venerdì 29 gennaio 2021

Ecco la relazione sulla giustizia di Bonafede: “I fondi del Recovery sono legati alle riforme dei processi e alla prevenzione della corruzione”. - Giuseppe Pipitone

 

Nella relazione del guardasigilli trasmessa al Parlamento si sottolinea come "non soltanto gli investimenti richiesti dal Ministero della Giustizia, ma l'intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà scrutinato tenendo conto della capacità di affrontare con riforme normative, investimenti e misure organizzative i problemi del processo civile e penale e di apprestare un’efficace prevenzione della corruzione".

Non solo i tre miliardi di euro destinati alla giustizia, ma tutti i 209 miliardi del Recovery fund sono vincolati a una riforma della giustizia che velocizzi i processi. E alla lotta alla corruzione. È il concetto sottolineato nella relazione del guardasigilli Alfonso Bonafede. Il documento avrebbe dovuto essere illustrato dal ministro alla Camera e al Senato. Il Parlamento avrebbe poi dovuto votare una relazione a favore e una contro. Alla prova della giustizia, però, il governo di Giuseppe Conte avrebbe seriamente rischiato di andare sotto: è per questo motivo che il premier si è dimesso. Con l’esecutivo in carica solo per gli affari correnti, dunque, la relazione è stata soltanto trasmessa al Parlamento e non sarà né discussa e neanche votata. Depurato dalle polemiche politiche, che esplodono puntualmente ogni volta che si discute di riforme giudiziarie, il contenuto del dossier preparato da via Arenula è d’interesse fondamentale visto che in oltre duecento pagine, il ministro analizza lo stato della giustizia nel 2020, ed espone le linee guida del 2021. Significa, essenzialmente, in che modo verranno utilizzati i fondi del Recovery. Un piano d’aiuti che è tutto legato alla capacità del nostre Paese di operare riforme di sistema per velocizzare i processi. Senza un sistema giudiziario efficente, infatti, è impossibile progettare una ripresa economica post emergenza. Ma andiamo con ordine.

LEGGI LA RELAZIONE SUL SITO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

“I soldi del Recovery e le riforme” – “La proposta di Regolamento Next Generation EU (NGEU) e le linee guida in corso di elaborazione evidenziano come la soluzione delle questioni poste in risalto dalle cosiddette “Raccomandazioni Paese” costituisca il primo e più importante banco di prova dell’ammissibilità dei progetti candidati ad ottenere il Recovery fund. Non soltanto gli investimenti richiesti dal Ministero della Giustizia, ma l’intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà scrutinato tenendo conto della capacità di affrontare con riforme normative, investimenti e misure organizzative i problemi del processo civile e penale e di apprestare un’efficace prevenzione della corruzione“, scrive il guardasigilli nella sua introduzione. Come ha spiegato più volte ilfattoquotidiano.it è stata l’Europa a chiedere al nostro Paese di operare le riforme sulla giustizia. ” Nelle Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, la Commissione Europea esorta: ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile; a favorire la repressione della corruzione, anche attraverso una minore durata dei procedimenti penali; ad attuare tempestivamente e a favorire l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, al fine di velocizzare i procedimenti di esecuzione forzata e di escussione delle garanzie e a rafforzare ulteriormente la resilienza del settore bancario”, ricorda il ministero.

“Combattere la corruzione assicura la ripresa economica” – La relazione dell’anno 2020 della Commissione Europea sottolinea la particolare rilevanza di questi fattori di criticità nel contesto dell’emergenza pandemica, osservando che “un sistema giudiziario efficiente è fondamentale per un’economia attraente e propizia agli investimenti e all’imprenditoria e sarà fondamentale nel processo di ripresa, anche mediante l’attivazione di quadri efficienti per il salvataggio e il rilancio. L’efficacia nella prevenzione e nella repressione della corruzione può svolgere un ruolo importante nell’assicurare la ripresa dell’Italia dopo la crisi. In particolare, la trasparenza nel settore pubblico e il rafforzamento dei controlli per contrastare la corruzione possono evitare i tentativi della criminalità organizzata di infiltrarsi nell’economia e nella finanza, di turbare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e, più in generale, di distrarre le risorse pubbliche necessarie per gli investimenti”. Nel documento di via Arenula si sottolinea come soffermandosi sullo stato dell’arte, la Commissione Europea evidenzia che “i tempi di esaurimento dei procedimenti penali presso le corti di appello continuano a destare preoccupazione, ma sono attualmente in discussione al Parlamento riforme globali volte a snellire le procedure penali”.

“Investimenti credibili solo senza lunghi contenziosi giudiziari”- Per questo motivo, continua la relazione, “la confidence delle istituzioni europee verso le prospettive di rilancio del nostro Paese è dunque fortemente condizionata dall’approvazione di riforme e investimenti efficaci nel settore della giustizia. Non può del resto sfuggire come qualsiasi progetto di investimento – anche estraneo al settore giustizia strettamente inteso – per essere reputato credibile dev’essere immunizzato dal rischio che un lungo contenzioso giudiziario ne ostacoli la realizzazione entro le scadenze stabilite dal Regolamento Next Generation EU “. Il guardasigilli ricorda poi che “i progetti di riforma del processo penale, del processo civile e dell’ordinamento giudiziario”, cioè quelle chiesti da Bruxelles, sono stati “approvati dal Consiglio dei Ministri nell’anno 2019 e nel 2020, sono attualmente all’esame del Parlamento. Si tratta, quindi, di misure elaborate prima della pandemia, della crisi economica e sociale che ne è conseguita e, dunque, prima che si aprissero le prospettive di ripresa incarnate dal Next Generation EU”. L’inquilino di via Arenula spiega che la riforma “del processo penale “risponde principalmente alla esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo penale e la piena garanzia del contraddittorio nell’ottica del migliore equilibrio tra accusa e difesa. È ovviamente necessario assicurare un accertamento il più possibile ravvicinato rispetto al fatto reato in modo da soddisfare, con strumenti appropriati: il valore costituzionale e convenzionale (Cedu) della ragionevole durata del processo; la difesa dell’imputato dal rischio di perpetuazione della servitus iustitiae; la coerenza della pena, eventualmente irrogata, con le sue finalità rieducative; la credibilità del sistema in chiave general-preventiva”.

Col Recovery 16mila assunzioni – Chiaramente, si spiega nel dossier, “nessuna riforma può essere efficace senza l’immissione di risorse umane e strumentali adeguate, senza mettere benzina nella macchina della giustizia“. A questo serviranno i fondi del Recovery. “Dei circa 3 miliardi di euro attribuiti dalla bozza di PNRR – continua la relazione – trasmessa al Parlamento al settore della giustizia, 2,3 miliardi sono destinati ad assunzioni a tempo determinato dedicate in larga parte al rafforzamento e alla riqualificazione dell’Ufficio per il processo”. Ufficio che “potrà ora essere alimentato da 16.000 addetti con contratto a tempo determinato e da 2.000 magistrati onorari aggregati”. L’obiettivo è “assorbire, nell’orizzonte previsto (2026), l’arretrato che rappresenta il principale fattore di rallentamento dei processi e l’ostacolo pratico all’attuazione del diritto alla ragionevole durata”. Altri 4.200 operatori a tempo determinato saranno chiamati a rafforzare la capacità amministrativa del sistema. E un contingente di 100 magistrati onorari ausiliari supporterà la sezione tributaria della Corte di Cassazione, “che è gravata da un numero di pendenze superiore al dato globale di tutte le altre sezioni civili della Corte di legittimità”. Sempre sul fronte degli investimenti, un capitolo è dedicato all’edilizia carceraria: “Altro settore di particolare attenzione attiene all’obsolescenza degli edifici, al degrado degli spazi della giustizia e all’inadeguatezza dimensionale delle strutture, esasperata dalle esigenze di distanziamento imposte dalla pandemia. Una delle linee di finanziamento, dell’ammontare di circa 470 milioni di euro, è perciò dedicata alla realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e alla riqualificazione delle strutture esistenti, in un’ottica green e di sicurezza sismica”.

“Rallentamento con la pandemia, ma attività mai interrotta” – Chiaramente la gran parte della relazione è dedicata allo stato della giusizia nel 2020, anno segnato dall’emergenza coronavirus. “La pandemia ha determinato un rallentamento dell’attività e i dati appena riportati testimoniano, tuttavia, che essa non si è mai interrotta. L’amministrazione ha affrontato la gravissima emergenza epidemiologica seguendo una duplice direttiva: preservare la salute degli operatori; garantire che i servizi di giustizia risentissero il meno possibile delle disfunzioni collegate alle misure di ‘confinamentò succedutesi nelle diverse fasi della crisi”, scrive Bonafede. “I Tribunali e le Corti di appello nel settore civile hanno definito più di quanto sia stato iscritto: sia in primo che in secondo grado le pendenze del civile al 31.12.2020 sono diminuite anche rispetto al dato del 2019 (229.959 nel 2020 contro i 241.673 del 2019 per la Corte e 1.988.477 contro i circa 1.989.905 per i Tribunali)”, riporta la relazione, evidenziando che “soprattutto nel secondo semestre dell’anno (fase 2 dell’emergenza sanitaria) la produzione degli uffici del settore civile è stata tale da determinare un indice di smaltimento dell’arretrato (clearance rate) di segno positivo: 1,12 nelle Corti d’appello; 1,08 nei Tribunali”. Per combattere il contagio il ministero ricorda che “alla fornitura di dispositivi di protezione ha fatto seguito una nuova regolamentazione del lavoro da remoto, che ha permesso un impiego ridotto della forza lavoro ‘in presenza’, in modo da limitare le occasioni di contagio sul posto di lavoro e nel corso degli spostamenti dei lavoratori da e verso gli uffici”. E riguardo agli investimenti “ammonta a 31 milioni la spesa degli uffici per acquisto di dispositivi di protezione (mascherine, barriere para-fiato, sanificazioni, materiale igienizzante)”.

Stabili i processi pendenti, con la pandemia +4,3% – Nel corso dell’ultimo anno il numero complessivo di procedimenti penali pendenti presso gli Uffici giudiziari è rimasto stabile, attestandosi al 30 settembre 2020. Nei primi nove mesi del 2020, quando l’attività giudiziaria è stata rallentata dall’emergenza epidemiologica, il totale dei procedimenti penali pendenti presso gli uffici giudicanti è cresciuto del 4,3%. Nello stesso periodo si è, invece, ridotto il numero di procedimenti pendenti dinanzi agli uffici requirenti (-2,7%). Rispetto all’anno precedente, a un generalizzato calo del numero delle nuove iscrizioni (-11,71% sul totale), corrisponde un altrettanto generale calo delle definizioni (pari al -16,40%). “Globalmente, si registra un aumento delle pendenze pari all’1,51%. Per quanto riguarda le procure il trend delle definizioni, fortemente influenzato dalla situazione pandemica, evidenzia una generalizzata riduzione pari, rispettivamente, al 17,59% per i reati di competenza della Direzione distrettuale antimafia, al 10,74% per i reati ordinari e al 17,29% per i reati di competenza del giudice di pace. Per gli uffici di Tribunale, nel complesso, l’anno giudiziario 2019/2020, rispetto al precedente, evidenzia una diminuzione delle iscrizioni (in calo del 14,35%) e delle definizioni (in calo del 19,43%). Stesso discorso per la Corte di Cassazione (diminuite iscrizioni e definizioni, rispettivamente nella misura del 18,62% e del 28,78%).E per le Corti di Appello (ad un calo delle iscrizioni pari al 15,79% corrisponde una riduzione delle definizioni nella misura del 25,08%)”.

Nel Civile -5% in Appello – Sul fronte civile, invece, il numero totale di fascicoli pendenti era pari a 3.292.218. Un dato complessivamente stabile rispetto al 2019 e che vede la conferma di un trend decrescente nelle Corti d’appello (-4,8%), ma un aumento invece presso la Corte di Cassazione (+2,9%). “Nel 2020 – si legge nel dossier – il rapporto tra procedimenti definiti e iscritti è stato pari a 1,01, un valore di sostanziale stabilità. Tuttavia, occorre considerare che l’andamento è il risultato di una riduzione sia dei procedimenti sopravvenuti (-18%) che di quelli definiti (-20%) rispetto al dato del 2019. L’erosione dell’arretrato cosiddetto “patologico” o “a rischio Pinto” si arresta nel 2020, con un incremento marcato in Corte di Cassazione, pari al 12,2%, una crescita evidente anche in Tribunale (+3,1%) e più contenuta in Corte d’Appello (+1,1%). Rispetto al 2013, tuttavia, la contrazione è pari al 46% in primo grado ed al 50% in secondo grado”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/28/ecco-la-relazione-sulla-giustizia-di-bonafede-i-fondi-del-recovery-sono-legati-alle-riforme-dei-processi-e-alla-prevenzione-della-corruzione/6081660/

Renzi si arrampica sugli specchi da Mattarella e qualcuno fa finta che sia alta politica. - Pierfranco Pellizzetti

 

Secondo il parere espresso da Enrico Mentana nella sua maratona pomeridiana, circondato dai soliti discussant che la pensano tutti allo stesso modo (ossia il mantra “Conte deve andarsene”, caro a sovranisti e confindustriali), le dichiarazioni rilasciate da Matteo Renzi dopo il suo colloquio con il presidente Mattarella “ponevano importanti questioni politiche”. Di quali si trattino non è dato sapere.

In effetti Matteo D’Arabia ha continuato ad arrampicarsi sugli specchi sforando pervicacemente il timing quirinalizio, nel disperato quanto inutile tentativo di dare una patina di decenza a un puro capriccio: conquistare ancora una volta la luce dei riflettori, prima di finire nell’inevitabile dimenticatoio; il ripostiglio dove una gozzaniana nonna Speranza accatasterebbe le inutili “cose di pessimo gusto” che disturbano oltremodo il presidente di suo nipote, il ministro Roberto.

Quel pessimo gusto renziano (apprezzare l’eufemismo!) tradotto nell’inqualificabile tentativo di accreditarsi quale depositario unico dell’attenzione ai punti di crisi dello scenario contemporaneo, virati a innesco per la messa in mora del governo: dagli assetti mediorientali (e Conte non era attento ai rapporti di potere che si determinano in Libia…) ai nuovi equilibri geopolitici creati dalle vie della seta (e Conte non era presente ai dialoghi di Merkel e Macron con i cinesi…). Come se le buone pratiche della politica in tempo di pandemia fossero quelle di avviare una discussione sui massimi sistemi. Tipo il neo-rinascimento arabo teorizzato in speach milionari a Ryad.

Ciò che Antonio Gramsci definiva ironicamente “alcuni cenni sull’universo”. Soprattutto promossi da chi è stato (ahinoi) perfino un presidente del Consiglio. Ma che all’epoca preferì interessarsi di cose assai più terra, terra: dallo scimmiottamento della Terza Via NeoLib alla Blair con vent’anni di ritardo (la pietra filosofale dello sbaraccamento di ogni forma di solidarietà per lasciare campo libero all’individualismo avido e rampante), al sottoporre a referendum una riforma istituzionale peregrina, centrata sulla banalità che i problemi si risolvono solo se non si disturba il manovratore e si elimina ogni forma di controlli e contrappesi.

Del resto, perseverando in questo benaltrismo strumentale mordi-e-fuggi, i motivi addotti per lo sgambetto al premier, che precipita l’intero Paese in un ginepraio inestricabile, sono un acrobatico esercizio di pretestuosità; specie considerata la situazione di stallo in cui ci troviamo per via di un virus assassino, di cui solo ora incominciamo a definire i connotati: non si è risolto il problema di dare un futuro alle nuove generazioni… non è stata affrontata la crisi strutturale della disoccupazione… si è scelta la strada dei sussidi invece che degli investimenti… Tutti temi trascurati da decenni ma – ovviamente – affrontabilissimi proprio ora; mentre i decessi raggiungono quota 85mila e gli impoverimenti impongono interventi d’urgenza di pura sopravvivenza.

Ma figuriamoci! Molto meglio arrampicarsi sugli specchi, in una fuga nell’irreale per dare dignità alle proprie più indegne ansie da protagonismo. Cui forniva il solito contributo di terrorismo verbale la fida Teresa Bellanova, rincarando la dose: il governo Conte non ha affrontato la crisi del turismo… Tipica priorità di intervento in un paese rinchiuso in casa per le inevitabili pratiche del distanziamento sociale.

Come già detto altre volte, in qualche misura Giuseppe Conte ha contribuito ad accreditare questo folle gioco al massacro, evidenziando alcuni limiti del suo profilo di statista: eccellente mediatore e negoziatore europeo, il nostro pacato e rassicurante uomo di legge non è anche un costruttore; quello che gli americani chiamano “builder”. Difatti è andato benissimo nella prima fase della pandemia; mentre adesso evidenzia difficoltà nel fornire indirizzi strategici per il governo dell’opportunità Next Generation.

Ma – domandiamoci – dove sono i builder nel panorama politico (e pure managerial-industriale) di questa Italia negata al progettare/innovare/pianificare/implementare? In questa fauna parlamentare di fancazzisti e chiacchieroni, che in vita loro non hanno gestito neppure un banchetto di frutta e verdura? Dove le vestali dell’efficienza e dell’operatività sono due inveterati parolai di nome Matteo Renzi e Carlo Calenda?

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/29/renzi-si-arrampica-sugli-specchi-da-mattarella-e-qualcuno-fa-finta-che-sia-alta-politica/6082361/

Lui, il Renzi, è, in effetti un builder... vuole costruire il ponte di Messina, non importa, poi, se chi arriva a Messina trova strade dissestate e ferrovie fatiscenti. La solita politica del fare senza pensare. Lui che ha ceduto il nostro mare toscano, quello dell'isola Capraia, alla Francia, che ha distrutto scuola, lavoro e sanità e che ora, pur di mettere le mani sui soldoni dell'Europa, dice di voler migliorare il lavoro, la scuola e la sanità.

Lui, insulso, incosciente, pressappochista, egocentrico, vanesio...

Renzi al principe: “Invidio il vostro costo del lavoro”. - T. Rodano

 

Renzi-show al Quirinale mette il veto su Conte. Poi comizia: “Niente veti”. Le vere consultazioni: “onorato” con Bin Salman, che l’Onu accusa sul caso Khashoggi, loda il costo del lavoro saudita.

“Buongiorno a tutti, è un grande piacere per me essere qui con il grande principe ereditario Mohammed bin Salman. Grazie davvero per questa opportunità. Per me è un particolare privilegio parlare con te di Rinascimento”. Mentre Matteo Renzi sale i gradini di marmo del Quirinale per le consultazioni di una crisi che lui stesso ha causato, c’è un altro Renzi a migliaia di chilometri di distanza che intervista (eufemismo) l’erede al trono di un regime brutale, accusato tra l’altro della morte di Jamal Khashoggi, il giornalista fatto a pezzi e sciolto nell’acido nel 2018 nel consolato saudita di Istanbul.

L’evento a cui partecipa Renzi si svolge a Riyad, capitale del Regno. È stato trasmesso il 27 e il 28 gennaio sui canali telematici del Future Investment Initiative, una piattaforma della famiglia reale saudita. Il contributo di Renzi con Bin Salman è stato registrato nei giorni scorsi e mandato in onda ieri, mentre l’ex premier rientrava precipitosamente a Roma (su un volo privato offerto dal Fii) per guidare la delegazione di Italia Viva al Quirinale.

Due Renzi in contemporanea: quello pubblico, senatore e capo di partito, di fronte a Sergio Mattarella per la soluzione di una crisi scatenata per sanare il “vulnus democratico” del governo Conte. L’altro è il personaggio privato, imprenditore di se stesso, conferenziere a libro paga di un regime autoritario che calpesta i diritti umani, a Ryad nel quadro di un accordo da 80mila dollari per far parte del board della Future Investment Initiative.

In video l’ex premier si mostra sorridente e affettuoso. Sfoggia completo e cravatta scuri, una camicia bianca e l’inglese maccheronico che l’ha trasformato in uno dei meme di successo del 2021. Si esprime con ampi gesti, senza timidezze. Si dice particolarmente entusiasta di parlare di Rinascimento, paragona quindi l’epoca storica che ha visto fiorire la sua Firenze e le città italiane con l’eccezionale sviluppo del regime saudita negli ultimi anni: “Io sono l’ex sindaco di Firenze, la città del Rinascimento. Il Rinascimento italiano divenne grande dopo la peste, dopo una pandemia. Credo che l’Arabia Saudita potrebbe essere il luogo di un nuovo Rinascimento per il futuro. Quindi, Vostra altezza, grazie molte e benvenuto”.

L’intervista di Renzi dura poco più di un quarto d’ora. Per l’ammirevole quantità e qualità di complimenti che l’ex premier italiano riesce a pronunciare in un tempo così ridotto, assume la fisionomia di un’intensissima marchetta, molto ben retribuita. “Quando in tutto il mondo parliamo di Arabia Saudita – aggiunge un entusiastico Renzi con prosa quasi carveriana – parliamo dell’importanza del vostro Paese come un attore molto buono nella Regione, nel mondo; ma molte persone ignorano i grandi sforzi nello sviluppo delle città, dalle piccole città alle grandi città come Riyad” (la traduzione è letterale, ndr).

Il principe è in camicia nera, kefiah a trama biancorossa in testa, barba curata e sorriso di gesso. Sembra condividere il buon umore quasi fanciullesco del suo interlocutore.

Le domande di Renzi sono inesorabili: “Qual è, Vostra altezza, il ruolo di Riyad per guidare la trasformazione del Regno? Pensa che questo progetto sia capace di attrarre nuovi talenti? Per me è stato davvero impressionante lavorare con giovani uomini e donne in molti progetti sauditi, siete una delle più incredibilmente giovani popolazioni del mondo”.

Pochi secondi dopo, dal sorriso sussiegoso di Renzi esce la vera perla della giornata, la pietra miliare della sua trasferta saudita: “Non parlatemi del costo del lavoro a Riyad, perché da italiano sono molto geloso”.

L’ha detto davvero: l’ex presidente del Consiglio ha lodato il mercato del lavoro saudita. Quello di un Paese dove non esistono partiti politici, figuriamoci i sindacati. Dove non si sa nemmeno cosa sia uno sciopero. Dove i salari dei lavoratori autoctoni non sono nemmeno così bassi (1.300 dollari di media secondo il governo locale), ma il trattamento degli stranieri è assimilabile allo schiavismo (come denuncia tra gli altri Amnesty International) e le donne guadagnano la metà degli uomini. Renzi ne è “invidioso”: lui si è dovuto accontentare del Jobs Act.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/29/renzi-al-principe-invidio-il-vostro-costo-del-lavoro/6082385/

Oronzo e Coerenzi. - Marco Travaglio

 

Che esistessero i responsabili incoerenti (dall’opposizione alla maggioranza, o viceversa) e quelli coerenti (dalla maggioranza all’opposizione alla maggioranza, o viceversa), si sapeva. Ora però, con Giggetto Vitali, s’avanza una terza specie: quella dei responsabili coerenti-incoerenti-coerenti (o viceversa), detti anche voltagabbana di andata e ritorno, eletti con l’opposizione, passati alla maggioranza e rientrati in sei ore all’opposizione dopo le telefonate di B. e Salvini. Perché oggi, sul mercato, un chilo di senatore apolide costa più del caviale albino di storione bianco. E non tutti se lo possono permettere. Ci si contenta di una coscia da fare arrosto, una lingua in salsa verde, un’ala in salmì, una frattaglia in soffritto, un rognone trifolato, una zampetta in bianco, un piedino bollito. Per orientarsi nella crisi più pazza del mondo, ci vorrebbe Oronzo Canà, cioè Lino Banfi allenatore nel pallone, detto anche la Iena del Tavoliere e il Vate della Daunia, immortale profeta della “bizona” col modulo tattico del 5-5-5: “Mentre i cinque della difesa vanno avanti, i cinque attaccanti retrocedono, e viceversa. Allora la gente pensa: ‘Ma quelli che c’hanno cinque giocatori in più?’. Invece no, perché mentre i cinque vanno avanti, gli altri cinque vanno indietro e durante questa confusione generale le squadre avversarie si diranno: ‘Ah! Ah! Che cosa sta succedendo?’. E non ci capiscono niente”.

Lui sì che, alla Longobarda, sapeva fare le campagne acquisti: “Sono riuscito ad avere i tre quarti di Gentile e i sette ottavi di Collovati, più la metà di Mike Bongiorno. In conclusione, noi abbiamo ottenuto la comproprietà di Maradona in cambio di Falchetti e Mengoni”. Anzi no: “Attraverso le cessioni di Falchetti e Mengoni riusciamo ad avere la metà di Giordano, da girare all’Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho…”. Ora, dinanzi all’immondo mercato di tre quarti di Vitali, sette ottavi di Ciampolillo più la metà della Rossi e le comproprietà di Rossi e Polverini, era naturale che la coscienza dell’anima più pura della politica italiana, quella che “abbiamo rinunciato alle poltrone di Teresa, Elena e Ivan perché per noi contano le idee”, quella che sopra la firma appone sempre “un sorriso”, insomma l’Iscariota di Rignano ribollisse di sacro sdegno (aggravato dal fatto che noi del Fatto andiamo troppo in tv per rimediare ai suoi flop d’ascolto, mentre lui è bandito da tutti i media nazionali): “La creazione di gruppi improvvisati è un autentico scandalo!”. Giusto, vergogna. Sarebbe come se un ex premier ed ex segretario del Pd annunciasse il ritiro dalla politica, poi ci restasse, si ricandidasse e si facesse rieleggere sempre nel Pd.

Dicesse no a un governo col M5S, poi rompesse le palle al Pd per fare il Conte-2 coi M5S e due mesi dopo se ne andasse per fondare un partito detto comicamente Italia Viva, creando “gruppi improvvisati” che sono “un autentico scandalo” e poi, non contento, promettesse agli sventurati di “arrivare a fine legislatura ed eleggere il presidente della Repubblica”, “chi vuole scendere prima può farlo, noi non stacchiamo la spina, vogliamo attaccare la corrente” e subito dopo picconasse il governo, rinviasse la crisi causa Covid e ricominciasse un anno dopo, desse a Conte del “vulnus per la democrazia” col contorno di insulti, calunnie e minacce, ritirasse le sue ministre dal governo come pedalini dalla tintoria e infine, scatenata la crisi in piena pandemia, dicesse: “Dopo il fango è tutto chiaro: la crisi non l’ha aperta Iv”. E non arrivasse l’ambulanza a portarlo via. Poi salisse al Colle, lo facessero entrare e uscisse accusando gli altri di insultarlo e “dare la caccia al singolo parlamentare”, essendo il leader di un partito formato da una trentina di singoli parlamentari eletti nel Pd più due ex M5S (tra cui uno espulso perché massone), tre ex FI, due ex LeU, un ex montian-verdiniano ecc.

E si scordasse ciò che disse il 14.01.2010 a Porta a Porta a Paola Binetti, che aveva osato lasciare il Pd per l’Udc con Enzo Carra: “La tua posizione, di Carra e altri è rispettabile, ma dovevate avere il coraggio di dimettervi dal Pd e dal Parlamento, perché non si sta in Parlamento coi voti presi dal Pd per andare contro il Pd. È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi passa di là. Vale per tutti. Se c’è l’astensionismo è anche perché se io decido di mollare con i miei, mollo con i miei – è legittimo – però rispetto chi mi ha votato e non ha cambiato idea”. E il 22.02.2011 ribadì: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Purtroppo non lo ripeté ad Alfano quando prese un pezzo di FI e fondò Ncd per tener in piedi il governo Letta e poi il suo. Né a Verdini quando prese un altro pezzo di FI e fondò Ala per puntellare il suo governo. Né a se stesso nel 2019 quando fondò Iv per “svuotare il Pd”, ma anche FI: “Porte aperte a chi vorrà venire in questo progetto, non da ospite ma da dirigente. Vale per Mara Carfagna e altri dirigenti FI. Iv è un approdo naturale per tutti, è questione di tempo”, “C’è un mercato politico che guarda con interesse a noi. Parlamentari di FI molto seri stanno riflettendo e speso che già dai prossimi giorni possano valutare l’adesione a Iv”. Oronzo, pensaci tu: “Oh, mi avete preso per un coglione! E mi fa male!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/29/oronzo-e-coerenzi/6082372/

giovedì 28 gennaio 2021

Scoperto il 'tallone d'Achille' delle cellule tumorali.

Cellule metastatiche di melanoma (fonte: Julio C. Valencia, NCI Center for Cancer Research, National Cancer Institute, NIH)

 

E' in una modifica a livello genetico, può essere usata come bersaglio per colpire il cancro.


Individuato il tallone d'Achille del cancro: si tratta di una modifica che subiscono a livello genetico le cellule tumorali, detta aneuploidia, che può essere usata come bersaglio per colpire il tumore attraverso alcune molecole.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve ad un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall'università di Tel Aviv, a cui hanno partecipato anche l'Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) e l'Università Statale di Milano.

L'aneuploidia è un cambiamento nel numero delle copie di cromosomi: tutte le cellule umane hanno 46 cromosomi, mentre quelle tumorali ne hanno spesso di più o di meno. Finora però questo segno distintivo del cancro non era mai stato sfruttato come bersaglio di cura, perché mancavano gli strumenti per creare dei modelli in vitro di cellule aneuploidi.

"Abbiamo dimostrato che l'aneuploidia, che si trova nel 90% dei tumori solidi e nel 75% di quelli ematologici, può essere di per sé un bersaglio - chiarisce Stefano Santaguida, uno dei ricercatori - Non solo: abbiamo trovato delle molecole, gli inibitori del cosiddetto Sac (spindle assembly checkpoint), capaci di interferire con l'aneuploidia e sfruttarla per mirare e colpire le cellule cancerose".

I ricercatori dello Ieo hanno creato "delle librerie di linee cellulari aneuploidi - spiega Marica Ippolito, del gruppo di ricerca- e dimostrato un'alta dipendenza delle cellule aneuploidi dai geni coinvolti nel corretto funzionamento del Sac, il macchinario cellulare deputato alla divisione cellulare, attraverso cui ogni cellula genera due cellule figlie.

Inibendo il Sac, le cellule aneuploidi muoiono.

Si apre quindi la prospettiva di usare questi inibitori come terapia anticancro". I ricercatori stanno anche cercando di capire se l'aneuploidia c'entri in qualche modo con lo sviluppo di resistenze alla chemioterapia. 

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2021/01/28/scoperto-il-tallone-dachille-delle-cellule-tumorali_8341968d-42cd-44e4-8a9c-391ef30d541c.html

Secondo giorno di consultazioni. Autonomie, sì al 'Conte ter'.

 

Saliranno al Colle le delegazioni del Pd e di Italia Viva. Nel frattempo è ancora gelo tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi.


Secondo giorno di consultazioni al Quirinale. Dopo le alte cariche istituzionali di ieri oggi sarà la volta al Colle di Pd e Italia Viva.

Ma la situazione non sembra avviata, almeno per ora,ad alcuna schiarita. Restano le distanze tra i partiti soprattutto sul nome del premier. Con una precisazione che arriva, prima dell'avvio delle consultazioni, dal segretario Dem Nicola Zingaretti  via Fb: "Non abbiamo nessuna intenzione di chiuderci nelle nostre stanze a cercare un governo a qualunque costo. Non è questa la nostra storia e non è questo che serve alla nazione. Prendiamoci cura dell'Italia e credo che la cura giusta sia un governo di legislatura, europeista, repubblicano, che rilanci lo sviluppo, socialmente giusto e attento agli ultimi. Un governo attento alla salute e al futuro degli italiani. Questa crisi non l'abbiamo voluta noi. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Ripeto. L'Italia può e deve guarire". 

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Autonomie - La prima forza politica a salire al Colle è il gruppo delle Autonomie. "Abbiamo una preferenza per un eventuale Conte Ter. Abbiamo avuto una buona esperienza con Conte che ci ha sempre dato una mano. Pensiamo sia un punto di equilibrio tra tutti i partiti che formano questo governo e senza di lui è difficile avere una stabilità",  ha detto Julia Unterberger del Gruppo "Per le Autonomie" al Senato al termine dell'incontro con il presidente della Repubblica. "Abbiamo confermato al presidente Mattarella il sostegno per qualsiasi formazione purchè sia fortemente europeista e abbia nel programma la tutela delle minoranze linquistiche e delle autonomie speciali. Il Paese non ha bisogno di una crisi. Si deve trovare una soluzione politica e non un governo tecnico", ha aggiunto. Ora è la volta del gruppo Misto. 

E nel frattempo zero contatti tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Un semplie dato di cronaca che dà la misura di quanto sia avvitata la crisi. La situazione, osservano in ambienti del Quirinale è "molto complicata". E in Parlamento si avvertono accenti ancor più preoccupati. Perché l'operazione 'responsabili' finora sembra fallita nell'intento di procurare numeri in più al senato. I gruppi di Italia viva sembrano restare ancora essenziali per formare un governo. Ma Renzi e i suoi continuano a usare parole assai dure, danno corpo a chi sostiene che sostituire il premier uscente sia "l'obiettivo vero di Renzi".

Sia da Iv che dal M5s smentiscono che contatti siano in corso tra il senatore di Rignano e Luigi Di Maio per portare il ministro degli Esteri a Palazzo Chigi. Ma una fonte renziana a taccuini chiusi dice che "una sintonia ci può essere" su un nome alternativo a Conte. Quando ancora il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non è entrato nel vivo degli incontri con i partiti, in Parlamento si diffonde l'ipotesi che, per la difficoltà di comporre il caos nella potenziale maggioranza, il capo dello Stato possa affidare un mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico. Una voce, nulla di più. Anche perché, se l'obiettivo fosse far sedere allo stesso tavolo Conte e Renzi per provare a superare l'apparente incomunicabilità, il mandato esplorativo potrebbe essere affidato allo stesso premier uscente. In alternativa, se una maggioranza si materializzerà con più chiarezza, a Conte potrebbe andare un vero e proprio reincarico, con l'obiettivo di trovare l'accordo su un nuovo programma e una squadra di governo.

La delegazione di Iv al capo dello Stato dovrebbe ribadire la disponibilità a sedersi al tavolo di maggioranza, anche con Conte premier incaricato, "senza veti". Ma dovrebbe anche sottolineare l'assenza di contatti e segnali da Palazzo Chigi: "Le nostre domande sono note, le risposte di Conte mai pervenute. Il nostro sostegno è legato a una forte discontinuità nel metodo e nel merito", dice un dirigente del gruppo.

A Palazzo Chigi continuano a non fidarsi affatto di Renzi, anzi a pensare che abbia disseminato già il percorso verso il Conte ter di trappole. Ma il barometro sulla possibilità di poter fare un tentativo vero sembra volgere un po' più al positivo, anche perché gira voce di una trattativa in corso con un 'big' di Forza Italia per il passaggio tra gli Europeisti. Ma soprattutto, rassicura il discorso di Nicola Zingaretti in direzione Pd, che anche Conte avrebbe ascoltato in diretta streaming. Il segretario Pd, che ha favorito con un "prestito" Dem la nascita della quarta gamba "Europeista", indica fino alla fine un tentativo convinto per il Conte ter, tiene in campo - non auspicandolo - lo scenario delle urne, punta il dito contro l'inaffidabilità di Renzi. I Dem sono divisi sulla imprescindibilità o meno di Conte. Ma in una direzione assai stringata e preceduta da contatti serrati tra le correnti, convergono su una linea compatta per garantire un tentativo forte sul Conte ter. Su cosa fare se fallisse le idee divergono.

Anche Di Maio, che trascorre il pomeriggio a Palazzo Chigi, garantisce di non lavorare a subordinate. Ma tra i Cinque stelle c'è chi afferma che subordinate possibili ce n'è più d'una. La partita è lunga, le prime battute si giocano a carte coperte, serpeggiano sospetti e veleni. Il fatto che il Pd punti così decisamente su Conte, ad esempio, da alcuni alleati di maggioranza - di Iv e M5s - viene interpretato come una mossa per "mandare a sbattere" il premier. Tra i Dem c'è chi teme che il vero obiettivo, d'intesa con Conte, sia andare alle elezioni. Lo spauracchio delle urne sembra ancora quello in grado di scompaginare i giochi al 'secondo giro', se l'avvocato dovesse fallire. Renzi sarebbe pronto a sostenere Di Maio, non è un mistero. Ma Maria Elena Boschi rispolvera anche il nome di Paolo Gentiloni, che negli scenari potrebbe tornare da Bruxelles per lasciare il posto a Conte come commissario europeo. In chiave "maggioranza Ursula" continuano a citarsi, nonostante le nette smentite dei diretti interessati, i nomi di Lorenzo Guerini e Dario Franceschini. E poi le opzioni tecniche, in chiave larghe intese o governo elettorale: da Carlo Cottarelli a Marta Cartabia. Ma sottotraccia si parla anche già di ministri. Alessandro Di Battista - si dice - potrebbe entrare al governo con un Conte ter. Fabio Panetta viene 'quotato' come ministro dell'economia. Ma con quale premier? E' ancora un mistero.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/28/secondo-giorno-di-consultazioni.-restano-le-distanze-sul-nome-di-conte_6017f1db-b039-4a13-9abf-d28da9170c62.html

Tutto può succedere. - Marco Travaglio

Nella crisi più demenziale del mondo, càpita che l’analisi più azzeccata la faccia Toninelli: “L’alternativa a Conte è un gran casino”. Ora che ha in mano il pallino della crisi, Mattarella deve trovare una maggioranza certa (non i famosi 161 senatori, ma almeno 158-159, visto che 4 dei 6 a vita e Bossi non si vedono quasi mai, dunque il plenum effettivo è 316-317). E, per farlo, deve intimare a chiunque incarichi di non porre veti per non precludersi i numeri che gli servono. Siccome poi siamo in piena pandemia e le Regionali in Calabria sono slittate da febbraio ad aprile, fa capire che le elezioni non sono un’opzione: se tutto va bene si può pensare a maggio-giugno, anche perché subito dopo parte il semestre bianco e sino a gennaio non si vota più. Inoltre non esiste una maggioranza per fare un governo, ma neppure per andare al voto. Le elezioni non le vuole nessun gruppo parlamentare, tranne forse quello di Fratelli d’Italia, che in tre anni ha quadruplicato i consensi ed è l’unico a poter garantire la rielezione a tutti i suoi, malgrado il taglio di un terzo dei posti. Oltre alla Meloni, il leader che ha tutto da guadagnare e nulla da perdere dal voto è Conte, forte di una popolarità già alta da due anni e ancora cresciuta dopo l’imboscata renziana.

Anche i 5Stelle, sventolando la bandiera di Conte, potrebbero aspirare a un buon risultato elettorale: ma l’altroieri i gruppi parlamentari hanno bocciato a maggioranza la linea (sacrosanta) del vertice “o Conte o elezioni”, pronti a un Conte-ter con Iv pur di restare dove sono. Poi c’è il Pd, che non è un partito, ma un coacervo di tribù tipo Libia: Zingaretti e i suoi ministri sarebbero ben lieti di andare alle urne, per tenersi stretto Conte, consolidare l’alleanza coi 5Stelle, liberarsi dei renziani di Iv e di quelli interni (i capigruppo Marcucci e Delrio giocano per il rignanese); ma non controllano le altre tribù, disposte a tutto, anche a un governissimo col centrodestra, pur di liberarsi di Conte e del M5S e restare lì altri due anni. Nemmeno Zinga, se fallisse il Conte-ter, potrebbe dire di no a Mattarella se questi chiedesse l’estremo sacrificio di appoggiare un governo istituzionale con i soliti Cottarelli o Cartabia. Perché quello, e non le elezioni, sarebbe lo sbocco di un naufragio del Conte-ter. Se Conte va a casa, i 5Stelle che l’Innominabile aveva miracolosamente ricompattato (Di Battista e Di Maio si riparlano addirittura) perderebbero il loro premier e per giunta finirebbero in mille pezzi. Ma andrebbe in frantumi anche l’alleanza giallorosa: il Pd e forse LeU in maggioranza e il M5S a sparare sugli attuali alleati dall’opposizione, probabilmente insieme alla Meloni e ai duri e puri della Lega.

Cosa resta, per evitare il “casino”? Due opzioni, una auspicabile e l’altra terrificante. Quella auspicabile è la più improbabile: il neonato gruppo “Europeisti” trova abbastanza senatori per sostenere il Conte-ter rendendo ininfluente Iv anche per un solo voto; da Iv si stacca qualche italomorente che non ha condiviso la crisi e finora si è fidato della promessa dell’Innominabile e delle sue quinte colonne pidine (Marcucci, Delrio, Guerini & C.) di una pronta resurrezione al governo come se nulla fosse accaduto; e il Conte-ter guadagna un margine accettabile per restare in piedi e governare. L’opzione terrificante è la più probabile: i centristi non bastano e Iv resta determinante. In quel caso si vedrà se oggi, al Quirinale, Iv porrà il veto su Conte o no. Se lo porrà, magari provocando i 5Stelle con trucchetti da magliari su Patuanelli o Di Maio o Fico, Conte non avrà il reincarico e Mattarella chiamerà qualcun altro per rappattumare i giallorosa; ma con scarse chance, perché i 5Stelle non voterebbero un governo senza il loro premier (a meno che non siano totalmente idioti). Dunque il passo seguente sarebbe il governissimo con chi ci sta. Se invece Renzi non porrà veti, Conte verrà reincaricato, ma col mandato di consultare l’intera maggioranza giallorosa, inclusa Iv, altrimenti non avrebbe più i numeri su cui ha riavuto l’incarico. E lì non vorremmo essere nei panni di Conte che, piuttosto che parlare con l’Innominabile e con la Boschi dopo mesi di insulti, calunnie e ricatti, si convertirebbe alla Lazio.

Avendo detto “mai più con Iv”, potrebbe rifiutare l’incarico per coerenza e ritirarsi in attesa di tempi migliori. Così salverebbe la faccia. Ma perderebbe l’alleanza che con tanta fatica aveva costruito. E si esporrebbe all’accusa di anteporre le questioni personali al bene comune. Oppure Conte, per lealtà istituzionale, spirito di servizio e vocazione masochistica, potrebbe accettare l’incarico e risedersi al tavolo con chi l’ha rovesciato chiamandolo “vulnus per la democrazia”. Magari a patto che nel suo terzo governo non entri chi ha messo in crisi il precedente (l’Innominabile, la Boschi e le due ex ministre). E nella speranza che intanto arrivi qualche centrista a rendere ininfluente Iv. Ma sempre col rischio che il rignanese ricominci coi veti e i ricatti su Mes, affari, giustizia e ributti tutto all’aria in qualche settimana. A questo punto, cari lettori, voi vi aspettereste una conclusione. Che cosa è meglio? Anzi, che cosa è peggio? Scusatemi, ma non so rispondere. L’unica certezza, per ora, è che l’Innominabile è talmente accecato dal suo ego che pensa di aver vinto lui. E non vede che hanno vinto Salvini, Meloni e B.. Sempreché non lavori già per loro.

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