mercoledì 16 settembre 2020

‘Mi è scappato un no’: Giorgia Meloni imita bene Totò. - Antonio Padellaro


Titolone del Giornale: “Svolta della Meloni: con il No vanno a casa”. Oibò, leggiamo meglio cosa dice la leader di Fratelli d’Italia: “Io sono per il Sì al taglio dei parlamentari, ma l’idea che la vittoria del No possa creare un sommovimento nel governo rischia di avere la meglio”.

A questo punto, assai poco originale chiedo scusa ai lettori, ma la citatissima scena dei Tartassati cade a pennello. Totò che cerca di ingraziarsi il maresciallo della tributaria, Aldo Fabrizi, giocando sulle comuni simpatie politiche, ma quando comprende di aver preso un abbaglio pensando che Fabrizi sia un nostalgico del fascismo, si allinea in un baleno, derubricando la sua precedente adesione a un “mi sarà scappato un pro, ma io sono anti”.

Ora, lungi da me qualunque accostamento tra Giorgia Meloni e determinate nostalgie (argomento di chi non possiede altri argomenti) però trovo irresistibile l’analogia tra il “mi sarà scappato un pro” del film con il “mi sarà scappato un No” che in queste ore agita assai le acque della destra. Come dimostra l’endorsement per il No di Giancarlo Giorgetti, ex (?) braccio destro di Matteo Salvini che pur avendo votato Sì, Sì, Sì e ancora Sì, nei successivi voti parlamentari sul taglio, e pur avendo schierato il suo partito sul Sì al referendum, adesso ingolosito dal No, per le stesse ragioni della Meloni, se la cava con uno scontatissimo: “La Lega non è una caserma”.

Eppure, la vera parola chiave dei partiti sovranisti dovrebbe essere: “anti”. Infatti, come ha ripetuto ieri alla Verità, la Meloni sostiene di “avere molte proposte da fare per dare una mano all’Italia”, ma che “se il buongiorno si vede dal mattino non credo al governo interesseranno”. Fatto sta che l’opposizione di destra-destra è convintamente e incessantemente “anti” tutto ciò che fa il governo, a prescindere (come direbbe Totò). Il quale Totò, autore della immortale massima (“la serva serve”) potrebbe facilmente eccepire che l’opposizione si oppone, altrimenti che razza d’opposizione sarebbe.

E dunque chissenefrega del Sì se con la vittoria del No si manda a casa Conte. Anche perché con il giochino io sono per il Sì ma i miei sono per il No, la sera dei risultati Salvini e Meloni potranno dire di avere vinto comunque (carta perde, carta vince).

Ci resta un dubbio visto che la Meloni chiede a Mattarella di sciogliere le Camere se lunedì prossimo la maggioranza di governo risultasse definitivamente minoranza nel Paese. Ma visto che Salvini sostiene che i risultati delle Regionali “non avranno effetti sul governo”, sappiamo già cosa dirà se cambiasse idea: mi sarà scappato un pro ma io sono anti. O viceversa.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/15/mi-e-scappato-un-no-giorgia-imita-bene-toto/5931731/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-15

I Gattopardi con Bonaccini per far fuori Zinga (e Conte). - Wanda Marra

 


Se il Pd perde le elezioni il governatore può aprire la crisi nel partito, aiutato da “Repubblica” di Elkann.

Sostituire Giuseppe Conte alla guida del governo. L’obiettivo non è di pochi. Convergenze parallele di intenti, con interessi che si incontrano, anche se magari non si sovrappongono. L’operazione si svolge su più livelli: Stefano Bonaccini punta alla segreteria del Pd. Aprire un congresso per far fuori Nicola Zingaretti cambierebbe la strategia del Pd e l’indebolimento del governo sarebbe la prima conseguenza. Matteo Renzi vuol trovare un modo per rimettersi in gioco, dopo l’operazione fallimentare di Iv: rientrare nel Pd, oppure stabilire un’alleanza forte con il nuovo segretario sarebbe una strada da percorrere di pari passo alla creazione di un fronte moderato, ricongiungendosi con Carlo Calenda e Matteo Richetti di Azione e coagulando una parte di FI. E poi c’è Repubblica, che con la nuova proprietà degli Elkann e la nuova direzione di Maurizio Molinari, guarda più alle lobby che al tradizionale mondo di sinistra moderata.

L’occasione per un rovesciamento del quadro politico, che si porterebbe incorporata la gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund, potrebbe arrivare da una sconfitta elettorale domenica e lunedì alle Regionali. Rafforzata, magari, dalla vittoria del No al referendum sul taglio dei parlamentari.

Ad anticipare la problematica è stato il vicesegretario, Andrea Orlando, lo scorso maggio. “Con questo governo mettiamo in circolo denaro come mai accaduto negli anni scorsi. E fa gola. Anche gli editori, diciamo non puri, sono interessati a gestire, o almeno a sfruttare, questo momento straordinario. Qualcuno potrebbe promuovere stravolgimenti nella maggioranza”, diceva Orlando. E si riferiva esplicitamente agli assetti azionari mutati nei grandi gruppi editoriali italiani, ovvero alla famiglia Agnelli/Elkann nella proprietà del gruppo Gedi, cioè dell’ex gruppo Espresso e di Repubblica. In chiusura della Festa dell’Unità di Modena, domenica, Zingaretti ha citato “i Gattopardi” pronti a mettere le mani sul Recovery Fund. Non è sfuggita nel frattempo qualche presa di posizione di Repubblica: nel bel mezzo del negoziato per ottenere i soldi europei, a luglio, il giornale titolava “Italia all’angolo”, in un momento in cui nell’angolo ci stava più l’Olanda. Poi, ha scelto di sposare il No al taglio dei seggi.

Quali sono i “Gattopardi” a cui si riferisce il segretario dem? Nel Pd si tende a identificarli con il fronte confindustriale, guidato da Bonomi. Lo stesso che in passato ha appoggiato il governo Conte e che adesso vorrebbe rovesciarlo. Si indica anche una stagione di licenziamenti che arriveranno, a cominciare dal gruppo Fiat, e che sia Repubblica, sia La Stampa (l’altro quotidiano del gruppo) dovranno avallare. Questa operazione potrebbe sfruttare la voglia di Bonaccini di partire alla conquista del Pd. L’uscita sul possibile ritorno di Renzi e di Bersani (lui la spiega per un Pd oltre il 20%) non è piaciuta a molti. In compenso ha ricevuto il plauso di Andrea Marcucci. In realtà, non ha convinto neanche i bersaniani, che non ci stanno a essere messi sullo stesso piano dei renziani. Tanto è vero che il presidente dell’Emilia-Romagna è apparso molto nervoso in questi giorni. Però, le tracce non sono così semplici e lineari: quello che viene definito l’“immobilismo” di Zingaretti non piace né dentro, né fuori il partito.

La partita è aperta. Per chi ci vede lo zampino di Confindustria, il progetto sarebbe più ampio, per una modifica totale del quadro: puntare da una parte su Bonaccini, dall’altra su Luca Zaia, governatore del Veneto, ben più moderato e convincente per alcuni mondi di Salvini. E Calenda in certi ambienti ci sta di diritto. Il disegno non è perfetto: anche i poteri forti sono ormai tutto tranne che un blocco unico. Resta poi da capire quando e con quali voti queste operazioni potrebbero portare a una nuova maggioranza. Di andare a votare senza legge elettorale non se ne parla. Torna l’idea di Mario Draghi. La maggioranza del Pd guarda a un Conte ter. Ma in politica, i cambi di scenario sono la regola.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/15/i-gattopardi-con-bonaccini-per-far-fuori-zinga-e-conte/5931703/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-15

La paura fa 90: tutti i nominati sperano nel “No”. - Giacomo Salvini

 


Trasversali I capponi a Natale.

Salvaguardare la rappresentanza, tutelare il Parlamento rispetto al governo ma soprattutto difendere la Costituzione contro un’ipotetica “deriva autoritaria”. Ma dietro alle ragioni nobilissime del No di molti costituzionalisti al referendum sul taglio di 345 eletti – per la maggior parte dei casi infondate – c’è un altro motivo, molto più concreto, che spinge un folto gruppo dei parlamentari, da destra a sinistra, a fare campagna contro la riforma: salvare la propria poltrona. La maggior parte di loro, infatti, nel 2018 è stata eletta grazie ai listini bloccati dei collegi plurinominali previsti dal Rosatellum e quindi la loro elezione non è il frutto di preferenze personali o della vittoria in un collegio uninominale ma dai voti raccolti dal proprio partito: per questo, in caso di vittoria del Sì e di riduzione dei parlamentari, alle prossime elezioni rischiano di non essere rieletti. Per non fare la stessa fine del cappone a natale quindi si schierano per il No al taglio di un terzo dei parlamentari.

Prima di tutto ci sono quelli che sono stati candidati direttamente nei listini bloccati senza farli correre nei collegi uninominali. A sinistra c’è l’ex dalemiano Matteo Orfini e Luigi Zanda eletti nel collegio Lazio 1, il renziano tra i promotori del referendum Tommaso Nanncini candidato al Senato nel collegio Lombardia 3, mentre nel centrodestra tra i fautori più agguerriti del No c’è il senatore Lucio Malan eletto nel listino bloccato Piemonte 1 e molti leghisti: Claudio Borghi nel collegio Toscana 2, Guglielmo Picchi nel Toscana 1 e Paolo Grimoldi e Massimiliano Capitanio in Lombardia. Qualche fautore del No emerge anche tra i 5 Stelle: Andra Vallascas è stato eletto deputato nel 2018 nel collegio Sardegna 3 e Marinella Pacifico nel Lazio 3. Poi ci sono i deputati e i senatori che hanno ottenuto lo stesso la poltrona nonostante siano stati trombati dagli elettori nei rispettivi collegi uninominali perché recuperati nelle liste bloccate. Tra questi ci sono anche molti volti noti come il deputato di Forza Italia Vittorio Sgarbi che nel 2018 perse nel confronto con Luigi Di Maio nel collegio uninominale Campania 1 ed eletto lo stesso grazie al listino dell’Emilia Romagna. Poi l’attuale ministra dell’Agricoltura di Italia Viva Teresa Bellanova, arrivata addirittura terza dopo Barbara Lezzi (M5S) e Luciano Cariddi (Lega) nel collegio uninominale in Puglia e ripescata al Senato anche lei grazie alla generosa Emilia. Stesso discorso per il leghista Alberto Bagnai, sconfitto da Matteo Renzi in Toscana, Pietro Grasso e Gianluigi Paragone.

Ma al comitato del No non bastavano i dinosauri della politica – da Paolo Cirino Pomicino a Pierferdinando Casini – ai pregiudicati come Roberto Formigoni o Silvio Berlusconi. Nelle ultime ore si sono aggiunti due sostenitori di peso: il finanziere renziano Davide Serra e il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana. Il primo lo ha annunciato al Foglio dopo essere tornato in Italia dopo anni a Londra in cui gestiva la sua holding Algebris con sede alle Cayman: questa riforma, ha detto, “toglie spazio alla società civile” per mettere “schiavi di partito” rendendoli “dipendenti più che dei parlamentari (di fatto violando la Costituzione)”. Il governatore Fontana invece è andato dietro a Giancarlo Giorgetti sul No: “Non si può fare un taglio senza altre riforme – ha detto sabato – è improponibile”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/16/la-paura-fa-90-tutti-i-nominati-sperano-nel-no/5932991/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-16

Al referendum sul taglio dei parlamentari io voto si.

 


Al referendum per il taglio dei parlamentari io voto si per:
- mandare a casa gli assenteisti seriali;
- chi fa leggi pro domo sua;
- chi, irresponsabilmente, fa favori per restare seduto alla poltrona; 
- chi ha distrutto la meritocrazia dando vita all'esercito dei raccomandati che stanno distruggendo l'etica professionale;
- chi approfitta della sua posizione per ottenere soldi illeciti;
- gli yesman succubi volontari di chi detiene il potere economico;
- per dimezzare il numero di chi va in Parlamento senza idee, ma solo per creare caos;
- io voto si perchè sono stufa di essere governata da gente che se ne frega altamente di me e che mi ha privato dei diritti conquistati nel tempo e aumentando il divario economico e sociale esistente tra me e loro.
E non venitemi a dire che verrebbe a mancare la rappresentanza nel territorio, perchè in 73 anni io non ho mai visto nessuno che mi venisse a chiedere di che cosa avevo bisogno e che, al contrario, mi ha tartassato a dismisura! Solo negli ultimi anni un esponente dei 5stelle si è messo a disposizione per rispondere ai tanti quesiti provocati dai suoi colleghi fancazzisti, anche telefonicamente e mai per raccomandazioni! Questo è un altro dei motivi per cui voterò sempre 5s...
Io voglio che a governarmi ci sia gente che abbia voglia di sacrificare parte della sua vita per migliorare la mia, come dovrebbe essere.
In altri termini sono convinta che meno parlamentari sarebbero in grado di lavorare meglio e più responsabilmente! 
by Cetta

Arresti referendari. - Marco Travaglio


Tetragono sul Sì fino all’altroieri, confesso che inizio a titubare. Più passano i giorni e più il fronte del No si popola di personaggi di preclara moralità che mi inducono a ripensarci. Come si fa a votare Sì quando Silvio B. (4 anni definitivi per frode fiscale, senza contare il resto), Roberto Formigoni (5 anni e 10 mesi per associazione a delinquere, corruzione e finanziamento illecito), Paolo Cirino Pomicino (1 anno e 10 mesi per finanziamento illecito e corruzione) e Vittorio Sgarbi (6 mesi e 10 giorni per truffa allo Stato e falso) tifano No? Vabbè, faccio finta di niente. Poi però mi imbatto, sul “Riformatorio”, in uno straziante appello dei “socialisti per il No” contro “questo taglio reazionario” e “illiberale che ha in sé l’indebolimento dello Stato di diritto”. Tra i firmatari, i migliori ragazzi dello Zoo di Bettino. Nel ramo incensurati, spiccano Acquaviva, Boniver, Cazzola, Cicchitto (la tessera P2 numero 2232 che combatte i “tagli reazionari” è sempre uno spasso), Covatta, Bobo Craxi & C. Segue la sezione pregiudicati (per tacere dei prescritti e dei miracolati): Carlo Tognoli (3 anni e 3 mesi per ricettazione), Paolo Pillitteri (4 anni per corruzione), Stefania Tucci vedova De Michelis (3 anni definitivi per la maxitangente Enimont), Beppe Garesio (8 mesi per corruzione e finanziamento illecito), Luigi Crespi (6 anni 9 mesi in appello per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio, annullati dalla Cassazione per ridurre la pena dopo la controriforma Renzi), a cui Bobo ha voluto aggiungere la buonanima di papà Bettino che “se fosse vivo voterebbe No” (10 anni definitivi per corruzione e finanziamento illecito). Più che un appello, un’ora d’aria.

Sempre sul Riformatorio, un altro giovane virgulto garofanato, Claudio Martelli (8 mesi per finanziamento illecito, più una condanna prescritta per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano), annuncia coram populo il suo No e subito i Circoli de l’Avanti! (da lui stesso diretto) lo candidano a presidente della Repubblica. Totale: 52 anni e 10 mesi di reclusione. Come non essere della partita? Mentre pencolo fra il Sì e il No, un altro giureconsulto di chiara fame s’aggiunge a nobilitare il fronte del No: Attilio Fontana, sgovernatore di Lombardia, per ora solo indagato e dunque incompatibile con gli appelli di cui sopra: “La nostra Costituzione è equilibrata e ha una serie di pesi e contrappesi” (purtroppo insufficienti a metterci al riparo da lui), “per cambiarla è necessario farlo in maniera assolutamente serio (sic, ndr)”. Quindi mi sa che è meglio rinviare il referendum in attesa che la Costituzione la riformi lui in maniera assolutamente serio: a quattro mani con Gallera. O con suo cognato, alle Bahamas.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/16/arresti-referendari/5932954/

martedì 15 settembre 2020

Il piano dei commercialisti. Vendere la sede di via Bellerio per salvarla dal sequestro. Gli arrestati legati al Carroccio temevano azioni legali sull’immobile per l’inchiesta sui 49 milioni spariti. - Davide Manlio Ruffolo

 


Più passa il tempo e più l’inchiesta sulla compravendita dell’immobile di Cormano appare legata a doppio filo alle vicende della Lega. Nonostante le smentite che provengono dal Carroccio, con il Capitano che alla deflagrazione dello scandalo si è affrettato a dire di non conoscere i tre commercialisti indagati salvo fare marcia indietro nei giorni scorsi, le carte sembrano raccontare una storia ben diversa tanto che è emersa anche l’intenzione – poi conclusasi in un nulla di fatto – di vendere la sede del partito. A rivelarlo ai pubblici ministeri della Procura di Milano, coordinati dal procuratore Francesco Greco, è stato Luca Sostegni, ritenuto il prestanome dei commercialisti in orbita leghista, secondo cui “volevano vendere la sede della Lega di via Bellerio”.

La frase, contenuta nel terzo interrogatorio a carico dell’indagato effettuato il 29 luglio scorso, è di quelle da far tremare i polsi perché la cessione, a suo dire, sarebbe dovuta avvenire sul modello della compravendita di Cormano. A riprova di ciò il fatto che i registi di quest’operazione, avviata su indicazione dei vertici del Carroccio, sono stati ancora una volta i commercialisti Michele Scillieri e Alberto Di Rubba. Come fatto mettere nero su bianco da Sostegni, “Michele (Scillieri, ndr) si vantava delle amicizie che aveva con Di Rubba e altri esponenti locali della Lega, tanto da avere ricevuto un incarico per cercare di vendere la sede della Lega di via Bellerio”.

Ma è sulle presunte motivazioni dietro a questa possibile compravendita che la situazione si fa calda. Già perché l’indagato, il quale collabora con i magistrati, ha detto di “ricordare che c’era fretta di concludere l’operazione, perché trattandosi di un immobile di proprietà della Lega Nord, si correva il rischio di sequestro della procura di Genova, in relazione alle indagini per la truffa sui rimborsi elettorali”, ossia quella relativa ai 49 milioni di euro spariti nel nulla e frutto di una truffa allo Stato.

IL SOPRALLUOGO. Difficile credere che si tratti di pure millanterie. Sostegni, infatti, ha ben delineato l’intera vicenda della mancata cessione della sede della Lega su cui ora si accende il faro della magistratura che condurrà i necessari accertamenti. A ben vedere, infatti, l’operazione non era stata solo ipotizzata ma, seppur alle fasi preliminari, era già iniziata. Come fatto mettere a verbale, Sostegni racconta di aver accompagnato Scillieri e l’architetto Federico Arnaboldi per effettuare il sopralluogo in via Bellerio. Proprio qui, rivela, “è venuto a prenderci Di Rubba che ci ha portato dentro dove si è parlato della volumetria e della somma che si sperava realizzare”.

L’intenzione era di vendere a un ipermercato ma, viste le ingenti dimensioni dell’area, si pensava che “una parte potesse essere adibita a supermercato e il resto poteva ospitare degli appartamenti”. Terminato il sopralluogo “ci siamo lasciati con l’intenzione di riagiornarci” e quindi di far passare del tempo. Peccato che le cose non siano andate come immaginato dagli indagati perché, prima che il discorso sulla vendita potesse ripartire, è intervenuta la procura di Genova che ha disposto il sequestro della sede e quindi, conclude il verbale Sostegni, “non se n’è fatto più nulla”.

https://www.lanotiziagiornale.it/il-piano-dei-commercialisti-vendere-la-sede-di-via-bellerio-per-salvarla-dal-sequestro-gli-arrestati-legati-al-carroccio-temevano-azioni-legali/

Referendum, Formigoni e il comizio per il No al taglio durante le due ore di libertà dai domiciliari: il giudice respinge la richiesta.


L'ex governatore era stato annunciato tra i relatori della maratona 'Dieci ore per in No' al referendum sulla taglio dei parlamentari. L'ex presidente lombardo sta ancora scontando la pena di 5 anni e 10 mesi per corruzione ai domiciliari: ha presentato una richiesta al Tribunale di Sorveglianza per poter partecipare al comizio, durante le due ore di libertà quotidiane. Il giudice La Rocca, però, ha bocciato la sua istanza.

Niente comizio per il No al referendum sul taglio dei parlamentari. Roberto Formigoni, non potrà, come invece aveva richiesto, parlare in piazza San Babila a Milano, dove sabato 12 settembre è in programma la maratona contro la riforma costituzionale. L’ex governatore avrebbe voluto tornare a parlare davanti a un platea durante le due ore in cui può uscire di casa durante il giorno. Formigoni, infatti, sta ancora scontando la condanna a cinque anni e cinque mesi per corruzione per la vicenda Maugeri-San Raffaele: dopo i primi mesi nel carcere di Bollate, dal luglio del 2019 ha ottenuto i domiciliari. Il magistrato di Sorveglianza Gaetano La Rocca, però, ha respinto l’istanza avanzata dal “Celeste” di partecipare al comizio per il No al referendum.

Formigoni era stato annunciato tra i relatori della maratona ‘Dieci ore per in No’ al referendum sulla taglio dei parlamentari. Si è saputo, però, che l’ex presidente lombardo ha presentato una richiesta al Tribunale di Sorveglianza per poter partecipare, ma il giudice La Rocca l’ha bocciata. L’ex governatore, infatti, può utilizzare le due ore al giorno fuori di casa solo per esigenze di vita quotidiana, come il fare la spesa, e non certo per tenere un comizio pubblico.

“Meno parlamentari vuol dire più potere ai capibastone dei partiti”, aveva detto l’ex governatore al Corriere, per spiegare il suo No al referendum dall’alto dei suoi sei mandati tra Camera e Senato e quattro al vertice del Pirellone. Ma uno che è ai domiciliari dopo una condanna per corruzione non teme contestazioni ad andare in piazza per difendere i mille posti dei parlamentari? “Se capiterà, capiterà. Mi è successo tante volte…Sono un vecchio leone”, ma “mi auguro però che non ci siano problemi. Non per me, ma per non danneggiare una causa giusta”, aveva sostenuto. Il rischio, dopo il No del giudice, non ci sarà.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/10/referendum-formigoni-e-il-comizio-per-il-no-al-taglio-durante-le-due-ore-di-liberta-dai-domiciliari-il-giudice-respinge-la-richiesta/5926924/