sabato 2 marzo 2019

Firenze: Corte dei conti congela beni per 9 milioni a Verdini e Parisi.

Verdini Parisi

Beni ‘congelati’ fino a un valore di 9 milioni e 100mila euro, pari ai contributi pubblici per l’editoria ottenuti “non avendone diritto”.

Questo quanto disposto, con misura cautelare, a garanzia del credito erariale, dalla procura presso la Corte dei conti della Toscana, nei confronti dell’ex senatore Denis Verdini e dell’ex parlamentare di Forza Italia e Ala Massimo Parisi nell’ambito delle indagini contabili sulla vicenda dei contributi per la Ste, la Societa’ toscana di Edizioni poi fallita. La notizia è riportata oggi da ‘La Repubblica’ e ‘La Nazione’ e fa riferimento alla relazione di ieri della procura contabile, guidata da Acheropita Mondera, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della magistratura contabile.
Il provvedimento nei confronti di Verdini e Parisi è scattato alcune settimane fa. Contestualmente sono stati notificati inviti a dedurre. La vicenda si lega alla presunta truffa alla Stato riguardo ai contributi erogati dal Fondo per l’editoria alla società che faceva capo, tra gli altri, a Verdini e Parisi.

Scusali, Silvio, - Marco Travaglio

Lo attendevamo con ansia, e finalmente il gran giorno è arrivato: il giorno della difesa del conflitto d’interessi da parte di chi l’aveva sempre denunciato. L’ingrato compito è toccato, su £La Stampa", a Lucia Annunziata. Si parte, naturalmente, dal “bullismo dei 5Stelle” che, ispirati dall’empireo direttamente da Gianroberto Casaleggio, vorrebbero “distruggere i media tradizionali” (come se questi non ci pensassero già da soli), “smembrare i maggiori gruppi del Paese”, “abbatterli” e “smantellare l’editoria”. Tutto perché Di Maio ha annunciato una legge contro i conflitti d’interessi editoriali degli “editori impuri” che usano i mezzi d’informazione come merce di scambio per fare profitti in altri settori che confliggono con la libertà di stampa. L’Annunziata riconosce, bontà sua, che “il conflitto d’interessi è un tema serio”, ma purché non disturbi i suoi editori (le famiglie Elkann-De Benedetti, proprietarie col gruppo Gedi di Stampa, Repubblica, Espresso, Secolo XIX e varie testate locali). Infatti riesce a dire, restando seria, che “c’è anche in Italia una legge (sia pur morbida) che regola il rapporto fra editoria e interessi economici”.
Deve trattarsi di quella barzelletta della legge Frattini del 2004 che, insieme alla coetanea Gasparri per le tv, ha sempre fatto scompisciare il mondo intero e, fino all’altroieri, anche Repubblica, Espresso e Annunziata: una legge-selfie su misura per B. che, essendo solo il “mero proprietario” di Mediaset&C., non ha conflitti d’interessi. Una legge senza sanzioni, ma soprattutto senza colpevoli che, avallando il mega-conflitto del Caimano, avalla quelli medi e mini di tutti gli altri. Cioè degli editori impuri che producono un’informazione serva e falsaria. Ora si scopre, grazie all’autorevole penna dell’Annunziata, che quella norma-farsa magari sarà un po’ “morbida”, ma nessuno deve azzardarsi a riformarla, nemmeno se l’ha promesso agli elettori. Saranno contenti Frattini e B. per il tardivo riconoscimento dopo 14 anni di calunnie. Un po’ meno i lettori di Stampubblica, nello scoprire che i loro liberissimi giornali non solo si sono innamorati in tarda età della prescrizione solo perché a riformarla sono i 5Stelle. Ma difendono pure i conflitti d’interessi, perché quei barbari minacciano di punirli tutti, compresi quelli dei loro editori. L’Annunziata previene l’obiezione con una supercazzola: “Il caso Berlusconi ha provato a essere estremo non perché la legge non ci fosse a regolarlo, ma perché estremi erano gli intrecci fra proprietà e politica. E del resto la opposizione ha fatto di questo intreccio una battaglia”.
Cioè, se capiamo bene, il problema sarebbe che un giorno B. entrò in politica (quanto alla “battaglia” del centrosinistra, ci vien da ridere). Già, ma il conflitto d’interessi ce l’aveva anche prima. Già nel 1983, aggirando Montanelli, chiamò il condirettore del Giornale per raccomandare di non attaccare Craxi in quanto Bettino “deve farmi la legge sulle tv”. Idem la famiglia Angelucci, che ha il suo patriarca in Senato con FI, ma sarebbe in conflitto d’interessi anche senza, perché controlla Libero e il Tempo e fa soldi a palate con le cliniche private convenzionate con le Regioni. Se per decenni la Fiat ha incassato carrettate di miliardi dallo Stato in aiuti diretti, commesse pubbliche, cig straordinaria e rottamazioni, difficilmente La Stampa poteva mettersi contro i governi: infatti, come diceva Giovanni Agnelli sr., è stata per oltre un secolo “governativa per definizione” (salvo negli ultimi 5 mesi). Se il costruttore Caltagirone vive di appalti pubblici, qualcuno può pensare che la linea del Messaggero, del Mattino e del Gazzettino sui governi nazionali e locali non ne risenta? Infatti il suo gruppo ha sempre lisciato giunte e governi che assecondavano i suoi interessi; ha sempre beatificato tutte le opere pubbliche sparse nell’orbe terracqueo, tranne una, lo stadio della Roma (lo fa il suo rivale Parnasi); e i primi sindaci di Roma che ha massacrato sono stati Marino e la Raggi (vedi alla voce Olimpiadi). Se il Sole 24 Ore è di Confindustria, che affidabilità possono mai avere le sue pagine finanziarie o i suoi pezzi sul Tav? La stessa che hanno le pagine dell’auto de La Stampa, le recensioni del Giornale sui programmi di Mediaset e del Corriere sui programmi di La7 (medesimo editore: Cairo). La stessa che ha Repubblica sulla politica da quando s’è scoperto che Renzi aveva spifferato il decreto Banche popolari in anteprima a De Benedetti, consentendogli di specularci in Borsa e tirar su 600 mila euro in un minuto senza muovere un sopracciglio. L’unico editore puro prima dell’avvento del Fatto era il genovese Carlo Perrone col Secolo XIX, che però tre anni fa fu venduto agli Elkann.
Questi padroni di giornali non fanno direttamente politica, ma sono in conflitto d’interessi lo stesso. Il grosso del loro business non è l’editoria, ma gli autoveicoli, la finanza, le banche, le assicurazioni, le costruzioni, gli appalti pubblici. E i loro giornali sono ora bastoni per minacciare o punire chi non asseconda i loro affari, ora carote per premiare chi li agevola. E se i lettori se ne accorgono e fuggono, poco importa: molto meglio tenerseli e ripianarne ogni anno le perdite, che rinunciare a una preziosa arma di pressione e di ricatto sulla politica. Non sappiamo se Di Maio riuscirà a varare una buona legge contro i conflitti d’interessi che inquinano l’informazione in Italia, né se Salvini – il nuovo cocco dei giornali – glielo consentirà. Ma sappiamo che, come già sul Tav e sulla prescrizione, ha toccato una delle metastasi del cancro italiano: una classe dirigente che campa da sempre di soldi pubblici e di impunità; e la stampa al seguito, che più rivendica la sua libertà e più difende la sua servitù.
“Scusali, Silvio”, di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 16 novembre 2018

venerdì 1 marzo 2019

The making of Juan Guaidó – Il fantoccio creato in laboratorio per il colpo di Stato in Venezuela. - Dan Cohen e Max Blumenthal



Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il p​aese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».
Al contempo il Canada, numerose nazioni europee, Israele e il blocco dei governi latinoamericani di destra, conosciuti come il Gruppo di Lima, hanno riconosciuto Guaidó come il leader legittimo del Venezuela. Mentre Guaidó sembra essersi materializzato dal nulla, è in realtà il prodotto di oltre un decennio di coltivazione attenta da parte delle “fabbriche di cambio di regime” del governo degli Stati Uniti. Accanto a un gruppo di attivisti studenteschi di destra, Guaidó è stato coltivato per minare il governo socialista, destabilizzare il paese e un giorno prendere il potere. Sebbene sia stato una figura minore nella politica venezuelana, ha passato anni a dimostrare la sua “dignità” nelle sale del potere di Washington. «Juan Guaidó è un personaggio creato per questa circostanza», ha detto a “Grayzone” Marco Teruggi, sociologo argentino e tra i principali cronisti della politica venezuelana. «È la logica di laboratorio: Guaidó è come una miscela di diversi elementi che creano un personaggio che, in tutta onestà, oscilla tra il risibile e il preoccupante».
Diego Sequera, giornalista e scrittore venezuelano per l’agenzia investigativa “Mision Verdad”, concorda: «Guaidó è più popolare fuori dal Venezuela che dentro, specialmente nelle élite Ivy League e nei circoli di Washington. È un personaggio conosciuto lì, è prevedibilmente di destra ed è considerato fedele al programma». Mentre Guaidó è oggi venduto come il volto della restaurazione democratica, ha trascorso la sua carriera nella fazione più violenta del partito di opposizione più radicale del Venezuela, posizionandosi in prima linea in una campagna di destabilizzazione dopo l’altra. Il suo partito è stato ampiamente screditato in Venezuela, ed è ritenuto in parte responsabile della frammentazione di un’opposizione fortemente indebolita. «Questi leader radicali non hanno più del 20% nei sondaggi d’opinione», scrive Luis Vicente León, il principale sondaggista del Venezuela. Secondo Leon, il partito di Guaidó rimane isolato perché la maggioranza della popolazione non vuole la guerra: «Quello che vogliono è una soluzione».
Ma questo è precisamente il motivo per cui Guaidó è stato scelto da Washington: non è previsto che guidi il Venezuela verso la democrazia, ma che faccia collassare un paese che negli ultimi due decenni è stato un baluardo di resistenza all’egemonia degli Stati Uniti. La sua improbabile ascesa segna il culmine di un progetto durato due decenni per distruggere un solido esperimento socialista. Dall’elezione del 1998 di Hugo Chavez, gli Stati Uniti hanno combattuto per ripristinare il controllo sul Venezuela e le sue vaste riserve petrolifere. I programmi socialisti di Chavez hanno in parte ridistribuito la ricchezza del paese e aiutato a sollevare milioni dalla povertà, ma gli hanno anche dipinto un bersaglio sulle spalle. Nel 2002, l’opposizione di destra venezuelana lo depose con un colpo di Stato che aveva il sostegno e il riconoscimento degli Stati Uniti, ma l’esercito ripristinò la sua presidenza dopo una mobilitazione popolare di massa. Durante le amministrazioni dei presidenti degli Stati Uniti George W. Bush e Barack Obama, Chavez è sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio, prima di soccombere al cancro nel 2013. Il suo successore, Nicolás Maduro, è sopravvissuto a tre attentati.
L’amministrazione Trump ha immediatamente elevato il Venezuela al vertice della lista dei cambi di regime di Washington, dandogli il marchio di leader di una “troika della tirannia”. L’anno scorso, la squadra di sicurezza nazionale di Trump ha cercato di reclutare membri dell’esercito venezuelano per instaurare una giunta militare, ma questo sforzo è fallito. Secondo il governo venezuelano, gli Stati Uniti erano anche coinvolti in una trama chiamata “Operazione Costituzione” per catturare Maduro nel palazzo presidenziale di Miraflores, e un’altra chiamata “Operazione Armageddon” per assassinarlo a una parata militare nel luglio 2017. Poco più di un anno dopo, i leader dell’opposizione esiliata hanno cercato di uccidere Maduro, usando droni-bomba durante una parata militare a Caracas. Più di un decennio prima di questi intrighi, un gruppo di studenti dell’opposizione di destra fu selezionato e curato da un’accademia di formazione d’élite per il cambio di regimi, finanziata dagli Stati Uniti per rovesciare il governo venezuelano e ripristinare l’ordine neoliberista.
Il 5 ottobre 2005, con la popolarità di Chavez al suo apice e il suo governo che pianifica vasti programmi socialisti, cinque “leader studenteschi” venezuelani arrivarono a Belgrado, in Serbia, per iniziare l’addestramento per un’insurrezione. Gli studenti erano arrivati ​​dal Venezuela per gentile concessione del Centro per le azioni e strategie nonviolente applicate, o Canvas. Questo gruppo è finanziato in gran parte attraverso il National Endowment for Democracy, un cut-out della Cia che funziona come il braccio principale del governo degli Stati Uniti per promuovere i cambi di regime, e propaggini come l’International Republican Institute e il National Democratic Institute for International Affairs. Secondo le e-mail interne trapelate da Stratfor, una società di intelligence nota come “la Cia-ombra”, «Canvas potrebbe aver ricevuto finanziamenti e addestramento dalla Cia durante la lotta anti-Milosevic del 1999-2000».
Canvas è uno spin-off di Otpor, un gruppo di protesta serbo fondato da Srdja Popovic nel 1998 all’Università di Belgrado. Otpor, che significa “resistenza” in serbo, è stato il gruppo studentesco che ha guadagnato fama internazionale – e la pubblicità di Hollywood – mobilitando le proteste che alla fine hanno fatto cadere Slobodan Milosevic. Questa piccola cellula di specialisti del cambio di regime operava secondo le teorie del defunto Gene Sharp, “il Von Clausewitz della lotta non violenta”. Sharp aveva lavorato con un ex analista della Defense Intelligence Agency, il colonnello Robert Helvey, per ideare le linee guida per l’utilizzo della protesta come una forma di guerra ibrida, mirata agli Stati che resistevano alla dominazione unipolare di Washington. Otpor è stato sostenuto dal National Endowment for Democracy, dall’Usaid e dall’Istituto Albert Einstein di Sharp. Sinisa Sikman, uno dei creatori di Otpor, una volta ha detto che il gruppo ha persino ricevuto finanziamenti diretti della Cia.
Secondo un’e-mail trapelata dallo staff di Stratfor, dopo aver eliminato Milosevic dal potere, «i ragazzi che gestivano Otpor sono cresciuti, si sono vestiti bene e hanno progettato Canvas, o in altre parole un gruppo “export-a-revolution” che ha gettato i semi delle varie altre “rivoluzioni colorate”. Sono ancora legati ai finanziamenti degli Stati Uniti e fondamentalmente vanno in giro per il mondo cercando di rovesciare dittatori e governi autocratici (quelli che agli Usa non piacciono)». Stratfor ha rivelato che Canvas «ha rivolto la sua attenzione al Venezuela» nel 2005, dopo aver addestrato i movimenti di opposizione che hanno portato le operazioni di cambio di regime pro-Nato in tutta l’Europa orientale. Mentre monitorava il programma di formazione Canvas, Stratfor ha delineato il suo programma insurrezionalista in un linguaggio straordinariamente chiaro: «Il successo non è affatto garantito, e i movimenti studenteschi sono solo l’inizio di quello che potrebbe essere uno sforzo di anni per innescare una rivoluzione in Venezuela, ma i formatori sono le persone che si sono fatte le ossa col “Macellaio dei Balcani”. Hanno delle abilità pazzesche. Quando vedrete studenti in cinque università venezuelane tenere dimostrazioni simultanee, saprete che la formazione è finita e il vero lavoro è iniziato».
Il “vero lavoro” è iniziato due anni dopo, nel 2007, quando Guaidó si è laureato presso l’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas. Si è trasferito a Washington per iscriversi al corso di governance e gestione politica presso la George Washington University sotto la guida dell’economista venezuelano Luis Enrique Berrizbeitia, uno dei principali economisti neoliberali latinoamericani. Berrizbeitia è un ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, che ha trascorso oltre un decennio lavorando nel settore energetico venezuelano sotto il vecchio regime oligarchico poi estromesso da Chavez. Quell’anno, Guaidó contribuì a guidare i raduni anti-governativi dopo che il governo venezuelano rifiutò di rinnovare la licenza di “Radio Caracas Televisión” (Rctv). Questa stazione privata svolse un ruolo di primo piano nel colpo di Stato del 2002 contro Hugo Chavez. “Rctv” aiutò a mobilitare i manifestanti anti-governativi, diffondendo informazioni false che incolpavano i sostenitori del governo di atti di violenza, compiuti in realtà dai membri dell’opposizione, e censurò tutte le dichiarazioni pro-governative in occasione del colpo di Stato.
Il ruolo di “Rctv” e di altre stazioni di proprietà degli oligarchi nel guidare il fallito tentativo di colpo di Stato è stato ben descritto nell’acclamato documentario “La rivoluzione non sarà trasmessa”. Nello stesso anno, gli studenti rivendicarono il merito di aver soffocato il referendum costituzionale di Chavez per “un socialismo del XXI secolo” che prometteva di «impostare il quadro legale per la riorganizzazione politica e sociale del paese, dando un potere diretto alle comunità organizzate come prerequisito per lo sviluppo di un nuovo sistema economico». Dalle proteste su “Rctv” e referendum, nacque un gruppo specializzato di attivisti del cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti. Si sono definiti “Generation 2007”. I formatori di Stratfor e Canvas di questa cellula hanno identificato un organizzatore chiamato Yon Goicoechea, alleato di Guaidó – quale “fattore chiave” nel soffocamento del referendum costituzionale. L’anno seguente, Goicochea fu ricompensato per i suoi sforzi con il Milton Friedman Prize for Advancing Liberty del Cato Institute, insieme a un premio di 500.000 dollari, che investì prontamente nella costruzione della sua rete politica “Prima la Libertà” (Primero Justicia).
Friedman, naturalmente, era il padrino del famigerato think-tank neoliberista dei Chicago Boys che fu importato in Cile dal leader della giunta dittatoriale Augusto Pinochet per attuare politiche di radicale austerità fiscale in stile “shock-doctrine”. E il Cato Institute è il think-tank neoliberista di Washington, fondato dai fratelli Koch, due grandi donatori del partito repubblicano che sono diventati aggressivi sostenitori della destra in tutta l’America Latina. WikiLeaks ha pubblicato un’e-mail del 2007 che l’ambasciatore americano in Venezuela William Brownfield ha inviato al Dipartimento di Stato, al Consiglio di sicurezza nazionale e al Comando meridionale del Dipartimento della difesa elogiando «la Generazione del ‘07» per aver «costretto il presidente venezuelano, abituato a fissare l’agenda politica, a reagire spropositatamente». Tra i «leader emergenti» identificati da Brownfield c’erano Freddy Guevara e Yon Goicoechea. Ha applaudito quest’ultima figura come «uno dei difensori più articolati delle libertà civili». Riempiti di denaro dagli oligarchi neoliberali, i quadri radicali venezuelani hanno portato le loro tattiche Otpor nelle strade, insieme a una loro particolare versione del logo del gruppo.
Nel 2009, gli attivisti giovanili di “Generation 2007” hanno messo in scena la loro dimostrazione più provocatoria, calandosi i pantaloni nelle strade e scimmiottando le “scandalose” tattiche di “guerrilla” delineate da Gene Sharp nei suoi manuali sul cambio di regime. I manifestanti si erano mobilitati contro l’arresto di un alleato di un altro gruppo giovanile, chiamato Javu. Questo gruppo di estrema destra «raccolse fondi da una varietà di fonti governative degli Stati Uniti, che gli permisero di acquisire rapida notorietà come l’ala più dura dei movimenti di opposizione», secondo il libro dell’accademico George Ciccariello-Maher, “Building the Commune”. Mentre i video della protesta non sono disponibili, molti venezuelani hanno identificato Guaidó come uno dei suoi partecipanti chiave. Sebbene l’accusa non sia confermata, è certamente plausibile; i manifestanti con le natiche nude erano membri del nucleo interno di “Generazione 2007” a cui apparteneva Guaidó e indossavano le T-shirt col loro marchio di fabbrica “Resistencia!”.
Quell’anno, Guaidó si espose al pubblico in un altro modo, fondando un partito politico per catturare l’energia anti-Chavez che la sua “Generazione 2007” aveva coltivato. Il partito, chiamato “Volontà popolare”, fu guidato da Leopoldo López, un purosangue di destra educato a Princeton, pesantemente coinvolto nei programmi del National Endowment for Democracy ed eletto sindaco di un distretto di Caracas tra i più ricchi del paese. Lopez era un ritratto dell’aristocrazia venezuelana, direttamente discendente dal primo presidente del suo paese. È anche cugino di Thor Halvorssen, fondatore della Human Rights Foundation, con sede negli Stati Uniti, che funge da facciata pubblicitaria per gli attivisti anti-governativi sostenuti dagli Stati Uniti in paesi presi di mira da Washington. Sebbene gli interessi di Lopez fossero allineati perfettamente con quelli di Washington, i documenti diplomatici statunitensi pubblicati da WikiLeaks mettevano in luce le tendenze fanatiche che avrebbero portato alla marginalizzazione dal consenso popolare.
Un comunicato identificava Lopez come «una figura di divisione all’interno dell’opposizione, spesso descritta come arrogante, vendicativa e assetata di potere». Altri hanno evidenziato la sua ossessione per gli scontri e il suo «approccio intransigente» come fonte di tensione con altri leader dell’opposizione, che davano priorità all’unità e alla partecipazione alle istituzioni democratiche del paese. Nel 2010 “Volontà Popolare” e i suoi sostenitori stranieri si sono mossi per sfruttare la peggiore siccità che avesse colpito il Venezuela, da decenni. La grande carenza di energia elettrica aveva colpito il paese a causa della scarsità d’acqua, necessaria per alimentare le centrali idroelettriche. La recessione economica globale e un calo dei prezzi del petrolio aggravarono la crisi, provocando il malcontento pubblico. Stratfor e Canvas – i principali consiglieri di Guaidó e dei suoi quadri anti-governativi – escogitarono un piano scandalosamente cinico per pugnalare al cuore la rivoluzione bolivariana. Il piano prevedeva un crollo del 70% del sistema elettrico del paese già nell’aprile 2010.
«Questo potrebbe essere l’evento spartiacque, poiché c’è poco che Chavez possa fare per proteggere i poveri dal fallimento di quel sistema», dichiara il memorandum interno di Stratfor. «Questo avrà probabilmente l’effetto di galvanizzare i disordini pubblici in un modo che nessun gruppo di opposizione potrebbe mai sperare di generare. A quel punto, un gruppo di opposizione potrebbe servirsene per approfittare della situazione e scagliare l’opinione pubblica contro Chavez». In quel momento l’opposizione venezuelana riceveva 40-50 milioni di dollari l’anno da organizzazioni governative statunitensi come Usaid e National Endowment for Democracy, secondo un rapporto di un think-tank spagnolo, l’Istituto Frude. Aveva anche una grande ricchezza da attingere dai suoi conti, che erano per lo più al di fuori del paese. Ma lo scenario immaginato da Statfor non si realizzò, gli attivisti del partito “Volontà Popolare” e i loro alleati misero quindi da parte ogni pretesa di non violenza e si unirono in un piano radicale di destabilizzazione del paese.
Nel novembre 2010, secondo le e-mail ottenute dai servizi di sicurezza venezuelani e presentate dall’ex ministro della giustizia Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea e diversi altri attivisti studenteschi hanno partecipato ad un corso di formazione segreto di cinque giorni presso l’hotel Fiesta Mexicana di Città del Messico. Le sessioni sono state condotte da Otpor, i formatori del cambio regime a Belgrado appoggiati dal governo degli Stati Uniti. Secondo quanto riferito, l’incontro aveva ricevuto la benedizione di Otto Reich, un esiliato cubano fanaticamente anticastrista che lavorava nel Dipartimento di Stato di George W. Bush, e dall’ex presidente colombiano di destra Alvaro Uribe. All’hotel Fiesta Mexicana, Guaidó e i suoi compagni attivisti hanno ordito un piano per rovesciare Hugo Chavez generando il caos attraverso spasmi prolungati di violenza di strada.
Tre personaggi dell’industria petrolifera – Gustavo Tovar, Eligio Cedeño e Pedro Burelli – hanno a quanto pare pagato il conto di 52.000 dollari dell’albergo. Torrar è un autoproclamato “attivista per i diritti umani” e “intellettuale”, il cui fratello minore Reynaldo Tovar Arroyo è il rappresentante in Venezuela della società petrolifera messicana privata Petroquimica del Golfo, che ha un contratto con lo Stato venezuelano. Cedeño, da parte sua, è un fuggitivo uomo d’affari venezuelano che ha chiesto asilo negli Stati Uniti, e Pedro Burelli un ex dirigente della Jp Morgan ed ex direttore della compagnia petrolifera nazionale venezuelana Petroleum of Venezuela (Pdvsa). Lasciò la Pdvsa nel 1998 mentre Hugo Chavez prendeva il potere, e faceva parte del comitato consultivo del programma di leadership in America Latina della Georgetown University. Burelli ha insistito sul fatto che le e-mail che dettagliavano la sua partecipazione erano state inventate, e ha persino assunto un investigatore privato per dimostrarlo. L’investigatore dichiarò che i registri di Google mostravano che le e-mail che si presumeva fossero sue non vennero mai trasmesse.
Eppure oggi Burelli non fa mistero del suo desiderio di vedere deposto l’attuale presidente venezuelano, Nicolás Maduro, e anche di volerlo «trascinato per le strade e sodomizzato con una baionetta», come accaduto al capo libico Muhammar Gheddafi, così trattato dai miliziani sostenuti dalla Nato. La presunta trama di Fiesta Mexicana è confluita in un altro piano di destabilizzazione, rivelato in una serie di documenti mostrati dal governo venezuelano. Nel maggio 2014, Caracas ha rilasciato documenti che descrivono un complotto di omicidio contro il presidente Nicolás Maduro. Le fughe di notizie hanno identificato Maria Corina Machado, con sede a Miami, come leader del piano. Estremista con un debole per la retorica estrema, Machado ha funto da collegamento internazionale per l’opposizione, incontrando addirittura il presidente George W. Bush nel 2005. «Penso che sia tempo di raccogliere gli sforzi; fai le chiamate necessarie e ottieni finanziamenti per annientare Maduro e il resto andrà in pezzi», ha scritto Maria Corina Machado in una e-mail all’ex diplomatico venezuelano Diego Arria nel 2014.
In un’altra email, la Machado sosteneva che la trama violenta aveva la benedizione dell’ambasciatore statunitense in Colombia, Kevin Whitaker. «Ho già deciso, e questa lotta continuerà fino a quando questo regime non sarà rovesciato e consegneremo il risultato ai nostri amici nel mondo. Se sono andata a San Cristobal e mi sono esposta all’Oas, non ho paura di nulla. Kevin Whitaker ha già riconfermato il suo sostegno e ha sottolineato i nuovi passaggi. Abbiamo un libretto degli assegni più forte di quello del regime per rompere l’anello di sicurezza internazionale». Nel febbraio 2014, i manifestanti studenteschi che agivano come truppe d’assalto per l’oligarchia in esilio eressero barricate in tutto il paese, trasformando quartieri controllati dall’opposizione in fortezze violente, note come “guarimbas”. Mentre i media internazionali ritraevano lo sconvolgimento come una protesta spontanea contro la regola del pugno di ferro di Maduro, ci sono molte prove che fosse “Volontà Popolare” ad orchestrare lo spettacolo.
«I manifestanti delle università non indossavano le loro magliette, tutti indossavano magliette di “Volontà Popolare” o “Justice First”», ha detto un partecipante alla “guarimba”, all’epoca. «Potrebbero essere stati gruppi di studenti, ma i consigli studenteschi sono affiliati ai partiti politici di opposizione e sono responsabili nei loro confronti». Alla domanda su chi fossero i capobanda, il partecipante alla “guarimba” ha dichiarato: «Beh, ad essere onesti, quei ragazzi ora sono in Parlamento». Circa 43 sono stati i morti durante le “guarimbas” del 2014. Le stesse violenze eruttarono di nuovo tre anni dopo, causando grandi distruzioni di infrastrutture pubbliche, l’assassinio di sostenitori del governo e la morte di 126 persone, molte delle quali erano chaviste. In diversi casi, i sostenitori del governo sono stati bruciati vivi da bande armate. Guaidó è stato direttamente coinvolto nelle “guarimbas” del 2014. Infatti, ha twittato un video in cui si mostrava vestito con un elmetto e una maschera antigas, circondato da elementi mascherati e armati che avevano bloccato un’autostrada e che si stavano impegnando in uno scontro violento con la polizia. Alludendo alla sua partecipazione alla “Generazione 2007”, proclamava: «Ricordo che nel 2007, abbiamo proclamato, “Studenti!”. Ora gridiamo: “Resistenza! Resistenza”».  Guaidó ha poi cancellato il tweet, dimostrando un’apparente preoccupazione per la sua immagine di paladino della democrazia.
Il 12 febbraio 2014, durante il culmine delle “guarimbas” di quell’anno, Guaidó si è unito a Lopez sul palco di una manifestazione di “Volontà Popolare” e “Prima la Giustizia”. Con un lungo discorso contro il governo, Lopez esortò la folla a marciare verso l’ufficio del procuratore generale Luisa Ortega Diaz. Poco dopo, l’ufficio di Diaz venne attaccato da bande armate che tentarono di bruciarlo. La Diaz ha definito l’episodio come «violenza programmata e premeditata». In un’apparizione televisiva del 2016, Guaidó ha liquidato come “mito” le morti risultanti da “guayas” – una tattica di “guarimba” che consiste nel piazzare filo spinato su una strada ad altezza della testa per ferire o uccidere motociclisti. I suoi commenti hanno minimizzato una tattica micidiale che aveva ucciso civili disarmati come Santiago Pedroza e decapitato un uomo di nome Elvis Durán, tra molti altri. Questo insensibile disprezzo per la vita umana definisce “Volontà Popolare” agli occhi di gran parte del pubblico, compresi molti avversari di Maduro.
Con l’intensificarsi della violenza e della polarizzazione politica in tutto il paese, il governo ha iniziato ad agire contro i leader di “Volontà Popolare”. Freddy Guevara, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e secondo in comando di “Volontà Popolare”, è stato il principale leader delle rivolte di strada del 2017. Di fronte a un processo per il suo ruolo nelle violenze, Guevara si è rifugiato nell’ambasciata cilena, dove rimane. Lester Toledo, un legislatore di “Volontà Popolare” dello Stato di Zulia, è stato ricercato dal governo venezuelano nel settembre 2016 con l’accusa di finanziamento del terrorismo e di complotto a fini di omicidio. Si dice che i piani siano stati preparati insieme all’ex presidente colombiano Álavaro Uribe. Toledo è fuggito dal Venezuela e ha fatto diverse tournée con Human Rights Watch, la Freedom House, il Congresso spagnolo e il Parlamento Europeo, sostenuto dal governo degli Stati Uniti.
Carlos Graffe è un altro membro della “Generazione 2007” addestrata da Otpor, che ha guidato Volontà Popolare. E’ stato arrestato nel luglio 2017. Secondo la polizia, era in possesso di una borsa piena di chiodi, esplosivo C4 e un detonatore. È stato rilasciato il 27 dicembre 2017. Leopoldo Lopez, il leader di lunga data di “Volontà Popolare”, è oggi agli arresti domiciliari, accusato di aver avuto un ruolo chiave nella morte di 13 persone durante le “guarimbas” nel 2014. Amnesty International ha elogiato Lopez come «prigioniero di coscienza». Nel frattempo, i familiari delle vittime di “guarimba” hanno presentato una petizione per ulteriori accuse contro Lopez. Goicoechea, il poster-boy dei fratelli Koch e fondatore di “Prima la Giustizia”, sostenuto dagli Stati Uniti, è stato arrestato nel 2016 dalle forze di sicurezza, che hanno affermato di aver trovato un chilo di esplosivo nel suo veicolo. In un editoriale del “New York Times”, Goicoechea ha protestato contro le accuse (che definisce false) e ha affermato di essere stato imprigionato semplicemente per il suo «sogno di una società democratica, libera dal comunismo». È stato liberato nel novembre 2017.
David Smolansky, anche lui membro dell’originale “Generation 2007” di Otpor, è diventato il più giovane sindaco venezuelano quando è stato eletto nel 2013 nel ricco sobborgo di El Hatillo. Ma è stato spogliato della sua posizione e condannato a 15 mesi di prigione dalla Corte Suprema dopo essere stato trovato colpevole di aver fomentato le violenze delle “guarimbas”. Prima dell’arresto, Smolansky si rasò la barba, indossò occhiali da sole e scivolò in Brasile travestito da prete con una Bibbia in mano e il rosario al collo. Ora vive a Washington, dove è stato scelto dal segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani Luis Almagro per guidare il gruppo di lavoro sulla crisi dei migranti e dei rifugiati venezuelani. Lo scorso 26 luglio, Smolansky ha tenuto quella che ha definito una «riunione cordiale» con Elliot Abrams, il criminale condannato nel processo Iran-Contra, ora mandato da Trump come inviato speciale degli Stati Uniti in Venezuela. Abrams è noto per aver supervisionato la politica segreta degli Stati Uniti di armare gli squadroni della morte di destra durante gli anni ‘80 in Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Il suo ruolo principale nel colpo di Stato venezuelano ha alimentato i timori che un’altra guerra per procura potrebbe essere in arrivo. Quattro giorni prima, Machado aveva urlato un’altra violenta minaccia contro Maduro, dichiarando che «se vuole salvarsi la vita, dovrebbe capire che il suo tempo è scaduto».
Il collasso di “Volontà Popolare”, sotto il peso della violenta campagna di destabilizzazione che aveva avviato, ha alienato il consenso di ampi settori dell’opinione pubblica e ha costretto gran parte della sua leadership in esilio o in carcere. Guaidó è sempre rimasto una figura relativamente minore, ha infatti trascorso gran parte della sua carriera di nove anni all’Assemblea Nazionale come sostituto. Originario di uno degli Stati meno popolati del Venezuela, Guaidó arrivò secondo alle elezioni parlamentari del 2015, assicurandosi il posto in Assemblea con appena il 26% dei voti. In effetti, si può dire che il suo sedere fosse più conosciuto della sua faccia. Guaidó è noto come il presidente dell’Assemblea Nazionale, dominata dall’opposizione, ma non è mai stato eletto. I quattro partiti di opposizione che comprendevano il Tavolo di Unità Democratica dell’Assemblea avevano deciso di istituire una presidenza a rotazione. La svolta di “Volontà Popolare” era in arrivo, ma il suo fondatore, Lopez, era agli arresti domiciliari. Nel frattempo, il suo secondo incaricato, Guevara, si era rifugiato nell’ambasciata cilena. Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto occupare la presidenza dell’Assemblea, ma per ragioni che ora sono maggiormente chiare, gli fu preferito Juan Guaidò.
«C’è un ragionamento di classe che spiega l’ascesa di Guaidó», osserva Sequera, l’analista venezuelano. «Mejía è di classe alta, ha studiato in una delle università private più costose del Venezuela e non poteva essere facilmente venduto al pubblico come Guaidó. Guaidó ha caratteristiche meticce comuni alla maggior parte dei venezuelani, e sembra più un uomo della gente. Inoltre, non era stato sovraesposto nei media, quindi poteva essere presentato in praticamente qualsiasi salsa». Nel dicembre 2018, Guaidó si è recato a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare la preparazione di manifestazioni di massa durante l’inaugurazione della presidenza Maduro. La notte prima della cerimonia di giuramento di Maduro, sia il vicepresidente Mike Pence che il ministro degli esteri canadese Chrystia Freeland hanno chiamato Guaidó per confermare il loro sostegno. Una settimana dopo, il senatore Marco Rubio, il senatore Rick Scott e il rappresentante Mario Diaz-Balart – tutti i legislatori della base della destra della lobby di esilio cubano di destra – si sono uniti al presidente Trump e al vicepresidente Pence alla Casa Bianca. Su loro richiesta, Trump dichiarò che se Guaidó si fosse dichiarato presidente, lo avrebbe sostenuto.
Il segretario di Stato Mike Pompeo ha incontrato personalmente Guaidó il 10 gennaio, secondo il “Wall Street Journal”. Tuttavia, Pompeo non riusci a pronunciare correttamente il nome di Guaidó quando lo menzionò in una conferenza stampa il 25 gennaio, riferendosi a lui come a “Juan Guido”. L’11 gennaio, la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata modificata per 37 volte, mettendo in evidenza la lotta per modellare l’immagine di una figura precedentemente anonima che ora era un tableau per le ambizioni del cambio di regime di Washington. Alla fine, la supervisione editoriale della sua pagina è stata consegnata al consiglio d’élite dei “bibliotecari” di Wikipedia, che lo ha definito presidente «conteso» del Venezuela. Guaidó sarà anche una mezza figura, ma la sua combinazione di radicalismo e opportunismo soddisfa i bisogni di Washington. «Quel pezzo interno era mancante», ha detto di Guaidó un funzionario dell’amministrazione Trump. «Era il pezzo di cui avevamo bisogno perché la nostra strategia fosse coerente e completa». Brownfield, l’ex ambasciatore americano in Venezuela, ha dichiarato al “New York Times”: «Per la prima volta abbiamo un leader dell’opposizione che sta chiaramente segnalando alle forze armate e alle forze dell’ordine che vuole tenerle dalla parte degli angeli e dei bravi ragazzi».
Ma è stata “Volontà Popolare” di Guaidó a formare le truppe d’assalto delle “guarimbas” che hanno causato la morte di agenti di polizia e comuni cittadini. Si era persino vantato della propria partecipazione alle rivolte di strada. E ora, per conquistare i cuori e le menti dei militari e della polizia, Guaidò ha dovuto cancellare questa storia intrisa di sangue. Il 21 gennaio, un giorno prima che il colpo di Stato iniziasse sul serio, la moglie di Guaidó ha presentato un video che invitava i militari a insorgere contro Maduro. La sua esibizione è stata legnosa e poco accattivante, e sottolinea le limitate prospettive politiche del marito. In una conferenza stampa di fronte ai suoi sostenitori, quattro giorni dopo, Guaidó ha annunciato la sua soluzione alla crisi: «Autorizzare un intervento umanitario!». Mentre attende l’assistenza diretta, Guaidó rimane quello che è sempre stato – una marionetta, frutto del progetto di ciniche forze esterne. «Non importa se si brucerà dopo tutte queste disavventure», dice Sequera del fantoccio del colpo di Stato. «Per gli americani, è sacrificabile».
(Dan Cohen e Max Blumenthal, “The making of Juan Guaidó – Il fantoccio creato in laboratorio per il colpo di Stato in Venezuela”, da “Consortium News” del 29 gennaio 2019: reportage tradotto da Enrico Carotenuto per “Coscienze in Rete”. Max Blumenthal è un giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri, tra cui “Gomorra Repubblicana”, “Golia”, “La guerra dei cinquanta giorni” e “La gestione della ferocia”. Ha prodotto articoli per numerose pubblicazioni, molti video report e diversi documentari, tra cui “Killing Gaza”. Blumenthal ha fondato “The Grayzone” nel 2015 per puntare un faro giornalistico sullo stato di guerra perpetua dell’America e le sue pericolose ripercussioni domestiche. Dan Cohen è un giornalista e regista. Ha prodotto reportage video ampiamente distribuiti e materiale cartaceo da tutta Israele-Palestina. E’ un corrispondente di “Rt America”).
Fonte: www.libreidee.org
Link: http://www.libreidee.org/2019/03/scuola-di-golpe-e-nato-in-serbia-loscuro-progetto-guaido/

Lettera di un giovane economista ai critici del reddito di cittadinanza.



(L’autore di questo post è Gabriele Guzzi, laurea con lode in Economia alla Luiss e poi alla Bocconi. Ha lavorato per lavoce.info come fact-checker, è stato presidente di Rethinking Economics Bocconi e attualmente è dottorando presso l’Università Roma Tre.)

Il Reddito di Cittadinanza varato dal governo italiano sta raccogliendo diverse critiche nel nostro Paese. Da giovane economista di 25 anni, sento la necessità di rispondere a queste obiezioni, non con scopo polemico ma per aprire un dibattito ampio su questa tematica.
Tralasciando le questioni di implementazione tecnica, su cui il dibattito pubblico già sta ragionando ampiamente, vorrei infatti rispondere a due obiezioni di fondo a questo tipo di provvedimento, che credo possano essere comprese solo analizzando i lineamenti della cultura politica oggi dominante in Italia e in altri paesi avanzati.
I due punti possono essere semplificati in questa maniera: da una parte si argomenta che una misura di welfare che assicura un reddito minimo di 780 euro possa scoraggiare l’accettazione di tutti quei lavori a basso salario; dall’altra si sostiene che una larga fetta di italiani, i cosiddetti furbetti, riusciranno ad aggirare i requisiti minimi e ad accaparrarsi il reddito senza averne un reale diritto.
Cercherò ora di argomentare il motivo per cui entrambe le critiche mi sembrano comprensibili solo all’interno di una visione molto precisa del mondo, di una cultura cioè che fonda la società sulla disuguaglianza e sulla competizione al ribasso dei diritti e dei salari, il cosiddetto neoliberismo delle corporation, per come lo ha definito il sociologo Colin Crouch. Con tale impostazione vorrei argomentare che la maggior parte delle critiche non mi sembrano affatto interpretazioni neutre o oggettive del provvedimento, ma piuttosto implicazioni in termini di politica economica di una cultura pervasiva, ai più implicita ed inconscia, che giustifica lo stato di esclusione e di povertà di milioni di persone in nome di una tanto presunta, quanto mai realmente verificata, efficienza del mercato globale.
Iniziamo con la prima obiezione, che in breve accusa il reddito di cittadinanza di essere troppo elevato in rapporto ai salari medi percepiti oggi in Italia. Il punto che meglio fa capire come questa obiezione sia radicata su una visione iniqua dei rapporti economici, è che dinanzi a una misura che vuole offrire una compensazione di reddito a tutti quelli che vivono sotto la soglia di povertà, non ci si indigna per il fatto che il salario di milioni di lavoratori è inferiore o di poco superiore alla soglia minima di povertà, fatto quanto mai allarmante per un paese civile che si fonda sull’art.36 della Costituzione, o che in Italia più di 5 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. No, dinanzi a questa situazione ci si indigna perché una misura di welfare potrebbe spingere al rialzo la soglia dei lavori accettati dai nostri giovani in termini di dignità, di salari e di condizioni lavorative. Certo, il reddito di cittadinanza potrebbe disincentivare un ragazzo ad accettare un lavoro da 500 euro al mese per 40 ore alla settimana. Ma è proprio l’esistenza di un tale lavoro che dovrebbe quantomeno destare preoccupazione nella classe politica e intellettuale di un paese avanzato.
Infatti, che questi ultimi trenta anni siano stati l’epoca dell’erosione dei diritti, della stagnazione dei salari, del crollo della quota del reddito che va al lavoro, della perdita di potere contrattuale delle fasce più deboli della popolazione, e allo stesso tempo della crescita dei salari dei grandi manager, delle disuguaglianze di ricchezza e di salario, dell’abbassamento generalizzato delle tasse sui profitti e sui dividendi, non è un’opinione di uno sparuto gruppo di idealisti, ma le conclusioni a cui oramai giungono tutti, economisti eterodossi e ortodossi, proprio perché sono i dati che ci stanno urlando da anni lo stato allarmante in cui sopravvive il capitalismo internazionale, ossia in quel famoso squilibrio del potere democratico, per come lo definisce Anthony Atkinson, tutto a favore di un élite finanziariamente potente, e a scapito del restante 99% della popolazione.
Basta dare uno sguardo alla figura 3, qui in basso, tratta dal rapporto dell’Ilo e dell’Ocse in occasione del G20 del 2015, per vedere come l’Italia sia, all’interno del processo di disuguaglianza che caratterizza tutto l’Occidente, uno dei paesi in cui il crollo della quota del reddito che va ai lavoratori è stato più marcato. Questo processo di stagnazione dei salari, accompagnato alle più recenti politiche di contenimento della spesa pubblica e al crollo degli investimenti, ha causato che il numero dei poveri assoluti triplicasse in Italia in soli dieci anni.
Figura 3: La quota salari crolla nei paesi avanzati, e in Italia di più del 12% negli ultimi 40 anni
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Fonte: OCSE
La successiva figura, poi, evidenzia che i cosiddetti guadagni di produttività, tanto cari a una certa narrazione economica e poco presenti nel contesto italiano, non abbiano affatto portato a una crescita dei salari e siano stati invece esclusivamente accumulati come profitto dalle grandi aziende. Infatti mentre nei paesi avanzati il salario reale medio stagnava, la crescita della produttività continuava la sua salita, creando un gap iniquo tra il contributo effettivo apportato dai lavoratori e la loro retribuzione in termini reali. Senza considerare inoltre che questa discrasia reddituale non tiene in considerazione la crescita esponenziale dei salari dei manager delle grandi imprese. Se negli Usa, ad esempio, il rapporto tra il reddito degli amministratori delegati e quello medio era nel 1965 pari a 20 a uno, oggi questo rapporto ha superato i 300 a uno, come ha affermato l’Economic Policy Institute.
Figura 5: La crescita della produttività del lavoro non è accompagnata dalla crescita dei salari reali
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È insomma un intero capitalismo che tende a fondarsi sulla disuguaglianza dei redditi, sulla soppressione dei diritti e sul calo dei salari. E in Italia ciò è peggiorato da una situazione di crescita stagnante ultradecennale. Quello che forse dovremmo capire è che questa è una visione assolutamente miope dello sviluppo economico, che sebbene crei instabilità politica, depressione economica e frammentazione culturale, continua a dominare le politiche economiche dell’Unione Europea. Per questi motivi è politicamente suicida ed economicamente discutibile contrapporre al reddito di cittadinanza la storia che l’offerta di lavoro potrebbe risentirne.
Bisognerebbe invece lavorare ad un rialzo generale dei salari, guidato da investimenti produttivi in innovazione e spostando la frontiera produttiva italiana verso settori a maggiore valore aggiunto, e inoltre contribuire a indirizzare il conflitto distributivo europeo, ad oggi ancora fortemente dominato da una logica mercantilistica di stampo tedesco, verso una situazione più equa e maggiormente a favore del lavoro. Anche perché sappiamo, con la lezione di Keynes e Kalecki, che sono proprio le classi lavoratrici ad avere una maggiore propensione al consumo e che quindi una migliore distribuzione del reddito favorisce anche la crescita della domanda effettiva.
La seconda obiezione che vorrei affrontare riguarda invece la possibilità che alcuni furbetti si aggiudichino impropriamente il reddito di cittadinanza. Ribadito il principio per cui questi atteggiamenti vanno stigmatizzati e adeguatamente combattuti, con politiche di controllo che il provvedimento comunque mette in atto, mi piacerebbe, da normale cittadino, che questa attenzione mediatica fosse diretta non solo ai piccoli furbetti da qualche migliaia di euro all’anno, ma anche e soprattutto ai grandi evasori o a chi fa dell’elusione fiscale la politica aziendale fondamentale.
Mi sarebbe piaciuto, ad esempio, che i talk show avessero fatto inchieste giornalistiche anche sui 630 miliardi di euro di profitti che le imprese multinazionali hanno spostato nei paradisi fiscali nel solo 2015 per eludere il fisco di decine di paesi, causandogli una perdita in termini di gettito fiscale di circa 200 miliardi di euro all’anno – cifra che è stata stimata da una ricerca di Tørsløv, Wier, e Zucman dell’Università di Berkeley e di Copenaghen e riportata da Federico Fubini sul Corriere.
Mi sarebbe piaciuto cioè che questo giusto sdegno mediatico fosse rivolto soprattutto ai grandi furbetti del fisco, a quelli che solo dall’Italia spostano più di 23 miliardi di euro all’anno in paradisi fiscali facendo gravare sul resto dei cittadini e delle imprese il peso delle loro strategie di elusione. Mi sarebbe piaciuto che i servizi con telecamere nascoste, come sono stati giustamente fatti nei Caf di Palermo, fossero organizzati anche negli uffici legali delle grandi capitali europee dei paradisi fiscali, come l’Olanda, il Lussemburgo o l’Irlanda, che anche se contano solo il 6% della popolazione dell’Unione monetaria, rappresentano circa la metà dell’elusione fiscale internazionale della grandi multinazionali.
Dico questo non per uno sterile benaltrismo, ma perché la richiesta di giustizia può arrivare a prendere le forme di un grande inganno o di uno stigma per le fasce meno abbienti, se essa non è ugualmente, e direi anche più intensamente, destinata ai grandi poteri finanziari del capitalismo internazionale.
Inoltre, se fosse giusto criticare un provvedimento di welfare solo perché alcuni potrebbero appropriarsene indebitamente, allora dovremmo arrivare ad abolire anche le pensioni di invalidità, l’esenzione del ticket per i redditi bassi, il bonus sulle bollette, e tutte le altre misure dirette e indirette di supporto al reddito. Altrimenti, se riteniamo che il welfare abbia ancora un significato politico da difendere, in questo mondo sempre più iniquo, dovremmo adoperarci affinché sia maggiormente inclusivo ed efficace, perseguendo ovviamente i vari e dannosi casi di infrazione.
Da giovane economista, in conclusione, mi piacerebbe che il mio Paese si unisse una volta tanto con il solo obiettivo di contribuire alla crescita morale ed economica dell’Italia, mettendo da parte le fazioni e i campanilismi politici. Abbiamo un Paese che è in un profondo stato di crisi da più di vent’anni, e che necessita di una grande politica di rilancio. Il Reddito di Cittadinanza è, come ogni altra cosa al mondo, potenzialmente sempre migliorabile, ma il principio a cui si ispira mi sembra vada nella giusta direzione di una maggiore equità e coesione sociale. Elementi di cui abbiamo estremamente bisogno in quest’epoca così complicata.

Genova, analisi gratis e veloci per amici e parenti: procura indaga 2300 persone.

Genova, analisi gratis e veloci per amici e parenti: procura indaga 2300 persone

I fatti, secondo quanto ricostruito dalla procura di Genova, sono accaduti all'ospedale San Martino tra il 2015 e il 2016. Le accuse sono, a vario titolo, di falso, truffa ai danni dello Stato e accesso abusivo al sistema informatico.

Facevano fare ad amici e parenti analisi di laboratorio gratis, evitando quindi il ticket, e veloci, saltando le lunghe code delle prenotazioni. Per questo 2300 persone sono indagate a vario titolo per falsotruffa ai danni dello Stato e accesso abusivo al sistema informatico, dalla procura di Genova. I fatti, secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Nas, sono accaduti all’ospedale San Martino tra il 2015 e il 2016 e coinvolgono almeno 600 dipendenti.
Il sistema scoperto dagli investigatori era semplice. Per evitare attese e ticket il paziente veniva fatto risultare ricoverato: forzando il sistema elettronico il dipendente registrava i dati della persona. Tra coloro che hanno usufruito dei “favori” anche alcune suore. Gli importi da pagare erano spesso anche minimi: le forze dell’ordine hanno contestato somme da 6, 15 o 36 euro.

A far partire l’indagine alcuni esposti, presentati in procura tre anni fa. Già nel 2017 la Corte dei conti era intervenuta, condannando a un risarcimento di quasi 96mila euro 37 ex dipendenti del laboratorio analisi. Tra loro anche il direttore, Michele Mussap.

Registrati strani segnali da stelle con “megastrutture aliene”.

Universe

Un gruppo di scienziati dell'Università della California a Berkeley ha condotto una ricerca di technomarker sulla stella KIC 8462852. Si sospetta che intorno a questa stella, insolita per i suoi cambiamenti aperiodici di luminosità, orbitino mega-strutture aliene. Gli astronomi hanno registrato segnali anomali, descritti in un articolo su arXiv.
I ricercatori hanno studiato 177 spettri ad alta risoluzione della stella Tabbi, ottenuti utilizzando il telescopio Automated Planet Finder presso Lick Observatory (USA) e coprendo la gamma di lunghezze d'onda da 374 a 970 nanometri. Hanno cercato tracce di radiazioni laser con una potenza di oltre 24 megawatt, che è il limite inferiore della sensibilità del dispositivo, tenendo conto dei 1470 anni luce di distanza dell'oggetto. L'algoritmo sviluppato per questo ha analizzato ogni spettro pixel per pixel al fine di trovare linee di emissione difficili da distinguere che potrebbero sorgere a causa dei laser.
In totale, gli scienziati hanno identificato 58 segnali candidati che potrebbero derivare dalle attività di civiltà aliene. In un'ulteriore analisi, i ricercatori hanno verificato se questi segnali hanno una spiegazione diversa, incluso il contatto con i rivelatori di raggi cosmici del telescopio, la propria luce nell'atmosfera e oscillazioni casuali nello spettro stellare. È risultato che tutte le linee spettrali anomale erano molto probabilmente dovute a cause naturali e non a causa di laser.
Secondo gli scienziati, nonostante il risultato negativo, il loro lavoro getta le basi per un'ulteriore ricerca di technomarker alieni associate alla tecnologia laser. Per aumentare la probabilità di scoprire civiltà aliene, si dovrebbero analizzare spettri di stelle di vario tipo, comprese quelle che assomigliano al Sole.
La stella di Tabby è conosciuta per i cambiamenti di luminosità dal 2015. La luminosità della stella calava del 22 percento a intervalli diversi. Alcuni scienziati hanno suggerito che la ragione di ciò potrebbe essere una gigantesca struttura astronomica costruita da una civiltà extraterrestre, ad esempio una sfera di Dyson. Tuttavia, al momento, gli astronomi sono inclini a credere che il comportamento anormale della stella sia spiegato da una nuvola di polvere o altri corpi celesti di origine naturale.

Scoperto nelle ossa un nuovo 'motore' della crescita.

Tessuto ossero (fonte: University of Rochester) © Ansa
Tessuto ossero (fonte: University of Rochester)

Composto da staminali, apre a nuove terapie.


Identificato un nuovo 'motore' che alimenta l'allungamento delle ossa: scoperto nei topi, è fatto di staminali e garantisce un continuo rinnovo delle cellule progenitrici del tessuto, proprio come accade nel sangue e nella pelle. Se la sua esistenza venisse confermata anche nell'uomo, potrebbe spiegare fenomeni enigmatici, come la crescita smisurata di alcune persone portatrici di specifiche mutazioni genetiche, ma soprattutto potrebbe aprire la strada a nuove terapie per i bambini con disturbi della crescita.
Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Nature dal gruppo internazionale coordinato dal Karolinska Institutet in Svezia. I suoi risultati potrebbero cambiare radicalmente la comprensione del meccanismo di crescita delle ossa lunghe come femore e tibia. Questo processo avviene in due aree, chiamate 'fisi di accrescimento', che sono vicine all'estremità dell'osso: al loro interno ci sono cellule cartilaginee (condrociti), derivanti da cellule progenitrici simili a staminali, che hanno il compito di formare una sorta di impalcatura di supporto alla crescita di nuovo tessuto osseo.
Finora si pensava che il numero di cellule progenitrici formate durante lo sviluppo embrionale fosse finito e che il loro esaurimento determinasse l'interruzione del processo di crescita. I ricercatori svedesi, invece, hanno dimostrato che nelle fasi di accrescimento si conservano anche dopo la nascita delle 'nicchie' in cui le cellule progenitrici simili a staminali possono continuamente rigenerarsi: quando questo micro-ambiente viene distrutto o danneggiato si determina un impoverimento di cellule progenitrici con ripercussioni negative sull'osso.
http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2019/02/27/scoperto-nelle-ossa-un-nuovo-motore-della-crescita-_314d368d-be0a-4f83-9adc-184534d3e295.html