martedì 17 giugno 2014

Matteo, stai con Berlusconi o stai con Grillo? - Luisella Costamagna


L’avevo scritto qualche giorno fa, in una lettera al Movimento 5 Stelle pubblicata sul Fatto: “Per una vera svolta, per cambiare davvero le istituzioni, o prendete la maggioranza assoluta (il che è difficile), o scendete a patti come fece la Lega (che, trasformandosi da partito di protesta in partito di governo, arrivò al 12%). Essere dentro davvero, continuando a denunciare le nefandezze. Sporcarsi le mani, sapendo però che – a differenza di altri – ce le si può sempre lavare. Non vedo alternative”.
I 5 Stelle hanno deciso di “sporcarsi le mani”: hanno risposto al Renzi che qualche giorno fa chiedeva loro provocatoriamente “Accetteranno di discutere le riforme o continueranno a urlare e insultare?”, offrendo il dialogo sulla legge elettorale approvata dagli iscritti. Una legge elettorale proporzionale ben diversa dall’Italicum, che offre una maggioranza bulgara a chi supera il 37%, uccide i partiti non coalizzati (come il M5S) e non contempla le preferenze.
Una brutta legge l’Italicum, costruita con Berlusconi per far fuori il M5S, grazie all’alibi che i grillini avevano detto no al dialogo.
Ma ora cambia tutto: Grillo e Casaleggio, come a poker, dopo aver detto a lungo “passo”, hanno deciso di “andare a vedere”. Hanno detto “Eccoci, discutiamone insieme”. E così Renzi, alla vigilia dell’incontro di martedì con Berlusconi, si trova una bella gatta da pelare. Cosa farà adesso? Si siederà intorno a un tavolo con loro? Ora che non può più dire di essere stato costretto trattare con Berlusconi perché i 5 Stelle hanno detto no, ha di fronte a sé la scelta più difficile, con cui finalmente capiremo chi è davvero e cosa vuole.

Presidente Renzi, perché non vuole fare sul serio contro il partito dell’impunità? - Paolo Flores d'Arcais



Il voto europeo in Italia ha un solo vincitore, anzi un solo nome: Matteo Renzi. […] 

Proprio perché “Matteo” ha sbancato, dato scacco matto, fatto en plein, inflitto il cappotto, o quale altra metafora si preferisca (astenersi “asfaltato”, per favore: stilisticamente disgustoso), il grande problema per lui comincia ora. Chi ha tutto il potere non ha più nessun alibi. Quello che non fa, va tutto a carico suo. 

Ora, il problema economico dell’Italia si chiama evasione fiscale, corruzione, mafia, il resto è epifenomeno. 


Una massa monetaria enorme, equivalente a una decina di “manovre fiscali” tipo “lacrime e sangue”, viene rapinata ogni anno da quei tre fenomeni. 

Grassazione gigantesca e permanente, che basterebbe aggredire significativamente (la metà, perfino un terzo della ricchezza comune saccheggiata), per disporre di risorse tali da soddisfare contemporaneamente aneliti alla sicurezza e pulsioni allo sviluppo, meno diseguaglianza e più crescita: salario di cittadinanza, incentivi a piccole e medie imprese, investimenti massicci in cultura istruzione e ricerca, boom di autostrade telematiche e di energie rinnovabili … e via riformando
Grassazione che, oltretutto, seleziona gli imprenditori seconda la capacità di “essere ammanicati” anziché secondo le tradizionali doti weberiane o schumpeteriane – propensione al rischio, innovazione, per non parlare della razionalità ascetica – distorcendo e ammorbando il mercato in direzione Mackie Messer. 

La chiave di volta della ripresa economica, per uscire dalla crisi economica, perciò, in Italia si chiama giustizialismo: una rivoluzione della legalità, intransigente nel colpire invischiati con mafie (o comunque corrivi), corrotti, evasori: cominciando dai piani alti, dai ricchi e potenti, politici finanzieri e imprenditori, dall’establishment insomma (altrimenti non è intransigenza, e rende il tartassato da Equitalia una vittima o un eroe). [En passant: giustizialismo e garantismo sono la stessa cosa, se i termini non vengono manipolati: la legge eguale per tutti, per l’ultimo dei “villani” e il primo di “lorsignori”. Poiché “giustizialismo” è stato usato da berlusconiani e inciucisti come anatema contro coloro che, semplicemente, “hanno fame e sete della giustizia” (beati, secondo Gesù, Matteo 5,6), assumiamolo con orgoglio, quel termine, facciamone una bandiera]. 

La stessa “rottamazione” delle forme più ottuse ma onnipervasive di burocratismo, e del familismo amorale che strangola in culla ogni meritocrazia, non verrà neppure avviata, senza una stagione di giustizialismo, che garantisca manette ai grandi evasori (in primis per conti cifrati all’estero), abrogazione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio, introduzione del reato di intralcio alla giustizia, autoriciclaggio, ecc., oltre alle restaurazione e/o ampliamento e/o inasprimento per falso in bilancio, voto di scambio, aggiotaggio e tutta la panoplia dei crimini da colletti bianchi. 

Esattamente quanto Renzi NON intende fare. […] 

Renzi si racconta favole, se pensa di poter ammodernare il paese senza aggredire con roncola e anzi machete il viluppo affaristico/politico/criminale, senza bonificare la melmosa morta gora in cui sono avvilite le capacità imprenditoriali e santificate le rapacità criminali, tra “autorities” complici sempre e comunque, e una “informazione” simile alle tre scimmiette. La vigente “costituzione materiale” italiana, avvolgente muro di gomma che vede irresponsabilità burocratica, illegalità e favoritismo, saturare, in amorosi sensi, ogni poro della vita istituzionale e sociale. 

Renzi sembra intenzionato a fare qualche pulizia: dei piccoli privilegi, però, non dei grandi. Che si chiamano impunità, in tutte le sua articolazioni e proteiformi varianti. Giovanni Berneschi, boss finanziario di Banca Carige e “inamovibile vicepresidente dell’Abi”, proprio di questo si vantava in ogni telefonata (per fortuna intercettata) con i suoi pari della Specie (di cui la Casta è solo una sezione). Non si vantava, anzi: descriveva una situazione ambientale. Pensare che la stragrande maggioranza dei banchieri non si collochi – quanto a pratica della corruzione – nel corpaccione centrale della curva statistica di Gauss, non sarebbe neppure ingenuità ma volontà complice di non sapere. 

Agli albori della irresistibile ascesa di Matteo Renzi, scrivevamo (prendendolo molto molto sul serio, vista l’analogia): “Il liberale Gobetti sapeva che in Italia un capitalismo moderno, e una borghesia non di rapina, poteva affermarsi solo in alleanza con forze in rivolta morale e materiale contro l’esistente stato di cose. E il liberale Renzi, che anzi si picca di essere più progressista di un liberale tout court? La struttura di classe della società italiana è del tutto incomparabile con quella di quasi un secolo fa, va da sé, ma il problema delle alleanze, sociali e di opinione, si pone in modo fortemente analogo”. Il terreno ineludibile di questa alleanza si chiama giustizialismo, ma Renzi NON vuole scendere in questo campo, dove si gioca la partita decisiva. 

Post scriptum 

L’articolo che apre il prossimo numero di MicroMega (in edicola a metà giugno) è stato chiuso il 29 maggio. Prima del clamoroso “caso Mose”, e conseguente ultima retata di establishment. 

Tutte le donne e gli uomini del Presidente, e infine anche Renzi in prima persona, appena avuta notizia dei 35 arresti, hanno dichiarato la volontà di “tolleranza zero” verso la corruzione, e proclamano anzi che le misure che già stanno realizzando valgono come esempio e vanno in tale direzione. 

Purtroppo non è vero. La legge delega 67, del 28 aprile, già approvata alla Camera, elimina la carcerazione preventiva per reati con pene fino a cinque anni: se fosse stata approvata anche dal Senato, quelli del “Mose” sarebbero tutti a spasso a fare dichiarazioni contro la persecuzione giudiziaria! Approvarla ora sarebbe delinquenziale. Ma non risulta che lei, Presidente Renzi, abbia dichiarato che la 67/28 aprile muore qui. 

Lei, presidente Renzi, ha detto che la corruzione politica andrebbe punita come l’alto tradimento. Se davvero vuole mandare all’ergastolo i politici corrotti (l’ergastolo è infatti previsto per l’alto tradimento), non saremo certo noi “giustizialisti” a opporci. Tuttavia basterebbe assai meno. Con i fatti, però, non con le dichiarazioni per i Tg. 

Se lei vuole effettivamente combattere la corruzione ci sono misure stranote (e a costo zero) di sicura efficacia (proprio per questo l’establishment corrotto le ha sempre bloccate). Mi permetto di farle un succinto elenco (non esaustivo), noto anche ai sassi: 

(1) abrogazione della prescrizione non appena intervenga il rinvio a giudizio; 

(2) gare d’asta “chiuse”, senza possibilità di rivedere i costi in corso d’opera; 
(3) ritorno alla concussione prima dello “spacchettamento” (che ha diminuito le pene per i politici); 
(4) possibilità di intercettazione per tutti i reati corruttivi e “manageriali” (oggi solo se il massimo è superiore ai 5 anni); ritorno al falso in bilancio nella forma più severa degli scorsi decenni; 
(5) idem per la falsa testimonianza (un tempo era previsto l’arresto immediato in flagranza); (6) introduzione del reato di intralcio alla giustizia, con ampiezza di fattispecie e pene deterrenti di stile anglosassone; 
(7 … 12) mi fermo qui, ma altre misure analoghe sono perfettamente note, mentre solo l’autoriciclaggio sembra previsto da una prossima legge, e intanto la legge pseudo-antimafia ha poche settimane fa reso indagini e contrasto più ardui anziché più facili. 

Insomma, rinunci pure all’alto tradimento e relativo ergastolo, se si limitasse a una dozzina di provvedimenti veri come quelli che abbiamo richiamato l’Italia cambierebbe radicalmente verso. Mi permetto di dubitare che avrà il coraggio di adottare questa dozzina di misure. Se avessi torto ne sarei felice, e come me milioni di italiani onesti, e le chiederemmo scusa coram populo per aver dubitato della sua coerenza tra dire e fare.


(stralcio del lungo editoriale di Paolo Flores d’Arcais che aprirà il numero 4/2014 di MicroMega in uscita il 17 giugno.)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/presidente-renzi-perche-non-vuole-fare-sul-serio-contro-il-partito-dell%E2%80%99impunita/

lunedì 16 giugno 2014

Nell'Italia degli scandali, vitalizi ai politici condannati.




http://tg24.sky.it/tg24/politica/photogallery/2014/06/10/vitalizi_politici_.html

Marcello Dell’Utri è rientrato in Italia dal Libano. - La vera biografia di Silvio Berlusconi. - Cos’è il patto del Nazareno.


Marcello Dell’Utri in tribunale a Palermo, il 25 marzo 2013. (MIchele Naccari, Epa/Corbis)
È atterrato poco prima delle 7 del 13 giugno all’aeroporto di Fiumicino il volo dell’Alitalia proveniente da Beirut con a bordo Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia estradato dal Libano.
Dell’Utri che il 9 maggio scorso è stato condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato accompagnato dagli agenti dell’Interpol, e arrivato in Italia è stato affidato alla polizia in un’area riservata dell’aeroporto.
Dell’Utri sarà trasferito subito in carcere.
Arrestato il 12 aprile all’hotel Phoenicia di Beirut, Dell’Utri si trovava agli arresti nella capitale libanese dal 16 aprile. Il decreto d’estradizione è stato firmato dal presidente libanese Michel Suleiman il 23 maggio.
Il processo. A marzo del 2013 Dell’Utri è stato condannato in appello a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Nelle motivazioni della sentenza d’appello si legge che Dell’Utri sarebbe stato un vero e proprio mediatore tra Cosa Nostra e l’ex premier Silvio Berlusconi.
In primo grado, l’11 dicembre 2004, Marcello Dell’Utri è stato condannato a nove anni. Successivamente, il 29 giugno 2010, in appello la pena è stata ridotta a sette anni. Ma il 9 marzo del 2012, la corte di cassazione ha annullato con rinvio la condanna. Il 25 marzo del 2013, la corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna a sette anni, confermata anche dalla cassazione.



 La vera biografia di Silvio Berlusconi


1936 Nasce a Milano il 29 settembre, primo di tre figli (due maschi e una femmina) di Luigi Berlusconi, impiegato alla Banca Rasini, e Rosa Bossi, casalinga. 1954. Prende la maturità classica al liceo salesiano Copernico e s’iscrive all’Università Statale, facoltà di Giurisprudenza. A tempo perso, vende spazzole elettriche porta a porta, fa il fotografo ai matrimoni e ai funerali, suona il basso e canta nella band dell’amico d’infanzia Fedele Confalonieri (anche sulle navi da crociera). 1957. Primo impiego saltuario nella Immobiliare costruzioni. 1961. Si laurea in legge con 110 e lode, a Milano: tesi sugli aspetti giuridici del contratto pubblicitario, e vince una borsa di studio di 2 milioni messa in palio dalla concessionaria Manzoni. Evita, non si sa come, il servizio militare. E si dà all’edilizia, acquistando un terreno in via Alciati, grazie alla garanzia fornitagli dal banchiere Carlo Rasini, che gli procura anche un socio, il costruttore Pietro Canali. Nasce la Cantieri Riuniti Milanesi. 1963. Fonda la Edilnord Sas: soci accomandanti Carlo Rasini e il commercialista svizzero Carlo Rezzonico (per la misteriosa finanziaria luganese Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag).
Nel 1964 apre un cantiere a Brugherio per edificare una città-modello da 4 mila abitanti.
Nel 1965 è pronto il primo condominio, di cui però non riesce a vendere nemmeno un appartamento. Poi, non si sa come, riesce a venderlo al Fondo di previdenza dei dirigenti commerciali.
1965. Sposa Carla Elvira Dall’Oglio, genovese, che gli darà due figli: Maria Elvira (1966) e Piersilvio (1969).
1968. Nasce l’Edilnord 2, acquistando terreni a Segrate, dove sorgerà Milano 2.
1969. Brugherio è completa con 1000 appartamenti venduti.
1973. Fonda la Italcantieri Srl, grazie ad altre due misteriose fiduciarie ticinesi, la Cofigen (legata al finanziere Tito Tettamanti) e la Eti AG Holding (amministrata dal finanziere Ercole Doninelli).
Acquista ad Arcore, grazie ai buoni uffici dell’amico Cesare Previti, la villa Casati Stampa con tutti i terreni ad Arcore, a prezzo di superfavore. Previti infatti è pro-tutore dell’unica erede dei Casati Stampa, la contessina dodicenne Annamaria, e contemporaneamente amico di Silvio e in affari con lui.
1974. Grazie a due fiduciarie della Bnl, la Servizio Italia e la Saf, nasce l’Immobiliare San Martino, amministrata da un ex compagno di università, Marcello Dell’Utri, palermitano. In un condominio di Milano 2 nasce una tv via cavo, Telemilano 58, che passerà ben presto all’etere col nome di Canale 5. Berlusconi si trasferisce con la famiglia a villa Casati, affiancato dal boss mafioso Vittorio Mangano, assunto in Sicilia da Dell’Utri come “fattore”, cioè come amministratore della casa e dei terreni. Mangano lascerà Arcore soltanto un anno e mezzo – due anni più tardi, in seguito a due arresti e a un’inchiesta a suo carico per il sequestro di un ospite della villa amico di Berlusconi.
1975. Le due fiduciarie danno vita alla Fininvest. Nascono anche la Edilnord e la Milano 2. Ma Berlusconi non compare mai: inabissato e schermato da una miriade di prestanomi dal 1968 al 1975, quando diventa presidente di Italcantieri, e al 1979, quando assumerà la presidenza della Fininvest. 1977. Appena divenuto Cavaliere del Lavoro, acquista una quota dell’editrice de Il Giornale, fondato nel 1974 da Indro Montanelli. 1978-1983. Riceve circa 500 miliardi al valore di oggi, di cui almeno una quindicina in contanti, per alimentare le 24 (poi salite a 37) Holding Italiana che compongono la Fininvest, di cui si ignora tutt’oggi la provenienza.
Sono gli anni della scalata di Bettino Craxi, segretario del Psi dal 1976, al potere e della sua ascesa al governo.
1978. Si affilia alla loggia massonica deviata e occulta “Propaganda 2″ (P2) del maestro venerabile Licio Gelli, a cui è stato presentato dal giornalista Roberto Gervaso. Tessera numero 1816. Di lì a poco comincerà a ricevere crediti oltre ogni normalità dal Monte dei Paschi e dalla Bnl (due banche con alcuni uomini-chiave affiliati alla P2). E inizierà a collaborare, con commenti di politica economica, al “Corriere della Sera”, controllato dalla P2 tramite Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. La P2 verrà poi sciolta, in quanto “eversiva”, con un provvedimento del governo Spadolini. 1980. Berlusconi fonda, con Marcello Dell’Utri, Publitalia 80, la concessionaria pubblicitarie per le reti tv.
Conosce l’attrice Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, che recita in uno spettacolo al teatro Manzoni di Milano senza veli. Se ne innamora. La nasconde per tre anni in un’ala segreta della sede Fininvest in Via Rovani a Milano. Poi la donna rimane incinta e nel 1984, sempre nel segreto più assoluto, partorisce in Svizzera una bambina, Barbara. Berlusconi la riconosce. Padrino di battesimo, Bettino Craxi.
1981. I giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, indagando sui traffici del bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona, trovano gli elenchi degli affiliati alla loggia P2. Ma Berlusconi non subisce danni dallo scandalo che travolge il governo, l’esercito, i servizi segreti e il mondo del giornalismo.
1982. Berlusconi acquista l’emittente televisiva Italia 1 dall’editore Edilio Rusconi.
1984. Berlusconi acquista l’emittente Rete 4 dalla Mondadori: ormai è titolare di tre network televisivi nazionali, e può entrare in concorrenza diretta con la Rai. Ma tre pretori, di Torino, Pescara e Roma, sequestrano gli impianti che consentono le trasmissioni illegali di programmi in “interconnessione”, cioè in contemporanea su tutto il territorio nazionale.
Craxi vara un decreto urgente (il primo “decreto Berlusconi”) per legalizzare la situazione illegale. Ma il decreto non viene convertito in legge perché incostituzionale. Craxi ne vara un altro (il secondo “decreto Berlusconi”), minacciando i partiti alleati di andare alle elezioni anticipate in caso di nuova bocciatura del decreto. E nel febbraio ’85 il decreto sarà approvato, dopo che il governo avrà posto la questione di fiducia.
1985. Berlusconi divorzia da Carla Dell’Oglio e ufficializza il legame con Veronica, che gli darà altri due figli: Eleonora (1986) e Luigi (1988). Le seconde nozze verranno celebrate, con rito civile, nel 1990, officiante il sindaco socialista di Milano Paolo Pillitteri, cognato di Craxi. Testimoni degli sposi, Bettino e Anna Craxi, Confalonieri e Gianni Letta.
1986. Berlusconi acquista il Milan Calcio e ne diviene presidente (nel 1988 vincerà il suo primo scudetto). Intanto fallisce l’operazione La Cinq in Francia, che chiuderà definitivamente i battenti nel ’90. E’ Jacques Chirac a cacciarlo dal suolo francese, definendolo “venditore di minestre”.
1988. Il governo De Mita annuncia la legge Mammì sul sistema radiotelevisivo. Che in pratica fotografa il duopolio Rai-Fininvest, senza imporre al Cavaliere alcun autentico tetto antitrust. Berlusconi acquista la Standa. La legge verrà approvata nel 1990.
1989-1991. Lunga battaglia fra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori, la prima casa editrice che controlla quotidiani (La Repubblica e 13 giornali locali), settimanali (Panorama, Espresso, Epoca) e tutto il settore libri. Grazie a una sentenza del giudice Vittorio Metta, che il tribunale di Milano riterrà poi comprata con tangenti dall’avvocato Previti per conto di Berlusconi, il Cavaliere strappa la Mondadori al suo concorrente. Una successiva mediazione politica porterà poi alla restituzione a De Benedetti almeno di Repubblica, Espresso e giornali locali. Tutto il resto rimarrà a Berlusconi.
1990. Il Parlamento vara la legge Mammì, fra le polemiche: Berlusconi può tenersi televisioni (nel frattempo è entrato anche nel business di Telepiù) e Mondadori, dovendo soltanto “spogliarsi” de Il Giornale (che viene girato nel ’90 al fratello Paolo).
1994. Berlusconi, ormai orfano dei partiti amici, travolti dallo scandalo di Tangentopoli, entra direttamente in politica, fonda il partito di Forza Italia, vince le elezioni politiche del 27 marzo alla guida del Polo delle Libertà e diventa presidente del Consiglio. Il 21 novembre viene coinvolto nell’inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Il 22 dicembre è costretto a dimettersi, per la mozione di sfiducia della Lega Nord, che non condivide più la sua politica sociale e preme per la risoluzione del conflitto d’interessi.
1996. Berlusconi, indagato nel frattempo anche per storie di mafia, falso in bilancio, frode fiscali e soprattutto corruzione giudiziaria insieme a Previti, si ricandida alle elezioni politiche, ma perde. Vince il candidato del centrosinistra (Ulivo), Romano Prodi. Trascorrerà 5 anni all’opposizione, alle prese con una serie di inchieste giudiziarie e di processi, conclusi con diverse condanne in primo grado, poi trasformate in prescrizioni e (raramente) in assoluzioni in appello e in Cassazione.
2001. Il 15 maggio vince le elezioni alla guida della Casa delle Libertà e torna alla presidenza del Consiglio.
BERLUSCONI E I SUOI MISTERI
La vita e la carriera dell’imprenditore Silvio Berlusconi, nonostante le biografie autorizzate che il protagonista ha fatto pubblicare o propiziato nel corso degli anni con fini auto-agiografici, rimane costellata di buchi neri e di domande senza risposta. Piccolo riepilogo degli omissis più inquietanti.
1) - La Edilnord Sas è la società fondata nel 1963 da Silvio Berlusconi per costruire Milano 2. Soci accomandatari (quelli che vi operano), oltre al futuro Cavaliere, sono il commercialista Edoardo Piccitto e i costruttori Pietro Canali, Enrico Botta e Giovanni Botta. Soci accomandanti (quelli che finanziano l’operazione) il banchiere Carlo Rasini, titolare dell’omonima banca con sede in via dei Mercanti a Milano, e l’avvocato d’affari Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano: la “Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag”, di cui nessuno conoscerà mai i reali proprietari. Si tratta comunque di gente molto ottimista, se ha affidato enormi capitali a Berlusconi, cioè a un giovanotto di 27 anni che, fino a quel momento, non ha dato alcuna prova imprenditoriale degna di nota.
2) - Sulla banca Rasini, dove il padre Luigi Berlusconi lavora per tutta la vita, da semplice impiegato a direttore generale, ecco la risposta di Michele Sindona (bancarottiere piduista legato a Cosa Nostra e riciclatore di denaro mafioso) al giornalista americano Nick Tosches, che nel 1985 gli domanda quali siano le banche usate dalla mafia: “In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in piazza Mercanti”. Cioè la Rasini, dove – ripetiamo – Luigi Berlusconi, padre di Silvio, ha lavorato per tutta a vita, fino a diventarne il procuratore generale. Alla Rasini tengono i conti correnti noti mafiosi e narcotrafficanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi Monti, legati a Vittorio Mangano, il mafioso che lavora come fattore nella villa di Berlusconi fra il 1973 e il 1975. 
( Il motivo principale della fama di questa banca è che tra i suoi clienti si annoveravano criminali Pippo CalòTotò RiinaBernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia)[1] e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi - wiki)
3) - Il 29 ottobre 1968 nasce la Edilnord Centri Residenziali Sas (una sorta di Edilnord 2): stavolta, al posto di Berlusconi, come socio accomandatario c’è sua cugina Lidia Borsani, 31 anni. E i capitali li fornisce un’altra misteriosa finanziaria luganese, la “Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzentren Ag” (Aktien), fondata da misteriosi soci appena 10 giorni prima della nascita di Edilnord 2. Berlusconi da questo momento sparisce nel nulla, coperto da una selva di sigle e prestanome. Riemergerà solo nel 1975 per presiedere la Italcantieri, e nel 1979, come presidente della Fininvest.
Intanto nascono decine di società intestate a parenti e figuranti, controllate da società di cui si ignorano i veri titolari. Come ha ricostruito Giuseppe Fiori nel libro “Il venditore” (Garzanti, 1994, Milano), Italcantieri nasce nel 1973, costituita da due fiduciarie ticinesi: “Cofigen Sa” di Lugano (legata al finanziere Tito Tettamanzi, vicino alla massoneria e all’Opus Dei) e “Eti A.G.Holding” di Chiasso (amministrata da un finanziere di estrema destra, Ercole Doninelli, proprietario di un’altra società, la Fi.Mo, più volte inquisita per riciclaggio, addirittura con i narcos colombiani).
4) - Nel 1974 nasce la “Immobiliare San Martino”, amministrata da Marcello Dell’Utri e capitalizzata da due fiduciarie del parabancario Bnl: la Servizio Italia (diretta dal piduista Gianfranco Graziadei) e la Saf (Società Azionaria Finanziaria, rappresentata da un prestanome cecoslovacco, Frederick Pollack, nato nientemeno che nel 1887). A vario titolo e con vari sistemi e prestanome, “figlieranno” una miriade di società legate a Berlusconi e ai suoi cari: a cominciare dalle 34 “Holding Italiana” che controllano il gruppo Fininvest. Secondo il dirigente della Banca d’Italia Francesco Giuffrida e il sottufficiale della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro, consulenti tecnici della Procura di Palermo al processo contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, queste finanziarie hanno ricevuto fra il 1978 e il 1985 almeno 113 miliardi (pari a 502 miliardi di lire e 250 milioni di euro di oggi), in parte addirittura in contanti e in assegni “mascherati”, dei quali tuttoggi “si ignora la provenienza”. La Procura di Palermo sostiene che sono i capitali mafiosi “investiti” nel Biscione dalle cosche legate al boss Stefano Bontate. La difesa afferma che si tratta di autofinanziamenti, anche se non spiega da dove provenga tutta quella liquidità. Lo stesso consulente tecnico di Berlusconi, il professor Paolo Jovenitti, ammette l’”anomalia” e l’incomprensibilità di alcune operazioni dell’epoca.
5) - Nel 1973 Silvio Berlusconi acquista da Annamaria Casati Stampa di Soncino, ereditiera minorenne della nota famiglia nobiliare lombarda rimasta orfana nel 1970, la settecentesca Villa San Martino ad Arcore, con quadri d’autore, parco di un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreni. La Casati è assistita da un pro-tutore, l’avvocato Cesare Previti, che è pure un amico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome (il padre Umberto) e dirigente di una società del gruppo (la Immobiliare Idra). Grazie alla fortunata coincidenza, la favolosa villa con annessi e connessi viene pagata circa 500 milioni dell’epoca: un prezzo irrisorio. E, per giunta, non in denaro frusciante, ma in azioni di alcune società immobiliari non quotate in borse, così che, quando la ragazza si trasferisce in Brasile e tenta di monetizzare i titoli, si ritrova con una carrettate di carta. A quel punto, Previti e Berlusconi offrono di ricomprare le azioni, ma alla metà del prezzo inizialmente pattuito. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro “Gli affari del presidente”, che raccontava l’imbarazzante transazione.
6) - Nel 1973 Berlusconi, tramite Marcello Dell’Utri, ingaggia come fattore (ma recentemente Dell’Utri l’ha promosso “amministratore della villa”) il noto criminale palermitano, pluriarrestato e pluricondannato Vittorio Mangano. Il quale lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d’Angerio principe di Sant’Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell’Utri e lo stesso Mangano. Mangano verrà condannato persino per narcotraffico (al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino) e, nel 1998, all’ergastolo per omicidio e mafia.
7) - Il 26 gennaio 1978 Silvio Berlusconi si affilia alla loggia Propaganda 2 (P2), presentato al gran maestro venerabile Licio Gelli dall’amico giornalista Roberto Gervaso. Paga regolare quota di iscrizione (100 mila lire) e viene registrato con la tessera 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625. La partecipazione al pio sodalizio gli procaccerà vantaggi di ogni genere: dai finanziamenti della “Servizio Italia” di Graziadei ai crediti facili e ingiustificati del Monte dei Paschi di Siena (di cui è provveditore il piduista Giovanni Cresti) alla collaborazione con il “Corriere della Sera” diretto dal piduista Franco Di Bella e controllato dalla Rizzoli dei piduisti Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din e Umberto Ortolani.
8) - Il 24 ottobre 1979 Silvio Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nella sede dell’Edilnord Cantieri Residenziali. Si spaccia per un “un semplice consulente esterno” addetto “alla progettazione di Milano 2″. In realtà è il proprietario unico della società, intestata a Umberto Previti. Ma i militari abboccano e chiudono in tutta fretta l’ispezione, sebbene abbiano riscontrato più di un’anomalia nei rapporti con i misteriosi soci svizzeri. Faranno carriera tutti e tre. Si chiamano Massimo Maria Berruti, Salvatore Gallo e Alberto Corrado. Berruti, il capopattuglia, lascerà le Fiamme Gialle pochi mesi dopo per andare a lavorare per la Fininvest come avvocato d’affari (società estere, contratti dei calciatori del Milan, e così via). Arrestato nel 1985 nello scandalo Icomec (e poi assolto), tornerà in carcere nel 1994 insieme a Corrado per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette alla Guardia di Finanza, poi verrà eletto deputato per Forza Italia e condannato in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento. Gallo risulterà iscritto alla loggia P2.
9) - Il 30 maggio 1983 la Guardia di Finanza di Milano, che sta controllando i telefoni di Berlusconi nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di droga, redige un rapporto investigativo in cui si legge: “E’ stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane (Lombardia e Lazio). Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni in Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo aventi sede a Vaduz e comunque all’estero. Operativamente le società in questione avrebbero conferito ampio mandato ai professionisti della zona”. Per otto anni l’indagine, seguita inizialmente dal pm Giorgio Della Lucia (poi passato all’Ufficio istruzione, da anni imputato per corruzione in atti giudiziari insieme al finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex socio di Marcello Dell’Utri) langue, praticamente dimenticata. Alla fine, nel 1991, il gip milanese Anna Cappelli archivierà tutto.
10) - Il terzo, seccante incontro ravvicinato fra il Cavaliere e la Legge risale al 16 ottobre 1984. Tre pretori, di Torino, Roma e Pescara, hanno la pretesa di applicare le norme che regolano l’emittenza televisiva e che il Cavaliere ha deciso di aggirare, trasmettendo in contemporanea gli stessi programmi su tutto il territorio nazionale. I tre magistrati fanno presente che è vietato, non si può e bloccano le attrezzature che consentono l’operazione fuorilegge. Il Cavaliere oscura le sue tv, per attribuire il black out ai giudici, poi scatena il popolo dei teledipendenti con lo slogan “Vietato vietare”, opportunamente rilanciato dallo show del giornalista piduista Maurizio Costanzo. Lo slogan viene subito tradotto in legge dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il quale abbandona una visita di Stato a Londra per precipitarsi in Italia e varare un decreto legge ad personam (“decreto Berlusconi”) che riaccende immediatamente le tv illegali del suo compare. Lo scandalo è talmente enorme che, persino nel pentapartito, qualcuno non ci sta. E il decreto viene bocciato dall’aula come incostituzionale. Due dei tre pretori reiterano il sequestro penale delle attrezzature utilizzabili oltre l’ambito locale. Così Craxi partorisce un secondo decreto Berlusconi, agitando davanti ai riottosi partiti alleati lo spauracchio della crisi di governo e delle elezioni anticipate, in caso di mancata conversione in legge. Provvederà poi lo stesso Caf a legalizzare il monopolio illegale Fininvest sulla televisione commerciale con la legge Mammì, detta anche “legge-Polaroid” per l’alta fedeltà con cui fotografa lo status quo.
Biografia tratta da “Berlusconi” di Marco Travaglio e Peter Gomez

Cos’è il patto del Nazareno


Ormai è passato alla storia recente con questo nome “il patto del Nazareno”, l’accordo che è stato siglato tra l’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che all’epoca però era ancora solo il sindaco di Firenze (e segretario del Partito Democratico) e Silvio Berlusconi, leader del partito di Forza Italia.
Era il 18 gennaio 2014, quando questi due importanti personaggi politici si sono incontrati al Nazareno, ovvero la sede del partito Democratico a Roma,che si chiama in questo modo proprio perché si trova in via del Nazareno.
In quel’occasione stabilirono alcuni punti comuni relativamente soprattutto alla riforma della legge elettorale; è stato in quella sede che si è formulato il cosiddetto “Italiacum”, quello che potrebbe diventare il nuovo modo di votare in Italia.
Quell’incontro è stato particolarmente significativo perché ha rappresentato la prima volta in cui Berlusconi, politico di destra, si sia recato all’interno della sede del Pd, che è un partito di sinistra.

Crisi, l’addio all’Italia degli over 50: “Nel 2013 quasi 100 mila espatriati” - Francesco Maria Borrelli

Crisi, l’addio all’Italia degli over 50: “Nel 2013 quasi 100 mila espatriati”

Licenziamenti, pagamenti che non arrivano, impossibilità di ricollocarsi. Secondo il ministero dell’Interno, dal 2009 a fine 2013, gli italiani tra i 50 e i 59 anni che hanno cercato fortuna all'estero sono stati 362mila, con incrementi sostanziosi negli ultimi anni. Spesso lasciano a casa la famiglia e all'estero si adattano al precariato.
“Da quando è iniziata la crisi economica la mia agenzia immobiliare aveva perdite fino al novanta per cento del fatturato. Dal 2009 in poi le banche hanno chiuso i rubinetti e ai miei clienti non sono più stati concessi prestiti. Così ho deciso di lasciare l’Italia anche perché, un domani, non vorrò vedere le mie figlie laureate e a spasso perché non ci sono prospettive”.  A parlare è Armando Sacco, un agente immobiliare operativo da 22 anni su Roma che da qualche mese è a Toronto, dove è stato costretto ad andare per continuare a lavorare. E’ soltanto uno dei tantissimi cinquantenni che hanno dovuto lasciare l’Italia per emigrare all’estero con la loro valigia di speranze, sempre più pesante.
Secondo il “Rapporto italiani nel mondo 2013” dell’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), il 25 per cento di chi emigra ha tra 35 e 49 anni, ed il 19,1 per cento ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni. In totale, va ricordato, gli italiani nel mondo (Aire 2014) sono quattro milioni e ottocentoventottomila, e da quando è iniziata la crisi economica internazionale (2009) la cifra è aumentata di oltre seicentomila persone; dal dato del 2013 a quello del 2014 c’è stato un incremento di centosettantamila unità.
Secondo il ministero dell’Interno, che può contare sulle informazioni in arrivo direttamente dagli uffici anagrafe dei Comuni italiani, dal 2009 a fine 2013 gli italiani cinquantenni andati all’estero (esattamente, i compresi tra i 50 e i 59 anni) sono 362mila, e ogni anno c’è stato un incremento compreso tra sessantamila e settantottomila persone, fino ad arrivare al 2013 quando gli espatri sono stati 94mila.
“Come molte persone della mia età che conosco, a 54 anni ho dovuto lasciare l’Italia, dove da 28 anni facevo un lavoro autonomo, per andare a Perth – spiega Paolo Bellachioma, autotrasportatore emigrato in Australia -. Negli ultimi due o tre anni capitava sempre più spesso che a fine mese non si incassasse, anche da aziende importanti. Quindi mi ritrovavo a dover pagare 10-12 mila euro di carburante e a non riuscire neanche a rientrare delle spese. Restando in Italia avrei rischiato di mangiarmi il lavoro di una vita. È stato così che ho deciso di partire per un Paese del quale non conosco neanche la lingua”.
Il trend per gli over 50 è confermato anche dalla Farnesina, poiché in media negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento di oltre 100mila italiani l’anno che emigrano. Ma il dato è sottovalutato e incompleto, come spiega il dottor Giovanni De Vita, funzionario del ministero degli Esteri. “Queste sono le persone che si iscrivono all’Aire, ma in realtà a lasciare il nostro Paese sono molte di più e una stima completa è difficile da fare, sia perché a volte c’è un ritardo nella trasmissione dei dati, sia perché alcuni si fermano in un Paese per un periodo limitato e quindi non si iscrivono all’Aire. Sarebbe come voler essere sicuri del numero dei clandestini presenti in Italia, non si sa”.
Il problema è che manca il lavoro non solo per giovani, ma anche per i padri e le madri di famiglia. Secondo Andrea Malpassi, coordinatore Area estero dell’Inca Cgil Nazionale, “chi emigra oggi non è soltanto il giovane ma sempre più una persona adulta, intorno ai 50 anni e spesso con famiglia e figli, che ha perso il posto di lavoro in Italia ed è costretta cercarlo fuori dai confini nazionali. Si tratta di uomini e donne che partono senza conoscere la lingua, le leggi, gli usi e costumi, ma sono alla ricerca, talvolta disperata, di un impiego. Spesso, però, anche all’estero, devono accettare contratti atipici che in pratica li rendono precari, mi riferisco all’escamotage della partita iva o del lavoro fintamente autonomo ed ai contratti a progetto che in realtà sostituiscono il lavoro vero. Insomma, il precariato si sta diffondendo a macchia d’olio inEuropa e nel resto del mondo”.
“Sono sempre stato costretto a emigrare in cerca di lavoro, fin da giovane quando ero andato in Germania per trovare un’occupazione. Poi, messo via un gruzzoletto, sono ritornato in Italia, dove ho moglie e due figli, e con quei soldi ero riuscito a comprare casa – racconta Antonio Morelli -. L’anno scorso a 58 anni ho perso il posto di lavoro, trovarlo alla mia età è impossibile. Così da un paio di settimane sono ritornato in Germania dove almeno ho un lavoro per la stagione estiva. Tornare in Italia? Solo se avessi un lavoro che mi permettesse di arrivare alla pensione“.
Quarantenni e cinquantenni sono i più colpiti dalla crisi. “La ripresa dell’emigrazione ai nostri giorni è causata di sicuro dalla crisi economica ma soprattutto dalla crisi del sistema Italia”, osserva il professor Alfonso Gambacurta, docente di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma ed esperto di emigrazione italiana – Chi va all’estero è sia il giovane che rientra nella categoria della ‘emigrazione desiderata’ – cioè che vuole lasciare un Paese che lo ha deluso -, sia i quarantenni e cinquantenni, che partono per cercar lavoro e che sono i più colpiti dalla crisi. Questo è un tipo di emigrazione in particolar modo pesante. Perché partire a cinquant’anni comporta problemi e criticità molto più aspre rispetto a quelle che può incontrare un giovane”. Ritornando al dato complessivo dell’Aire, conclude Gambacurta, “se si considera anche l’emigrazione interna, credo che il valore vada raddoppiato”.