giovedì 6 febbraio 2020

Ecco a chi serve la prescrizione.



















Prescrizioni già ottenute da Berlusconi:
-1) Lodo Mondadori
Corruzione semplice.
- 2) All Iberian 1
Finanziamento illecito ai partiti.
- 3) Consolidato Fininvest
Falso in bilancio.
- 4) Bilanci Fininvest 1988-1992
Falso in bilancio e appropriazione indebita.
- 5) Processo Lentini
Falso in bilancio.
- 6) Corruzione dell'avvocato David Mills[1]
Presunta corruzione dell'avvocato David Mills per indurlo a compiere una falsa testimonianza nei processi All Iberian e -Arces.
- 7) Unipol
Rivelazione di segreto d'ufficio.
- 8) Corruzione del senatore De Gregorio
Concorso in corruzione.

Naturalmente, poichè ha altri svariati procedimenti ancora pendenti ed è in grado di pagare profumatamente molti azzeccagarbugli, ambisce a mantenere la prescrizione.
Inoltre, se l'unica condanna definitiva comminatagli riguardava frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, tutti reati commessi contro le istituzioni del paese che dovrebbe difendere in parlamento, come mai non è stato interdetto definitivamente da ogni incarico pubblico?
Troppi gli interrogativi per i quali non avremo mai risposte riguardo questo tristo individuo, ma è la storia del nostro martoriato paese.
C.
PS. elenco prescrizioni - wikipedia

La mossa del cavallo… - Alessandro Robecchi

Spiazzante, sorprendente, imprevedibile. La mossa del cavallo, con quel suo balzo irregolare a forma di L, la possibilità di saltare gli avversari è, negli scacchi, a saperlo giocare, un vero colpo gobbo. Sarà anche il titolo del prossimo libro di Matteo Renzi, che presenterà entrambi (sia il libro che la mossa) durante un tour di cento tappe, in camper, che batterà le regioni in campagna elettorale. Come dire: siete avvertiti, poi non venite a lamentarvi.
Renzi non ci dice in cosa consista ‘sta famosa mossa a sorpresa, che, come ci tiene a precisare, “non è quella di agosto, ma la prossima”, quindi si capisce la popolazione mondiale con il fiato sospeso, i primi segnali di panico, la tensione, le mascherine a 300 euro il pacco. Devo dire la verità: mi aspetto di tutto, da Renzi, perché è l’unico politico italiano veramente palindromo, cioè leggibile sia da sinistra a destra che al contrario. Non c’è cosa che Renzi abbia detto negli ultimi due anni di cui non abbia detto l’esatto contrario prima. La prescrizione (che voleva abolire), la Brexit (che non ci sarebbe stata, fidatevi), il potere di veto dei “partitini”, contro cui oggi non tuona più, essendo partitino lui stesso, ed esercitando il suo potere di veto e di ricatto, fino all’annuncio di votare con l’opposizione contro la sua maggioranza.
Ora in attesa di vedere questa mossa annunciata che mischierà promozione editoriale, propaganda politica, comizi, camper e tutto il circo che si sa, siamo nel campo delle ipotesi, e una l’ha già fatta Brunetta: perché non immaginare una maggioranza di volenterosi con Salvini, Meloni, Silvio Buonanima e gli italiavivaisti? Sarebbe una buona mossa del cavallo (naturalmente smentita con sdegno, ma coi palindromi non si sa mai). In attesa che si disveli il mistero, portiamoci avanti col lavoro, e suggeriamo le prossime mosse a sorpresa dell’imprevedibile statista.
LA MOSSA DELL’OPOSSUM. Felicemente sperimentata in Emilia-Romagna, consiste nel fingersi morti durante la battaglia, poi alzarsi come se niente fosse e gioire della vittoria (oppure criticare i vinti per la sconfitta col ditino alzato). Potrebbe tornare di moda alle elezioni in Toscana, dove la popolazione, vedendo Renzi sulla scheda, potrebbe avere reazioni imprevedibili.
LA MOSSA XYLELLA. Sganciare Teresa Bellanova sulla Puglia con un attacco diretto al governatore Emiliano, come già annunciato, è una mossa dirompente. Riassumendo, avremmo una ministra che ha giurato da ministra col Pd, è passata a un altro partito dopo due minuti, e nemmeno un anno dopo contribuisce alla sconfitta di un candidato del Pd, suo alleato di governo. Consigliato: xamamina compresse.
LA MOSSA DI MACRON. Dimenticata e abbandonata da tempo, era una mossa interessante di quando Macron andava di moda e faceva fico sentirsi dire “Macron italiano”. Ora che il Macron vero sta messo maluccio con i suoi cittadini, la sua polizia che mena parecchio, anche i pompieri, e la stella pare offuscata, la mossa Macron non va più di moda, ma anche qui, non si sa mai.
LA MOSSA DI SATURNO. Ci sono momenti in cui, annoiato dal dibattito corrente, Matteo Renzi si lancia verso le stelle. Dice che qui ci si annoia, mentre tutto il mondo parla di intelligenza artificiale, futuro, ricerca ecc. ecc. Una mossa davvero dirompente per la politica italiana sarebbe l’intuizione che su Saturno Italia Viva sarebbe senza dubbio il primo partito, e dunque l’annuncio che si prepara una spedizione sarebbe politicamente coerente.
LA MOSSA TONY BLAIR. Un sempreverde. Quando festeggia per la sconfitta di qualche sinistra in giro per il mondo, ecco Renzi tessere le lodi di Tony Blair, che è un po’ come se uno si ostinasse a portare come esempio un re merovingio, o un antico condottiero delle fiabe nordiche. Un “se c’era lui…” che fa un po’ tenerezza, perché suona come un “Ci sarei anch’io”.

Vi toglieranno tutto. Anche l’anima. - Giuseppe Palma



Il capitalismo non è più borghese, col quale ciascuno poteva trattare. Fino agli Anni Novanta lo guardavi in faccia, sapevi con chi avevi a che fare. Era un capitalismo umano e tutti potevano ambire, attraverso il lavoro, a detenere le leve del capitale urbano (il cosiddetto ceto-medio).
Oggi il capitale è cosmopolita, senza volto. Non è più possibile trattare con chi lo detiene soprattutto per due motivi: 1) viaggia troppo velocemente ed è sovranazionale, quindi dei tuoi diritti non gliene frega nulla perché sono di ostacolo al contenimento dei prezzi, quindi alla competitività del servizio o del prodotto all’interno di un sistema globalizzato; 2) la deindustrializzazione (avvenuta per fare gli interessi stranieri) ha reso l’Italia un Paese di servizi, cioè con preminenza del settore terziario su quello industriale e agricolo. La maggior parte dei servizi sono ormai nelle mani di grosse multinazionali (capitalismo apolide e transnazionale) con le quali il capitalismo borghese – ammesso che esista ancora – non può più competere, quindi è evidente che i tuoi diritti fondamentali cedano il passo alle ambizioni di profitto senza freni.
A coadiuvare questo sistema le folli regole di bilancio della Ue (che costringono gli Stati a consegnare al capitale apolide i servizi che loro non possono più garantire a causa dei vincoli di bilancio) e il regime dei cambi fissi (l’euro), che scarica il peso della competitività su lavoro, salari e diritti. In tutto questo, la politica avrebbe dovuto fare da diga contro il dilagare degli indicibili scopi del capitale sovranazionale, soprattutto per tutelare i diritti fondamentali come lavoro, salari e salute. E invece ha abdicato, rendendosi la migliore alleata del capitale e il peggior nemico del popolo.
Ovviamente di tutto ciò non avete capito nulla, o peggio ancora vi rifiutate di capire, e continuate a strillare contro l’inesistente e aleatorio pericolo fascista oppure contro gli inconsistenti fantasmi del razzismo, puntando il dito – e la rabbia – verso questioni superflue o problemi del tutto secondari.
Mentre perdete il vostro tempo ad abbaiare contro il sovranismo (che del resto è una dottrina politica di pace per il ripristino della preminenza degli Stati nazionali sulle antidemocratiche strutture sovranazionali), il capitale transnazionale vi divorerà la dignità.
Vi toglieranno tutto. Anche l’anima.

A chi interessa se cascano i Benetton? - Tommaso Merlo



A nessuno. Se i Benetton fallissero domani mattina non fregherebbe nulla a nessuno. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per le strade di tutta Italia. I Benetton ormai sono il simbolo del lobbysmo avido e cinico che tanto male ha fatto al nostro paese. Sono l’emblema di potentati che grazie ad una politica stracciona e venduta, si è arricchito a dismisura sulle spalle dei poveri cristi. Sono state queste lobby a comandare in Italia per decenni. Comprandosi la politica e i media e quindi il consenso. La tragedia del ponte Morandi è solo uno dei tanti esempi di quello che genera quel sistema sostanzialmente mafioso in cui interessi egoistici s’impongono su quelli collettivi e perfino sulla legalità. Un sistema che ha prosperato anche grazie ad una etica pubblica da uomini delle caverne. Dopo mesi dal crollo del Morandi, ormai l’unica cosa che sorprende è la faccia tosta dei Benetton, è constatare che invece di vergognarsi e di sparire dalla circolazione, fanno ancora di tutto per non mollare l’osso delle concessioni e per rifarsi una verginità. Davvero impressionante. Glaciali. A momenti non chiedevano nemmeno scusa dopo il crollo e da subito si sono arroccati per difendersi. Scaricando le responsabilità su altri, sguinzagliando eserciti di avvocati, mandando lettere di supplica ai giornali e spingendosi perfino a strumentalizzare i quattro ragazzini delle sardine finiti penosamente nella loro rete. Come se i Benetton fossero certi che tra cavilli e prescrizioni tutto finirà legalmente in nulla, come se sapessero che l’Italia ha la memoria corta e se tengono duro ben presto “a nessuno interesserà più che sia cascato un ponte”.  Del resto in Italia ha sempre funzionato così. Del resto i sistemi culturalmente mafiosi funzionano così. Poveri cristi per strada a gridare e piangere i loro cari con qualche cartello in mano, Lorsignori a sguazzare nell’oro e nell’impunità e nei loro grotteschi sogni di gloria. Anche il comportamento dei vecchi partiti dopo il crollo è stato un classico. Dopo decine di morti, una politica sana avrebbe reagito compatta per cacciare a calci i Benetton ed invece in Italia sono iniziati i soliti distinguo e le palle in tribuna. A far reagire compatta la politica non sono serviti nemmeno gli scandali emersi dopo la tragedia, nemmeno il profondo sconcerto e dolore che ha attraversato il paese, nemmeno la semplice constatazione che il concessionario autostradale ha dimostrato di non essere in grado di svolgere adeguatamente un lavoro per cui si è arricchito vergognosamente. Mafiosità del sistema. Etica pubblica delle caverne e lo spietato egoismo che sta devastando il mondo. I Benetton sono una famiglia dal patrimonio miliardario. Si tratta di gente che problemi di soldi non ne avrà per generazioni. Gente che non sa neanche più come spenderli i soldi. E allora perché non si levano dai piedi? Perché? L’avidità non ha limiti ma le ragioni della loro agghiacciante resistenza devono essere più profonde. Hanno paura. Paura di vedere il loro impero di cartone finire in frantumi e con esso l’immagine che hanno di se stessi. Paura di scoprire il nulla che c’è dietro al loro patrimonio, al loro status, ai loro deliri esistenziali. Paura. Paura di dover ammettere di aver sbagliato e non solo a gestire quelle dannate autostrade ma a spendere la propria vita ad accumulare soldi e potere alimentando un disgustoso sistema. Paura di scoprire chi sono veramente e di finire per non piacersi affatto guardandosi allo specchio. Paura di rendersi conto che in Italia non frega niente a nessuno se cascano i Benetton. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per tutto il paese.

Milena Gabanelli - «Giustizia, ogni anno in fumo 130.000 processi. Cosa fare?» - 18/11/2018

Il manuale del prescrittore: ecco come ti allungo i tempi. - Gianni Barbacetto



C’è un video su Youtube in cui un avvocato di Napoli, Arturo Buongiovanni, racconta che cosa fa lui e tanti suoi colleghi per puntare diritto non alla dichiarazione d’innocenza dei loro assistiti, ma alla prescrizione. Approfittare delle falle del sistema giudiziario per arrivare al “game over”, alla fine dei giochi: per tempo scaduto. “Prima ancora di capire se il mio cliente è colpevole o innocente, io guardo la data del fascicolo”, spiega Buongiovanni, “ma lo fanno tutti: perché si crea la possibilità di un paracadute, se si riesce a guadagnare del tempo. Perché le notifiche spesso si perdono”.
Come “vincere” un processo per prescrizione, lezione uno: mai far eleggere domicilio legale al proprio cliente presso lo studio dell’avvocato difensore. “Da me la notifica arriva subito, non si scappa”, dice Buongiovanni al microfono di Franz Baraggino del fattoquotidiano.it, “perché devo favorire questo sistema?”. Se invece il domicilio è altrove, si crea la possibilità che le notifiche vaghino per l’Italia, non arrivino, si perdano. Tempo perso, cioè guadagnato per la prescrizione.
Lezione due: i testimoni. “Riesco a far passare una lista di testi che non risulti sovrabbondante, una ventina. E poi se un testimone non si presenta in aula, non è colpa mia. O magari si presenta in ritardo. Solitamente non c’è interruzione dei termini di prescrizione e così si guadagna tempo. Non sono mezzucci”, giura l’avvocato, “sono falle del sistema. E io ho l’obbligo di usare questi mezzi, me lo dice la Corte costituzionale, la Costituzione stessa: devo difendere come meglio posso il mio cliente”.
“La prescrizione è usata come forma (dissennata) per reagire alla lunghezza dei processi”, ripete il magistrato Piercamillo Davigo, “che in Italia sono troppi e vengono fatti morire in gran numero con la prescrizione”. L’avvocato Leopoldo Perone, con studio a Napoli, spiega che ormai molte delle manovre dilatorie messe in atto dagli avvocati sono disinnescate. “Dopo la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione, quando il processo s’interrompe per intervento della difesa, si interrompono anche i termini di prescrizione. Succede anche gli scioperi degli avvocati”. Non sono più possibili i giochetti fatti, per esempio, dalle difese di Silvio Berlusconi, che ha guadagnato la prescrizione in ben sette processi con imputazioni gravi come corruzione giudiziaria, falso in bilancio, appropriazione indebita, finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, rivelazione di informazioni coperte da segreto istruttorio. Reiterate ricusazioni dei suoi giudici, infinite riproposizioni di legittimi impedimenti, processi cominciati da capo per trasferimento dei giudici, trucchi e trucchetti per tirare in lungo. “Oggi un imputato normale non può usare tecniche dilatorie”, sottolinea Perone. Può però allungare il brodo chiedendo di essere interrogato, o nuove indagini, o l’interrogatorio di nuovi testimoni. Le notifiche sono un punto debole del sistema. O un punto forte del perfetto esperto in prescrizione. Una notifica omessa, o sbagliata, può far chiedere al difensore la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del processo. E il gioco riparte dal via. La prescrizione corre se si perdono udienze a causa di testimoni che non si presentano in aula, anche con giustificazioni ineccepibili.
Fa perdere tempo e avvicinare la prescrizione anche il giudice malato. Se poi viene trasferito, il processo deve ricominciare da capo, perché la prova deve formarsi nel processo e il giudice che emette la sentenza deve essere lo stesso che ha assistito alla formazione della prova. “Anche se è stata videoregistrata”, chiosa Davigo. Non basta acquisire la videoregistrazione, si deve rifare tutto dall’inizio.
Gli impedimenti professionali, sia del difensore, sia dell’imputato, fanno sospendere il dibattimento e correre la prescrizione. Come pure quello che Davigo chiama “effetto libretto d’assegni”. Lo racconta così. Se a una persona viene rubato un libretto d’assegni e i venti assegni del carnet sono spesi, con firma falsa, in venti diverse città, il proprietario di quel libretto viene chiamato a testimoniare in venti processi in venti città diverse. È umano che dopo tre o quattro volte si stufi e non si presenti. Ebbene, la sua assenza prolungherà i processi e farà avvicinare la prescrizione del reato per chi l’ha commesso. “Impossibile acquisire la denuncia dello smarrimento o del furto del libretto”, spiega Davigo, “e presentarla nei venti processi come prova dell’avvenuto furto o smarrimento”. Così i dibattimenti si allungano, il tempo corre, la prescrizione si avvicina.

Il Codice Venale - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Febbraio:

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Per dire com’è ridotta l’informazione, basta leggere i commenti dei principali quotidiani sulla blocca-prescrizione. Cioè su una legge dello Stato regolarmente approvata dalla maggioranza parlamentare e promulgata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella oltre un anno fa, in vigore da 13 mesi e valevole per i processi relativi ai reati commessi dal 1° gennaio 2020. La circostanza appare ignota a chiunque la commenti: tutti blaterano di “compromessi”, “mediazioni”, “tavoli” e si domandano “chi cederà” fra 5Stelle e Italia Morta, chi “perderà la faccia tra Bonafede e Renzi” (come se Renzi, fra l’altro, avesse una faccia), “che farà Conte” e se reggerà la “tregua Zingaretti”. Ma di che vanno cianciando questi orecchianti? Ma lo vogliono capire o no che la blocca-prescrizione non è un’idea, una proposta, un progetto, un’intenzione, ma una legge vigente e funzionante? La vera questione è che FI, Lega, Iv e mezzo Pd vogliono cancellarla e, per farlo, devono approvare insieme in Parlamento una nuova legge: quella firmata dal forzista Enrico Costa, noto fabbricante seriale di leggi ad personam per Berlusconi. Se la voteranno, non esisterà più alcuna maggioranza giallorosa e alcun governo Conte e nascerà la coalizione dell’impunità contro un valore cruciale: quello della giustizia uguale per tutti.

Questa è la partita che si gioca in queste ore: tutte le disquisizioni sul garantismo, il giustizialismo, le manette, gli errori giudiziari, la ragionevole durata del processo, l’incostituzionalità, il derby avvocati-magistrati sono fumo negli occhi per distrarre e disorientare un’opinione pubblica che fortunatamente ne ha viste troppe, in vent’anni, per dimenticarsi la vergogna dei 120 mila processi prescritti all’anno e continua nei sondaggi a schierarsi dalla parte delle vittime, anziché da quella dei colpevoli impuniti. Se abolire la prescrizione fosse incostituzionale perché viola l’articolo 111 sulla ragionevole durata dei processi, come sostengono giuristi, avvocati e perfino magistrati di chiara fama e fame, la Consulta l’avrebbe già ripristinata nel processo civile, che dura un’eternità come il penale, ma la prescrizione non ce l’ha: e chi perde un processo civile può subire conseguenze ben più pesanti (risarcimenti anche milionari) di chi perde un processo penale (in media, qualche mese o anno di carcere, peraltro virtuale, cioè finto, visto che in Italia fino a 4 anni non si va in carcere). E se chi contesta la blocca-prescrizione fosse davvero interessato a una giustizia più rapida, proporrebbe qualche straccio di soluzione per abbreviare i tempi dei processi.

Avete mai sentito un Renzi o un Salvini o un forzista o un pidino proporre qualcosa di concreto per ridurre anche di un giorno i tempi processuali? Ci ha provato Davigo, in un’intervista al Fatto, ed è mancato poco che lo linciassero. Eppure quel che si deve fare per accorciare i processi lo sanno tutti: abolire un grado di giudizio o almeno inserire drastici disincentivi e sanzioni contro le impugnazioni pretestuose e infondate; abolire il divieto di reformatio in pejus che impedisce al giudice di appello di aggravare la pena del primo grado; e una serie di misure organizzative e di investimenti in nuovi magistrati e cancellieri previsti dal dl Bonafede sulla riforma del processo penale, pronto da quasi un anno, che non a caso la Lega prima e Pd&Iv oggi tengono bloccato, impedendo di velocizzare quei processi che a parole chiedono di velocizzare. Ma nessuno, a parte Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri, propone nulla: e giustamente, perché, se lorsignori riotterranno la prescrizione in appello e in Cassazione, saranno tutti felici così. Poi ci sono i settori più oltranzisti dell’avvocatura, che non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai processi eterni su cui campa la parte meno professionale e più parassitaria della categoria (se i processi durassero meno, quanti dei 180 mila avvocati italiani resterebbero disoccupati?). E ci sono pure dei magistrati, per fortuna minoritari, che non riescono proprio a immaginare il cambiamento radicale imposto dalla blocca-prescrizione. Anche fra loro ci sono sacche di resistenza al nuovo, che significherebbe lavorare di più (meno processi prescritti, più processi celebrati) e più onestamente, mentre la prescrizione è un ottimo rifugio per le toghe fannullone e anche per quelle colluse e corrotte (se ti lascio prescrivere il processo, tutte le carte sono a posto, non devo neppure assolvere un colpevole, e tu cosa mi dai in cambio?). Ma, siccome non potranno mai confessarlo, si rifugiano dietro la pretesa incostituzionalità della legge: peccato che, negli ultimi vent’anni, il loro sindacato – l’Anm – abbia ininterrottamente chiesto di bloccare la prescrizione al rinvio a giudizio o al massimo dopo il primo grado, e nessuno degli ermellini che ora ne scoprono l’illegittimità s’è mai alzato ad accusare i suoi rappresentanti di violare la Costituzione.

La verità, a questo punto, dovrebbe essere chiara a tutti: nessuno di quanti dicono di battersi contro la blocca-prescrizione vuole una giustizia più efficiente e più veloce. Vogliono tutti l’esatto contrario: riprendersi la prescrizione e mantenere la giustizia inefficiente e i processi eterni. Ben sapendo che gli unici processi che arrivano in fondo sono quelli per i reati di strada e gli unici imputati che finiscono in galera sono i poveracci. Perciò, da qualche anno, non invocano più amnistie o indulti: perché quelli poi liberano tutti, pure i delinquenti comuni, e gli elettori s’incazzano. Molto meglio la prescrizione, che libera soprattutto i signori, cioè i politici e i loro foraggiatori: un’amnistia razziale, censitaria e classista. Il Codice Venale: l’unica, vera, incostituzionale “barbarie”.


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