martedì 5 maggio 2020

Il post di Bonafede: “Condizionato da boss per mancata nomina di Di Matteo al Dap? Assurdo e infamante”. E il governo difende il ministro.

Il post di Bonafede: “Condizionato da boss per mancata nomina di Di Matteo al Dap? Assurdo e infamante”. E il governo difende il ministro

Il ministro della Giustizia è tornato sulla vicenda con un lungo messaggio sulla sua pagina Facebook: "Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie". Vito Crimi lo difende: "Contro di lui attacchi politici, piena fiducia M5s". Ministro Costa: "Linciaggio fuori dalla storia".
Ieri il botta e risposta in tv, oggi un post su Facebook. E la difesa di tutto il governo, a partire dal premier Giuseppe Conte. Il tutto dopo che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è nuovamente intervenuto sulla questione della mancata nomina del pm antimafia Nino Di Matteo a capo del Dap, ruolo che – come raccontato da entrambi i protagonisti della vicenda, seppur con sfumature diverse – il Guardasigilli aveva proposto anche al magistrato antimafia insieme ad un altro ruolo di spicco all’interno del ministero. Poi non se ne è fatto più nulla e la questione è rimasta sotto traccia praticamente per due anni. Le recenti rivolte in carcere, la scarcerazione dei boss e sullo sfondo la questione coronavirus hanno riportato il Dap al centro della scena e delle polemiche. Ieri, dopo le dimissioni di Basentini e la sua sostituzione, l’ennesimo capitolo a L’Arena di Giletti, su La7: dibattito a distanza tra Di Matteo e Bonafede, con entrambi che hanno telefonato in diretta. Oggi, dopo che la questione è diventata l’argomento politico di giornata, il Guardasigilli ha deciso di ribadire la sua posizione in un lungo post su Facebook, che ricalca quanto detto in trasmissione da Giletti. Una difesa che ha incassato la solidarietà di tutto il Movimento 5 Stelle e anche del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Le parole di Bonafede – “Ieri sera, nella trasmissione televisiva “Non è l’Arena“, si è tentato di far intendere che la mancata nomina, due anni fa, del dottor Nino Di Matteo, magistrato antimafia e attuale membro del Csm, quale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) fosse dipesa da alcune esternazioni in carcere di mafiosi detenuti che temevano la sua nomina” ha scritto Bonafede, secondo cui “l’idea trapelata nel vergognoso dibattito di oggi, secondo cui mi sarei lasciato condizionare dalle parole pronunciate in carcere da qualche boss mafioso è un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda”. Detto ciò, il ministro ha ricostruito nuovamente tutta la vicenda: “E’ sufficiente infatti ricordare che, quando decisi di contattare il Dott. Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio Ministero da qualche giorno. Non solo – ha aggiunto – Furono oggetto di specifica conversazione in occasione della prima telefonata con cui, il 18 giugno 2018, proposi al dottor Di Matteo, in piena consapevolezza di ciò che questo rappresentava, di valutare la possibilità di entrare nella squadra che stavo costruendo per il ministero della Giustizia. D’altronde – è il ragionamento del Guardasigilli – se mi fossi lasciato influenzare dalle reazioni dei mafiosi non avrei certo chiamato io il dott. Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo – ha aggiunto – Sono consapevole che le mie scelte e le mie decisioni possono piacere o meno ma rigetto ogni e qualsiasi illazione al riguardo”.
La ricostruzione del Guardasigilli – La ricostruzione va avanti, con tanto di date e dettagli: “Alla fine dell’incontro, mi sembrava che fossimo concordi sulla scelta di quella collocazione, che gli avrebbe consentito di incidere su tutta la legislazione in materia penale – ha spiegato il ministro della Giustizia – Ad ogni modo, ci lasciammo con questa prospettiva. Più tardi ricevetti una chiamata del dottor Di Matteo, il quale mi chiese un secondo incontro, che si svolse l’indomani (mercoledì 20 giugno 2018, ore 11:00). In quell’occasione – ha sottolineato – mi disse che avrebbe preferito il Dap. Con profondo rammarico, gli spiegai che, dopo l’incontro del giorno prima, avevo già assegnato quell’incarico a un altro magistrato. Ricordo perfettamente che gli dissi che sarebbe stato comunque ‘la punta di diamante del Ministero contro la mafia’. Lui ribadì legittimamente la sua scelta. Ci siamo salutati entrambi con rammarico – ha specificato Bonafede – per non aver concretizzato una collaborazione insieme. Questi sono i fatti”.
In conclusione, poi, Bonafede ha difeso il lavoro sin qui svolto a via Arenula: “Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie che, infatti, nel mio ruolo ho portato avanti con riforme – ha elencato – come quella che ho sostenuto in Parlamento sul voto di scambio politicomafioso; con la Legge c.d. “Spazzacorrotti”; con la mia firma su circa 686 provvedimenti di cui al 41 bis e con l’ultimo decreto legge che – ha concluso – dopo le scarcerazioni di alcuni boss, impone ai Tribunali di Sorveglianza di consultare la Direzione nazionale e le Direzioni distrettuali antimafia su ogni richiesta di scarcerazione per motivi di salute di esponenti della criminalità organizzata“.
Da Conte “piena fiducia” nell’operato di Bonafede. Crimi: “Attacchi politici – “Piena fiducia” nell’operato di Alfonso Bonafede come ministro della Giustizia. E’ quanto ha sottolineato, secondo le agenzie di stampa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al termine della giornata di polemiche politiche sul Guardasigilli. A difendere il ministro della Giustizia anche il capo politico reggente del Movimento 5 stelle Vito Crimi: “Bonafede è il ministro della Giustizia che, nonostante numerose resistenze, è riuscito a portare a compimento riforme coraggiose: 100 detenuti in più mandati al 41 bis, Spazza-Corrotti, riforma della prescrizione, inasprimento della norma sul voto di scambio politico mafioso. L’opera svolta in questi 2 anni parla per lui – ha detto il viceministro dell’Interno in un post sulla sua pagina Facebook – Respingo con convinzione gli attacchi politici o le congetture prive di fondamento rispetto a scelte da lui compiute in piena autonomia, che non scalfiscono la fiducia mia e del M5S nei suoi confronti”.

Ministro Costa: “Linciaggio fuori dalla storia” – Oltre al capo politico del Movimento, in difesa del Guardasigilli da segnalare anche la posizione del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, simbolo della lotta dei pentastellati contro tutte le mafie: “Conosco molto bene il ministro Bonafede, ed è un punto di riferimento per lealtà istituzionale e per la sua lotta al crimine organizzato – ha detto – Materia che come sapete, per la mia storia, conosco bene. Adombrare nei suoi riguardi dei condizionamenti è assolutamente fuori dal mondo”. Costa, infatti, è generale del Corpo Forestale e poi dei Carabinieri, per anni impegnato nella lotta contro le discariche abusive dei Casalesi. “Basti pensare alla legge Spazzacorrotti, al suo intervento normativo dopo le recenti scarcerazioni – ha aggiunto – ai provvedimenti da lui firmati anche per il 41bis; mi confronto spesso con lui su tematiche di giustizia e sugli strumenti contro la criminalità, proprio in considerazione della mia esperienza lavorativa. Il linciaggio a cui è sottoposto in queste ore – ha concluso – è davvero fuori dalla storia”.
Luigi di Maio: “Bonafede ha la schiena dritta” – “Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sempre dimostrato di avere la schiena dritta e – scrive su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio – di non fermarsi davanti a nessuno, mettendo al primo posto solo gli interessi dei cittadini. Siamo entrati in parlamento con il chiaro intento di fermare il malaffare e debellare le mafie. Il nostro impegno è sempre stato massimo, in poco tempo abbiamo approvato leggi contro i mafiosi e inasprito le pene contro i corrotti”.
Morra (Antimafia): “Auspicio per un chiarimento” – Anche il presidente della Commissione parlamentare Antimafia e senatore M5s Nicola Morra, difende il Guardasigilli: “Arrivare a sostenere che l’azione di Bonafede sia stata inficiata da subito da condizionamento, minacce e intimidazioni per cui avrebbe evitato la nomina di Di Matteo a capo del Dap mi pare un’inferenza illogica. Se Bonafede fosse stato condizionato, minacciato, intimorito avrebbe potuto chiamare qualcun altro e non Di Matteo invece lo ha chiamato, ma poi, presumo, c’è stato un problema di comunicazione per cui il posto al Dap è stato assegnato a un’altra persona“. Morra ha ricostruito quanto emerso nella trasmissione televisiva di ieri. “Bonafede ha chiamato Di Matteo per offrirgli la possibilità di scegliere tra due incarichi, il primo essere a capo del mondo carcerario”, ha ricordato Morra “oppure un altro incarico” ossia la “Direzione generale affari penali, ruolo in cui a inizio anni ’90 fu chiamato a Roma Giovanni Falcone“. Morra ha poi ricordato che erano state “pubblicate alcuni giorni prima delle intercettazioni di boss appartenenti a Cosa Nostra in cui si diceva ‘se fanno Di Matteo capo Dap è finita’ proprio perché si riconosceva lo straordinario spessore dell’uomo e del magistrato”. “C’è stato un cortocircuito, un qui pro quo su cui bisognerà tornare. Si dovranno chiarire il ministro Bonafede e Di Matteo: questo è il mio auspicio“.

“Hanno appena scoperto che il Covid si può curare con il plasma dei guariti, ma nessuno ce lo dice perché preferiscono venderci il vaccino così fanno più soldi!”. - Lorenzo Tosa

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Analisi logica del testo.

1. Se nessuno ce lo dice, voi come fate a saperlo? Perché lo avete sentito in TV, su internet, alla radio, sui giornali. Quindi lo dicono tutti, non è vero che non ce lo dicono, altrimenti non lo sapreste neanche voi.

2. Il fatto che il plasma dei soggetti guariti contenga anticorpi e quindi possa curare la malattia è un segreto top secret che abbiamo scoperto ieri? No, sappiamo questa cosa da quando conosciamo il concetto di anticorpo, infatti è una cosa che vale per tutte le malattie virali conosciute. L’ipotesi di curare col plasma è al vaglio degli esperti sin dall’inizio dell’epidemia, stiamo riuscendo a valutarne gli effetti solo adesso per un motivo molto semplice: appena scoppiata l’epidemia i guariti non c’erano, quindi non potevamo prelevargli il plasma.

3. Avete una vaga idea di come funziona il prelievo di plasma? Per poterlo donare devi avere le analisi del sangue a posto, non avere determinate malattie, non fare uso di determinate sostanze; inoltre, non puoi donare più di una volta al mese. Quindi l’approvvigionamento di plasma è molto limitato rispetto al numero di malati da curare, non è che possiamo dissanguare centinaia di persone per curarne centinaia di migliaia.

4. Ma voi ce l’avete una vaga idea di quante sacche di plasma servono per curare un malato? Pensate che ne basti qualche millilitro? Voi avete idea di quanto costi un vaccino e quanto costi una cura col plasma? Pensate che il plasma sia gratis solo perché lo prelevano dal sangue delle persone? Pensate che non servano medici, strumenti, tecnologie, macchinari per poter condurre quel tipo di cura? Cosa pensate: che vi fanno bere un bicchiere di plasma altrui e “voilà”, siete guariti, come se fosse una pozione magica?

5. Cosa c’entra il plasma coi vaccini? Il plasma è una cura, il vaccino è una forma di prevenzione; quindi, in ogni caso una non esclude l’altra: è come dire che la cintura di sicurezza è un complotto perché in realtà esistono già gli ospedali che ti curano se fai un incidente. La cura col plasma inoltre non assicura immunità, perché gli anticorpi potrebbero scomparire dopo un tot di tempo che si è guariti, rendendoci nuovamente esposti al contagio. Il vaccino, invece, lo stiamo studiando proprio perché ci garantisca una immunità più duratura e ci eviti di prendere il Covid, così da debellare l’epidemia. Il plasma ha senso usarlo per curare chi è già malato, ma se non troviamo un modo per immunizzarci – come il vaccino – dovremmo continuare a prelevare plasma alla gente per sempre, perché continueranno ad ammalarsi persone.

Smettetela di diffondere fesserie, fate solo la figura dei fessi.

Paolo TuttoTroppo, debunker e divulgatore scientifico.

Il direttore de La Notizia Gaetano Pedullà a Coffee Break (La7): “Bonafede ha fatto più di tutti nella lotta alla mafia. Cosa nostra sta ridendo di quello che è andato in onda da Giletti”



Il direttore de La NotiziaGaetano Pedullà, è intervenuto, questa mattina, a Coffee Break (La7) sullo scontro nato tra il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e l’ex pm di Palermo, Nino Di Matteo. “Da Non è l’Arena – afferma Pedullà nel suo intervento – un attacco al ministro Bonafede, quello che ha fatto più di tutti nella lotta alla mafia. Oggi la mafia sta ridendo di quello che è andato in onda da Giletti”.

http://www.lanotiziagiornale.it/il-direttore-de-la-notizia-gaetano-pedulla-a-coffee-break-la7-bonafede-ha-fatto-piu-di-tutti-nella-lotta-alla-mafia/?fbclid=IwAR3DjDHd1jY-NOvQAtvcq0S22KG1ab4KpUszR3cXZjlQEjgs6ssY1kOOtNA

Buona fede. - Marco Travaglio

Polemica a viso aperto | L'HuffPost
Tutto potevamo immaginare, nella vita, fuorché di vedere il centrodestra (e dunque anche l’Innominabile e la sua Italia Morta) schierato come falange macedone in difesa di Nino Di Matteo, il magistrato più vilipeso e osteggiato (soprattutto dal centrodestra, ma non solo) degli ultimi vent’anni. Del resto, questa vicenda che lo contrappone al ministro Alfonso Bonafede è tutta un paradosso. Il Guardasigilli viene accusato di cedimenti alla mafia e alle scarcerazioni dagli stessi che gli davano del “giustizialista”, “manettaro” e per giunta colluso col “grillino” Di Matteo. Tant’è che l’altra sera, a “Non è l’Arena: è Salvini”, s’inchinavano deferenti a Di Matteo il capitano “Ultimo” (il neoassessore dell’immacolata giunta Santelli in Calabria, che Di Matteo fece a pezzi in varie requisitorie per la mancata perquisizione al covo di Riina) e l’ex ministro Claudio Martelli, che lo definì “uno stupido, forse anche in malafede” che “naviga nel caos” e “non escludo che si inventi delle balorde” nel processo Trattativa che “finirà in un nonnulla” (infatti, tutti condannati). Una lezione di legalità resa ancor più credibile da maestri del calibro di Flavio Briatore (imputato per evasione fiscale) e dello stesso Martelli (pregiudicato per la maxitangente Enimont). Gl’imputati, ovviamente assenti, erano due pericolosi incensurati: Bonafede e il suo capo uscente del Dap Francesco Basentini, che la vulgata salviniana e dunque gilettiana vuole colpevoli delle decine di scarcerazioni di detenuti (opera di altrettanti giudici di sorveglianza iper “garantisti”), quando tutti sanno che il Dap è corresponsabile solo in quella del fratello del boss Zagaria, scarcerato da un giudice di Sassari con la scusa del Covid e spedito a casa sua a Brescia (epicentro Covid).
Nel bel mezzo di quel frittomisto di urla belluine miste a notizie vere, verosimili e farlocche, fatto apposta per non far capire nulla, ha chiamato Di Matteo per raccontare la sua versione della mancata nomina a capo del Dap a metà giugno 2018. I lettori del Fatto sapevano già tutto. Il 27 giugno 2018 Antonella Mascali la raccontò insieme alle esternazioni di alcuni boss al 41-bis contro l’ipotesi di Di Matteo al Dap. Poi Marco Lillo criticò Bonafede per la “figuraccia” fatta con Di Matteo. L’altra sera l’ex pm ha evocato le frasi dei boss a proposito della presunta retromarcia del ministro sulla sua nomina al Dap. E, anche se non ha fissato alcun nesso causale fra le due cose, Giletti l’ha dato per scontato. Noi ovviamente non eravamo presenti ai tre colloqui (uno telefonico e due al ministero) intercorsi fra Bonafede e Di Matteo. E non ne conosciamo i particolari.
Ma già due anni fa ci facemmo l’idea di un colossale equivoco fra due persone in buona fede. Ecco la cronologia. Quando nasce il governo Salvimaio, voci di stampa parlano di Di Matteo al Dap o in un altro ruolo apicale del ministero della Giustizia. E fanno impazzire i boss (che evidentemente preferivano le precedenti gestioni). Il 3 giugno il corpo speciale della polizia penitenziaria (Gom) sente alcuni di loro inveire contro l’arrivo del pm anti-Trattativa. E il 9 giugno annota quelle frasi in una relazione al Guardasigilli e ai pm. Il 18 giugno, già sapendo quel che dicono i boss, Bonafede chiama Di Matteo per proporgli l’equivalente della direzione Affari penali (che già era stata di Falcone con Martelli) o il Dap. Il 19 giugno Di Matteo incontra Bonafede e dà un ok di massima per gli ex-Affari penali (questa almeno è l’impressione del ministro): ruolo che il Guardasigilli s’impegna a liberare riorganizzando il ministero e ritiene più consono alla storia di Di Matteo, oltreché alla sua esigenza di averlo accanto per le leggi anti-mafia/corruzione che ha in mente (all’epoca il problema scarcerazioni non era all’ordine del giorno). Il pm invece ritiene l’incontro solo interlocutorio. Bonafede offre il Dap a Basentini, ma in serata Di Matteo lo chiama chiedendo un nuovo incontro. E lì, il 20 giugno, gli dice di preferire il Dap e di non essere disponibile per l’altro incarico, forse per aver saputo anche lui delle frasi dei boss. Bonafede insiste per gli ex-Affari penali, imbarazzato perché il Dap l’ha già affidato al suo collega. Invano.
Il 27 giugno il Fatto pubblica le frasi dei boss: a quel punto, come osserva Lillo sul Fatto, Bonafede potrebbe accantonare Basentini e richiamare Di Matteo per dare un segnale ai mafiosi; ma, per non mancare alla parola data, non lo fa. In ogni caso l’ipotesi che la contrarietà dei mafiosi l’abbia influenzato è smentita dalla successione dei fatti, oltreché dalla logica: chi vuol compiacere i boss non offre a Di Matteo il posto di Falcone, ucciso proprio per il ruolo di suggeritore di Martelli agli Affari penali, non al Dap. Ma Di Matteo si convince, memore dei mille ostacoli incontrati nella sua carriera, che “qualcuno” sia intervenuto sul ministro per bloccarlo. Intanto Bonafede continua a sperare di portarlo con sé. Ma ormai il rapporto personale è compromesso, anche se poi Di Matteo non manca di sostenere le riforme di Bonafede (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione ecc.) e la recente nomina a vicecapo del Dap del suo “allievo” Roberto Tartaglia, giovane pm del processo Trattativa. Un’altra mossa che a tutto può far pensare, fuorché a un gentile omaggio a Cosa Nostra.

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi). - Giuseppe Pipitone

Carceri, Forza Italia ora usa Di Matteo per attaccare Bonafede. Ma fino a sei mesi fa lo insultava (perché parlava di Dell’Utri e i boss mafiosi)

Tutto il centrodestra, guidato dai berlusconiani, è andato all'attacco del Guardasigilli sfruttando il botta e risposta col pm antimafia in diretta televisiva. Ma fino a pochi mesi fa sono molteplici gli attacchi e gli insulti (soprattutto dei forzisti) indirizzati proprio all'ex pm di Palermo, che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, ha ottenuto la condanna di Dell'Utri a 12 anni di carcere, e ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

Chiedono le dimissioni del guardasigilli, vogliono che l’intero governo vada in Parlamento a spiegare, definiscono “gravi” le accuse al ministro e vorrebbero fosserro addirittura sollevate “nelle sedi opportune”. Il primo giorno della cosiddetta Fase due della lotta al coronavirus si fa segnalare per un fatto inedito che però nulla ha a che fare con l’epidemia: tutto il centrodestra si schiera compatto a difesa del più noto magistrato antimafia del Paese. Persino Forza Italia che in passato ha parecchio polemizzato con lo stesso pubblico ministero, arrivando più volte a insultarlo. Tutto pur di avere l’occasione di attaccare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Anche usare le parole di Nino Di Matteo, l’ex pm della procura di Palermo ora consigliere del Csm, che i berlusconiani definivano “mitomane” non più tardi di sei mesi fa. D’altra parte Di Matteo è il magistrato che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia, che ha ottenuto la condanna di Marcello Dell’Utri a 12 anni di carcere, che ha spesso ricordato pubblicamente come Forza Italia sia stata fondata da un uomo che la Cassazione ha riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra.

L’assist per il centrodestra – La vicenda che fa da assist al centrodestra, con i berlusconiani tornati a guidare la coalizione almeno nella guerra di comunicati stampa, è quella che si consuma nello studio di Non è l’Arena su La7. In studio si discute di carceri, e si evoca la nomina di Di Matteo a capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria nel giugno del 2018, poi mai concretizzatasi. Il consigliere del Csm chiama in diretta per raccontare che nel 2018 il ministro gli aveva effettivamente offerto di dirigere il Dap. Alcuni giorni prima era iniziata a circolare la relazione con le reazioni rabbiose esternate dai boss mafiosi al 41bis sull’ipotesi di Di Matteo al capo del Dap. Quell’offerta sarebbe poi venuta meno. “Andai a trovare il ministro – è la ricostruzione di Di Matteo – dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Sempre in diretta ecco la replica di Bonafede: Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo”.

Gelmini: da “supposizioni infamanti” a “gravissime accuse” – È su questo botta e risposta che il centrodestra tutto si è trovato unito vicino al magistrato ed è andato all’attacco del Guardasigilli. “Riassumendo: prima Bonafede permette che diversi boss escano dal carcere. Poi Di Matteo dichiara di non essere stato nominato a capo del Dap per le pressioni della mafia e i 5s non ne chiedono le dimissioni? Il Governo deve riferire in Aula e dare spiegazioni agli italiani”, twitta Gabriella Giammanco, vicepresidente del partito azzurro al Senato. “Dopo le parole di Nino Di Matteo da Giletti a Non è l’arena, Alfonso Bonafede venga immediatamente in Parlamento. Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il Ministero della Giustizia”, scrive sempre sui social Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati. La stessa che il 3 novembre scorso definiva quelle di Di Matteo “le solite farneticanti teorie“, “ancora una volta ridicole accuse“, “supposizioni infamanti” “illazioni inaccettabili e insultanti“. Quel giorno il magistrato aveva ricordato in diretta televisiva su Rai3 il patto tra le famiglie mafiose e Silvio Berlusconi, durato almeno fino al 1992 e al centro di una sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato il braccio destro del Cavaliere e fondatore di Forza Italia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Mulè: da anarchia informativa a censura preventiva – Un intervento inattaccabile dal punto di vista giuridico. E forse proprio per questo aveva fatto finire l’ex pm nel mirino dei berlusconiani. “Contro l’ex Cavaliere un vaniloquio da mitomane“, aveva detto il deputato Fi e membro della Vigilanza Rai Andrea Ruggieri. “Vergognosa propaganda senza contraddittorio”, erano le accuse di Maurizio Gasparri. Per la senatrice azzurra Alessandra Gallone, si trattava “ad accuse infondate” e a una “delle più brutte pagine” della Rai. Per Giorgio Mulè eravamo addirittura “all’anarchia informativa“. Dopo le parole di Di Matteo su Bonafede cosa avrà detto il portavoce dei gruppi parlamentari berlusconiani? Mulè se la prende di nuovo con la Rai per i motivi completamente opposti a quelli di novembre. Sei mesi fa era anarchia informativa far parlare un pm di processi e sentenze, oggi “lascia basiti che il Tg1 non abbia dato alcuno spazio allo scontro avvenuto in diretta tv tra il pubblico ministero e componente del Csm e il ministro della Giustizia”. Di più: “È che si sia totalmente taciuta la notizia. Oramai siamo alla censura preventiva pur di compiacere e non disturbare il governo, un comportamento indegno per chi ha il dovere di informare: il Tg1 ha definitivamente tradito la missione di servizio pubblico”. Insomma: seguendo la logica di Mulè censurare Di Matteo è giusto quando parla di Berlusconi e Dell’Utri, sbagliato quando invece cita Bonafede.
Zanettin, che voleva Di Matteo punito da Bonafede – Un altro deputato berlusconiano, Pierantonio Zanettin, nel settembre scorso aveva presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia per chiedere di valutare l’apertura di azioni disciplinari nei confronti del pm antimafia. Adesso riesce in una piroetta completa: prende spunto dallo scontro con Di Matteo per attaccare Bonafede: “Il ministro dimostra ancora una volta la propria inadeguatezza, o ha mentito o ha dimostrato in diretta televisiva di non conoscere l’organizzazione del ministro della Giustizia”. Tra i grandi sostenitori del pm palermitanno anche Giorgia Meloni. “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, dice la leader di Fratelli d’Italia, nota estimatrice della figura di Paolo Borsellino. Nel 2008, però, quand’era ministro del governo Berlusconi, non si smarcò dalla sequela d’insulti lanciati quotidianamente da esponenti del Pdl nei confronti della procura di Palermo. Erano talmente tanti che alcuni pm definirono “pericolosa la violenza verbale usata nei confronti della magistratura”. “Non credo che il problema della lotta alla mafia sia legato alla veemenza verbale nei confronti della magistratura“, disse una giovane Meloni. Per inciso, all’epoca, tra i pm di Palermo quotidianamente sotto attacco c’era anche Di Matteo.

lunedì 4 maggio 2020

Di Matteo: “Bonafede mi propose di dirigere il Dap. Poi ci ripensò. I boss al 41bis contrari”. Il ministro: “Esterrefatto. Solo sue percezioni”.

Di Matteo: “Bonafede mi propose di dirigere il Dap. Poi ci ripensò. I boss al 41bis contrari”. Il ministro: “Esterrefatto. Solo sue percezioni”

Botta e risposta, durante la trasmissione Non é l’Arena su La7, tra il magistrato e il guardasigilli. Il primo ha affermato che nel 2018 il ministro gli aveva offerto di dirigere il Dipartimento amministrazione penitenziaria, offerta che sarebbe poi venuta meno, dopo la reazione di alcuni boss detenuti al 41 bis, intercettati. Il ministro ha controreplicato: la circostanza che lui avrebbe cambiato decisione dopo aver saputo dell’intercettazione ("che peraltro era già stata pubblicata") "non sta né in cielo né in terra". Il centrodestra all'attacco del guardasigilli: "Si dimetta". Il Pd lo difende. Renzi: "Sfiducia? Vediamo".
La guida del Dipartimento amministrazione penitenziaria o la poltrona che fu di Giovanni Falcone, un incontro tra l’allora neoministro della giustizia e il magistrato antimafia più noto del Paese, una proposta fatta e poi ritirata. E in mezzo le intercettazioni dei boss mafiosi al 41bis che esternano tutti i loro timori per quella nomina al vertice delle carceri. Una nomina che alla fine non ci sarebbe mai stata. È un duro botta e risposta quello andato in onda su La7 durante la trasmissione Non è l’Arena. Un dibattito con due protagonisti d’eccezione: il magistrato Nino Di Matteo e il guardasigilli Alfonso Bonafede. Nessuno dei due è presente in studio ma entrambi alzano il telefono e chiamano in diretta per intervenire nel dibattito in corso.
Il dibattito sul Dap – Al centro della discussione c’è la poltrona al vertice del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Un incarico che nelle ultime 48 ore ha cambiato titolare: il nuovo numero uno del Dap e il magistrato Dino Petralia, che ha lavorato per anni con Di Matteo alla procura di Palermo. Ha preso il posto di Francesco Basentini, dimissionario dopo le polemiche per le scarcerazioni dei boss, la circolare sulla gestione dei detenuti per combattere il contagio del coronavirus, le violentissime rivolte nelle carceri di inizio marzo. Vice di Petralia il ministro Bonafede ha voluto Roberto Tartaglia, anche lui ex pm di Palermo e molto vicino a Di Matteo: insieme hanno fatto parte del poll che ha indagato sulla Trattativa tra pezzo dello Stato e Cosa nostra.
“Il ministro mi ha proposto quell’incarico, poi ci ha ripensato” – Quella poltrona al vertice del Dap, però, in passato è stata accostata direttamente allo stesso Di Matteo. Durante la trasmissione su La7 viene evocata una “trattativa” tra il magistrato e l’allora neoministro della giustizia nel giugno del 2018. È a questo punto che Di Matteo chiama in diretta. L’ex pm, oggi consigliere del Csm, ha preso il telefono per chiarire cosa fosse successo due anni fa. “Io non ho mai fatto trattative con nessun politico né ho chiesto nulla ad alcun politico. Le cose sono andate diversamente. Venni raggiunto da una telefonata del ministro che mi chiese se ero disponibile ad accettare l’incarico di capo del Dap o in alternativa quello di direttore generale degli Affari penali, il posto che fu di Falcone”, è la ricostruzione del magistrato. “Io – continua – chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta. Nel frattempo alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura antimafia e anche al Dap avevano descritto la reazione di importantissmi capimafia. Dicevano: se nominano Di Matteo per noi è la fine”. Di Matteo racconta quindi che “andai a trovare il ministro dicendo che avevo deciso di accettare l’incarico al Dap, ma improvvisamente mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano deciso di nominare il dottor Basentini. Mi chiese di accettare il posto di direttore generale del ministero, ma il giorno dopo gli dissi di non contare su di me”. Il magistrato siciliano puntualizza: Ci aveva ripensato o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci”.
“Esterrefatto, che avessi ritirato la proposta per paura è sua percezione” – Passano pochi minuti ed ecco che durante la trasmissione arriva la replica di Bonafede. Il mezzo è sempre lo stesso: una telefonata in diretta. “Rimango veramente esterrefatto – ha esordito il guardasigilli – nell’apprendere che viene data un’informazione grave nella misura in cui si lascia trapelare un fatto assolutamente sbagliato e cioè che sarei arretrato dalla mia scelta di proporre al dottor Di Matteo un ruolo importante all’interno del ministero perché avrei saputo di intercettazioni. Di Matteo lo stimo, ma dobbiamo distinguere i fatti dalle percezioni, perché dire che agli italiani che lo stato sta arretrano rispetto alla lotta mafia è un fatto grave”. La replica di Bonafede è piena di distinguo: “Non sto chiamando né per difendermi né per dare chiarimenti, io metto davanti i fatti perché nei miei quasi due anni da ministro ho portato avanti solo leggi scomode, che mi fanno vivere sotto scorta, ho firmato 686 atti per il 41 bis. La questione – ricostruisce Bonafede – è molto semplice: io ho chiamato il dottor Di Matteo per la stima che ho nei suoi confronti, parlandogli della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli, o capo del Dap o direttore degli Affari penali, dicendogli che era mia intenzione farlo scegliere praticamente a lui, anche se ne avremmo parlato insieme. Nella stessa telefonata Di Matteo mi chiarisce che c’erano state nelle carceri delle intercettazioni nelle quali i detenuti avrebbero espresso la loro contrarietà alla sua nomina al Dap, credo abbiano detto ‘facimmo ammuinà“.
La controreplica: “Nessuna interpretazione, racconto fatti” – Il ministro della Giustizia continua: “Non sono uno stupido sapevo chi è Di Matteo, sapevo chi stavo per scegliere, e tra l’altro l’altro quella intercettazione era già stata pubblicata sul Fatto Quotidiano e sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché le fa la polizia penitenziaria. Il fatto che il giorno dopo avrei ritrattato quella proposta in virtù di non so quale paura sopravvenuta non sta né in cielo né in terra. E’ una percezione del dottor Di Matteo. Quando lui è venuto al ministero gli ho detto che tra i due ruoli per me sarebbe stato molto più importante quello di direttore degli Affari penali perché era molto piu di frontiera nella lotta alla mafia. Quindi non gli ho proposto un ruolo minore nella lotta alla mafia. E a me sinceramente era sembrato che alla fine dell’incontro fossimo d’accordo”. Di Matteo, da parte sua, ha controreplicato: “Io oggi non ho fatto interpretazioni ho raccontato dei fatti precisi e li confermo. Preciso che non si trattava di una sola intercettazione, ma in piu sezioni di 41 bis c’erano state dichiarazioni fatte ostentatamente dai detenuti che, gridando da un piano all’altro, dissero che ‘se e arriva Di Matteo questo butta la chiave. Mi pare che il ministro abbia confermato i fatti, io non do interpretazioni”.
“Se mettono Di Matteo ci chiudono come topi” – Le intercettazioni alle quali fanno riferimento sia Di Matteo che Bonafede sono quelle pubblicate del Fatto Quotidiano il 27 giugno. Registrate dal Gom, il Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria, riportano i commenti di boss di Cosa nostra e camorra il giorno dopo che i ministri del nuovo governo formato da Lega e M5s hanno giurato al Quirinale. Nel carcere de L’Aquila Cesare Lupo, braccio destro di Giuseppe Graviano, il boss delle stragi, dice a un agente di polizia penitenziaria: “Appuntato, avete visto che come capo dipartimento (direttore del Dap, ndr) mettono a Di Matteo? Che vogliono fare? Stringerci ancora di più? Noi siamo già stretti, più di questo non possono fare”. Stesso giorno, stesso carcere, parla il camorrista Ferdinando Autore: Questi ci vogliono di nuovo chiudere come i topi. Qui c’è scritto che vogliono fare Di Matteo capo delle carceri. Questi so’ pazziamma a’ fa ammuina (dobbiamo fare rumore, ndr)”. Tre giorni dopo Sandro Lo Piccolo, capomafia della cosca di San Lorenzo, sta guardando in Tv la diretta sul voto di fiducia alla Camera: “Siete dei vigliacchi, avete solo la mafia in testa, questi ci toglieranno pure la liberazione anticipata”. Una strana affermazione per uno che come Lo Piccolo è condannato all’ergastolo.
Il centrodestra all’attacco del guardasigilli: “Si dimetta” – Il botta e risposta è immediatamente diventato argomento di dibattito politico, con il centrodestra che ha chiesto le dimissioni di Bonafede. “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Alfonso Bonafede, domani mattina rassegnerei le mie dimissioni di ministro della Giustizia”, scrive su facebook la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. “Bonafede non può più essere il ministro della Giustizia. Dopo le dichiarazioni gravissime del dottor Di Matteo e le risposte imbarazzanti rese dallo stesso Guardasigilli, non resta che questa decisione già indicata da tempo dalla Lega sin dal primo giorno dello scandalo sulle scarcerazioni ai boss mafiosi”, dicono i parlamentari del Carroccio in commissione Antimafia. Persino Forza Italia usa le dichiarazioni del magistrato antimafia – in passato attaccato e insultato per le sue indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri – per attaccare il guardasigilli. “Riassumendo: prima Bonafede permette che diversi boss escano dal carcere. Poi Di Matteo dichiara di non essere stato nominato a capo del Dap per le pressioni della mafia e i 5s non ne chiedono le dimissioni? Il Governo deve riferire in Aula e dare spiegazioni agli italiani”, twitta Gabriella Giammanco, vicepresidente del partito azzurro al Senato. In Forza Italia c’è però chi non riesce proprio ad avvicinarsi alle posizioni di Di Matteo, e attacca sia l’ex pm che Bonafede: “L’unica certezza nella diatriba tra il pubblico ministero, Nino Di Matteo, e il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, è che il senso dello Stato è stato calpestato”, scrive in una nota Giorgio Mulè, portavoce unico dei gruppi azzurri di Camera e Senato.
Il Pd difende Bonafede. Renzi: “Sfiducia? Vediamo” – Difende il guardasigilli, invece, il vicesegretario del Pd – ed ex ministro della Giustizia – Andrea Orlando: “So che Bonafede forse non ragionerebbe così, ma se un ministro dovesse dimettersi per i sospetti di un magistrato, si creerebbe un precedente gravissimo. Il sospetto non è l’anticamera della verità, sinché non verificato resta un sospetto”. I dem sono tutti dalla parte di Bonafede. Il capogruppo al Senato Andrea Marcucci defini le parole di Di Matteo “oggettivamente molto più inquietanti di quelle usate dal guardasigilli. Da un membro del Csm ci si aspetterebbe la scelta di luoghi più consoni per rivelare le sue verità. Che sulla intera vicenda, ci sia bisogno di fare chiarezza in Parlamento, non c’è dubbio. Dall’idea che mi sono fatto, però il Guardasigilli è la parte lesa: il sospetto non può mai diventare l’anti camera della verità”. Matteo Renzi, come spesso accade, usa invece toni più simili all’opposizione nonostante sia ancora formalmente sostenitore del governo. “Siamo in presenza di una clamorosa vicenda giudiziaria che rischia di essere il più grave scandalo giudiziario degli ultimi anni”, sostiene il leader di Italia Viva. Che è il primo a parlare di una mozione di sfiducia a Bonafede: “Prima di parlare di mozioni di sfiducia, che fa la destra, vogliamo vedere. Prima ancora di arrivare lì voglio vedere se è un regolamento di conti, voglio sapere la verità”. In realtà nessuno all’opposizione aveva mai parlato di una sfiducia al guardasigilli.

L’algoritmo “marino” modificato per dare la caccia al coronavirus. - Alessio Jacona

Nazioni ad alto fattore di rischio stimate (rosso) e vere (pallino viola) ©
Nazioni ad alto fattore di rischio stimate (rosso) e vere (pallino viola)


Un’IA sviluppata dal Cnr-Isti per monitorare le specie ittiche, si rivela efficace nell’individuare potenziali zone ad alto contagio da SARS-CoV-2.

Immaginate che, grazie all’intelligenza artificiale, sia possibile prevedere in anticipo dove una pandemia colpirà con più forza nel mondo. Che si possa cioè individuare su una mappa quali saranno le zone a più alto tasso di contagio e, di conseguenza, sia possibile combattere meglio non solo il virus SARS-CoV-2, ma ogni altra epidemia tra quelle che secondo gli esperti dovremo affrontare nel futuro.
È esattamente questo l’obiettivo con cui Gianpaolo Coro, ricercatore presso l'Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Isti), ha creato e sta sperimentando il “modello globale per predire zone ad alto tasso di contagio per COVID-19”, sistema basato su IA che già oggi ha dimostrato di saper predire con promettente precisione dove il virus farà più danno. E che, un domani, potrebbe consentirci di organizzare per tempo strategie di prevenzione più efficaci, salvando vite ed intere economie con azioni mirate su territori delimitati.
L’importanza (sottovalutata) dei fattori ambientali. Il modello produce una mappa che rappresenta la probabilità, su scala globale, che in un'area sussistano condizioni ambientali e umane che potrebbero favorire una crescita dei contagi di COVID-19. Attualmente la mappa ha una risoluzione di circa 50 chilometri e identifica zone a tasso potenziale alto, medio, basso oppure nullo di crescita dei casi infezione.
Qui la cosa notevole è che l’IA ci riesce combinando in maniera complessa dati ambientali come temperatura, precipitazioni e altitudine con altri fattori relativi all’attività umana quali ad esempio emissioni di anidride carbonica e densità di popolazione.
«Per addestrare l'algoritmo - rivela Gianpaolo Coro - gli abbiamo indicato quali fossero le province italiane con la maggiore diffusione del virus chiedendogli di trovare correlazioni, quindi di proiettarle sul resto del mondo per cercare altri territori con condizioni simili dove il virus potesse proliferare»
Precisione al 77%. Nella prima fase della sperimentazione, quando l’IA prendeva in considerazione parametri come temperatura, precipitazioni e inquinamento da CO2, il sistema ha subito individuato correttamente la regione dell’Hubei (il cui capoluogo è proprio Wuhan, città tristemente nota come epicentro del contagio da SARS-CoV-2) e altri territori in Europa e nell’Ovest degli Stati Uniti.
A oggi, il modello del CNR identifica correttamente oltre il 77% dei paesi che stanno effettivamente riportando un'alta diffusione del virus, rilevando come caratteristiche comuni nelle zone a più alto rischio una temperatura media tra 11° e 12°, una quantità moderata di precipitazioni ed un alto tasso di inquinamento.
Altro dato interessante è che, stando alle risposte fornite dal modello di Gianpaolo Coro, la densità di popolazione è una variabile che non influisce sul tasso di contagio: «il modello indica che, superata una soglia abbastanza bassa di popolosità e con determinate caratteristiche ambientali, il virus riesce ad espandersi senza difficoltà».
Il SARS-CoV-2 come il pesce palla. Può sembrare incredibile, ma l’intelligenza artificiale sviluppata da Coro (e basata su "Maximum Entropy", un principio statistico che consente di trovare le similitudini), potrebbe essere definita di “seconda mano”: «Appena scoppiata la pandemia - rivela infatti il ricercatore - i colleghi della FAO mi hanno suggerito di usare i miei modelli applicati al monitoraggio delle specie marine per provare a prevedere l'andamento dell’epidemia».
Cnr-ISTI e Fao collaborano ormai da tempo a progetti che mirano a migliorare la gestione delle risorse ittiche in mari e oceani. Una partnership regolata dai principi dell’open science, secondo cui gli scienziati condividono in modo aperto e trasparente metodologie, conoscenze, processi, dati e risultati di ogni ricerca, e che ha permesso a Gianpaolo Coro di riutilizzare un modello matematico originariamente realizzato per dare indicazioni precise alla Commissione Europea sui limiti alla pesca in Europa.
«Il mio modello serviva a identificare le nicchie ecologiche e cioè a individuare, data l'osservazione delle abitudini di un certa specie ittica, dove sarebbe andata a stabilirsi», spiega. Oggi è uno degli approcci più utilizzati al mondo, ed è stato usato anche per compiti complessi come prevedere i movimenti del pesce palla argenteo, che infestante e velenoso invade le acque del Mediterraneo passando dal Canale di Suez, e persino del raro e misterioso calamaro gigante, «ma allo stesso modo funziona anche con i virus, che al posto dei luoghi vanno ad infestare le persone».
Estendere il modello. Ora la sfida è lavorare sul modello riconvertito alla caccia del SARS-CoV-2 «per estenderlo e renderlo in grado di individuare altri fattori ambientali che possono causare la diffusione del virus - conclude il ricercatore del Cnr-ISTI - oppure per definire le possibilità che un individuo, data la sua storia medica, possa finire in terapia intensiva».
Intanto il prossimo step sarà aumentare la risoluzione della mappa da 50 a 10 chilometri entro la fine dell’anno, obiettivo che Gianpaolo Coro perseguirà grazie a finanziamenti Europei.
PS. Alessio Jacona - Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA.it