, invece, non lo ha sorretto nessuno e si è trovato davanti uno sbarramento.
Altro che trionfo.
Una clamorosa debacle.
Ieri, per tutto il pomeriggio, a New York, sulla stampa, alla televisione, per radio, sui siti, nel web, il tema principale era la finanza e l'Europa e l'Asia, con l'Italia al centro dell'attenzione. 
Diversi investitori e finanzieri hanno pubblicamente dichiarato che non verranno più a investire in Italia proprio perchè da noi non esiste la pratica della concorrenza e chiunque -se sorretto da adeguata telefonata politica- è in grado di avere crediti anche se non produce un bel nulla, quindi il rischio è "mostruosamente alto". Tanto vale andare a giocare a Las Vegas alla roulette, le possibilità sono più alte.
E così, il Wall Street Journal, sulla prima pagina pubblica un bel pezzo -proprio mentre Letta parlava- in cui spiega che il Monte dei Paschi di Siena ha rimandato l'incontro con Almunia e non ha presentato il proprio piano di ristrutturazione (che prevede la inevitabile nazionalizzazione della banca). Letta e i suoi consulenti e i dirigenti della banca (Profumo & co.) senza batter ciglio dichiarano che il ritardo è dovuto al fatto che "il signor Almunia ha rimandato la scadenza decidendo di posporre l'incontro a data da destinarsi". Il problema è che lì non siamo a Roma con la truppa mediatica italiota al seguito. I giornalisti del Wall Street Journal hanno impiegato 4 minuti 4 per verificare se fosse vero. E dieci minuti dopo è arrivata la secca smentita di Almunia, il quale, furibondo, ha fatto sapere che era esattamente il contrario: gli avevano dato buca.
Che figura!
Che vergogna!

Conoscendo i propri polli, il Presidente della Commissione Finanza della Ue, Joaquìn Almunia ha emesso un comunicato stampa che recita così: 

"Sebbene e nonostante i progressi che si erano verificati negli ultimi mesi, siamo tuttora in contatto con le autorità italiane in attesa di una risposta per comprendere le modalità e le forme di ristrutturazione del Monte dei Paschi di Siena, così come d'accordo in seguito all'incontro privato tra il signor Fabrizio Saccomanni, Ministro dell'Economia della Repubblica Italiana e il signor Joaquìn Almunia, incontro e accordo avvenuto in data 7 settembre 2013 a Roma". 

Questo è il secco testo della e-mail inviata dalla presidenza della commissione alla stampa di tutto il mondo. In Italia non è stata considerata notizia.
Lasciatemelo dire nell'unica forma possibile: che figura da peracottari di bassa lega!
Siamo governati da persone che pensano di poterla passare liscia sostenendo il falso, in una materia così delicata come questa, senza rendersi conto che si verrà sbugiardati "ufficialmente" cinque minuti dopo. Per chi è interessato, ecco il link dell'articolo apparso sul Wall Street Journal


E' scritto dal loro corrispondente da Milano. Come il giornale consiglia a chiunque voglia sapere e capire che cosa sta accadendo in quel d'Italia nella finanza e nelle banche:

Write to Giovanni Legorano at giovanni.legorano@wsj.com

Meno male che c'è l'Europa.
Per fortuna il mondo non è in bianco e nero.
Meno male che c'è chi si batte e combatte per affermare l'Europa dei Diritti, l'Europa delle regole, l'Europa della cittadinanza. 
L'anti-europeismo è il cavallo di battaglia della criminalità organizzata e di chi la sorregge perchè temono i controlli della Legge, ispezioni continue, verifiche, multe, penali, certificazione di reati.
L'Europa che vogliamo la si ottiene combattendo per l'applicazione delle regole e dei patti. E quando si è forti della propria pulizia, fedeltà e diligenza, allora ci si può permettere anche il lusso di poter andare a Strasburgo, a Francoforte, a Bruxelles, e battere i pugni sul tavolo per cambiare quelle leggi a nostro favore.
Una classe politica dirigente negligente, pigra, corrotta, dedita al malaffare congenito, non ha il diritto di pretendere nulla, non ha il diritto di fare nessuna richiesta: si è sempre ricattabili.

L'Europa che ci può salvare e salvaguardare, l'Europa dei popoli, è nata in Francia, ed è frutto del pensiero di Montesquieu, quando, nel suo libro "L'esprit de loi" trecento anni fa, scriveva: "Noi combatteremo sempre le vostre leggi inique a difesa dei privilegi, leggi che non contemplano la difesa dei diritti inalienabili della cittadinanza, noi seguiteremo a combattere le vostre leggi inique fino all'ultima goccia del nostro sangue, ma fintantochè non le avremmo modificate noi seguiteremo a rispettarle, perchè nella difesa e nella salvaguardia della Legge comune a tutti poggia lo Stato di Diritto della grande civiltà d'Europa".