lunedì 17 febbraio 2020

Il potere, testa, pinna e coda. - Giuseppe Di Maio



Nella nostra nazione essere comunista rappresentò dal ’48 in poi un disvalore funesto. Per molto tempo chi lo era aveva difficoltà a studiare, a trovare lavoro, e persino ad emigrare. Con l’inizio degli anni ’60 questo svantaggio si attenuò. Ma nelle classi gregarie e in genere reazionarie il disvalore si mantenne dormiente, fino a quando Berlusconi con la discesa in campo non lo resuscitò. Sono famose le sue invettive contro i “poveri comunisti”, definitivamente cacciati dal governo e costretti allo scontro nelle piazze.
Parallelamente a questa esclusione pregiudiziale ne era stata costruita un’altra, quella della “mancanza di cultura di governo”, di cui furono accusati: il PCI negli anni ‘60 dai partiti di centro; Berlusconi e la Lega dai partiti della tradizione; il M5S da tutti gli avversari. Ad ogni terremoto politico l’establishment ha tacciato il nuovo venuto di inabilità a governare, anche se il biasimo ai pentastellati è diventato un triste leit motiv che dura da troppo tempo, nonostante essi abbiano dato prove magistrali del contrario. Perché? Perché il Movimento non ha dato ancora segnali di essere rifluito nel sistema, di aver fatto compromessi sostanziali, di aver favorito amici, spartito potere e denari.
Così come il comunismo, anche, diciamo… “l’incapacitismo”, è un difetto imperdonabile nel giudizio popolare. Ecco il perché delle continue accuse gratuite e infondate al M5S, per quanto gli unici dimostratisi incapaci siano stati solo i servi dei lobbisti e i tanti improponibili politici nostrani. Ricordiamo quelli senza diploma al ministero dell’Istruzione, quelli del tunnel di neutrini alla Ricerca Scientifica, quelli “dell’abbiamo una banca” alla Giustizia etc, e tutti gli altri impresentabili, impreparati e incompetenti che hanno affollato i banchi del governo.
Ma con quest’accusa si nascondono verità fondamentali, cioè: che la democrazia non è una faccenda governata dalla tecnica, ma purtroppo dalla volontà; che l’amministrazione pubblica non è un congresso privato riservato a pochi esperti, ma è interesse di tutti coloro che abbiano un minimo di capacità civica. Questa è la democrazia compiuta, e non il populismo attuale, che invece è fondato sul suffragio di un popolo elettore totalmente squalificato e su un governo di oscuri tecnocrati e specialisti asserviti agli interessi dei potenti.
Il nuovo corso imposto dalla liberazione della volontà popolare attraverso l’inevitabile governo a 5 stelle, comincia a scuotere tutta la classe dominante. La prima a temere la rivoluzione pentastellata è l’informazione serva di regime. Essa ha blandito la Lega di Salvini contro i 5 stelle, ora persino la Meloni contro Salvini. Poi, le lobbies sfrattate dai vantaggi dei decreti ad hoc, e infine tutto il comparto pubblico, dai semplici dirigenti ai boiardi di Stato. Sempre più su, fin dove spunta il faccino lombardo del presidente della Corte Costituzionale che, dopo aver dichiarato l’illegittimità retroattiva della spazzacorrotti, adesso si schiera dalla parte di una giustizia dal volto umano, bocciando i processi troppo lunghi.
Peccato che il volto umano diventi arcigno solo con la povera gente, quella senza santi né avvocati, quella senza partito. Poiché il suo partito, da socialista qual era è diventato liberal, e s’interessa di questioni civili e non sociali, delle politiche di genere, gender e d’accoglienza, dell’inizio e fine vita. Ecco perché il suo partito non riusciva a mostrarsi in piazza e perché nessuno lo seguiva.
Ma ad un certo punto quel partito si è scelto l’avversario, il suo giusto nemico. Col quale ha cominciato una tiritera di contrapposizioni fasulle allo scopo di polarizzare l’attenzione e di mettere fuori gioco i 5 stelle. Fino a che non si è persino clonato. E, un partito senza piazza, la piazza l’ha trovata gridando: Bologna non si lega. Una specie di “Allah u akbar”, un chicchirichì tutto ormonale senza spiegazione e senza idea. Un nulla rappreso a cui Gruber, Formigli, Sardoni, Merlino, Floris ed altri, hanno fatto da megafono, lisciandolo a più non posso, e suggerendo persino le risposte.
Adesso la sardina del PD già parla della sua e di quelle degli altri come “narrazioni”. Racconti contrapposti tra cui scegliere il più simpatico: “l’erotico romantico o l’erotico tamarro”, testuale sardiniano. E la sardina semper ridens, detta la deontologia dei 5 stelle, intellige l’agenda del governo, e ne boccia i provvedimenti. Boccia la giustizia, aggiungendo “ismo”, boccia la guerra al vitalizio e stabilisce altre priorità. Se avesse parlato Zingaretti non avrebbe fatto meglio. Siamo in attesa di cosa dirà ancora il ventriloquo, ma mettiamo in guardia la povera gente che nemmeno questo, qualunque cosa nascerà, sarà il suo partito.

E ora, tutti fuori - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 13 Febbraio:

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In sintonia con questo clima di restaurazione da Congresso di Vienna all’amatriciana, la Consulta ha deciso di salvare dalla galera i corrotti eccellenti, tipo Formigoni, che una norma sacrosanta della Spazzacorrotti aveva escluso dalle pene alternative al carcere. I soliti falsari si sono affrettati a dire che dunque la legge di Bonafede è incostituzionale: nulla di più falso. La Corte ha dichiarato illegittima la sua applicazione da parte di molti giudici ai condannati per reati commessi prima della sua entrata in vigore: quella che qualcuno chiama “interpretazione retroattiva”, come se le regole dell’esecuzione della pena fossero norme penali sostanziali, dunque applicabili solo per i reati commessi dopo la loro approvazione (in base al principio della “norma più favorevole al reo”). Balla sesquipedale: nessuno può essere condannato per un reato e a una pena non previsti quando commise il reato; ma poi il luogo e le modalità dell’espiazione della pena dipendono dalle norme in vigore al momento della condanna (in base al principio “tempus regit actum”). Così ha sempre stabilito la giurisprudenza della Consulta e della Cassazione, ogni qual volta il Parlamento inseriva nuovi reati “ostativi” ai benefici penitenziari: prima quelli di mafia e terrorismo, poi via via le violenze sessuali, i sequestri di persona a scopo di estorsione, il contrabbando, il traffico d’esseri umani, la riduzione in schiavitù, la prostituzione minorile, la pedopornografia e la violenza sessuale.

Trattandosi di reati tipici dei delinquenti di strada e non dei colletti bianchi (a parte B., che spesso sconfina), nessuno eccepiva nulla. E, se qualcuno eccepiva sulla “retroattività” e la mancanza di norme transitorie per i reati “vecchi”, veniva bacchettato. Ora dalla Consulta, per i mafiosi sul 41-bis (nel 1993, 1997, 1998 e 2017). Ora dalla Cassazione, per gli altri condannati: per esempio, con la sentenza n. 24561/2006, le Sezioni Unite confermarono il divieto di misure alternative agli stupratori: “Le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio ‘tempus regit actum’”. O con la 24767/2006 che consacrava il divieto di benefici ai condannati recidivi. O con la n. 11580/2013 che confermava il divieto di permessi premio ai sequestratori. I ricorrenti venivano amorevolmente invitati a farsi la galera senza rompere i coglioni.

Poi i 5Stelle hanno osato l’inosabile: infilare anche la corruzione, la concussione e il peculato fra i reati gravi da espiare in carcere senza eccezioni. E, alla sola idea di veder finire dentro anche politici e imprenditori, il sistema è impazzito. Il primo eccellente ad assaggiare il carcere vero grazie alle nuove norme è stato Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per oltre 6 milioni di mazzette in cambio del dirottamento indebito di 200 milioni di fondi regionali a cliniche private. Dopo 70 giorni era già fuori, perché ci si è messa pure una parte della magistratura: da allora una decina di tribunali hanno eccepito sulla “retroattività” dinanzi alla Consulta. Cosa mai accaduta per mafiosi, terroristi, sequestratori, stupratori, contrabbandieri, pedopornografi e schiavisti. L’Avvocatura dello Stato, anziché difendere la legge dello Stato, ha festosamente partecipato al massacro della Spazzacorrotti sostenendone la non “retroattività”. E la Consulta le è andata dietro, ribaltando decenni di giurisprudenza costante (a parte un caso isolato), sua e della Cassazione. Il ragionamento è strepitoso: quando il corrotto e/o il corruttore o il concussore rubavano, sapevano di commettere un reato, ma davano per scontato che le pene detentive previste per i loro delitti fossero finte (bastava tenersi sotto i 4 anni di pena o sopra i 70 anni di età, e sarebbero finiti ipso facto ai domiciliari o ai servizi sociali). E quando furono condannati, sapevano che la parola “reclusione” in calce alla sentenza era uno scherzo. Poi la Bonafede ha stabilito che era tutto vero: e quelli, a saperlo prima, non avrebbero rubato.

Dunque per loro la reclusione resta finta: diventa vera solo per chi delinque dopo l’approvazione della Spazzacorrotti. Quindi Formigoni, in barba al ricorso del Pg contro la sua scarcerazione, sconterà i restanti 5 anni e passa comodamente a casa sua. E così tutti i suoi simili, compresi i pregiudicati del processo Mondo di Mezzo, che usciranno tutti alla spicciolata se hanno più di 70 anni di età o meno di 4 anni di pena residua. Purtroppo la Consulta s’è scordata di abrogare l’articolo 3 della Costituzione, in base al quale “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”: dunque lo stesso principio deve valere per mafiosi, terroristi, sequestratori, stupratori, contrabbandieri, pedopornografi e schiavisti.
Si provveda dunque a scarcerare al più presto anche loro e soprattutto a risarcire tutti quelli che per 30 anni si sono visti applicare “retroattivamente” trattamenti penitenziari più duri di quelli previsti quando avevano commesso i reati. A cominciare dal 41-bis, varato il 6 agosto 1992, all’indomani di via D’Amelio: subito dopo, 532 mafiosi furono prelevati dai penitenziari ordinari e tradotti su aerei militari nei supercarceri di Pianosa e Asinara. Cosa che non sospettavano fino a pochi giorni prima. Dopo la sentenza di ieri, vanno subito risarciti e possibilmente scarcerati con tante scuse. Sennò saremmo di fronte alla solita, vecchia, vomitevole giustizia di classe immortalata da Trilussa: “La serva è ladra, la padrona è cleptomane”.


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IL SANTORI E IL PALCO ALLA U2 - Viviana Vivarelli.

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Intanto la prima cosa che il Santori ha fatto è stato registrare il marchio delle sardine.
La seconda aprire un conto corrente per gli sponsor.
Subito è comparso un palco modernissimo alla U2, sarà costato 2.800 euro ma il conto del Santori si è riempito subito con 70.000 euro e oltre. Tutti piccoli versamenti? Non credo. Poi mica è andato a Ustica ad accogliere i migranti, è andato nella villa dei Benetton a omaggiare uno dei peggiori patron italiani ma anche più ricco, chissà mai non ci scappasse un bel posto di lavoro. Sa come muoversi il mio pollo.

Scemo, scemo ma furbo, furbo.
Poi gli striscioni glieli ha fatti Bonaccini e la piazza gliela danno subito senza attese ogni giorno prestabilito senza fare storie quando altri devono aspettare mesi.
Hanno avuto la faccia di scrivere che le migliaia di 5 stelle a Roma avevano avuto viaggio pagato, diaria più il cestino da viaggio! Ma non lo vedono che Di Maio e gli altri stavano ritti su un camioncino? Gli sfugge che i soldi degli stipendi i 5 stelle li danno al popolo italiano e che sponsor alla Benetton non ne hanno? Si accaniscono su Casaleggio quando i conti sono tutti in chiaro e Casaleggio se lo pagano i 5 stelle a 300 euro al mese e oligarchi nel M5S non ce ne sono né russi né americani e tanto meno processi per mazzette. Sfugge anche l'evidenza di chi prende e chi dà? E pure il faraonico tour elettorale di Salvini "ogni giorno da due anni" scorazzando per tutto il Paese dovrà pure essere sulle spese di qualcuno, visto che Salvini i 49 milioni rubati dallo Stato non li ha resi lamentando casse vuote del partito e miseria e strappando una resa in 99 anni (e chi mai può tanto?).
La poesia delle sardine è bella e le bolle di sapone pure, ma quanto senso pratico c'è poi in questo quartetto di arrampicatori che ha trovato tutte le strade subito aperte? Quando poi nello stesso Paese abbiamo tante eccellenze dimenticate!! E sono davvero eccellenze costoro? O sono giovani molto furbi che stanno sfruttando il vento meglio che possono, il che sarebbe anche lecito se tanti giovani ignari non li seguissero e queste sardine non sembrassero tanto ma proprio tanto delle furbissime armi di distrazione di massa!

Andrea Scanzi

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Si sta facendo detestare da tutti. Sta compattando il resto del governo (e non era facile). Sta passando per quello che è, ovvero il peggior politico del lotto. Sta “combattendo” una battaglia personalistica che nessuno capisce, tranne (forse) lui. Sta alzando la posta in un bluff puerile e colpevole, col rischio di farsi sostituire al governo da un gruppetto di “responsabili” (scenario mestissimo, ma come contrappasso sarebbe divertente). Sta raggiungendo un livello tale di odiosità da avere ormai al suo fianco giusto un pelatino a caso, un bonzo paonazzo, una gengiva inutilmente ilare, l’ex tennista amica del Sismi e quel che resta della corsivista esaltata di via Solferino.
Soprattutto: sta consegnando il paese al suo alter ego più dotato Salvini, divenendo per distacco e una volta per tutte il più grande meteorite mai abbattutosi sulla sinistra (con cui non c’è mai entrato nulla) italiana. Se fosse un disco sarebbe un live unplugged di Povia, eseguito tutto con la grattugia al posto della chitarra.
Politicamente incoerente, inadeguato, tragicomico e comicamente sciagurato: da sempre e per sempre, anche quando (2013/2016 soprattutto) era vietato criticarlo e quasi tutti i media lo celebravano oscenamente. Però ha anche dei difetti. Daje Matte’!


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"La battaglia in nome dell’equità". - Gaetano Pedullà


Fossimo in un Paese normale, il Governo Conte che mette mano alla questione meridionale – cioè il più grande problema nazionale dall’unità d’Italia – sarebbe la più importante notizia dei giornali. Ma visto che di normale qui c’è rimasto ben poco, si è costretti a dar conto di chi questo stesso Governo vuol farlo cadere, appigliandosi a “irrinunciabili” questioni di principio sulla Giustizia e la prescrizione, quando anche i più ingenui hanno capito che dietro le fibrillazioni provocate da Matteo Renzi c’è essenzialmente la volontà contare di più nelle prossime nomine nelle partecipate pubbliche. Per ottenere il suo scopo, il leader di Italia viva ha minacciato di farsi esplodere come un kamikaze, facendo come prima vittima se stesso, visto che in caso di caduta dell’attuale Esecutivo ci sono ben poche speranze di formare una nuova maggioranza, e dunque si andrebbe a votare rischiando di restare fuori dal Parlamento.
Ora i retroscenisti dei soliti giornaloni ci raccontano che Giuseppe Conte si abbasserebbe a trasformarsi da avvocato del popolo in azzeccagarbugli del Palazzo, affidandosi ad attualmente invisibili schiere di parlamentari “responsabili”, ma di questa versione c’è poco da fidarsi. Al contrario, quello a cui possiamo credere senz’altro, perché lo vediamo, sono i fatti concreti. E di concreto abbiamo da una parte le cose prodotte dalla maggioranza giallorossa – con ultimi in ordine di apparizione: il piano da oltre cento miliardi per il Sud, la riforma del processo penale, il taglio del cuneo fiscale, ecc. – e dall’altra le cose prodotte dalle opposizioni e soprattutto da un sistema di potere che sta cercando di restaurare l’antico status quo, cancellando le riforme per le quali si sono espressi milioni di italiani: cancellare il Reddito di cittadinanza, rimettere la prescrizione, fermare con un referendum il taglio dei deputati e senatori, ripristinate per i corrotti le pene alternative al carcere (cioè una vacanza in casa propria o facendo finta di fare i servizi sociali), bloccare la revoca delle concessioni autostradali, e in mezzo a tante altre cose ancora, restituire i vitalizi agli ex parlamentari.
Per dire No a questo ribaltamento della volontà popolare, attuato per mezzo di codicilli e commissioni autoreferenziali come quelle previste dal regime di autodichia per Camera e Senato, oggi migliaia di cittadini saremo in piazza con la gioia di sentirci un popolo e la rabbia di chi è consapevole che ancora una volta ci vogliono fregare. Una manifestazione partita dal basso, da centinaia di attivisti che hanno aderito a una pagina Facebook, e che in poche ore sono diventati migliaia, con una velocità da fare invidia alle prime sardine (quel che ne resta è già in smobilitazione tra foto inopportunity con i Benetton e endorsment contro la riduzione dei parlamentari e il taglio dei vitalizi). Auguri perciò a questa piazza, alla quale La Notizia aderisce con la consapevolezza di quanto sia difficile riformare il nostro Paese, ma anche con la speranza che le cose si possano cambiare, riducendo le disuguaglianze e riportando un po’ di equità in una comunità dove troppi sono stati lasciati indietro e pochi continuano a ingrassare facendo indisturbati quello che gli pare.

"Il post cazzarismo". - Tommaso Merlo




Se davvero saltano fuori senatori che rendono il cazzaro toscano e la sua Italia Morta superflui, potrebbe davvero aprirsi una fase politica interessante. Un post cazzarismo guidato dal governo Conte a trazione 5 stelle. Un governo finalmente libero dai ricatti e capace di macinare risultati. Salario minimo, conflitto d’interessi, acqua pubblica, nuovo modello di sviluppo ed ambientale e tutti i punti programmatici del 4 marzo che per colpa del cazzarismo si son persi per strada. Certo, non è che col Pd di Zingaretti si possa volare. Non hanno idee, non hanno energie. Sono uno partito vecchio che si regge su uno zoccolo duro (di testa), giornalume e qualche effimero pesciolino che gli nuota attorno. Ma senza Renzi tra i coglioni, perlomeno il governo Conte potrebbe ricominciare a “fare” che è l’unica ricetta vincente per liberare il suolo italico dal cazzarismo sfrenato di questi tempi. La cronaca sorride. Renzi è stato sommerso da una alluvione di sterco sulla prescrizione e perfino la sua servitù è pronta a ribellarsi. Della serie: se si vuole suicidare che lo faccia da solo. Sull’altro fronte cazzarista, invece, Salvini è dato in picchiata nei sondaggi. È venuto a noia e non ne azzecca più una nemmeno per sbaglio. Dopo la legnata emiliano-romagnola che ha scalfito la sua imbattibilità, lo attendono mesi di grane processuali, di fantasmi russi e man mano che perde smalto si comprende con sempre più nitidezza la follia politica che ha compiuto ad agosto. Salvini poteva onorare il voto del 4 marzo e partecipare da protagonista ad una fase politica di radicale cambiamento come richiesto a gran voce dagli italiani. Poteva impegnarsi e cogliere l’occasione per servire il proprio paese dopo anni di melina parassitaria e dimostrare la qualità da premier di cui si vanta. Ed invece il suo ego tossico lo ha trascinato in una inconcludente campagna elettorale permanente, in mesi di cazzeggio e di cazzate fino all’apoteosi, l’autocastrazione. Oggi il suo destino politico è in mano ai suoi nemici. Più il post cazzarismo guidato da Conte produrrà frutti, più Salvini ne uscirà sgonfiato. Già se ne intravedono i segnali. Per i transfughi di Forza Mafia e per il neofascistume nostrano, la Meloni è molto meglio. Più nera delle imitazioni. Magari un tantino burina ma perlomeno collega il cervello prima di aprire la bocca e così alla fine le sue amenità sovraniste appaiono più coerenti. Salvini ha dimostrato di essere del tutto inaffidabile ed imprevedibile, un cavallo imbizzarrito che nemmeno i suoi riescono più a seguire e che più si dimena più dimostra la sua totale inadeguatezza a guidare il paese. Evviva il post cazzarismo, dunque, che potrebbe riservare altri vantaggi. Oltre a liberarci dell’egopolitica cazzara e portare a casa altri storici risultati per i cittadini, il post cazzarismo potrebbe ristabilire la verità storica su quello che sta succedendo in Italia in questi anni. In giro è pieno di falsità e d’ipocrita revisionismo, il moribondo vecchio regime sta falsificando la storia per sopravvivere, ma il loro inganno restauratore non potrà durare all’infinito. Col tempo dovrà cedere. Sotto il peso della sua irrilevanza. Di fronte a nuove conquiste per la nostra democrazia, di fronte alla conferma della salubre direzione politica intrapresa il 4 marzo, i meschini e subdoli tentativi di tornare al passato finiranno in niente e l’Italia potrà continuare il suo percorso di cambiamento. Libera da ogni cazzaro.

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domenica 16 febbraio 2020

Bibbiano, la Cassazione: “Non c’erano elementi per la misura” per il sindaco Andrea Carletti (Pd).

Bibbiano, la Cassazione: “Non c’erano elementi per la misura” per il sindaco Andrea Carletti (Pd)
I supremi giudici rilevano "l'inesistenza di concreti comportamenti", ammessa anche dai giudici di merito, di inquinamento probatorio e la mancanza di "elementi concreti" di reiterazione dei reati.

La procura di Reggio Emilia ne aveva chiesto l’arresto, oggi la Cassazione afferma che non esistevano i presupposti neanche per quella che viene considerata la più lieve tra le misure cautelari. Non c’erano gli elementi per disporre la misura dell’obbligo di dimora nei confronti del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti nell’ambito delle indagini sugli affidi illeciti in Val d’Enza. I giudici lo scrivono nelle motivazioni del verdetto che il 3 dicembre ha annullato senza rinvio la misura cautelare. I supremi giudici rilevano “l’inesistenza di concreti comportamenti“, ammessa anche dai giudici di merito, di inquinamento probatorio e la mancanza di “elementi concreti” di reiterazione dei reati. Il ricorso sottoposto ai giudici di piazza Cavour era stato presentato dagli avvocati difensori Giovanni Tarquini e Vittorio Manes, contro la decisione del Riesame dello scorso 20 settembre che aveva revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari per Carletti, ma aveva applicato l’obbligo di dimora nella sua casa di Albinea, sempre nel Reggiano. Il primo cittadino, sospeso dal ruolo su decisione del Prefetto e autosospeso dal Pd, è accusato di abuso di ufficio e falso per l’affidamento di alcuni locali per la cura di minori. Carletti, che si era autosospeso anche dal Partito Democratico, era stato arrestato il 27 giugno. Erano stati disposti i domiciliari che non sussistevano.

Sul rischio di inquinamento probatorio, gli ermellini sottolineano che l’ordinanza del riesame di Bologna – che il 20 settembre ha revocato i domiciliari a Carletti imponendo però l’obbligo di dimora – non si è basata su “una prognosi incentrata sul probabile accadimento di una situazione di paventata compromissione delle esigenze di giustizia”. Anzi, il Riesame – prosegue il verdetto – “pur ammettendo l’inesistenza di concreti comportamenti posti in essere dall’indagato, ne ha contraddittoriamente ravvisato una possibile influenza sulle persone a lui vicine nell’ambito politico amministrativo per poi inferirne, astrattamente e in assenza di specifici elementi di collegamento storico-fattuale con la fase procedimentale in atto, il pericolo di possibili ripercussioni sulle indagini”. Tutto “senza spiegare se vi siano, e come in concreto risultino declinabili, le ragioni dell’ipotizzata interferenza con il regolare svolgimento di attività investigative ormai da tempo avviate”. Di “natura meramente congetturale” anche il rischio di reiterazione.

In proposito la Cassazione rileva che “già in sede di applicazione dell’originaria misura cautelare”, ossia gli arresti domiciliari, i giudici di merito a fondamenta delle loro motivazioni si erano serviti di “elementi” messi “in relazione con altro passaggio motivazionale, di non univoca e quanto meno dubbia interpretazione, direttamente tratto dalle dichiarazioni rese da Carletti al Pm”. Interrogato dal magistrato, il sindaco di Bibbiano, sottolinea la Suprema Corte, “genericamente ed in via del tutto ipotetica, si limitò ad affermare che, qualora fosse tornato a rivestire la carica di sindaco, avrebbe potuto prendere in considerazione la proposta, proveniente da un interlocutore serio ed onesto, di un investimento su un terreno privato per la progettazione di una struttura, parallela a quella gestita dalla Asl, per la tutela di minori ed anziani”. Per gli ‘ermellini’ questa considerazione è “meramente congetturale e di per sé non sintomatica della intenzione di commettere ulteriori condotte delittuose dello stesso tipo di quelle per cui si procede”. Pertanto il riesame “ha illogicamente ricollegato la manifestazione di un atteggiamento volitivo orientato a proseguire l’esercizio delle funzioni di sindaco con un metodo d’azione volto alla mera realizzazione di fini politici, indifferente alle regole e alla normativa sottostante”. Carletti era stato sospeso dal prefetto ed era tornato a fare il sindaco dopo il verdetto della Cassazione.

È un grande risultato – commenta l’avvocato di Carletti, Giovanni Tarquini all’AdnKronos -, perché si riconosce che, fin dall’inizio, non c’erano i presupposti e le motivazioni per la misura cautelare. Le misure cautelari sono uno strumento molto forte e di fatto un’anticipazione del giudizio e, in questo caso, erano una forzatura. È un atto forte da parte della Cassazione – prosegue – perché nell’impostazione dell’accusa si riteneva che Carletti potesse condizionare le indagini e questo viene smentito e viene riconosciuto che non c’era una volontà di collusione con il mascheramento di condotte illecite o di non far arrivare alla verità. Infatti è tutto il contrario da parte del mio assistito”.

Il caso Bibbiano scoppia il 27 giugno, quando i carabinieri eseguono 18 misure cautelari in un’inchiesta della Procura di Reggio Emilia su un presunto giro di affidi illeciti nella Val d’Enza reggiana. Nei guai finiscono assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi. Agli atti, secondo i pm, ci sarebbero stati lavaggi del cervello ai bambini per raccontare abusi che non ci sono mai stati, relazioni dei servizi sociali falsate e quindi, questa l’accusa principale, minorenni illegittimamente tolti alle famiglie naturali e riaffidati: un business da migliaia di euro. Nelle carte comparivano anche l’uso di una macchinetta dei ricordi, con impulsi elettromagnetici e elettrodi applicati su mani e piedi dei bimbi: un sistema che serviva per alterare lo stato della memoria in prossimità dei colloqui. Ma anche i regali e le lettere dei genitori naturali nascosti in un magazzino, i disegni dei bambini contraffatti per descrivere molestie mai subite in famiglia.

Si parla subito di caso Bibbiano. Carletti è accusato di abuso d’ufficio e falso e di aver ‘coperto’ i reati. L’inchiesta verte su sei-sette casi e alcune figure, tra cui la dirigente del servizio sociale, Federica Anghinolfi, lo psicoterapeuta Claudio Foti della onlus torinese Hansel & Gretel e la moglie, Nadia Bolognini. Fin da subito pero’ lo scandalo esce dalla Val d’Enza e diventa di rilievo nazionale e terreno di scontro politico. Il ministro Bonafede invia ispettori al tribunale per i minorenni e alla Procura di Reggio. Si annuncia presto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul tema affidi e case famiglie. È in particolare il Movimento 5 Stelle a attaccare il Pd, “il partito di Bibbiano” per il vicepremier Luigi Di Maio. I dem rispondono annunciando querele e chiedendo di non strumentalizzare. Nel paese intanto si tengono manifestazioni e fiaccolate e Giorgia Meloni di FdI è una delle prime a arrivare e a incontrare alcuni genitori, seguita da Matteo Salvini che nei prossimi giorni chiuderà la campagna elettorale delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna. Intanto il tribunale per i minorenni, “parte lesa” come detto dal suo presidente Giuseppe Spadaro, avvia un’ampia rivalutazione dei casi seguiti dal servizio sociale incriminato, non solo quelli al centro dell’inchiesta. In alcuni casi, nel frattempo i bambini sono stati già riaffidati alle famiglie naturali.