martedì 23 ottobre 2018

Chiesto giudizio per la moglie e le figlie di De Mita.




Anna Maria Scarinzi accusata di truffa e malversazione.

La Procura di Avellino ha chiesto il rinvio a giudizio per Anna Maria Scarinzi, moglie dell'ex presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, e per le sue due figlie, Simona e Floriana, finite insieme ad altre sette persone nell'inchiesta Aias-Noi con Loro, coordinata dal Procuratore aggiunto D'Onofrio, indagate a vario titolo per peculato, riciclaggio, malversazione e truffa aggravata nei confronti dello Stato. L'udienza preliminare è fissata per il 6 marzo del prossimo anno davanti al Gup.In particolare, Anna Maria Scarinzi, nella sua qualità di presidente dell'Associazione "Noi con Loro", è accusata di truffa per una serie di fatture per 817 mila euro che sarebbero state pagate ad un bar e ad una società di informatica, per i cui titolari è stato anche chiesto il rinvio a giudizio, senza che vi fosse alcuna corrispondenza con i servizi offerti. Alle due figlie dei coniugi De Mita, sarebbero state invece liquidate fatture per consulenze ritenute dall'accusa inappropriate e mai portate a termine.

Fonte: ansa del 22/10/2018

UNA LEOPOLDA DA QUATTRO GATTI. - Franco Bechis

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BECHIS: “POTEVA SEMBRARE UN'ASSEMBLEA AFFOLLATA DELL'ASSOCIAZIONE COMBATTENTI E REDUCI - ASSAI POCO SI È VISTO ANCHE SOLO PER CORTESIA DEL GRUPPO DI POTERE CHE HA AVUTO IN MANO L'ITALIA LA SCORSA LEGISLATURA - OLTRE I CONFINI DELLA LEOPOLDA RENZI, IL CAPO DELLA COMPAGNIA TEATRALE, NON RIESCE A VENDERE PIÙ UN BIGLIETTO. SE VEDONO LUI, I CLIENTI GIRANO ALLA LARGA...”

Non fosse stato per quei tre ragazzini (scelti come i cartigli dei baci Perugina: un maschietto e due femmine, una di colore), quelli che secondo Matteo Renzi hanno fatto saltare sulla sedia un suo amico, «Ma dove siete, su Disney Channel», la Leopolda n. 9 poteva sembrare un' assemblea affollata dell' associazione combattenti e reduci. Avevano il complesso dei reduci gli ultimi colonnelli di Matteo, e fin dal primo giorno non l' hanno nemmeno nascosto.

simona bonafe alla leopoldaSIMONA BONAFE ALLA LEOPOLDA
Davide Faraone, renziano siciliano: «Credo che questa Leopolda9 sia più partecipata rispetto al passato perché ripulita da opportunisti e voltagabbana. Ne facciamo a meno di quelli che sono leopoldini solo quando si governa». Stessa frase sui voltagabbana sfuggita ieri a Teresa Bellanova, la grintosa regina dei reduci. E anche lo stesso Renzi non l' ha celata: «Quando si perde, ti giri e la stragrande maggioranza di chi ti stava intorno dice "Renzi? Mai visto prima". È la sindrome del beneficiato rancoroso che caratterizza un po' del gruppo dirigente, gente che fino al giorno prima è lì e poi dice oh, io lo dicevo che sbagliava».

renzi alla leopolda 9RENZI ALLA LEOPOLDA 9
E in un altro passaggio del suo discorso di chiusura di ieri l'ex premier del Pd ha ironizzato sulle critiche che alti dirigenti del suo partito hanno fatto più volte al suo carattere: «Ma finché avevano la poltrona da ministro quel mio carattere non era un problema per nessuno».

SALA-BOMBONIERA.
Certo la kermesse fiorentina della corrente renziana ha visto lunghe code fuori dalla stazione Leopolda, che assai piccina e tiene poco più del pubblico di un grande teatro. Per intenderci, quella Leopolda piena aveva più o meno un decimo dei partecipanti alla festa del M5s al circo Massimo, che essendo enorme sembrava però vuoto.

renzi alla leopolda 9RENZI ALLA LEOPOLDA 9
L'immagine dei fan di Renzi si può vendere bene grazie alla sala-bomboniera, ma la realtà dei numeri è quella e i numeri reali pesano sul mercato della politica. Per quanto più viva, vivace e ben confezionata di quel che resta fuori di lì del Partito democratico (poco, senza fantasia e assai sbrindellato), la Leopolda 9 ha dato più l'impressione della riunione nostalgica e anche piena di bei ricordi dei reduci di una stagione certo finita e chissà se cancellata dalla storia della politica.

Quattro amici al bar della stazione, con vistosi buchi di partecipazione, perché in effetti assai poco si è visto anche solo per cortesia del gruppo di potere che ha avuto in mano l' Italia la scorsa legislatura. Dei ministri, viceministri e sottosegretari del suo governo solo i fedelissimi, quelli dello sparuto e pure agguerrito gruppo renziano sbarcato in Parlamento nel lontano 2013.

renzi alla leopolda 9RENZI ALLA LEOPOLDA 9
Eppure il leader stesso nel 2018, l'anno della grande batosta elettorale, nel palazzo ne ha portati assai di più: poco riconoscenti a vedere le loro copiose assenze nella kermesse fiorentina. Il giglio magico e poco più: Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Ivan Scalfarotto, Matteo Richetti, la Bellanova e Faraone, Valeria Fedeli, Emanuele Fiano, Gianni Pittella, Debora Serracchiani, Simona Bonafè, Raffaella Paita, Roberto Giachetti ed Ettore Rosato...

Non molto di più di quella truppa. In platea si è visto anche un altro ex ministro, Giuliano Poletti, che però ci ha tenuto a dire di fidarsi ciecamente del segretario Maurizio Martina. Come dire: «Ho dovuto essere qui, ma...».

renzi alla leopolda 9RENZI ALLA LEOPOLDA 9
Cosa che mi ha ripetuto anche qualche dirigente locale renziano doc: «Non avevo voglia di venire, ma l'ho fatto perché tutte le altre volte c'ero e se mancavo questa era più una rottura di scatole inseguire le polemiche sulla assenza che venire a Firenze qualche ora per amore di pace». Partecipazione freddina, ma almeno non è scappato come tanti altri ex fedelissimi di Matteo a Piazza Grande per arruolarsi nella corrente di Nicola Zingaretti.

LA SFILATA
Poi una incredibile sfilata di manager nominati da Renzi e deposti dai successori, ognuno a raccontare il personale dramma, qualcuno con dignità (Ernesto Maria Ruffini, ex capo della Agenzia delle Entrate), qualcuno senza vergogna come Renato Mazzoncini, ex capo delle Ferrovie con la lacrimuccia agli occhi rammentando le gaie riunioni di famiglia «con te Matteo e con Graziano», con toni che obiettivamente davano ragione e anche di più a chi lo ha fatto accomodare.

padoan e renzi alla leopoldaPADOAN E RENZI ALLA LEOPOLDA
È venuto pure un altro ex ministro che pure essendo stato scoperto in origine da Massimo D'Alema in politica deve tutto a Renzi: Pier Carlo Padoan. Ma è stato a mezzo servizio. Ha scodellato al leader per un teatrino pomeridiano una bozza di contromanovra economica.

Solo che Padoan l'aveva già fatto una settimana prima per il segretario del Pd, Martina, e la cosa è risultata un tantino grottesca: le due manovre di minoranza scritte dalle stesse mani sono diverse l'una dall' altra. E quella fatta per Renzi sfonda e di molto (2,1%) gli obiettivi di deficit (1,6%) che l'Italia - proprio con Padoan - aveva assicurato alla Ue: una comica.
maria elena boschi alla leopoldaMARIA ELENA BOSCHI ALLA LEOPOLDA

In effetti a Firenze i reduci volevano divertirsi un po', che è un modo anche per asciugare le lacrime della nostalgia. Di questa edizione della Leopolda 9 prima che aprisse i battenti aveva già capito tutto Maurizio Crozza, che aveva registrato una clip di Renzi che si truccava in camerino sulle note di «C'era una volta l'America» confessando che il suo sogno non era mai stato quello di entrare in politica, ma di fare il conduttore di talk show. I suoi miti non Tony Blair e Barack Obama, ma Barbara D'Urso e Maria De Filippi. E che quando lui lanciava «i Renzini, le praline dell' ovvio», stava provando i numeri del suo spettacolo.

renzi alla leopolda 9RENZI ALLA LEOPOLDA 9
Esattamente quel che si è visto a Firenze. Per confessione diretta di Renzi: «Ora posso finalmente realizzare il sogno della mia vita: fare il conduttore televisivo. Sono felicissimo». E via al talk show e alla sfilata dei suoi renzini - le praline dell' ovvio - da lanciare: il profeta dei vaccini Roberto Burioni, la sempre bella odiatrice araba di Matteo Salvini, Rula Jebreal, la giornalista in minigonna odiata dalla mafia di Ostia, Federica Angeli, i comitati civici per fare le pulci al «governo dei cialtroni».
maria elena boschi alla leopoldaMARIA ELENA BOSCHI ALLA LEOPOLDA

Volti e idee più o meno nuovi, che però si scontrano sempre con lo stesso problema che non si vuole vedere: c' è spazio anche nella nuova Italia gialloverde per un' area politica di questo tipo, che però ha una sola palla al piede: oltre i confini della Leopolda il capo della compagnia teatrale non riesce a vendere più un biglietto. Se vedono lui, i clienti girano alla larga...

leopolda 9LEOPOLDA 9maria elena boschi alla leopoldaMARIA ELENA BOSCHI ALLA LEOPOLDA
maria elena boschi alla leopoldaMARIA ELENA BOSCHI ALLA LEOPOLDA




Fonte: dagospia da "liberoquotidiano"

domenica 21 ottobre 2018

Condono fiscale, dallo stralcio ai grandi evasori: cosa prevede la nuova versione del decreto. - Marco Mobili e Giovanni Parente

(Reuters)


Stop a ogni scudo di natura penale. Esclusione esplicita di ogni sanatoria per i redditi esteri. Impegno in sede di conversione ad ampliare il meccanismo del «saldo e stralcio» per la cosiddetta “evasione di necessità”, ossia concedere la possibilità di rimettersi in regola con l’amministrazione finanziaria a chi non è riuscito a versare le imposte dovute ma si è denunciato al Fisco.

Sono i tre punti su cui Lega e Movimento 5 Stelle hanno trovato l’accordo nel Consiglio dei ministri di sabato 20 ottobre. Via, quindi, ogni protezione dai reati di riciclaggio e autoriciclaggio ma anche da quelli tributari e via ogni appiglio a regolirrazioni di patrimoni detenuti oltreconfine. In pratica, si punterà ad aiutare chi ha dichiarato e non pagato le imposte per difficoltà economiche e allo stesso tempo si evita ogni assist ai grandi evasori.

GUARDA IL VIDEO: Decreto fiscale, dalla rottamazione-ter allo stralcio dei debiti fino a mille euro.

Nessuna causa di non punibilità.
È stato lo stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a spiegare in conferenza stampa dopo il Cdm che «a scanso di equivoci abbiamo anche valutato che tutto sommato poteva prestarsi a equivoci qualche causa di non punibilità, che avrebbe consentito di stimolare contribuenti ad aderire ma avrebbe dato un segnale di fraintendimento, quindi non ci sarà nessuna causa di non punibilità».

Niente scudi dall’estero.
«Dichiarazione integrativa riguarda il 30% in più di quanto già dichiarato con il tetto di 100mila per anno d’imposta: no a scudi di sorta all’estero», ha rimarcato il premier. Accolte, quindi, le richieste di escludere l’integrazione della dichiarazione per i redditi prodotti all’estero e del quadro RW per il monitoraggio dei patrimoni mobiliari e immobiliari detenuti oltreconfine. Questo di conseguenza dovrebbe portare a stralciare dalla sanatoria anche le imposte su case (Ivie) e attività finanziarie (Ivafe) all’estero.

«La dichiarazione integrativa già c'è nel nostro ordinamento, ma ora noi mettiamo un tetto: la norma è quella che si è letta in bozza ma precisando su base annua. Stiamo su 100mila di imponibile», ha precisato il vicepremier Luigi Di Maio.

Un intervento per l’evasione di necessità.
Ma l’accordo tra le forze di maggioranza ha anche natura additiva. Uno dei principi inseriti nel contratto di Governo ma che non è entrato nel decreto fiscale è quello di andare a inserire misure per il «saldo e stralcio» dei debiti tributari dei contribuenti in difficoltà che, come ha sottolineato il vicepremier Matteo Salvini «devono comunque aver presentato la dichiarazione dei redditi».

Fonte: ilsole24ore del 20/10/2018

sabato 20 ottobre 2018

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla. - F. Capozzi e G. Scacciavillani

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla

I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l'impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Tutte le lungaggini delle verifiche sul loro utilizzo.

La Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta sulla Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento siciliano della Fiat. In fabbrica è arrivato il nucleo di polizia economico-finanziaria per sequestrare documenti e file utili alle indagini sull’azienda che fa capo a Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli. Obiettivo del procuratore Ambrogio Cartosio è far luce sull’utilizzazione del finanziamento pubblico da circa 21 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali mai realizzati come aveva raccontato a gennaio ilfattoquotidiano.it.
I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l’impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Blutec se li era aggiudicati dopo che gli altri pretendenti alla successione di Fca erano caduti uno via l’altro in scia alle inchieste giudiziarie. E con l’impegno di riaprire l’impianto riassorbendo una parte del personale della fabbrica anche grazie alle commesse per produrre settemila motocicli elettrici di Poste Italiane e per elettrificare 7200 Doblò Fca in quattro anni. L’azienda aveva infatti presentato un piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro (694 persone) dell’impianto entro la fine di quest’anno, riportando in fabbrica 400 lavoratori già nel 2017.
In realtà poi le cose sono andate diversamente. Dopo aver incassato i soldi pubblici, Blutec ha fatto i conti con la realtà e si è progressivamente rimangiata buona parte delle promesse fatte mandando avanti a singhiozzo il piano per assumere il personale e rilanciare il sito industriale. Della questione era ben cosciente il ministero dello Sviluppo economico che, ai tempi dell’ex ministro Carlo Calenda che pure aveva ereditato lo spinoso caso dalle passate gestioni, aveva scelto di fare buon viso a cattivo gioco rimandando il caso Termini Imerese a dopo il voto e passando così la patata bollente al governo gialloverde. A metà luglio 2018, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, ormai sotto la guida del vicepremier, Luigi Di Maio, Blutec riferiva che i lavoratori occupati erano solo 135, alle quali si sarebbero aggiunte “con la commessa dei 6800 Doblò di FCA, altre 120 persone nei prossimi tre anni”, come si legge nel verbale della riunione ministeriale. “La piena occupazione verrà quindi assicurata solo nel momento in cui gli accordi commerciali citati avranno concreta realizzazione”, prosegue il documento. Intese che non sono ancora state formalizzate né da parte di Fca, né tanto meno di Poste che, già in passato, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una gara per l’assegnazione della commessa sui motocicli elettrici.
Nonostante le proteste del sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, e dei sindacati, preoccupati dall’imminente scadenza a dicembre degli ammortizzatori sociali il cui rinnovo è scomparso dal decreto fiscale, Invitalia si è mossa con estrema lentezza. I segnali c’erano tutti da mesi, eppure è stato soltanto nell’aprile scorso l’advisor del ministero ha inviato a Blutec una contestazione sulla rendicontazione chiedendo di far luce sull’uso del denaro pubblico. Non avendo ricevuto alcuna informativa, a quasi due anni dall’assegnazione dei fondi regionali, la società guidata da Domenico Arcuri aveva successivamente provveduto a chiedere la restituzione dei fondi. Ironia vuole che proprio nel giorno della notizia dell’inchiesta il manager pubblico, dal palco del Convegno dei Giovani di Confindustria lanci un appello a “portare tutti insieme il Paese fuori dalla tempesta, stando un po’ meno connessi, frequentando più i libri e creando lavoro vero“, sottolineando che “quando lo Stato si è impegnato ed ha fatto il suo dovere, ha raggiunto i risultati”.

Dal canto suo Blutec, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it fin da gennaio si era trincerata dietro il silenzio. Ma poi, nel verbale dell’incontro al ministero datato 18 luglio 2018, si legge che “i rappresentanti dell’azienda hanno comunicato che l’accordo tecnico-legale di restituzione del finanziamento ricevuto da Invitalia, verrà firmato entro luglio 2018”. L’accordo però non è arrivato. E, incredibilmente, nell’ultimo incontro al Mise, datato 4 ottobre, Invitalia ha spiegato “che è stata raggiunta una intesa con l’azienda per restituire la somma di 21 milioni di euro circa”, ma “si attende di completare l’iter autorizzativo del Ministero”. E ha poi aggiunto che “senza questa autorizzazione non è possibile completare l’iter già avviato per il nuovo contratto di sviluppo ed il finanziamento del nuovo Piano industriale”, come si legge nel verbale del ministero.
Nella stessa occasione, il sindacato aveva “lamentato che ad oggi non c’è coincidenza tra il piano di rioccupazione e la realtà”. Inoltre ha chiesto al governo di “verificare che siano stati rispettati gli impegni presi in precedenza con FCA” e di “identificare nuovi investitori industriali che possano realizzare il piano di rioccupazione di tutti i lavoratori Blutec. Del resto, come ha evidenziato, Giampietro Castano, responsabile dell’Unità di gestione vertenze del Mise, “il governo, avendo deciso dieci anni fa di assumere la responsabilità della reindustrializzazione del sito di Termini Imerese e della tutela dei lavoratori interessati, ha dirette responsabilità che non possono essere dimenticate”.Responsabilità politiche presenti e passate nel fallimento di un progetto adeguato per la riconversione di Termini Imerese di cui si discuterà al ministero in un nuovo incontro che si terrà entro fine novembre. Alla Procura toccherà intanto appurare che fine hanno fatto i soldi pubblici intascati da Blutec e di cui Invitalia ha tardivamente richiesto la restituzione.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

Quando un matematico parla di economia … e se l’aumento dello spread fosse un bene? - Massimo Bordin



Quando un filosofo parla di economia, l’antagonista “tipico” oppone il fatto che egli non ha studiato alla facoltà di economia e che quindi deve tacere. Spesso – anzi … SEMPRE – il suddetto antagonista si ispira alle teorie politiche di Adam Smith, un dotto che aveva studiato invece proprio filosofia e non certo l’apparato riproduttivo dei molluschi lamellibranchi bivalvi. Non solo: egli dimentica che financo la parola «economia» l’ha coniata Aristotele. Ma tant’è, con i talebani occorre avere pazienza e bombardarli, come ci ha insegnato lo Zio Sam.
Allora, per una volta, sentiamo cosa dice un matematico, visto che la matematica è una scienza esatta e bla bla bla. Tra l’altro, il matematico che vogliamo portare alla vostra attenzione è Beppe Scienza, il cui cognome, persino, non dovrebbe lasciar spazio a dubbi.
«Finalmente lo spread è risalito – scrive il porfessore torinese dalle pagine del Fatto Quotidiano – raddrizzando alcune storture. Non ci allineeremo infatti allo stucchevole patriottismo dei vari sedicenti esperti, che alzano alti lai tutte le volte che esso sale ed emettono squittii di gioia quando scende.
Ha infatti anche aspetti positivi il recente aumento, poi ridimensionatosi, di quello che in Italia è ormai lo spread per antonomasia, cioè il divario fra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi, in particolare per quelli decennali».
Eeeeh? Cosa ha detto costui? Avete capito bene, lo spread alto ha anche effetti positivi, soprattutto per i risparmiatori. Pochi hanno infatti capito che le obbligazioni pubbliche, un tempo, non avevano solo lo scopo di finanziare lo Stato e regolare il tasso di interesse interbancario, ma anche di favorire il risparmio privato dei cittadini, consentendo di tenere a freno l’inflazione e, spesso, di batterla. Con rendimenti a ZERO, che senso aveva comprare btp? Forse a fini speculativi, certo, ma in tal caso il rischio era fuori controllo e la compravendita di obbligazioni prima delle scadenze non mette a proprio agio il classico padre di famiglia.
Perchè, dunque, gli italiani (privati) hanno smesso di comprare i btp?
1) non rendevano niente, cioè non staccavano cedole degne di questo nome
2) in banca non le consigliano ai clienti, perchè l’intermediario non ci guadagna così tanto come con i fondi.
Ora, con lo spread attorno a quota 300, il risparmiatore può attendersi cedole dignitose, in astratto oltre il 3 per cento, pur tenendo conto delle diverse scadenze. Inoltre, con una risalita dello spread vi è l’aumento, a esso collegato, anche dei rendimenti dei BTP Italia, cioè di strumenti finanziari legati all’inflazione e che in linea di principio rientrano fra gli impieghi più adatti per i risparmi del proverbiale buon padre di famiglia.
Beppe Scienza propone a questo proposito un esempio illuminante:
«i Btp Italia novembre 2023 (codice Isin IT0005312142), sono scesi dai 102 euro di aprile agli attuali 95 euro e così ora offrono un rendimento a scadenza lordo pari all’inflazione maggiorata di un 1,2% annuo. Non è moltissimo, ma certo meglio di quando tale maggiorazione era intorno allo zero: si otteneva cioè l’inflazione italiana e nulla più. Anche a tal riguardo la risalita dello spread ha migliorato le cose. Non si dimentichi però che con tutti i Btp, Cct ecc. c’è sempre il rischio di un calo (o crollo) della loro quotazione, se gli umori del mercato peggiorano (o precipitano).
Altra conseguenza seppure indiretta della salita dello spread, un ritocco all’insù dei tassi dei buoni fruttiferi postali giusto venerdì scorso».
Fonte: micidial del 18/10/2018

venerdì 19 ottobre 2018

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore.

Roma, evasione fiscale da oltre 140 milioni: arrestato imprenditore

Gianluca De Cubellis, 43 anni, era lʼamministratore di fatto di più di 20 società.


Come amministratore di fatto di oltre 20 società che operavano in diversi settori, ha evaso tasse e imposte per oltre 140 milioni di euro. E' l'accusa nei confronti di Gianluca De Cubellis, un imprenditore romano di 44 anni arrestato dalla guardia di finanza per una serie di frodi fiscali, truffe ai danni dello Stato e falso in bilancio. Nel maggio 2017 l'uomo era già stato colpito da un sequestro per oltre 80 milioni.

Questa somma (80 milioni di euro) corrispondeva ai profitti derivanti dalla commissione di plurimi reati tributari, riciclaggio, autoriciclaggio e truffa.

De Cubellis ha continuato a lavorare utilizzando come schermo una società intestata ad un prestanome e sottraendo al fisco ulteriori 60 milioni. La società, che nel tempo ha operato in vari comparti (in prevalenza commercio di prodotti elettronici, informatici e petroliferi), attraverso l'emissione di fatture fittizie e la simulazione di esportazioni mai avvenute, ha indebitamente fruito di crediti Iva inesistenti per compensare oltre 5 milioni di debiti tributari ed evadere, complessivamente, imposte.

Il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di De Cubellis, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali per un anno.

Fonte: tgcom24.mediaset del 19/10/2018

MANONA E CONDONONE - Marco Travaglio

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Quando due partiti governano insieme, per un’alleanza politica o per un “contratto” di programma, devono potersi fidare l’uno dell’altro.
Se cercano di fregarsi a vicenda, non vanno lontano e a rimetterci non sono soltanto loro, ma i cittadini.
Finora l’accordo fra due soggetti umanamente e politicamente diversissimi come Di Maio e Salvini, era parso forte e solido, anche per via di un buon rapporto personale e “generazionale”. “Salvini è di parola”, aveva detto Di Maio (e anche Grillo) dopo l’elezione dei presidenti delle Camere e ben prima del governo. “Di Maio è l’alleato ideale, governeremo 5 anni”, aveva ripetuto Salvini. Anche se entrambi sapevano che la loro non è un’alleanza strategica, ma una convivenza obbligata dalla totale assenza di alternative.
Ieri, all’improvviso, s’è scoperto che le cose non stanno così.
Le due versioni opposte e inconciliabili sulla manina tecnica o manona politica che ha infilato nella manovra 3 norme scandalose (depenalizzazione del riciclaggio e della frode, scudo fiscale per capitali all’estero, tetto di 100 mila euro annui moltiplicato per ogni imposta evasa) per trasformare il condonino in condonone, mandano in frantumi non tanto l’identità di vedute fra 5Stelle e Lega, che sulla sanatoria fiscale non c’è mai stata (i 5Stelle, se governassero da soli o con altri alleati, non la farebbero mai) quanto su quel minimo sindacale di lealtà che è necessario per governare insieme.
Il procedimento legislativo italiano, non da oggi, è farraginoso ai limiti del demenziale, e se qualcuno vuole fregare qualcun altro ha mille spazi e occasioni per farlo. Fabrizio d’Esposito racconta tutte le volte in cui singoli ministri o interi governi finirono gabbati da norme sbucate dal nulla e rimaste figlie di padre ignoto. O di padre noto, come il decreto Biondi imposto nel ’94 da B. ai riottosi Bossi e Fini per salvare i tangentari (anche di casa sua) e i mafiosi. Un caso molto simile al condonone voluto dalla Lega e messo nero su bianco dai tecnici del Tesoro all’insaputa del M5S. Ma con una differenza fondamentale.
Il 13 luglio ’94 il decreto Salvaladri fu discusso nei dettagli in Consiglio dei ministri, dove Maroni disse di aver chiesto al Guardasigilli Biondi se sarebbero stati scarcerati indagati di Tangentopoli e di averlo votato solo dinanzi alla sua risposta negativa. Poi, quando uscirono centinaia di tangentisti, se ne dissociò e, con Bossi e Fini, costrinse B. a ritirarlo. 

Il 15 ottobre 2018 il Cdm, iniziato alle 19,31 (con due ore di ritardo e con la fretta di dover chiudere tutto entro la mezzanotte), non doveva approvare un decreto di pochi articoli.
Ma l’intera manovra, una legge lunga chilometri. E i ministri l’hanno approvata senza tornare sui singoli dettagli tecnici, già concordati nei giorni precedenti in vari incontri politici fra gli sherpa, i ministri e i sottosegretari giallo-verdi, l’ultimo dei quali si era svolto dalle 15 alle 19 e aveva affrontato proprio i temi del condono. Lì i 5Stelle avevano ribadito la linea Maginot del contratto di governo: “pace fiscale” fino a 100 mila euro annui per chi ha dichiarato i suoi redditi ma non ha potuto pagare l’imposta negli anni della crisi; niente scudi fiscali, né sanatorie penali, né sforamenti della soglia. A quel punto i tecnici del Mef, incaricati di mettere in bella copia il contenuto dell’accordo politico, hanno prima prodotto un foglietto sintetico, poi una bozza “ufficiosa” che hanno girato all’ufficio legislativo del Quirinale per un’analisi preliminare. Ora i leghisti parlano di “testo approvato anche dai 5Stelle”, che non l’avrebbero letto (o capito) e Repubblica s’inventa che “Di Maio e i grillini non si sono accorti di aver firmato un condono”. La verità è che nessuno ha firmato niente e dal Cdm non è uscito alcun “testo” della manovra, a parte appunto foglietti volanti che dovevano recepire l’accordo politico stipulato nel vertice di 4 ore, in attesa della stesura definitiva dell’articolato. È qui che il condonino è diventato condonone, in cui i tecnici – non si sa se per fare un regalo alla Lega, o per fare uno sgambetto al M5S, o su input diretto di qualche ministro o sottosegretario leghista – hanno inserito le norme chieste dal Carroccio, bocciate dal M5S e infine cancellate con l’accordo verbale di entrambi gli alleati.
Chi ha giocato sporco fino a un attimo prima che la bozza giungesse al Quirinale, al momento non si sa. Si sa soltanto che Tria dava per scontato un condono “small” modello 5Stelle, altrimenti avrebbe previsto un gettito di miliardi, non di appena 180 milioni (compatibile solo col condonino). L’altro ieri i tecnici del Colle hanno cassato la sanatoria penale e restituito la bozza corretta al governo. E quella provvidenziale cancellatura ha aperto gli occhi a Di Maio. Il quale, fidandosi degli alleati, era rimasto all’accordo politico di lunedì con la Lega, poi avallato da tutto il Cdm. Invece ha scoperto il raggiro, fortunatamente in tempo per rimediare: senza il veto quirinalizio, per come vanno le cose nell’iter legislativo all’italiana, a quest’ora il condonone poteva essere già stato firmato da Mattarella e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per la gioia di grandi evasori, frodatori, riciclatori e mafiosi, e dei loro protettori politici. Che un tempo sedevano in FI e in qualche anfratto del centrosinistra, ma ora han trovato usbergo nella Lega pigliatutto. Quella Lega che, mandante o beneficiaria che sia della truffa, ora rivendica spudoratamente tutte le norme contestate, tradendo il contratto di governo, l’accordo politico di lunedì e persino le censure del Colle. Si spera che il premier Conte, a norma di contratto, cancelli le 3 norme della vergogna. Se poi la Lega le preferirà alla sopravvivenza del governo e lo farà cadere, i cittadini onesti sapranno da che parte stare.


Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018