La frase è di Henry Ford, ma lui intervistato da Stefano Lorenzetto per il Corsera se l’ è attribuita. Si parla di galline che hanno inventato il marketing perché quando depongono starnazzano e così tutto il mondo mangia le loro uova. Natale, detto Oscar, Farinetti l’ha un po’ aggiustata e fatta sua: forse pensava alle uova d’oro che doveva dargli Eataly e che invece non brillano. Nelle magnifiche sorti e progressive dell’ impero della salamella buona, pulita e giusta – concetto preso a prestito, stavolta da Carlo Petrini di Slow Food – c’ è un’ altra battuta d’ arresto. L’ha scoperta Mf-Milanofinanza.
Con un articolo di Andrea Montanari ha fatto luce sul bilancio 2018 di Eataly che ha perso 17,1 milioni di euro. L’ordine è di non farlo sapere, le conseguenze sono: niente quotazione in Borsa sempre annunciata e mai praticata e ricerca, ora un po’ più urgente, di uno – magari cinese – che ci metta i soldi. Quell’ uno potrebbe essere Jack Ma del colosso dell’ ecommerce Alibaba oppure un fondo immobiliare cinese che da tempo si evoca per Fico Eatalyworld, la Disneyland al ragù aperta a Bologna dalla compagnia di Farinetti sui terreni del Comune, di cui non si riesce a capire se sia un successo o un flop.
Resta il fatto che il 2018 per i soci di minoranza di Eataly è pesante. Natale Farinetti detto Oscar, che ha ceduto il timone ai figli e all’ amministratore delegato Andrea Guerra, invece in passato i dividendi se li è comunque assegnati. Come andrà quest’ anno è top secret: la finanziaria della famiglia Farinetti che ha la maggioranza di Eataly tace. Tutto il contrario di Natale Oscar che arringa le folle dai talk televisivi. Da alcuni anni va dicendo che l’ approdo naturale di Eataly è la quotazione in Borsa. Lo ha ribadito due anni fa a Taormina. Ma con questi conti è abbastanza difficile e lui stesso ha dato il contrordine compagni: non c’ è fretta.
È la terza volta che la bottega di famiglia si affaccia a Piazza Affari per poi rinculare. Andrea Guerra – manager già a capo di Luxottica, era il consigliere strategico di Palazzo Chigi quando nel 2016 venne invitato a occuparsi di robiole – arrivato a capo di Eataly via Matteo Renzi ha subito assunto lo stile della casa: aveva promesso nel 2016 (altro bilancio in rosso) che il fatturato del pane e salame sarebbe arrivato a 1 miliardo in tre anni. Non è successo, ma che gli fa. L’ anno scorso il giro d’ affari è stato di 532 milioni (+14% rispetto al 2017), ma un po’ lontano dall’ obbiettivo.
Se i conti vanno così è probabile che i soci di minoranza, dal Clubitaly di Giovanni Tamburi alla coppia storica Baffigo-Mirolglio, comincino a premere. All’ orizzonte si fa sempre più concreta la possibilità di cessione di parte del capitale a un socio di preferenza cinese. Ma nel caso vendono i soci di minoranza o i Farinetti?
Ci sono indizi su entrambi i fronti. Nei conti non brillanti dell’ ultimo esercizio, rivelati da Milanofinanza, ci sono alcune particolarità. Le banche di solito sparagnine nel prestare soldi a Eataly che nel corso dell’ esercizio fa dimagrire il patrimonio (da 65,37 a 50,92 milioni in un anno) hanno concesso ulteriori crediti per 21,65 milioni il che fa salire l’indebitamento verso le banche a 96,3 milioni. Poi ci sono i debiti verso i fornitori che storicamente sono cospicui.
Nel bilancio il management scrive che continua la strategia di espansione: altri punti vendita da Toronto a Parigi, da Verona a Dallas, da Londra a San Josè. Ma anche che si sono fatti ammortamenti consistenti (26 milioni, più 5 rispetto all’anno scorso) e che i costi sono lievitati a 545 milioni con una redditività in calo (l’ Ebitda rettificato a 21,21 milioni negativo rispetto al 2017 per il 16%), per cui è necessario abbassarli. Bisogna, scrivono in bilancio, ottimizzare i costi d’ acquisto agendo su contratti di fornitura globali, diminuire i costi del negozio, razionalizzare stock e logistica. Insomma chi lavora con e per Eataly potrebbe dover pagare una parte del conto.
Giovanni Tamburi (Tip), al quale Farinetti ha ceduto nel 2014 il 20% di Eataly per 120 milioni, non sembra più così soddisfatto dell’ investimento anche dopo che con un cambiamento di statuto Eataly ha concentrato la linea di comando su Guerra e i tre figli di Natale Oscar. Tamburi a fronte dei conti 2018 ha detto: «La redditività non è soddisfacente, i numeri non sono quelli previsti tra nuove aperture e investimenti mostruosi. La quotazione resta un obiettivo, ma ci sono alternative, ad esempio soluzioni ponte, molti fondi si sono affacciati».
Tradotto: forse vendiamo un pezzo. Ma Natale Farinetti detto Oscar sempre in quella chiacchierata con il Corriere fa sapere che il progetto Green Pea, e cioè vendere auto elettriche, energie pulite in una «casa» costruita con gli alberi abbattuti dal tifone dolomitico, è il suo nuovo impegno. Lui tenta un altro Oscar tornando all’ elettricità – i soldi li ha fatti con Unieuro – ma stavolta «buona, pulita e giusta».