lunedì 23 febbraio 2015

Il maltolo fa "suicidare" il cancro.


Il maltolo può avere una funzione antitumorale aiutando a costruire classi di molecole che spingono al "suicidio" le cellule malate. A individuare l'attività anticancro di questa sostanza naturale contenuta nel malto, nella cicoria, nel cocco e nel caffè, due team di ricerca dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo". La scoperta è stata pubblicata sul British Journal of Cancer e sul Journal of Organic Chemistry.
Una sostanza innocua - Mirco Fanelli e Vieri Fusi, a capo dei gruppi di ricerca che hanno collaborato allo studio, hanno spiegato che il maltolo è una molecola innocua, utilizzata a volte come additivo alimentare per il suo aroma e le sue proprietà antiossidanti, ma se opportunamente modificata può dare origine a nuove molecole con interessanti proprietà biologiche.

Test di laboratorio - Due molecole rappresentative di questa classe di composti sono state sintetizzate e caratterizzate nella loro capacità di indurre alterazioni della cromatina e, quindi, di condurre le cellule a rispondere in termini biologici.

Questa classe di composti ha proprietà chimico-fisiche che le rendono capaci sia di raggiungere l'interno della cellula che di esplicare le loro funzioni nel nucleo, dove risiede il nostro genoma (e dunque la cromatina). Fanelli e Fusi hanno dimostrato che alcuni modelli neoplastici (colture cellulari in vitro) sono sensibili ai trattamenti con le due molecole (denominate malten e maltonis). 

Le cellule, in risposta ai trattamenti, alterano dapprima la loro capacità di replicare e, successivamente, inducono un importante processo biologico che le conduce a un vero e proprio suicidio, una morte cellulare programmata. Ora la ricerca proseguirà su modelli tumorali in vivo.

Sla, identificato nuovo gene associato alla malattie.

Risultati immagini per sla

Sembra che la sua mutazione mandi in tilt la proteina “spazzina” che tiene puliti i neuroni del movimento.

Nella rete dei cacciatori di geni associati alla sclerosi laterale amiotrofica finisce una nuova preda: si chiama TBK1 e si pensa che la sua proteina sia coinvolta nei meccanismi “spazzini” che hanno il compito, quando funzionano, di ripulire i neuroni del movimento da eventuali danni.   
La scoperta è frutto di uno studio multicentrico internazionale pubblicato su Science, al quale hanno partecipato anche due neurologi e ricercatori italiani: Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi dell’Irccs Istituto auxologico italiano-Centro “Dino Ferrari” dell’università degli Studi di Milano, che hanno coordinato il Consorzio Slagen formato da 6 centri di ricerca nazionali impegnati nella guerra alla Sla.   
«La Sla, di cui negli ultimi anni si è tanto discusso per le sue relazioni con il gioco del calcio - ricorda Silani - e più recentemente per l’Ice Bucket Challenge» e i suoi gavettoni ghiacciati pro-ricerca, «è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni (le cellule del sistema nervoso che comandano i muscoli), determinando una paralisi progressiva di tutta la muscolatura. La malattia è letale in 3-5 anni e, a tutt’oggi, non esiste terapia efficace. L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la Sla è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica della Sla hanno iniziato a far luce su questi meccanismi, consentendo la creazione in laboratorio di nuovi modelli di malattia, fondamentali per lo studio di nuove molecole e farmaci».   
Nel nuovo studio i ricercatori hanno confrontato il genoma di 2.874 pazienti Sla con 6.405 persone sane e hanno identificato un eccesso di mutazioni nel gene TBK1, codificante per la proteina TANK-binding kinase 1.   
«Sebbene l’esatto ruolo biologico della proteina non sia pienamente compreso - precisa Silani - si ritiene che TBK1 sia coinvolta, assieme ad altri geni associati alla Sla, nei processi di autofagia, cioè quei meccanismi con cui i motoneuroni sono in grado di eliminare i componenti cellulari danneggiati. Si ritiene che l’alterazione di questi meccanismi determini un progressivo accumulo di proteine anomale all’interno delle cellule, portandole a morte. La scoperta delle mutazioni in TBK1 suggerisce quindi che alterazioni nei processi di autofagia e degradazione proteica possano essere determinanti nel causare la Sla. Sarà dunque di estremo interesse studiare questo nuovo meccanismo patogenetico nell’obiettivo di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci».   
Nonostante i progressi degli ultimi anni, avvertono gli esperti, rimane ancora molto da fare per identificare completamente i fattori di rischio genetici associati alla Sla. Per questo i ricercatori del consorzio Slagen, diretto Silani, sono impegnati da anni in progetti di ricerca con l’obiettivo di sequenziare il genoma di tutti i pazienti italiani affetti da Sla, così da individuare nuovi geni e nuovi meccanismi patogenetici indispensabili per capire le cause della malattia. Per il momento TBK1 va ad aggiungersi alla lunga lista di geni scoperti anche grazie al contributo del Consorzio italiano Slagen, nato nel 2010.  

sabato 21 febbraio 2015

Il sole danneggia i filamenti del Dna.

http://www.quotidianodiragusa.it/immagini_articoli/21-02-2015/1424512443-0-il-sole-danneggia-i-filamenti-del-dna.jpg

L’esposizione al sole danneggia il Dna anche dopo essersi messi a riparo. 
Lo rivela uno studio della Yale University in Usa, pubblicato sulla rivista Science. 
Dalla ricerca è emerso che i raggi ultravioletti innescano una reazione nei melanociti, le cellule della pelle responsabili dell'abbronzatura, che continua a danneggiare il Dna anche tre ore dopo l'esposizione. 
Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi hanno esposto i melanociti di uomini e topi alle radiazioni di una lampada Uv, che ha prodotto un tipo danno al Dna, noto come cpd, che impedisce che le informazioni che contiene siano lette correttamente. Sorprendentemente i ricercatori hanno osservato che i melanociti continuano a provocare danni anche ore dopo l'esposizione.
Questo perchè la luce Uv innescherebbe due enzimi che si combinano insieme per attivare un elettrone nella melanina. 
L'energia generata da questo processo viene trasferita al Dna anche al buio, provocando così lo stesso danno che si ha quando si e' esposti alla luce solare. 
Alla luce di questi risultati i ricercatori sperano di poter sviluppare una protezione solare in grado di assorbire anche questa energia "cattiva". 

http://www.quotidianodiragusa.it/2015/02/21/salute-e-benessere/il-sole-danneggia-i-filamenti-del-dna/13781

venerdì 20 febbraio 2015

Scarabeo - Picasso Bug -

Picasso Bug

Il Bug Picasso è una delle circa 450 specie conosciute di bug scudo-backed. Sono una specie di medie dimensioni di bug scudo-backed. Essi sono di forma generalmente ovale, e media di circa 0,25 (6.3 mm) di lunghezza del corpo. Anche se a volte scambiato per un coleottero , il Bug Picasso è in realtà un vero e proprio bug (insetto).Questo abbagliante fantasia insetto si distingue da coleotteri per la loro estesa torace .Ciò costituisce effettivamente uno scudo sul loro addome e le ali. Si nutrono delnettare e fluidi di una grande varietà di piante all'interno della loro gamma endemica.

Picasso Bug Distribuzione e Biologia

Il Bug Picasso è endemica t Sud Africa , Etiopia, e il Camerun . Essi sono anche strettamente legati alla cosiddetta stinkbug, e sono in grado di emettere un odore nociva se disturbati. Si nutrono principalmente sui succhi di una varietà di piante, tra cui alcune colture commerciali. Anche se non sono così brillantemente hued come alcune specie affini, il Bug Picasso è rinomata per la natura complessa dei suoi segni distintivi. Queste marcature hanno portato alcuni a commentare che sembrano essere stati dipinti da Picasso . Questa è la fonte del loro nome.

#ourbreathingplanet

Melone, i primi a coltivarlo in Europa furono i sardi in epoca nuragica. - Monica Rubino

Melone, i primi a coltivarlo in Europa furono i sardi in epoca nuragica
I semi di melone ritrovati in un pozzo del sito nuragico di Sa Osa, a Cabras (Oristano) dal gruppo di studio del Centro di Conservazione Biodiversità dell'Università di Cagliari 

Trovati nei pozzi di Sa Osa (Cabras, Oristano) i semi del frutto più antichi del Mediterraneo e molti altri interessanti materiali biologici di specie già coltivate più di tremila anni fa.

ROMA - Dopo la sensazionale scoperta degli archeosemi di vite che riscrivono la storia della viticultura dell'intero Mediterraneo occidentale i pozzi del sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras (Oristano), non smettono di rivelare sorprese. Questa volta nei "paleo-frigoriferi" per alimenti, antichi più di tremila anni, il gruppo di archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) dell'Università di Cagliari, diretto dal professor Gianluigi Bacchetta, ha ritrovato semi di melone.

La scoperta è ancor più sensazionale perché fino a oggi le prime evidenze relative alla coltivazione di questa specie erano relazionate solo al vicino e al medio Oriente. I 47 semi di melone ritrovati all'interno del pozzo 'N' di Sa Osa, riferibili all'età del bronzo, sono stati datati al c14 tra il 1310-1120 a.C. E costituiscono attualmente la prima testimonianza certa della coltivazione del melone nel bacino del Mediterraneo. "Prima d'oggi - ci spiega il professor Bacchetta - la diffusione del melone nel Mediterraneo era stata attribuita a Greci e Romani in periodi molto più recenti. Si stanno ora svolgendo analisi genetiche e morfologiche per approfondirne la loro origine e natura con la collaborazione del gruppo di ricerca sulle cucurbitacee dell'instituto de Conservación y Mejora de la Agrodiversidada Valenciana (Comav) dell'Università Politecnica di Valencia".


http://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2015/02/18/news/furono_i_sardi_i_primi_a_coltivare_il_melone_in_europa-107617850/

Aiutiamo gli abitanti di West Papua.



Per favore Condividi - questa è una foto, che il governo indonesiano non vuole farvi vedere.

La miniera di Grasberg, di nostra proprietà aziendali Freeport-McMoRan finanziamento illegale occupazione in indonesiano Papua occidentale A occupati gaping ferita nel cuore della Papua occidentale, che era una volta una bella e sacra montagna, coronata da un ghiacciaio, e genocidio è visibile dallo spazio.
È così orribile e vergognoso per i politici americani a vedere, sono presi in itinerari di volo volutamente differente quando visitano la regione affinché non vedono la devastazione che spesso stanno aiutando a finanziare con questa miniera.

Ogni giorno migliaia di tonnellate di oro e rame è essere estratta dalla miniera di Grasberg, la più grande miniera d'oro sulla terra.

Il lavoro è anche incredibilmente insicuro e sleale, mentre tutti i proprietari della miniera sono sia americano o indonesiano, i papuani sono dato i più pericolosi e bassi lavori retribuiti. Quest'anno, oltre 29 persone sono state uccise in 2 disastri di data mining. 
Quando i lavoratori hanno scioperato nel 2011, sono stati picchiati e sparati dalla polizia, almeno un operaio è stato ucciso. 

Freeport è il più grande contribuente dell'Indonesia e tutti i proventi vengono incanalati a Jakarta, mentre papuani diventano più poveri e più poveri nella propria terra.
Freeport discariche oltre 238.000 tonnellate di rifiuti tossici nel sistema fluviale locale ogni giorno. E paga i militari indonesiani oltre 3 milioni di dollari ogni anno per uccidere i papuani locale e tenerli lontano dalla miniera.
Durante l'avvio delle operazioni qui, migliaia di papuani locale sono stati uccisi e sfrattati dai militari indonesiani solo per fare il senso per questo mostruoso miniera.

Questo aggiunge solo per i 500.000 + innocente West Papua uomini, donne e bambini che finora sono stati uccisi dai militari indonesiani, solo per esprimere il loro desiderio di vivere in una nazione libera e indipendente della Papua occidentale. 
Anche per solo alzando la bandiera nazionale Papua Ovest, West Papua sono condannati a pene di prigione dalle autorità indonesiane di 15 anni.

Indonesia - fermare il furto delle risorse naturali del Papua occidentale e la distruzione della terra Papua Ovest!

Per scoprire come si può aiutare la gente di sofferenza di bagna Papua, visita il sito di Free West Papua Campaign qui: freewestpapua.org/ e qui: http://freewestpapua.org/take-action/
Aiuto per fermare questo genocidio del XXI secolo.

Mille Grazie


https://www.facebook.com/freewestpapua/photos/a.310692780009.322467.53611440009/10153250105110010/?type=1&theater

Leggi anche: http://www.austinchronicle.com/news/2005-09-23/292538/

http://gelukkigengezondevrouwen.com/it/news/indonesia-in-papua-crollo-in-una-miniera-doro-e-ra

Cos’è il Brain Project di Obama. - Giulietto Chiesa

Sarà qualcosa di analogo al “Progetto Genoma” e produrrà frutti altrettanto copiosi di quelli che inondarono la genetica e le borse valori dell’Occidente. In un campo, tuttavia, del tutto diverso. Si chiamerà infatti “Brain Project” (Brain, per semplicità, per Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) e dovrà produrre un gigantesco balzo in avanti della conoscenza del funzionamento del cervello umano, consentendo di vedere da vicino, dall’interno, come l’individuo percepisce il mondo esterno e quell’altro mondo che gli è proprio, il luogo dove confluiscono i miliardi e miliardi di informazioni che vengono dai miliardi e miliardi di cellule del corpo umano. Che è – quest’ultima parte – all’incirca il 98% di tutta l’attività cerebrale.
Il Brain si propone di sapere da dove nascono – e come – pensieri, sensazioni, sentimenti, ricordi. Fin dove si spinge la coscienza, dove sconfina nell’inconscio. Anzi, di più, cos’è la coscienza. E dove si trova.
Mai ci si era proposti un compito così immenso. Tanto che, con le idee e le tecnologie di ieri, lo si sarebbe definito, sic et simpliciter, impossibile.
Ma non finisce qui. Così sarebbe solo un esercizio calligrafico di bravura scientifica: qualcosa per confermare ancora una volta a noi stessi quanto siamo bravi a dominare la Natura, quanto siamo prometeici, quanto ci piacciono le sfide. No, nei tempi della fine dell’abbondanza, queste soddisfazioni costano – e possono rendere – assai. Non ci s’imbarca in un’avventura di queste dimensioni se non si pensa di poterne trarre un vantaggio. Tanti vantaggi. Il primo dei quali è immediatamente economico, sebbene ve ne siano molti, da sbandierare, e altri di cui è bene parlare sottovoce, almeno per il momento. Non è una corporation quella che si propone una tale cornucopia di obiettivi: è l’America in persona, quella che impugna la fiaccola della libertà. E’ lo Stato che ha dominato il XX secolo quello che rilancia la posta di una partita che non è più certo di poter vincere nel XXI. Certo, gli Stati Uniti, in quanto Stato, impersonano possenti interessi di dominio che non sono solo statuali. Ma sono questi interessi a dettare la rotta. Il Brain è il loro prolungamento. Forse un protrarsi fatale, vedremo.
Ma quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile. Qualcuno, assai bene informato, afferma che è già in fase di realizzazione, alla chetichella, da non poco tempo (James Martin, “The Meaning of the XXI Century”). Già decine di laboratori, negli Stati Uniti e altrove, sono impegnati a studiare il collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale. Cioè a trasferire capacità umane  - come la visione, la comprensione dei linguaggi, gli stessi processi decisionali che caratterizzano il cervello umano – nelle “macchine di calcolo”. E viceversa.
Attenzione, perché il viceversa è proprio la novità del Brain: significa letteralmente trasferire nel cervello umano alcune delle capacità non umane di elaborazione di quantità sterminate di dati, e anche di trasferire almeno in parte, le velocità superumane di realizzazione di tali elaborazioni.  E l’idea di stabilire una connessione tra due intelligenze qualitativamente diverse, inconfrontabili, ma che hanno elementi basilari di funzionamento comuni. Tra questi, in primo luogo, il linguaggio binario. E’ qui che la tecnologia è l’elemento determinante. Prima non c’era, adesso c’è. Cosa ne verrà fuori non lo sa nessuno. Ci affacciamo su un altro abisso inesplorato, guardando il quale, dal luogo in cui ci troviamo, si possono intravvedere ombre inquietanti. Tant’è che lo stesso Obama si è sentito in bisogno – annunciando il progetto – di informare il pubblico che verrà istituita una qualche “commissione etica” con l’incarico di studiare le ripercussioni che una tale esplorazione potrà implicare. Sappiamo che le commissioni etiche hanno scarse munizioni a disposizione contro i possenti interessi di cui stiamo parlando. Dunque cerchiamo di restare nel campo del realismo. I rischi sono enormi.
Il Brain è dunque una vera e propria “nuova frontiera”, destinata in ogni caso a proiettare Barack Obama nella rosa dei presidenti americani che hanno fatto la storia del futuro. Eppure, quando il lancio è stato effettuato, nel marzo 2013, il clamore, curiosamente, è stato contenuto in poche righe. Il che c’induce a dare un’occhiata più ravvicinata alla faccenda, che vada oltre le poche cose fino ad ora rese note, e anche ai primi 100 milioni di dollari stanziati per il 2014. Com’era da attendersi, gli obiettivi che sono stati messi in primo piano concernono le potenziali – per altro gigantesche – applicazioni mediche. Tutte buone. Potremo affrontare la cura dell’Alzheimer, insieme a tutte le innumerevoli malattie mentali che hanno afflitto l’Uomo nella storia, più quelle nuove, che affliggono l’uomo contemporaneo occidentale e che occupano molti dei suoi pensieri: schizofrenia, autismo e così via. Il Brain ci libererà dunque da molti mali. Come non applaudire? Di fronte a queste virtù taumaturgiche addizionali tutte le altre faccende passano in secondo piano. Le affronteremo quando si presenteranno concretamente. Perché fasciarci la testa in anticipo? E’ un procedimento obliterativo assai simile a quello che accompagnò la creazione della prima bomba atomica. I vantaggi erano lì, visibili, sottomano. Come non approfittarne? Il principio di precauzione venne dopo, quando già Hiroshima e Nagasaki – indubbi vantaggi dell’epoca – si erano realizzati e avevano cambiato la storia del mondo. E, come sappiamo, ancora oggi il principio di precauzione funziona assai poco e male. Basta pensare a Fukushima. Eppure si va avanti a tutto gas.
Quanto sia il gas che sta cominciando a bruciare per avviare il Brain lo si intuisce sfogliando l’elenco dei soggetti principali che lo faranno muovere. C’è tutto il Gotha del Potere, della scienza, della forza: agenzie federali, a cominciare da quelle militari; fondazioni private; corporations; università; interi teams di neuro-scienziati e di nano-scienziati, e – non c’era dubbio – il Pentagono in prima persona, essendo a tutti nota la sua sollecitudine verso non solo la salute mentale degli americani ma quella di tutti i sette miliardi d’individui del pianeta Terra. I primi indirizzi sono già stati indicati: Istituto Nazionale per la Salute (Nhi),  l’Agenzia della Difesa per i progetti avanzati di ricerca (Darpa), La Fondazione Nazionale della scienza (Nsf), L’istituto di ricerche mediche Howard Hughes, l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il “dream team” che è stato formato per cominciare è guidato da Cori Bargmann dell’Università Rockfeller e da William Newsome, dell’Università di Stanford.
Dunque proviamo a riassumere i pregi del Brain: salute e prolungamento della vita umana, di quella attiva in particolare; sviluppo di numerose tecnologie del tutto nuove in diverse direzioni; investimento a grande potenziale di resa. Dalle cifre che si metteranno in campo si desume che potrebbe essere anche un rilancio in grande stile dell’economia americana. Non a caso si è parlato fin da subito di qualcosa di simile al decennale “Progetto Genoma” (Hgp, Human Genome Project), che fu accompagnato da un investimento pubblico di circa $300 milioni annui. Che, moltiplicato per dieci, fa $ 3 trilioni. Brain andrà molto oltre. Secondo George M. Church, biologo molecolare già impegnato nell’Hgp, già adesso cifre di quest’ordine di grandezza si spendono nello studio delle neuroscienze e delle nanotecnologie (International Herald Tribune, 18 febbraio 2013).  Presumibilmente il Brain andrà ben oltre. Proviamo a moltiplicare per quattro, o cinque. In fondo Ben Bernanke tira fuori dal nulla circa 85 miliardi di dollari al mese. Nulla impedisce che si possa moltiplicare per cinque gl’investimenti in BRAIN, magari senza dirci niente. Lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha fatto un calcolo fantasmagorico: ogni dollaro investito nel Hgp ne ha fruttato 140. Se il “Progetto Genoma” ha creato profitti per $800 miliardi, proviamo a immaginare cosa potrebbe significare, per l’economia Usa, un Brain che potesse contare su 10 trilioni di $ di investimenti. Cifre che fanno sognare banchieri e politici, ancora più convinti che lo sviluppo possa continuare a essere “infinito”, nella realtà come lo è nelle loro teste. Il campo di sfruttamento più redditizio sarà quello dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello: territorio di ripopolamento dove si troveranno miliardi di limoni da spremere, costi quello che costi.
Mappare il cervello: lo si può fare oggi, senza aprirlo. Analogia con l’immensità degli spazi cosmici. Siamo oggi in grado di conoscere la composizione chimica di una stella distante 100 anni luce, o di un satellite di Giove, senza esserci mai andati. Addirittura senza avere neppure la speranza che qualcuno possa mai andarci, nei secoli dei secoli. Lo sappiamo dall’analisi spettroscopica. Oggi la biologia sintetica ci consente di entrare nel cervello con intere flotte di nano-astronavi capaci di raccogliere (e trasmettere all’esterno) l’attività delle cellule neuronali.
Tutto bene, tutto meraviglioso. Ma viene alla mente quello che scriveva Edgar Morin, nei “Sette Saperi”: “la genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gl’indottrinamenti e le propagande sulla specie umana”. Come ci insegna Snowden (ma quanti se ne sono resi conto?), chi è in grado di spiare nei segreti (in questo caso della natura), è anche in condizioni di controllare i comportamenti (in questo caso dell’Uomo).  Scriveva John Markoff, autore dell’articolo già citato di IHT – ma solo nelle ultime cinque righe – che “gli scienziati individuano un insieme di complessi temi etici, che includono la privacy, la possibilità di leggere i pensieri e perfino una cosa che oggi riguarda la fantascienza, cioè il controllo delle menti”. Si sbagliava. Già oggi decine di centri di ricerca sono impegnati – scriveva ancora IHT il 5 aprile 2013 (Clair Cain Miller) “a leggere nelle nostre menti”, per sapere in anticipo cosa desidereremo, come possiamo comprare, dove andremo, come ci comporteremo. Lo fanno con l’intelligenza artificiale, con i motori di ricerca. Ora proviamo a immaginare un cervello artificiale che copia perfettamente un cervello umano. E poi proviamo a immaginare di poter mettere in relazione, via wifi, i due “strumenti”. E avremo un altro Uomo. Ci siamo già. E quest’uomo non ci sarà amico, perché sarà o pazzo o smisuratamente più forte di noi. L’unica cosa certa è che non sarà nessuno di noi.
Immagino gli entusiasmi degli “scienziati ebeti” che sono stati formati per credere ciecamente nel risultato immediato di ciò che creano, ma che sono incapaci di vederne le ripercussioni. E capiremo che siamo nelle dirette vicinanze del “sogno di Frankenstein”. Immagino anche gli entusiasmi degli adoratori della Rete: che bello averla direttamente connessa con il proprio cervello! Che meraviglia dilatare istantaneamente il proprio sguardo a tutto Youtube!
Dato il livello culturale e intellettuale medio dei “cittadini di Matrix”, cioè dei cittadini del Mercato, cioè ancora degli “scienziati ebeti”, e dei non meno ebeti economisti, si può scommettere che non esiteranno ad applaudire ogni aggeggio che porti vantaggio economico. Gli diranno che è utile alla salute, o alla tasca, farsi mettere qualche capsula da qualche parte. O farsi fare una “benefica” vaccinazione. Sarà una centrale trasmittente e ricevente, ma che importa ai cittadini di Google?
Ultima avvertenza, speciale per i più ottimisti: stiamo parlando non di un futuro remoto. Il Brain ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente. Ma tutto questo è in via di realizzazione in un contesto “disturbante”, “quando non esiste nessuna certezza riguardo chi utilizzerà questi strumenti; quando nessuno può prevedere gli effetti di medio e lungo periodo; quando il tutto si realizza in condizioni di laceranti squilibri di ricchezza, di reddito, di forza e di potere tra aree del mondo, tra Stati, popoli, civiltà, culture. Saranno i più ricchi, e i meglio armati, ad avere nelle mani  strumenti che verranno usati per accrescere il loro dominio sugli altri. Il tutto in condizioni di impressionanti sperequazioni sociali e di penuria assoluta di beni.  E non dimentichiamo che gli apprendisti stregoni sono i “masters of the Universe”, cioè la scimmia al comando. Prepariamoci all’atterraggio.