sabato 10 ottobre 2020

E l’Eni fa causa alla Nigeria: “Rivogliamo i nostri pozzi”. - Gianni Barbacetto

 

L’accusa dei pm: l’affare in Africa grazie a tangenti.

Mentre a Milano va verso la conclusione il processo per corruzione internazionale a Eni e ai suoi manager, accusati di aver pagato una supertangente in Nigeria, altre vertenze sul contenzioso nigeriano si accendono in giro per il mondo, a Washington e nel Delaware. Il 3 settembre si è chiusa la causa promossa dallo Stato nigeriano presso la Corte di Giustizia di Londra, che si è detta non competente per motivi di giurisdizione. Ora la compagnia petrolifera italiana ha avviato a Washington un arbitrato contro la Nigeria presso l’Icsid (International Centre for the Settlement of the Investment Disputes), l’organizzazione della Banca mondiale che giudica sulle contese contrattuali internazionali. Il 14 settembre, Eni ha chiesto all’Icsid di valutare il comportamento della Nigeria, che sulla base di accuse di corruzione che Eni ritiene infondate, non ha rispettato il contratto firmato nel 2011 che concedeva a Eni (e alla sua alleata Shell) il diritto di esplorazione sul gigantesco campo petrolifero denominato Opl 245. La Nigeria non ha mai revocato a Eni e Shell la licenza d’esplorazione petrolifera, non l’ha però mai trasformata in licenza estrattiva, bloccando dal 2011 a oggi l’investimento delle due compagnie.

Eni e Shell avevano ottenuto la licenza pagando su un conto a Londra del governo africano 1 miliardo e 92 milioni di dollari, poi subito girati a Malabu, una società riferibile all’ex ministro del petrolio Dan Etete, e infine dispersi in una serie di conti di politici, faccendieri, ministri ed ex ministri nigeriani e di alcuni mediatori internazionali. Una gigantesca corruzione internazionale, secondo la Procura di Milano, un caso di tangente che non è, come di solito, una percentuale dell’affare realizzato, ma addirittura l’intero importo dell’affare. Un normale contratto, secondo Eni, che ripete di aver versato i soldi su un regolare conto del governo, di non essere responsabile di quello che è successo dopo il suo bonifico e di voler tornare quindi in possesso del giacimento, che ritiene di aver regolarmente pagato, prima che la licenza scada, nel maggio 2021.

L’ipotesi dell’accusa formulata dai pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro è però condivisa dagli attuali governanti nigeriani, che accusano di corruzione i loro predecessori, rifiutano di dare a Eni e Shell il giacimento e anzi chiedono di tornare in possesso di quel miliardo di dollari che ritengono strappato al popolo della Nigeria.

A pronunciarsi sulle accuse penali sarà, tra qualche mese, il Tribunale di Milano. Intanto però a Washington è al lavoro anche l’Icsid, che dovrà valutare gli argomenti contrattuali presentati contro lo Stato della Nigeria, per conto di Eni, da due studi legali, Three Crowns di Londra e Aluko & Oyebode di Lagos. “Si tratta di un atto dovuto a tutela dei nostri investimenti e nei confronti dei nostri investitori”, dichiara Eni, “ma confidiamo che si possa comunque arrivare a una soluzione soddisfacente per entrambe le parti”.

Al lavoro anche il Tribunale distrettuale del Delaware, negli Usa, dove Eni ha chiamato in causa la Drumcliffe Partners Llc, una società americana di gestione degli investimenti che si è impegnata a finanziare le azioni legali della Nigeria, in cambio di una percentuale su quanto riuscirà a recuperare. Drumcliffe sostiene di gestire un portafoglio mondiale di richieste di risarcimenti per un valore complessivo di 14 miliardi di dollari che riguardano frodi commerciali, insolvenze, recupero crediti. Nel caso della Nigeria, Drumcliffe ha garantito finanziamenti per 2,75 milioni di dollari da impegnare nelle azioni legali del Paese africano in giro per il mondo, con l’obiettivo di recuperare la cifra di oltre 1 miliardo di dollari che la Nigeria potrebbe ottenere come risarcimento da Eni e Shell .

La vicenda nasce nel 2016, quando il procuratore generale e ministro della Giustizia della Nigeria, Abubakar Malami, dà mandato allo studio legale nigeriano Johnson & Johnson di recuperare i fondi di Opl 245 acquisiti illecitamente, secondo il governo, dalla società Malabu controllata dall’ex ministro Etete. In cambio di un compenso del 5 per cento sulle somme recuperate. Nel 2018, lo studio Johnson & Johnson stipula un accordo con una società del Delaware collegata a Drumcliffe, Poplar Falls Llc, riconoscendole un compenso del 35 per cento sui fondi che riuscirà a recuperare. Sul miliardo ipotizzato, sarebbero tra i 300 e i 400 milioni di dollari. Una “commissione” abnorme, secondo Eni, che chiede al tribunale del Delaware di fare chiarezza. Secondo un report commissionato dalla compagnia petrolifera, il fondatore di Drumcliffe, James “Jim” Christian Little, nel suo profilo Linkedin conferma di aver lavorato per una azienda, la Sra International, che ha fornito servizi tecnologici alle agenzie d’intelligence Usa; un suo collaboratore, Christopher Camponovo, ha lavorato per il Dipartimento di Stato americano e per il National Security Council Usa.

(foto ilFQ)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/10/e-leni-fa-causa-alla-nigeria-rivogliamo-i-nostri-pozzi/5961226/

Confindustria, Paese al bivio cruciale tra risalita e declino. Si stimano -410mila occupati nel 2020, -230mila nel 2021.

 

Pil 2020 -10% poi parziale recupero. In 2 anni -640mila posti di lavoro.


L'Italia affronta una "difficile risalita dopo il crollo", indica il Centro studi di Confindustria che, con una "lieve revisione al ribasso", stima un profondo calo del Pil italiano del 10% nel 2020 ed un recupero parziale del 4,8% nel 2021". E' una contrazione che porta i livelli di quest'anno "indietro a quelli di 23 anni fa" e che risente di un impatto della crisi Covid "leggermente più negativo di quello atteso alcuni mesi fa". La stima del Pil 2021 non incorpora gli effetti della manovra che varerà il Governo e dell'impatto di risorse Ue come Recovery Fund e Mes, al momento non stimabili; considerando anche la prossima manovra come delineata dalla Nadef, in base alle stime del Governo, "potrebbe salire al +5,7%".

Gli strumenti Ue per contrastare l'impatto economico dell'emergenza Covid, Sure, Mes e Next Generation Ue, per Confindustria offrono "una opportunità unica"; "per l'Italia l'utilizzo degli strumenti europei costituisce un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a potenziarne l'effetto, portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà imboccata la strada giusta per risalire la china. Altrimenti - avvertono gli economisti di via dell'Astronomia - l'Italia rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo enorme debito pubblico".

Il numero degli occupati - stima ancora il CsC- registrerà un -1,8% nella media del 2020 (-410mila persone)": una emorragia che non si arresterà nel 2021 quando, "con un recupero incompleto del Pil, la risalita della domanda di lavoro risulterà smorzata e il numero degli occupati si aggiusterà verso il basso: -1% (-230mila persone)". Il "ricorso importante a strumenti come la Cig" sta ammortizzando un impatto dell'emergenza Covid pari nel 2020 a 2,45 milioni di Ula (-10,2%), il dato statistico che indica il numero di 'unità'' equivalenti a posti di lavoro a tempo pieno. 

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/10/10/confindustriapaese-al-bivio-cruciale-tra-risalita-e-declino_f439348e-e932-46db-94f4-e1d9f99a9477.html

Alitalia: firmato il decreto per la NewCo.

 
























Quattro i ministri coinvolti. Gualtieri: 'Gettate le basi per il rilancio del trasporto aereo'.

Prende corpo la nuova Alitalia. Con un decreto firmato da quattro ministri, da quello dell'Economia, Roberto Gualtieri alla titolare dei trasporti, Paola De Micheli, il responsabile del ministero dello sviluppo, Stefano Patuanelli e del lavoro, Nunzia Catalfo, nasce la NewCo, la nuova società, per il quale è stato sciolto anche il nodo delle nomine: il cda sarà composto da nove componenti e sarà guidato da Francesco Caio come presidente e da Fabio Maria Lazzerini nel ruolo di amministratore delegato.

Finisce così la gestione commissariale di Alitalia, ma non gli ostacoli da superare. Ora il dossier passa a Bruxelles, sotto la lente della commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestage. Dovrà valutare se le scelte fatte possono essere considerate aiuti di Stato, illegali per la normativa europea. Sarà quindi valutata la discontinuità rispetto alla vecchia compagnia ma anche gli asset, i dipendenti, la composizione aziendale. 

"La Newco - afferma il ministro Gualteri - rappresenta il primo passo verso la costituzione di un vettore di qualità capace di competere sul mercato internazionale. Poniamo le basi per il rilancio del trasporto aereo italiano, attraverso la scelta di manager di primo livello e grande competenza in grado di elaborare e attuare un piano industriale solido e sostenibile". "Sarà ITAliana perché dovrà portare l'Italia nel mondo". Così la ministra De Micheli in un post su Facebook fa riferimento alla nuova Alitalia che prende vita con la newco. La società per azioni è infatti denominata Italia Trasporto Aereo, Alitalia Ita. "Nasce oggi la nuova compagnia aerea di bandiera, in netta discontinuità con il passato e che dovrà giocare un ruolo da protagonista sul mercato europeo e internazionale - aggiunge la ministra - Si tratta di una grande operazione industriale al servizio del Paese, a sostegno della competitività delle nostre imprese e per il rilancio del turismo italiano". 

Nel nuovo Cda, oltre a Caio e Lazzerini saranno anche i consiglieri Alessandra Fratini, Angelo Piazza, Lelio Fornabaio, Frances Vyvyen Ouseley, Simonetta Giordani, Silvio Martuccelli e Cristina Girelli.

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/10/09/alitalia-firmato-il-decreto-per-la-newco_2887ed49-966d-4abc-9a7f-f3f3c927736f.html

“Ora il proporzionale con sbarramento al 5% e doppia preferenza di genere”. - Silvia Truzzi

 

Valerio Onida. Il costituzionalista sulla legge elettorale: “ridurre la frammentazione”.

L’ultima volta che abbiamo parlato con Valerio Onida era la vigilia del referendum sul taglio dei parlamentari. Ci aveva detto: “Vorrei sottolineare, per coloro che sono preoccupati per le sorti del principio di rappresentanza, che da anni quando si discute di legge elettorale si sente parlare di correttivi che favoriscano la governabilità, i quali incidono sul principio di rappresentanza assai più del numero di parlamentari”. Oggi spiega: “Il numero dei parlamentari non era questione di grande importanza. Il fatto che il referendum sia passato con un risultato così netto significa che c’è stata sintonia tra i parlamentari e i cittadini; e che la maggioranza di coloro che hanno votato non avevano timori per le sorti della democrazia”. E dunque, acquisito il taglio, parliamo della legge elettorale.

Professore, attualmente la legge in discussione è di impianto proporzionale, ma qualcuno torna a parlare di maggioritario. Lei che ne pensa?

Se maggioritario significa solo collegi uninominali, sul modello della legge inglese per intenderci, le rispondo che non è pensabile introdurlo in questo momento in un sistema politico come il nostro che non è bipartitico e nemmeno bipolare. Potrebbe portare a gravi distorsioni, e cioè ad attribuire la maggioranza dei seggi in Parlamento ai candidati di un partito o di una coalizione diversa da quella che ha la maggioranza dei voti nel Paese. Se si vuole un sistema maggioritario, bisognerebbe adottare altri accorgimenti, come il doppio turno (alla francese) nei collegi nei quali al primo turno nessun candidato ottenga il 50% dei voti: il ballottaggio consentirebbe forme di convergenza o di ‘desistenza’.

O liste bloccate o preferenze: entrambi i meccanismi hanno controindicazioni.

Qui parliamo allora di un sistema elettorale fondamentalmente proporzionale di lista. Le liste bloccate, se sono molto corte (3-4 candidati), possono anche essere accettate. Infatti cosa vuol dire che l’elettore deve poter scegliere il deputato o il senatore? Quando il cittadino va a votare la prima scelta che normalmente fa è quella del partito che ha presentato la lista o il candidato. Un sistema di liste corte, come nel caso dei collegi uninominali, consente agli elettori di valutare le scelte che il partito ha fatto nella formazione della lista (o nella presentazione dell’unico candidato). In un sistema proporzionale di lista con liste non brevissime, si può introdurre il voto di preferenza, che nel nostro sistema è stato previsto per molto tempo. Le preferenze, ricordiamolo, dovrebbero essere almeno due in modo da consentire un equilibrio di genere (che nei sistemi uninominali o di liste bloccate dovrebbe essere assicurato imponendo un equilibrio nelle candidature). Il problema sono le possibili degenerazioni, con la compravendita di voti o pacchetti di voti, specie se gli elettori che usano il voto di preferenza sono pochi.

L’altro grande tema di scontro è la soglia di sbarramento.

È chiaro che una soglia, anche significativa, è utile per ridurre l’eccessiva frammentazione politica, che non giova al buon funzionamento del Parlamento. In un sistema politico articolato e fluido come il nostro attuale – si pensi al numero abnorme di liste che vengono di solito presentate – lo sbarramento incentiva la convergenza delle forze politiche più piccole. Con un proporzionale puro o con una soglia molto bassa, ogni piccola formazione tende a presentarsi da sola. Con la soglia al 5 si cambia musica: è un incentivo alla presentazione di liste di coalizione.

Cosi si sacrifica la rappresentanza.

Il problema è sempre l’equilibrio fra rappresentanza e governabilità. Il cosiddetto ‘diritto di tribuna’ consentirebbe peraltro alle formazioni politiche più piccole, ma che abbiano un certo consenso solo in alcune aree del Paese, di eleggere dei loro rappresentanti, equilibrando l’effetto di una soglia di sbarramento alta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/10/ora-il-proporzionale-con-sbarramento-al-5-e-doppia-preferenza-di-genere/5961197/

Vitalizi, la sentenza impugnata congela il malloppo della Casta. - Ilaria Proietti

 

Bloccata la restituzione dei soldi agli ex onorevoli.

C’è chi già brinda e chi è più cauto. Perché la sentenza che ha ripristinato i vitalizi agli ex senatori – che erano stati tagliati un anno e mezzo fa – sarà impugnata dall’amministrazione di Palazzo Madama. Con l’effetto di congelare la restituzione del malloppo.

Sentite qui Roberto Speroni, uno degli esponenti storici della Lega, anche lui tra gli ex inquilini di Palazzo Madama che punta a riavere l’assegno tutto intero, 6.600 euro al mese contro la miseria di 4 mila di oggi. “La commissione Caliendo (nel senso di Giacomo, presidente del collegio composto anche dai due leghisti Simone Pillon e Alessandra Riccardi e da due supplenti scelti dal presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati) riconosce che c’è stata una violazione di un diritto. È come quando fai causa all’Inps e la vinci. Ora non è che chiunque veda riconosciuto il diritto di avere dei soldi debba poi rinunciarvi, solo perché siamo in un periodo di pandemia o c’è qualcun altro in difficoltà economica”. Giammai, anzi. “Se me li danno questi soldi, li prendo, non è che li butto via” sottolinea con buona pace di Matteo Salvini, che dice di schifare i vitalizi come la peste. Un “odioso privilegio” che la sentenza depositata in questi giorni ordina di restituire tutto intero, arretrati compresi. Quelli che gli ex pretendono a compensazione delle somme falcidiate dal taglio entrato in vigore il 1 gennaio 2019 che in ben 776 hanno contestato minacciando sfaceli. Ottenendo in tempi record la cancellazione del “sacrificio” motivato da ragioni di equità sociale, ma a sentir Lorsignori inflitto con intento persecutorio: altro che poveri pensionati alle prese con le cause di fronte ai tribunali italiani contro l’Inps. Certo, c’è voluta tanta perseveranza da parte dell’organo di giustizia interna del Senato che ha dovuto fare i conti con dimissioni e astensioni dal collegio, nel frattempo sospettato di conflitti di interessi vari. Per tacere delle polemiche su un verdetto preconfezionato che il Fatto Quotidiano era stato in grado di anticipare prima che i “giudici” si riunissero per decidere.

Nulla da fare: Caliendo &C. hanno tirato dritto per vergare la sentenza che boccia il taglio dei vitalizi ritenuto ingiusto e illegittimo: “Risulta esorbitare i limiti fissati in ordine alla ragionevole incisione sui diritti in essere”. Insomma la sforbiciata è stata una mazzata per le tasche degli ex eletti che sono alla fame. Guardate Antonio Razzi che scaccia la disperazione tra comparsate in tv e balli su TikTok, quello stesso Razzi passato agli annali del Senato per la frase sussurrata a un collega: “Andiamo avanti. Manca un anno e entra il vitalizio. Amico mio, fatte li cazzi tua…”. L’Associazione Articolo 32- 97 (che si occupa di diritto alla Salute) si era costituita davanti alla commissione Caliendo per opporsi almeno al ripristino del suo assegno da oltre 3.300 euro al mese a vita. Niente da fare: “Ha vinto lo Stato di diritto”, per dirla con l’avvocato Maurizio Paniz che agli ex ha restituito un sogno chiamato vitalizio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/10/vitalizi-la-sentenza-impugnata-congela-il-malloppo-della-casta/5961195/


Aglio, oglio e Campidoglio. - Marco Travaglio

 

Se fosse un film, anziché la campagna elettorale per il sindaco della Capitale, sarebbe una strepitosa commedia all’italiana. A episodi.

Primo episodio. Dopo quattro anni passati a spiegare alla Raggi come si governa Roma e poi a scuotere i capini perché non capisce niente e non ne azzecca una, quelli che la sanno lunga da destra a sinistra sono terrorizzati che la Raggi prenda più voti dell’eventuale candidato del Pd, rivada al ballottaggio contro l’eventuale candidato della destra e rivinca le elezioni coi voti del centrosinistra. E, siccome sanno tutti benissimo come si governa Roma, non riescono a trovare un candidato che voglia governare benissimo Roma: se dipendesse da loro, la campagna elettorale andrebbe avanti senza candidati. Infatti attaccano la Raggi perchè osa ricandidarsi. Ma non spiegano il perché di tanto terrore: se la Raggi è l’incapace che dicono, la peggior sciagura per Roma dopo i lanzichenecchi, la sindaca più detestata dai romani, per giunta di un movimento morto e sepolto, basterà un paracarro (c’è solo l’imbarazzo della scelta) per batterla di sicuro.

Secondo episodio. Terrorizzati dalla conferma della peggior sindaca di tutti i tempi, i partiti cadono in preda della frenesia e perdono di lucidità. La destra, sfumate le candidature di Meloni (avanzata da Salvini), Salvini (avanzata dalla Meloni), Bongiorno (avanzata dallo spirito di Andreotti), di Cattaneo (avanzata dai giornaloni a sua insaputa), di Gasparri (avanzata da Gasparri) e di Rampelli (avanzato e basta), pensa a Giletti, cui va tutta la solidarietà per le minacce mafiose e per il giubbotto antiproiettile che indossa sopra la camicia, come l’Avvocato portava l’orologio sopra il polsino e la cravatta sopra il maglione. Intanto il Pd brucia in tre mesi una trentina di candidati: Gualtieri, Sassoli, Letta, Gabrielli (che hanno già un mestiere ben più comodo e pagato), D’Alema (che non è del Pd), Morassut, Bray, Riccardi, la Cirinnà, Tobia Zevi, tali Caudo, Ciaccheri e altri che non nominiamo perchè nessuno sa chi siano (neppure gli interessati). Calenda, molto apprezzato dai conduttori di talk e dai suoi condòmini ai Parioli, sarebbe perfetto: peccato che non sia più del Pd, anche se è stato eletto eurodeputato grazie al Pd, e che per giunta abbia appena tentato di far perdere le regionali al Pd, oltre ad aver insultato tutti i dirigenti del Pd e pure gli elettori del Pd (“Sono senza dignità”: infatti l’hanno eletto al Parlamento europeo). Lui comunque giura che, pur sapendo benissimo come si fa il sindaco, mai si candiderà, perché “il mio impegno è dare vita a un partito, Azione, per popolari, liberali e riformisti” (vasto programma). E poi perchè “non prenderei un voto dall’elettorato 5Stelle, quelli manco crocifissi mi appoggiano”: il che è vero, anche perché li insulta prima e dopo i pasti. Ma questo è il meno: il guaio è che non lo votano neppure i non M5S, vedi le percentuali da albumina nei sondaggi, e pure nelle urne. Dunque propone Carlo Fuortes, sovrintendente dell’Opera, popolarissimo tra i tenori e le soprano, meno nelle periferie.

Terzo episodio. Lo racconta il sempre informatissimo Corriere: “Tutti, l’altra sera, a cena nella casa con vista sugli angioloni di Castel sant’Angelo”. Tutti chi? Boh. Però ci sono “divani rosso pompeiano e una coppia di levrieri afghani annoiati”. Almeno finché, “tra lo sformato di zucchine e caciocavallo podolico (dimenticabile invenzione di Eddie, il cuoco filippino) e le polpette di bollito fritte (squisite), la padrona di casa chiede all’ospite d’onore del Pd: ‘Allora, ministro: ci confermi che sarà Sassoli il nostro futuro sindaco?’”. E il ministro (quale? Boh): “Sassoli fa i capricci. Temo che stia pensando a un colle più alto del Campidoglio”. A beh allora. Ma, “mentre a tavola – direttamente dalla pasticceria preferita da Nanni Moretti – arriva una magnifica Sacher”, colpo di scena: “Sul cellulare di un’amica della padrona di casa entra il whatsapp. È Carlo Calenda”. Fermi tutti, che nessuno si muova: il noto trascinatore di folle annuncia che “sono gli ultimi giorni, sto decidendo se candidarmi a sindaco di Roma” e domanda (a chi? Boh): “Tu cosa ne pensi?”. Tripudio sui divani rosso pompeiano, i levrieri afghani si ridestano, esulta anche Eddie dalle cucine: “È scattato l’applauso”. Finalmente un bel nome, “sulle macerie della Raggi che comunque, sfrontata e imperterrita, si ricandiderà”. Ma ha trovato pane per i suoi denti. Calenda – pensate – “è convinto di strappare tra il 6 e il 7%”: meno di quanto occorre per fare il sindaco del suo ballatoio, ma quanto basta per levare voti all’eventuale candidato del Pd. Che infatti, pur di non aver contro Mister Sei-Sette Per Cento, lo invita a un “tavolo di coalizione per la riscossa politica della capitale” perchè si candidi alle primarie con gli altri sei nani. Evento avvincente, visto che Calenda non è né del Pd né della coalizione di governo: anzi è proprio contro. Così il Pd sposa la linea Di Battista: no preconcetto alle intese sui territori quando si tratta di sostenere il favorito del partito alleato. Per Dibba la Morte Nera era Emiliano: per il Pd è la Raggi.

Finale. L’ha già scritto Carlo Verdone in Compagni di scuola, quando l’amico apostrofa Christian De Sica che molla il tavolo verde: “Ma come? Famo er pokerino, famo er pokerino e poi co tre ganci te cachi sotto? Ma vedi d’annattene, va!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/10/aglio-oglio-e-campidoglio/5961184/

venerdì 9 ottobre 2020

Come Tiziano Renzi, anche noi vogliamo incontrare le Ferrovie. - Peter Gomez

 
















Avviso ai lettori: oggi questa rubrica verrà utilizzata a fini quasi esclusivamente privatistici. Chi scrive si sente eticamente e moralmente autorizzato a farlo dopo aver letto le carte e gli articoli sulla chiusura dell’inchiesta Consip. Documenti in cui si parla di una serie d’incontri, a cui a volte partecipò anche Tiziano Renzi, per chiedere alle ferrovie di fermare il Frecciarossa a Rignano sull’Arno, in modo di facilitare l’arrivo della clientela in un outlet con cui Renzi senjor aveva un rapporto di consulenza.

Ci rendiamo perfettamente conto di non avere parenti segretari di partito o membri dell’esecutivo. Ma essendo fermamente convinti che il rignanese Tiziano Renzi abbia ricevuto soltanto le doverose attenzioni riservate da ferrovie e governo a qualunque cittadino, avanziamo qui la nostra rispettosa, ma pressante richiesta: al pari di Tiziano desideriamo almeno 5 incontri tra noi o un nostro emissario e l’amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana (Rfi); chiediamo che ad almeno uno di questi appuntamenti partecipi un sottosegretario ai Trasporti e ci rendiamo fin da subito disponibili, se fosse necessario, a tenere i meeting pure in sedi non ufficiali, ma in bar, osterie, caffetterie, tavole calde o bettole di qualsiasi ordine e grado.

Anche chi scrive vuole infatti illustrare alle ferrovie i vantaggi (per se stesso e per la collettività) che si potrebbero ricavare da uno stop del Frecciarossa non a Rignano, ma nella stazione di Verona-Parona, chiusa nel lontano 2012. La stazione in questione è posta sulla tratta che porta a Bolzano e per lo scrivente, residente a Milano, sarebbe assai utile che venisse rimessa in funzione, prevedendo anche la fermata del treno. A Parona vivono gli anziani genitori dell’autore di Fatti chiari. Che, per questo motivo, ogni settimana perde minuti preziosi, altrimenti dedicati al lavoro, per spostarsi in taxi o in autobus dalla stazione di Verona Porta Nuova fino alla frazione di Parona di Valpolicella.

Allo stesso modo le 3.300 anime della frazione, in caso di fermata del treno ad alta velocità, potrebbero usufruire del servizio evitando pure loro stressanti spostamenti via gomma.

È vero che la richiesta di Tiziano Renzi è stata alla fine respinta. Ma nel nostro caso la situazione è oggettivamente diversa. Se Renzi senior, quando illustrò il suo progetto a Luigi D’Agostino, il costruttore dell’outlet, si sentì rispondere che “era folle l’idea di far fermare il Frecciarossa da Milano a Rignano (visto che) c’erano già polemiche per il treno che ferma ad Arezzo, città di Maria Elena Boschi”, noi possiamo invece assicurare di non essere mai stati investiti, nemmeno indirettamente, da contumelie di sorta riguardanti i mezzi di trasporto utilizzati da nostri congiunti, parenti, affini, amici, soci, estimatori e persino lettori.

Inoltre se l’amministratore delegato di Rfi, Maurizio Gentile, oggi ricorda di aver spiegato a Tiziano Renzi che quella per Rignano “era una linea ordinaria” e non ad alta velocità, a Parona il problema non si pone. Il Frecciarossa da Milano a Bolzano (sia pure su rotaie normali) esiste già. E non sarà certo un’unica nuova fermata a fare la differenza. Abbiamo insomma tutte le carte in regola.

Per cui, caro governo, care Ferrovie, non state a pensarci su due volte: ricevete lo scrivente e, se potete, accontentatelo. Dimostrate che davvero in democrazia un appuntamento non si nega a nessuno e che, soprattutto, i favori sono uguali per tutti.

(foto: bergamo.corriere.jpg)

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