sabato 23 marzo 2019

Banca Etruria, Cassazione conferma le multe a Boschi, Nataloni e Orlandi.

Banca Etruria, Cassazione conferma le multe a Boschi, Nataloni e Orlandi

Sono stati sanzionati da Bankitalia per "quattro distinti tipi di violazione": quelle inerenti le regole della governance, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, carenze nella gestione e nel controllo del credito, omesse e inesatte segnalazioni all’autorità di vigilanza.

La Cassazione ha confermato le multe inflitte da Bankitalia a Luciano Nataloni (156mila euro), Pier Luigi Boschi (144mila euro) e Andrea Orlandi (144mila euro), ex componenti del consiglio di amministrazione di Banca Etruria fallita e commissariata nel febbraio 2015. Per i supremi giudici è ben motivato il decreto della Corte di Appello di Roma che nel 2016 aveva contestato ai tre consiglieri, tra cui il padre della ex ministraMaria Elena Boschi, “quattro distinti tipi di violazione”: quelle inerenti le regole della governance, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, carenze nella gestione e nel controllo del credito, omesse e inesatte segnalazioni all’autorità di vigilanza.
Senza successo, la difesa di Nataloni, Boschi e Orlandi ha cercato di scaricare tutte le responsabilità sull’ex presidente della banca Giuseppe Fornasari dicendo che “non si adoperava efficacemente per favorire la dialettica interna e l’adeguata circolazione di informazioni”. Per la Cassazione toccava a loro pretendere tutte le informazioni nel rispetto del dovere di “agire informati”.
Boschi è stato indagato per vari reati in oltre 10 fascicoli. Ha visto archiviare la propria posizione per il falso in prospetto e l’accesso abusivo al credito. Fornasari è stato assolto dall’accusa di ostacolo alla Vigilanza “perché il fatto non sussiste”.

Formazione, milioni di euro per progetti inutili: condannati Crocetta, Bonafede e Corsello. - Antonio Fraschilla

Formazione, milioni di euro per progetti inutili: condannati Crocetta, Bonafede e Corsello

I giudici della Corte dei conti accolgono in parte le richiesta della procura sul progetto Spartacus: poteva costare un terzo e molte attività non sono state svolte. Condanna all'ex governatore, l'ex assessore al Lavoro e all'ex dirigente del dipartimento per 2,1 milioni di euro.

La Corte dei conti ha condannato a un risarcimento da 2,1 milioni di euro, circa 700 mila euro a testa, l'ex governatore Rosario Crocetta, l'ex assessore al Lavoro Esterina Bonafede e l'ex dirigente del dipartimento Anna Rosa Corsello. Nel mirino della sentenza dei giudici contabili il progetto Spartacus, costato 35 milioni e affidato senza gara al Ciapi di Palermo: un progetto di formazione per gli ex 1.800 sportellisti che, secondo la Corte dei conti, poteva costare appena un terzo. Il danno è confermato come chiesto dalla procura, pari a 35 milioni di euro, ma il risarcimento inflitto è minore per una serie di attenuanti.

La procura regionale della Corte dei conti aveva citato in giudizio per danno all'erario  tutto l'ex giunta regionale guidata da Rosario Crocetta e gli assessori Ester Bonafede, Nino Bartolotta, Luca Bianchi, Lucia Borsellino, Dario Cartabellotta, Mariella Lo Bello, Nicolò Marino, Nelli Scilabra, Michela Stancheris, Patrizia Valenti e Linda Vancheri, l'ex dirigente del Lavoro Anna Rosa Corsello e gli ex dirigenti del Ciapi. Tutti accusati di aver dissipato 35 milioni di euro di fondi europei e statali che avrebbero dovuto essere utilizzati per retribuire l'attività di formazione e di politiche attive del lavoro espletata, per otto mesi, da circa 1.800 ex sportellisti a favore di novemila cassintegrati. Lo scandalo Ciapi per il progetto Spartacus scoppiò nel 2014. In base alle indagini della Guardia di finanza scattate dopo un esposto di alcuni ex sportellisti, si appurò che pressoché nessuna attività lavorativa era stata fatta e che, invece di operare in uffici del dipartimento Lavoro, gli ex sportellisti erano stati assegnati ad alcune scuole e ad altri rami dell'amministrazione ma sempre per restare sostanzialmente inattivi, almeno secondo quanto dichiarato da alcuni capi di istituto.

I giudici alla fine hanno assolto il resto della giunta e ridotto, di molto, la condanna chiesta dalla procura. Si legge nella sentenza: " 
Innegabilmente, infatti, il governo Crocetta ha ereditato le mai risolte problematiche legate alla complessa situazione regionale che ogni amministrazione si è trovata, di volta in volta, ad affrontare, in modo sempre più complesso, ad ogni legislatura. Le pressioni delle parti sociali, soprattutto in un tema così delicato come quello dell’occupazione, relegano, innegabilmente, i politici e gli organi amministrativi, in angusti spazi di azione entro i quali è oggettivamente difficile potersi districare, tali e tante sono le pressioni che gli stessi spesso si trovano a subire. Dette problematiche emergono palesemente nel caso in esame ove i dipendenti degli ex sportelli multifunzionali lamentavano a viva voce la loro precaria situazione da anni; proprio loro che, alla fine, sembrano essere i soggetti che hanno beneficiato delle già censurate scelte poste in essere dall’Amministrazione. Questa serie di circostanze, che il Collegio non può non ignorare, porta il Collegio medesimo a ridurre nei più ampi termini il danno di cui oggi si discute. Del danno, così come rimodulato dal Collegio in euro 31.623.410, deve essere preso in considerazione il 70% (euro 22.136.387), da ripartirsi in parti uguali, come richiesto da parte attrice, tra i convenuti Crocetta, Corsello e Bonafede, per arrivare ad una somma di euro 7.387.795,67 per ciascuno. Il Collegio, però, alla luce delle argomentazioni poc’anzi esposte, ritiene di poter ricondurre alla condotta dei convenuti, ritenuti oggi responsabili, unicamente il 10% dell’intero danno contestato; conseguentemente, i convenuti Crocetta Rosario, Corsello Anna Rosa e Bonafede Esterina devono essere condannati al pagamento della somma di euro 738.780,00 ciascuno, a favore della Regione Sicilia".


https://palermo.repubblica.it/politica/2019/03/22/news/formazione_35_milioni_di_euro_per_progetti_inutili_condannati_croetta_bonafede_e_corsello-222231287/?fbclid=IwAR3rNidsNyzxHWSu3tZMFz1VzseRrLePHkRzv40ZBEG-zhvrDct5EgWgAro

venerdì 22 marzo 2019

L’altra guancia del Movimento. - Tommaso Merlo



Dopo anni d’opposizione anche aspra, il Movimento si è messo il vestito della festa ed è entrato nei palazzi che contano sottovoce. Ha cioè preso il potere con senso di responsabilità e di servizio. Ed invece di regolare i conti col vecchio regime che l’aveva ghettizzato e infamato per anni, ha ritenuto opportuno porgere l’altra guancia. Come risposta il Movimento si sta beccando violenti schiaffoni. Porgere l’altra guancia nella vita è sicuramente un gesto nobile e perfino ammirevole, in politica è molto pericoloso soprattutto se dall’altra parte hai un regime spietato che non vuole rassegnarsi ed hai cittadini stremati da decenni di malapolitica. È vero, in democrazia le istituzioni appartengono a tutti e non solo a chi vince le elezioni, ma un approccio troppo morbido e perbenista sta logorando il Movimento. Il Movimento non è mai stato considerato una forza politica pienamente legittima dal vecchio regime, ma una sorta di anomalia da debellare, una malattia passeggera da curare. E il vecchio regime non ha affatto rinunciato alla sua intenzione di distruggere il Movimento 5 Stelle. I pupazzi politici e giornalistici dei potentati economici vogliono che la politica torni in mano a partiti controllabili da loro e in linea coi loro interessi e le loro idee. Vogliono levarsi dai piedi quel maledetto Movimento e tornare a farsi i propri sporchi comodi. È palese oggi più che mai. La crudeltà con cui viene aggredito da sempre il Movimento 5 Stelle è la più plastica dimostrazione della sua validità e della natura innovativa. Se il Movimento fosse un partito come gli altri, i potentati economici sarebbero già scesi a patti e i loro giornaloni sonnecchierebbero tranquilli. Un esempio concreto di “altra guancia” sono proprio i fondi dell’editoria tagliati gradualmente invece che tutti e subito. Il risultato è che il dibattito pubblico rimane infestato dai giornaloni del vecchio regime e non è ancora sorta un’informazione libera alternativa che possa competere con loro. E così il Movimento si ritrova a governare ed affrontare le elezioni intermedie con l’informazione mainstream in mano ai suoi peggiori nemici. Altro esempio è la legge sui conflitti d’interessi che inspiegabilmente si fa attendere. Ma in politica, porgere l’altra guancia è doppiamente dannoso. Non solo ti espone agli schiaffoni dei tuoi nemici, ma ti espone anche al giudizio dei cittadini che ti vedono prenderli. Se il Movimento è arrivato così in alto, lo deve ai cittadini, lo deve alle vittime del vecchio regime che hanno compiuto un mezzo miracolo nella selva individualistica italiana e cioé hanno ritrovato il coraggio di crederci e si sono riuniti in milioni intorno ad un sogno. Dopo decenni di umiliazioni e prese per i fondelli, quei cittadini esasperati non vogliono affatto che il Movimento porga l’altra guancia. Anzi, vogliono che la loro ansia di cambiamento radicale si rispecchi nelle parole e nei comportamenti dei portavoce dentro ai palazzi. Ogni ammiccamento, ogni inchino, ogni stucchevole perbenismo fa venire l’orticaria e dai marciapiedi italiani si sente puzza di tradimento, di rammollimento rispetto alle ambizioni rivoluzionarie del Movimento 5 Stelle. Non c’è dubbio che Di Maio stia facendo un gran lavoro, ma si sente una dannata mancanza di uomini come Alessandro Di Battista. Si sente un dannato bisogno di un Movimento che la smetta di porgere l’altra guancia e ritorni a prendere a schiaffoni il vecchio regime.

https://infosannio.wordpress.com/2019/03/22/laltra-guancia-del-movimento/?fbclid=IwAR2HMoQhLBQohvxXlfy6_HKmGcj4QkPOF2qNoTqvBrC5TRHjrh-J6zLa3xg

giovedì 21 marzo 2019

Devitalizzati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Marzo:


L’arresto per corruzione di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina, cioè del consiglio comunale della Capitale, è una notizia gravissima. E il fatto che non sia la prima volta – era già toccato nel 2015, per Mafia Capitale, a quello del Pd Mirko Coratti, poi condannato a 6 anni – non la sminuisce. Anzi, se possibile, la aggrava. Sia perché De Vito è un uomo di punta dei 5Stelle, storico militante fin dalla loro fondazione, soi disant campione dell’onestà. Faceva la morale alla sua acerrima nemica Virginia Raggi, che aveva il torto di averlo battuto alle primarie online nel 2016 e vinto le elezioni, diversamente da lui che le aveva straperse quattro anni prima. Accusava la Raggi e Daniele Frongia di avergli fatto la guerra a colpi di dossier, mentre si erano limitati a chiedere spiegazioni su alcune sue condotte opache, com’è giusto in un movimento che sbandiera la trasparenza. Ora, col senno di poi, si può dire che avrebbero dovuto approfondire meglio. Ma non è detto che avrebbero scoperto qualcosa di paragonabile a quel che si legge nell’ordinanza di arresto. L’impressione è che De Vito all’inizio non fosse una mela marcia, ma che – sempreché le accuse siano confermate in giudizio – lo sia diventato strada facendo, accumulando risentimenti per la mancata sindacatura e magari pensando a sistemarsi in vista della fine della sua carriera politica, tra due anni, alla scadenza del secondo mandato.
Di Maio ne ha subito annunciato l’espulsione, marcando la diversità da tutti i partiti che gridano al complotto, alla giustizia a orologeria, alle manette elettorali per rifugiarsi nella comoda scusa della presunzione di innocenza fino alla Cassazione. Si spera che l’espulsione sia stata decisa dopo aver letto le carte, perché un arresto è un fatto pesantissimo, ma non sempre risolutivo. Dipende dagli elementi d’accusa già dimostrati o suffragati da ampi riscontri, e in questo caso ce ne sono parecchi. Leggere le carte è sempre importante per sapere chi ha fatto cosa e assumere le decisioni che la politica deve prendere allo stato degli atti, a prescindere dagli aspetti penali, che seguono tutt’altri binari. Ora, cacciato De Vito, si tratta di decidere la sorte dell’amministrazione Raggi. La sindaca è stata rivoltata come un calzino dalla Procura e ne è sempre uscita pulita. La condanna dell’ex capo del personale Marra riguarda fatti dell’èra Alemanno e le tangenti addebitate al consulente Lanzalone non hanno inquinato alcun atto della giunta. Se però ora emergesse che De Vito aveva complici fra gli assessori, la sindaca dovrebbe trarne le inevitabili conseguenze.
Ma non pare questo il caso: sia per la correttezza dei vertici della giunta, sia per i pessimi rapporti di De Vito con la Raggi e i suoi fedelissimi, sia per gli scarsi poteri operativi del presidente dell’Assemblea, che al massimo può promuovere mozioni o interrogazioni, non risulta che costui abbia assunto o condizionato decisioni sulle operazioni immobiliari contestate dai pm (peraltro bloccate da un’eternità). Evidentemente i palazzinari – veri, eterni e intoccabili re di Roma – non riuscivano a penetrare nella giunta. E, in mancanza di meglio, hanno aggirato l’ostacolo agganciando l’anello più debole della catena, l’unico big M5S risultato finora permeabile alla tentazione. Un tizio che, in attesa delle sentenze, non possiamo ancora definire un corrotto, ma possiamo già considerare un fesso: un politico con un minimo di sale in zucca non parla al telefono con faccendieri di soldi da spartire pochi mesi dopo l’arresto di Lanzalone e tre mesi prima delle elezioni europee che tutto il sistema attende con ansia per ammazzare i 5Stelle. Tutti sanno che ogni scandalo targato M5S fa mille volte più notizia di quelli targati Pd (Zingaretti indagato per finanziamento illecito, ma lui si dice “tranquillo” e morta lì), FI (c’è l’imbarazzo della scelta) e Lega (49 milioni spariti, un sottosegretario bancarottiere, vari amministratori condannati, e tutti zitti). Dunque sta ai 5Stelle spalancare gli occhi per scoprire in anticipo qualunque trave nell’occhio del vicino di banco.
Chissà, forse senza la radicalizzazione della guerra intestina fra meetup “devitiani” e “raggiani”, qualcuno avrebbe potuto notare e segnalare credibilmente certi rapporti poco chiari di De Vito prima che arrivassero le forze dell’ordine. In ogni caso questo ennesimo scandalo in casa M5S, il primo che vede coinvolto un iscritto (e che iscritto) con l’accusa di corruzione, proprio questo segnala: l’incapacità di distinguere non tanto fra politici onesti e disonesti (spesso indistinguibili, specie quando si tratta di mele sane che si guastano strada facendo), ma tra politici capaci e incapaci, tra persone di valore e gentaglia o gentuccia. La selezione a caso, anzi a cazzo, praticata finora è un terno al lotto: può premiare gente valida, come alcuni ministri e sindaci M5S, ma anche soggetti che è meglio perdere che trovare. Ed è stupefacente che, dopo sei anni di esperienza parlamentare, si continui a discutere di regole interne, espulsioni di dissidenti, voti online, doppi mandati e scontrini, e mai di creare una scuola di politica e di amministrazione: cioè uno strumento fondamentale per attirare energie positive dalla società, selezionare una classe dirigente e formarla adeguatamente. Questo non basterebbe mai a scongiurare i casi di corruzione, almeno quelli legati alla disonestà di un singolo. Ma aiuterebbe a far crescere, maturare e nobilitare un movimento a cui, come ha detto Giorgia Meloni, “se levi l’onestà, restano solo gli show di Grillo”.

"Scoperta loggia segreta": maxi blitz nel Trapanese. -

Scoperta loggia segreta: maxi blitz nel Trapanese

Una "loggia segreta capace di condizionare la politica e la burocrazia". E' quanto fanno sapere gli inquirenti sulla vasta operazione dei carabinieri nel trapanese nella quale sono state arrestate 27 persone tra cui l'ex presidente dell'Assemblea regionale siciliana Francesco Cascio. Della loggia avrebbero fatto parte, oltre ai politici, massoni e alcuni professionisti di Castelvetrano.

In carcere anche l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Lo Sciuto, ritenuto a capo della loggia segreta. Avrebbero tutti fatto parte, secondo l'accusa, di una "associazione a delinquere segreta". L’inchiesta è coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, dall’aggiunto Maurizio Agnello e dai sostituti Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani. E ci sono anche tre poliziotti tra gli arrestati nell'ambito dell'inchiesta denominata 'Artemisia': uno presta servizio alla questura di Palermo, uno a Castelvetrano e uno alla Dia di Trapani.

LE ACCUSE -
 Tutte le 27 persone finite in manette sono accusate, a vario titolo, di corruzione, concussione, traffico di influenze illecite, peculato, truffa aggravata, falsità materiale, falsità ideologica, rivelazione e utilizzazione del segreto d'ufficio, favoreggiamento personale, abuso d'ufficio ed associazione a delinquere secreta finalizzata ad interferire con la pubblica amministrazione (violazione della c.d. legge Anselmi).
Per gli stessi reati sono stati notificati anche 5 obblighi di dimora e una misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio, nonché notificate altre 4 informazioni di garanzia ad altrettanti indagati: sono quindi 10 le persone indagate a piede libero. "Scoperto un vasto sistema corruttivo negli enti locali - dicono gli inquirenti -, quali il comune di Castelvetrano e l’Inps di Trapani". L'indagine ha inoltre portato "alla luce diversi episodi di violazione del segreto istruttorio e favoreggiamento nei confronti di Lo Sciuto" da parte "di appartenenti alle Forze dell'Ordine e di esponenti politici regionali, quali l'ex deputato regionale Francesco Cascio, tratto anch'egli in arresto".

LE INDAGINI - Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Trapani, coordinati dalla Procura trapanese, sono iniziate nel 2015 e "hanno avuto come fulcro l'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto", in carica fino al 2017, "a carico del quale sono emersi gravi indizi di reità in ordine alla commissione di numerosi reati contro la Pubblica amministrazione al cui fine ultimo era costantemente quello di ampliare la sua base elettorale in vista delle varie elezioni e di conseguenza il proprio potere politico".
Le indagini hanno permesso "di accertare che Lo Sciuto creava uno stabile accordo corruttivo con Rosario Orlando, ex responsabile del Centro Medico Legale dell'Inps, fino al maggio 2016, poi collaboratore esterno dello steso ente quale ''medico rappresentante di categoria in seno alle commissioni invalidità civili'', che riusciva a corrompere, attraverso regalie ed altre utilità, nonché la sua intercessione con l'ex Rettore Roberto Lagalla, oggi assessore regionale all'Istruzione e destinatario di informazione di garanzia, per l'aggiudicazione di una borsa di studio a favore della figlia presso l'università di Palermo". Lagalla è indagato per corruzione.

GLI INQUIRENTI - Da Orlando l'ex deputato regionale "otteneva la concessione di numerose pensioni di invalidità, anche in assenza dei presupposti previsti dalla legge". E "ogni pensione di invalidità fatta concedere, in forza del consolidato accordo corruttivo - dicono gli inquirenti -, rappresentava per l'ex onorevole regionale un cospicuo pacchetto di voti certi".
Lo Sciuto, 56 anni, nella scorsa legislatura faceva parte della Commissione regionale antimafia. L'ex assessore e consigliere provinciale di Trapani, eletto deputato alle regionali del 2012 nella lista Mpa-Partito dei Siciliani, aveva così spiegato la scelta di far parte della Commissione antimafia: "Cercherò di essere la sentinella alla Regione per l'intera provincia di Trapani e per Castelvetrano in particolare''. In passato, Lo Sciuto era finito più volte nei rapporti antimafia della provincia di Trapani e anche sotto processo per un giro nel campo del cablaggio e poi assolto.

CASTELVETRANO - La "complessiva attività di indagine" ha inoltre "dimostrato ancora l'esistenza di una associazione a delinquere promossa ed capeggiata dall'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto con la collaborazione, nel settore organizzativo, del massone Giuseppe Berlino, associazione che, con certezza indiziaria, vede tra i suoi membri ad esempio l'ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante Jr., l'ex vice sindaco di Castelvetrano Vincenzo Chiofalo e il commercialista massone Gaspare Magro".
E c'è anche il candidato sindaco di Castelvetrano, Luciano Perricone, tra i 27 arrestati nell'inchiesta 'Artemisia'. Castelvetrano andrà al voto dopo due anni di commissariamento in seguito allo scioglimento per mafia. Secondo il gip, Perricone, "si è reso disponibile all'esecuzione delle direttive impartitegli da Giovanni Lo Sciuto nella consapevolezza dell'esistenza dell'associazione segreta e di agire in favore di questa, in particolare e tra l'altro rendendosi disponibile, in qualità di candidato Sindaco alle elezioni per il Comune di Castelvetrano, a rappresentare e garantire le esigenze del gruppo rappresentato da Lo Sciuto a fronte per dell'appoggio elettorale da parte di quest'ultimo".

IL PERIODO 2012-2017 - "Lo Sciuto e i suoi sodali, dopo aver 'governato' tramite il sindaco Felice Errante e il vice sindaco Chiofalo dal 2012 al 2017, raggiungevano un accordo con l'ex rivale politico Luciano Perricone, finalizzato - dice il gip - alla elezione del predetto alla carica di Sindaco in occasione delle elezioni del 2017".
Per quanto riguarda l'esistenza di questa associazione a delinquere, gli investigatori sottolineano come "non viene contestata, dal Giudice delle indagini preliminari, l'appartenenza alla massoneria in quanto tale. Non viene addebitata infatti alcuna responsabilità al maestro venerabile della Loggia al cui interno si annidava l'associazione segreta, in quanto è emerso chiaramente come il 'gruppo occulto', facente capo a Lo Sciuto, prendesse le decisioni a prescindere dalle direttive della loggia palese e si avvalesse degli aiuti degli appartenenti occulti più che di quelli palesi in caso di bisogno".

L'ASSOCIAZIONE - "Caratteristica precipua di tale associazione è che gli scopi della stessa non si limitavano alla esecuzione di una serie indeterminata di delitti ispirati da un medesimo disegno criminoso, ma ha avuto ad oggetto anche il condizionamento e l'asservimento dell'attività di organi costituzionali e di articolazioni territoriali della pubblica amministrazione alle finalità segrete del consesso criminoso", dicono gli inquirenti. Le finalità venivano, in particolare, "perseguite con modalità che garantivano la segretezza degli scopi associativi e della reale composizione del sodalizio, anche e soprattutto grazie al ruolo di appartenenti alle istituzioni".
E ancora: l'ex deputato regionale siciliano Lo Sciuto "godeva del rapporto privilegiato con il presidente dell'ente di formazione professionale Anfe (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), Paolo Genco, anch'egli tratto in arresto, con il quale creava uno stabile accordo corruttivo. Genco infatti gli garantiva sostegno economico e raccolta di voti per le sue candidature, così da rafforzare la sua posizione politica, nonché il suo consenso popolare, strettamente connesso alle assunzioni presso l'Anfe", dicono gli inquirenti.

I LEGAMI - Lo Sciuto "riusciva infatti ad ottenere assunzioni per persone da lui segnalate oltre che appoggio elettorale, anche finanziario - aggiungono gli investigatori -. In cambio intercedeva al fine di agevolare la concessione dei finanziamenti a favore dell'ente. Inoltre in qualità di deputato regionale e membro della commissione cultura, lavoro e formazione si prodigava per l'approvazione di delibere e progetti di leggi regionali a favore dell'Anfe".

mercoledì 20 marzo 2019

L'Espresso: Zingaretti indagato per finanziamento illecito.




'Fiducia nella giustizia, M5S non mi fa paura'.


Nicola Zingaretti sarebbe indagato dalle procure di Roma e Messina per finanziamento illecito, come riporta il settimanale L'espresso on line. E' quanto risulta dalle dichiarazioni fatte dagli avvocati siciliani Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 per corruzione in atti giudiziari e che un mese fa hanno patteggiato 3 e 2,9 anni a testa. L'Espresso ha letto gli interrogatori inediti dei due legali in cui descrivono ai pm il loro modus operandi, facendo nomi e circostanze di altri big della magistratura e della politica. Sott'inchiesta ci sarebbe anche Silvio Berlusconi, per corruzione in atti giudiziari su una sentenza dei giudici del Consiglio di Stato che, secondo l'accusa, gli consentì di non cedere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, come aveva invece stabilito la Banca d'Italia.

Per quanto riguarda Zingaretti l'inchiesta è portata avanti dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Stefano Fava e prende spunto dalle dichiarazioni di Calafiore. Il governatore è stato citato dal socio di Amara in un interrogatorio dello scorso luglio, su alcune domande dei pm su Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone che, diventato imprenditore, era in affari con l'Amara e in buoni rapporti con Zingaretti. Inoltre, era sicuro di non essere arrestato grazie a erogazioni fatte per favorire l'attività politica di Zingaretti. Come risulta dai verbali, i pm chiedono a Calafiore se si tratti di erogazioni lecite e l'avvocato risponde: Assolutamente no, per quanto egli mi diceva. Non so con chi trattava tali erogazioni. Lui mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione. Me lo ha detto più volte, prima della perquisizione. Finora prove di presunte erogazioni non sono state trovate.

 "In merito all'articolo dell'Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito, voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi 'de relato' e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del settimanale", afferma Nicola Zingaretti, che esprime fiducia nella giustizia e non si farà "intimidire dalle bassezze del M5S".  


http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/03/19/lespresso-zingaretti-indagato-per-finanziamento-illecito_64762dfb-2cfb-45da-bb0c-4f73a29c4935.html

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato? - Thomas Fazi

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato?

«Secondo i sostenitori del franco CFA, un regime di cambio fisso permette di importare “credibilità”, di combattere efficacemente l’inflazione, vale a dire un aumento permanente dei prezzi, e di facilitare gli scambi. C’è del vero in questo. Ma i costi economici di un tale sistema sono spesso trascurati. È assodato che un regime di cambio fisso determina tendenzialmente un livello di inflazione poco elevato. Viceversa, un regime di cambio flessibile provoca un po più di inflazione, ma favorisce una maggiore stabilità dell’attività economica: ha una funzione di ammortizzazione che rende possibile reagire agli shock e ridurre significativamente la volatilità (le variazioni) della produzione e dell’occupazione, cosa che invece non consente un regime di cambio fisso18.
Le statistiche dell'FMI sembrano suggerire che un tasso di cambio fisso non sia necessariamente una buona opzione per i paesi africani: dal 2000, i paesi dell’Africa subsahariana che operano in un regime di cambio fisso hanno registrato una crescita economica dall’1 ai 2 punti inferiore rispetto ai paesi con un tasso di cambio flessibile. Questo scarto è dovuto in particolare «alla minore crescita dei paesi membri della zona del franco», afferma il Fondo Monetario
«Se un piccolo paese fissa unilateralmente la propria valuta a un vicino più grande, in realtà sta trasferendo la propria sovranità in termini di politica economica a quel vicino più grande», disse il vincitore del premio Nobel Robert Mundell.
«Questo paese perde la propria sovranità perché non controlla più il proprio destino monetario; il paese più grande, invece, guadagna sovranità perché gestisce un’area valutaria più ampia e guadagna un maggiore “peso” nel sistema monetario internazionale». Nel caso della zona del franco, questa realtà significa che alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Niger e la Repubblica Centrafricana, hanno subìto delle politiche monetarie basate sulle esigenze dell’economia francese prima e della zona euro poi. Significa anche che i quindici paesi membri della zona del franco, presi individualmente, non hanno la possibilità di utilizzare il tasso di cambio per ammortizzare gli shock.
E questo in un continente in cui gli shock – politici (colpi di Stato, guerre, tensioni sociali, ecc.), climatici (variazioni pluviometriche, siccità, inondazioni, ecc.) ed economici (volatilità dei prezzi dei prodotti primari, dei tassi di interesse del debito estero, dei flussi di capitale, ecc.) – sono all’ordine del giorno. Per far fronte a degli shock avversi, dunque, i paesi del franco hanno un’unica soluzione, in assenza di trasferimenti di bilancio: la “svalutazione interna”, cioè un adeguamento dei prezzi interni che passa per riduzione dei redditi da lavoro e della spesa pubblica, l’aumento delle imposte e infine il declino dell’attività economica».

Mi ricorda qualcosa ma non saprei dire cosa.