sabato 4 settembre 2021

Inasprite le pene per i piromani: il dipendente pubblico perde il lavoro. - Nicoletta Cottone

 

In Italia gli incendi hanno mandato in fumo 158mila ettari di bosco. La più colpita è la Sicilia.

In Italia negli ultimi 8 mesi sono andati a fuoco 158mila ettari di bosco, pari a tre grandi città italiane messe insieme, Roma, Napoli e Milano. Le fiamme hanno distrutto decine di migliaia di ettari di boschi e macchia mediterranea, ma anche oliveti e pascoli. Dati dell'European Forest Fire Information System (Effis) della Commissione europea, che fornisce informazioni sugli incendi a partire dal 2008, ripresi in un dossier su incendi e desertificazione presentato da Europa Verde. Una autentica catastrofe alla quale hanno fatto fronte i Vigili del fuoco con oltre 100mila interventi boschivi, con un aumento del 75% negli ultimi tre mesi. Solo in Sicilia nel 2021 sono andati a fuoco oltre 78mila ettari, ma anche in Calabria sono bruciati 36mila ettari, in Sardegna 21mila ettari. Una escalation di fuoco che, secondo le stime di Coldiretti, costa all’Italia circa un miliardo di euro fra opere di spegnimento, bonifica e ricostruzione.

Inasprite le sanzioni amministrative e penali.

Proprio per far fronte a questa emergenza il Governo ha varato nel Consiglio dei ministri del 2 settembre un decreto legge che inasprisce le sanzioni amministrative e penali, oltre a ridisegnare la governance della prevenzione degli incendi e a stanziare le risorse finanziarie per potenziare la capacità operativa dello Stato nella lotta ai roghi. Ed è previsto il potere sostitutivo delle regioni se i comuni non provvedono ad aggiornare nei tempi previsti il catasto dei terreni incendiati.

Reclusione fino a 12 anni se chi appicca il fuoco doveva tutelare il territorio.

Viene intrododotta una specifica aggravante se chi appicca il fuoco è chi avrebbe il compito di tutelare il territorio: prevista la reclusione da sette a dodici anni. Le pene sono diminuite dalla metà a due terzi per che si adopera per evitare «che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori», o per chi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, «provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi». Le pene previste dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà per chi «aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti». In pratica la misura vuole colpire gli interessi degli autori degli illeciti e incentivare la collaborazione con le indagini, favorendo condotte indirizzate alla riparazione del danno causato.

Confisca degli animali se il proprietario è condannato.

La nuova normativa prevede che in caso di trasgressione al divieto di pascolo venga sempre disposta la confisca degli animali «se il proprietario ha commesso il fatto su soprassuoli delle zone boscate percorsi da incendio in relazione al quale il medesimo è stato condannato, nei dieci anni precedenti, per il reato di cui all'articolo 423-bis, primo comma, del codice penale». L’articolo della legge quadro già prevedeva sanzioni amministrative per le violazioni (per ogni capo, non inferiore a lire 60.000 e non superiore a lire 120.000 e nel caso di trasgressione al divieto di caccia non inferiore a lire 400.000 e non superiore a lire 800.000).

Il dipendente pubblico colpevole perde il lavoro.

Il codice penale prevede già che chiunque causi un incendio in boschi, selve, foreste o in vivai forestali destinati al rimboschimento sia punito con la reclusione da quattro a dieci anni. E se l’incendio è cagionato per colpa, la pena è la reclusione da uno a cinque anni.

Pene aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette e aumentate della metà, se dall’incendio deriva «un danno grave, esteso e persistente all’ambiente». Ora il decreto legge aggiunge una pena accessoria per il dipendente pubblico condannato per incendio doloso ad almeno due anni di reclusione: è prevista l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione e l’interdizione da cinque a dieci anni dalla possibilità di prestare servizi nell’ambito della lotta agli incendi.

Vietata per tre anni la raccolta dei prodotti del sottobosco.

La legge quadro già prevede che boschi e pascoli arsi dal fuoco non possano avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. Il nuovo decreto legge aggiunge che è vietata per tre anni la raccolta dei prodotti del sottobosco.

Quando scatta la confisca dei beni.

Il provvedimento varato dal Consiglio dei ministri prevede l’inserimento nel codice penale di un articolo, il 423-quater, che stabilisce che, in caso di condanna o di applicazione della pena richiesta dalle parti, «è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al fatto». Se la confisca non è possibile «il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca. I beni confiscati e i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per il ripristino dei luoghi». La norma prevede però che la confisca non si applica se l’imputato ha « efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi».

Introdotta la definizione di incendio di interfaccia-urbano.

Vista la grande quantità di incendi che lambiscono le aree urbane, nella legge quadro sugli incendi boschivi, la 353/2000, viene inserita la definizione di “incendio di interfaccia-urbano”, le aree dove «il sistema urbano e quello rurale si incontrano e interagiscono, potendo venire rapidamente a contatto con la possibile propagazione di un incendio originato da vegetazione combustibile».

IlSole24Ore

    Cartelle fiscali, come e quando pagare dopo la fine della tregua di agosto. - Marco Mobili e Giovanni Parente

     

    Non c’è solo la ripresa graduale delle notifiche. Attenzione agli atti scaduti prima dell’8 marzo 2020: bisogna pagare subito o chiedere una rateizzazione. Per gli atti in scadenza dopo l’8 marzo 2020 c’è tempo fino al 30 settembre 2021.

    Ripresa graduale delle notifiche e pagamenti da recuperare. Dopo la tregua di Ferragosto, riprende l’attività della riscossione. Nonostante sia salendo il pressing di alcune forze della maggioranza per un nuova sospensione, il 1° settembre segna lo spartiacque dal quale l’agente della riscossione può riprendere l’attività di notifica di cartelle e altri atti (dalle ipoteche ai pignoramenti, compresi quelli di stipendi e pensioni) rimasti fermi dall’8 marzo 2020 per le moratorie concesse a causa dell’emergenza Covid. Ma non solo, perché bisognerà tornare anche a versare per le cartelle che erano state già consegnate prima del lockdown di marzo 2020. A ricordare tutte le scadenze in calendario è un comunicato di agenzia delle Entrate-Riscossione.

    Cartelle e avvisi già scaduti prima dell’8 marzo 2020.

    Per il pagamento di cartelle e avvisi già scaduti prima dell'8 marzo 2020 (21 febbraio per i comuni della «zona rossa»), agenzia Riscossione ricorda che «il contribuente dovrà procedere con il tempestivo versamento delle somme dovute o richiedere e ottenere un provvedimento di rateizzazione per evitare l'avvio delle procedure di recupero».

    Atti in scadenza dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021.

    Per gli atti in scadenza nel periodo dall'8 marzo 2020 (21 febbraio per i comuni della «zona rossa») al 31 agosto 2021, il pagamento invece dovrà essere effettuato entro il 30 settembre 2021 (mese successivo alla scadenza del periodo di sospensione).

    I piani di rateizzazione.

    Per i piani di dilazione Ader ricorda che il pagamento delle rate in scadenza dall'8 marzo 2020 (21 febbraio per i comuni della «zona rossa») al 31 agosto 2021 deve essere effettuato entro il 30 settembre 2021 versando almeno un numero di rate sufficiente a evitare la decadenza degli stessi, fissata in dieci rate anche non consecutive dal decreto Ristori (Dl 137/2020). Mantengono invece l'originaria data di pagamento le rate con scadenza successiva al 31 agosto 2021.

    Le possibilità di dilazionare i pagamenti.

    I contribuenti che non riescono a pagare quanto dovuto in un'unica soluzione possono chiedere la rateizzazione del debito e avvalersi, in questo particolare momento, delle agevolazioni introdotte dal decreto Ristori (Dl 137/2020) fino al 31 dicembre 2021.

    • Tolleranza fino a 10 rate. Per le rateizzazioni attive all'8 marzo 2020 e per tutte le richieste che perverranno entro il 31 dicembre 2021, la legge ha disposto la possibilità di beneficiare di un periodo più lungo per la decadenza che si verificherà con il mancato pagamento di 10 rate, anche non consecutive (anziché le 5 ordinariamente previste). Pertanto, in vista della scadenza di pagamento di fine settembre è necessario prestare molta attenzione al calcolo esatto delle rate che non sono state versate durante il periodo di sospensione (protrattosi per 18 mesi) e provvedere al saldo di quelle che consentono di non superare il limite consentito di 10 rate per rimanere in regola con la rateizzazione.

    • Basta la domanda fino a 100mila euro. Per le richieste presentate entro il 31 dicembre 2021, il decreto Ristori ha innalzato da 60 a 100 mila euro la soglia di debito per il quale basta una semplice domanda, senza la necessità di dover presentare la documentazione che attesti lo stato di difficoltà economica, per ottenere l'ammissione automatica alla dilazione ordinaria fino a 6 anni (72 rate).

     Nuova chance per chi è decaduto. Agenzia delle Entrate-Riscossione fa notare che può presentare una richiesta di dilazione anche chi era decaduto da una precedente rateizzazione prima della fase emergenziale, senza il vincolo del versamento delle rate scadute. Stessa possibilità anche per coloro che al 31 dicembre 2019 erano decaduti dalle definizioni agevolate (le tre edizioni delle «rottamazioni» e il «saldo e stralcio») che possono rateizzare le somme ancora dovute.

    Le modalità di pagamento.

    È possibile pagare presso la propria banca, agli sportelli bancomat (Atm) abilitati ai servizi di pagamento Cbill, con il proprio internet banking, agli uffici postali, nei tabaccai aderenti a Banca 5 SpA e tramite i circuiti Sisal e Lottomatica, sul portale www.agenziaentrateriscossione.gov.it e con l’App Equiclick tramite la piattaforma PagoPa.

    Si può pagare anche direttamente agli sportelli ma esclusivamente su appuntamento da prenotare sul sito nella sezione «Trova lo sportello e prenota».

    Infine, è possibile effettuare il versamento mediante compensazione con i crediti commerciali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili (crediti certificati) maturati per somministrazioni, forniture, appalti e servizi nei confronti della Pubblica amministrazione.

    IlSole24Ore


    venerdì 3 settembre 2021

    Che so’ Migliore, io? - Marco Travaglio

     

    Mario (il capocomico). “Ti racconto un esipodio che mi è capitato qualche giorno fa…”.

    Sergio (la spalla). “Vorrai dire un episodio”.

    M. “Appunto, un esipodio. Mi è venuto incontro un giovanotto barbuto, mi ha guardato fisso negli occhi e mi ha urlato ‘Pasquale!’. A me! Ahahah! ‘Era un pezzo che ti cercavo, figlio di un cane, finalmente t’ho trovato!’. Insultava la mia ministra dell’Interno e voleva cacciarla. Poi in Parlamento ha bocciato il Green Pass che aveva approvato in Consiglio dei ministri! Ahahah!”.

    S. “Quindi è chiaro che ce l’aveva con te! E tu?”.

    M. “Io pensavo tra me e me: chissà ’sto stupido dove vuole arrivare! L’ha raggiunto il suo compare Durigon, un tipaccio di 200 chili: mi ha preso per la giacca, mi sbatteva al muro e urlava ‘Pasquale, te possino ammazzatte! Sai che ti dico? Meglio Arnaldo Mussolini di Falcone e Borsellino!”. E pum, pam! Due schiaffi! Ahahahah, ’sta cosa mi scompiscia!”.

    S. “Mussolini? Due schiaffi? E tu?”.

    M. “Io pensavo: chissà ’sto stupido dove vuole arrivare! Una mia ministra mi ha detto: ‘Pasquale, ti ho preparato una riforma della giustizia che stermina tutti i processi d’appello!’. E m’ha fatto incazzare i 5Stelle, finché il loro capo le ha riscritto mezza riforma. Ahahahah!”.

    S. “Voleva sputtanarti e farti linciare coi forconi da vittime, magistrati e avvocati! E tu?”.

    M. “Io pensavo: chissà ’sta stupida dove vuole arrivare. Poi il mio ministro della Transizione ecologica insulta gli ambientalisti e inneggia al nucleare, rimettendomi contro il M5S. Ahahahah! Poi il capo degli industriali bombarda il mio ministro del Lavoro per le sanzioni alle imprese che prendono i soldi e scappano all’estero. Poi il mio groupie, quello senza voti che prende i soldi dai sauditi, appena dico che sono favorevole al Reddito di cittadinanza lancia un referendum per abolirlo. Poi il mio ministro dell’Istruzione si vanta di non aver fatto sanatorie, mentre ne ha fatte, e di aver assunto nella scuola 58mila persone grazie a un concorso da 6mila facendosi bello con quello da 33mila fatto da chi c’era prima. Poi i leghisti ansiosi di spedirmi al Colle strillano contro Green Pass e vaccini: ‘Pasquale, giù il cappello ché dobbiamo sfondarti il cranio. E giù cazzotti proprio qui, guarda, ci ho ancora la ficozza! Ahahaha le risate!”.

    S. “Pure i cazzotti in testa! Ma che figura ci fai? Questo non è un governo, è un troiaio. E tu?”.

    M. “Io pensavo: chissà ’sti stupidi dove vogliono arrivare! Ahahahahah!”.

    S. “Ma che ti ridi? Ma perché non reagisci mai?”.

    M. “E che me frega a me! Che so’ Pasquale, io?”.

    ILFQ

    Auto elettriche, così la Cina prepara l’invasione dell’Europa. - Alberto Annicchiarico

     

    I nuovi produttori della Repubblica popolare si sono ricostruiti una reputazione in fatto di affidabilità. E ora vogliono sfidare Tesla e i colossi occidentali e coreani.

    Dopo la fase di lancio della produzione e la conquista della piena autonomia sul fronte delle tecnologie e della qualità costruttiva, la Cina ci sta pensando seriamente: andare alla conquista del mercato europeo dell’auto. Il processo è stato lungo, ma i piani sono chiari: si parte dalla Norvegia e soprattutto dalla Germania. Nulla accade per caso, quando si parla del Dragone. Si pensi alle 18 case automobilistiche cinesi che si sono installate in Europa dal 2015 con dei centri R&D per studiare il mercato, le regole e le innovazioni anche sul versante dell’alimentazione dei veicoli.

    Poi ci sono i 7 miliardi di euro investiti in impianti dai principali player delle batterie per auto elettriche, da Catl (proprio in Germania), la numero uno nota per fornire Tesla ma che ha accordi con quasi tutti i costruttori, a Envision Aesc in Francia (partnership con Renault per una nuova gigafactory da 2 miliardi di euro a Douai) e nel Regno Unito, dove pianifica con Nissan, alleata di Renault, un impianto da 6 GWh..

    E se dopo il primo tentativo andato a vuoto tra il 2003 e il 2009 con Landwind e Brilliance, che rimediarono una pessima figura nei crash test lasciando nei consumatori europei la certezza che mai avrebbero comprato cinese, i nuovi produttori della Repubblica popolare si sono ricostruiti una reputazione in fatto di affidabilità. È il caso del più recente modello della sino-svedese Polestar 2, realizzata a Luqiao in Cina, costruita sulla piattaforma CMA, la stessa della Volvo XC40 dalla joint venture tra Volvo e Geely: ha meritato le cinque stelle nel crash test dell’ADAC (Allgemeiner Deutscher Automobil-Club), il club automobilistico tedesco che è anche il più grande del mondo. Polestar, nata con l’ambizione di essere una anti-Tesla, è presente in Germania dal 2020.

    Il mercato più importante.

    La nuova affidabilità fa parte del piano della leadership politica cinese per rendere il Paese uno dei principali esportatori di veicoli elettrici. È quanto emerge da un nuovo studio del think tank Merics, di Berlino, che della Cina ha fatto la sua specializzazione.

    «L’Europa è il mercato più importante per gli esportatori cinesi di auto elettriche», afferma l’autore dello studio, Gregor Sebastian. Il fatto che produttori come Geely, primo costruttore privato cinese, con Polestar, ma anche Great Wall Motors, si presentino al Salone dell’auto (IIA Mobility) di Monaco di Baviera la prossima settimana, mostra chiaramente le loro ambizioni sul mercato tedesco. Del resto un’auto elettrica su due nel mondo arriva dalla Cina. Secondo i dati dell’associazione cinese dei produttori automobilistici CAAM, nella prima metà del 2021 è uscito dalle catene di montaggio un milione di modelli elettrici, il doppio rispetto al 2019. LMC Automotive stima che il numero dovrebbe salire a otto milioni all’anno entro il 2028. Finora, tuttavia, la maggior parte di queste auto è stata venduta nella stessa Cina, un mercato che offre la più ampia domanda del mondo, con 25 milioni di unità previste nel 2021.

    Fino a poco tempo fa, le case automobilistiche del Dragone avevano pochi incentivi economici a spingersi nei mercati esteri poiché le vendite nazionali in aumento le hanno sostenute, triplicate in otto anni tra il 2008 e il 2016. Entro il 2025 le auto cosiddette NEV (New energy vehicles) in Cina dovrebbero essere già il 20% del venduto salendo quasi a 5 milioni.

    Poi però è arrivata una spinta all’esportazione da parte delle case automobilistiche straniere che producono in Cina (dal 2015 al 2019), che ha visto GM esportare Buick negli Stati Uniti. L’effetto positivo è svanito quando l’amministrazione Trump ha imposto tariffe sulle auto prodotte in Cina. Nel complesso, le esportazioni automobilistiche cinesi sono rimaste contenute, sia in termini relativi che assoluti. Ma una combinazione di progressi tecnologici e cambiamenti strutturali nell’industria automobilistica globale - dall’elettrificazione ai servizi digitali, fino ai primi passi verso la guida autonoma - ha creato una finestra di opportunità per l’espansione globale del made in China. E la politica cinese si è convinta che sia arrivato il momento giusto per conquistare altri mercati.

    Gli obiettivi di Pechino sull’export straniero.

    Ma invece di creare campioni nazionali, il governo sta ora perseguendo l’obiettivo di «rafforzare catene del valore globali», si legge nello studio. A lungo termine, tuttavia, la leadership cinese probabilmente non tollererà le elevate quote di mercato dei produttori esteri sul mercato interno e nelle esportazioni, anche se per molte case - da Vw a Bmw a Daimler fino ai coreani di Kia e a Gm e prossimamente anche Ford con Changan - ormai la Cina è un hub produttivo imprescindibile. Recentemente oltre il 90% delle esportazioni di auto elettriche dalla Cina è stato effettuato da Tesla, che produce anche per il mercato mondiale nella sua gigafactory a Shanghai.

    Chi vincerà? Dei 90 produttori locali di auto elettriche solo quelli che raggiungono una certa dimensione e quindi realizzano economie di scala potranno sopravvivere al consolidamento. I meglio posizionati sono BYD (l’investitore Warren Buffett ne detiene l’8%), Geely, SAIC (il più grande costruttore cinese, che ha partnership storiche con GM e Volkswagen) e le startup rampanti, quotate a Wall Street, Nio e Xpeng, già approdate da qualche mese in Norvegia.

    «L’Europa - spiega Sebastian - è particolarmente promettente per i produttori cinesi. Di solito scelgono la Norvegia per entrare nel mercato, perché è lì che l’infrastruttura di ricarica è meglio sviluppata. Ma recentemente il 9% delle esportazioni cinesi di auto elettriche è andato in Germania». «La Norvegia è solo l’inizio», ha avvisato William Li, ceo di Nio, parlando con la stampa tedesca. L’azienda si sta preparando per l’ingresso in Europa «e la Germania è estremamente interessante per noi», ha affermato Li. Le prime Nio dovrebbero arrivare in Germania nel 2022. Ma anche Geely è pronta per la sua nuova Zeekr 001.

    Le quattro strategie (e gli aiuti di Stato).

    Lo studio Merics ha identificato quattro strategie utilizzate dai produttori cinesi per conquistare i mercati europei: esportazioni pure dalla produzione cinese, esportazioni più centro di sviluppo o design sul mercato di riferimento, produzione sul mercato di riferimento e acquisizione di un produttore locale. Nio si affida alla strategia “Export plus”. La start-up con sede a Shanghai ha aperto il suo centro di design a Monaco di Baviera nel 2015, allora ancora con il nome NextEV, e ha reclutato esperti anche da Bmw. Entro la fine del 2022, il suo sistema di ricarica e sostituzione della batteria dovrebbe essere disponibile in Norvegia. BAIC, Chery, FAW, Geely e Great Wall Motor hanno anche centri di design o innovazione in Germania. Un precedente negativo c’è: le filiale tedesca di Byton ha presentato istanza di fallimento ad aprile.

    Geely ha preso piede nel mercato europeo da quando ha rilevato Volvo nel 2010. Nel 2017, il fondatore di Geely, Li Shufu, ha acquistato il 9,7% di Daimler, diventando così il maggiore azionista unico di Stoccarda. «La corsa allo shopping globale di Geely è stata sostenuta dal governo cinese», scrive l’autore dello studio. E non è l’unico caso. I governi locali, anche attraverso dei fondi, e le banche di stato sono stati generosi, negli ultimi quattro anni, anche con marchi come Nio e Xpeng, che hanno ricevuto miliardi di dollari per poter investire e accelerare il processo di crescita. Un chiaro vantaggio competitivo sulle avversarie europee.

    L’esempio italiano di produzione in Europa è il colosso automobilistico cinese FAW Group, che sta creando un produttore di veicoli elettrici di lusso a Reggio Emilia, Silk-FAW. La joint venture riunisce la FAW (statale) e la società italiana di ingegneria e design Silk EV. L’obiettivo è produrre un’auto da corsa elettrica sotto il marchio Hongqi, il cui nome si traduce con “Bandiera rossa”, ispirata alla tradizione politica del Paese d’origine. La JV prevede di investire più di 1 miliardo di euro in tre anni. La produzione dovrebbe iniziare nel 2023. La stessa FAW non è riuscita ad applicare la quarta strategia, quella dell’acquisizione: Iveco è rimasta italiana dopo l’intervento del governo di Roma a metà aprile. SAIC invece potrebbe espandere le sue esportazioni di veicoli elettrici sfruttando il marchio britannico MG, acquisito nel 2007.

    I possibili ostacoli.

    Non mancano le ragioni, secondo lo studio, per cui i piani cinesi potrebbero trovare ostacoli sul loro cammino. Primo, la mancanza di esperienza internazionale: la maggior parte delle case automobilistiche cinesi non dispone di una rete di vendita e assistenza post-vendita all’estero. Secondo, le misure difensive dei governi europei, inclusi nuove regole e dazi (attualmente al 10%). Terzo, normative sulla gestione dei dati che potrebbero rivelarsi ostici per i produttori di veicoli elettrici cinesi. Quarto, la concorrenza dei grandi produttori europei, dato che il vantaggio del first mover sta svanendo con la rapida corsa all’elettrificazione del gruppo Volkswagen, dei produttori premium Daimler e Bmw, ma anche di Stellantis (che investirà 30 miliardi entro il 2025 nei suoi 14 marchi) e in misura forse minore di Renault, la più debole a giudicare dai dati del primo semestre.

    I posti di lavoro in Europa.

    La Commissione europea considera il settore automobilistico «cruciale per la prosperità dell’Europa». Tuttavia, le esportazioni automobilistiche cinesi potrebbero spostare gli equilibri e minacciare il cuore industriale dell’Europa. La produzione di veicoli a motore impiega 3,5 milioni di persone nell’Ue, che sono le più direttamente minacciate, secondo lo studio Merics. Per ora, le classifiche di vendita di veicoli elettrici in Europa sono dominate dalle case europee e da Tesla. «Tuttavia - è la conclusione - le esportazioni cinesi di veicoli elettrici spinte da sovvenzioni sono in aumento a livello globale, quindi il settore automobilistico europeo orientato all’esportazione potrebbe incontrare problemi».

    Illustrazione di Andrea Marson

    Il Sole 24 Ore

    L'affondo di Draghi, terza dose e obbligo vaccinale. - Paolo Cappelleri

     

    'Orientamento del governo è estendere il green pass. Il governo va avanti'. Dai no vax violenza odiosa. Green pass sta andando bene'. 'A fine settembre saremo a 80%. Ribadisco l'invito a immunizzarsi'.


    Per il vaccino contro il Covid scatterà l'obbligo, quando verrà dichiarato da Ema e Aifa non più farmaco emergenziale ma ordinario, e si va anche verso l'introduzione della terza dose. Con due secchi "sì", il premier Mario Draghi ha risposto sul tema, delineando questo scenario e anticipando poi l'estensione del Green pass, alla luce di una campagna vaccinale che è al 69% e, da programma, punta a coprire l'80% della popolazione entro la fine di settembre.

    O addirittura l'85%, come si sono sbilanciati i ministri al suo fianco a Palazzo Chigi, alla vigilia del monitoraggio che oggi dovrebbe confermare l'Italia tutta in zona bianca ad eccezione della Sicilia, gialla

    "Senza mezzi termini è stata anche la condanna del presidente del Consiglio della "violenza particolarmente odiosa e vigliacca" dei no vax contro "chi fa informazione e chi è in prima linea a combattere la pandemia".

    Parole accompagnate dall'ormai consueto invito a farsi iniettare il vaccino contro un virus che ha causato la morte di altre 62 persone nelle ultime 24 ore in Italia, con 6.761 contagiati. A fine settembre si partirà con la terza dose per i soggetti fragili, ha annunciato il ministro della Salute, Roberto Speranza. Per ora la quota di chi ha ricevuto la prima dose è poco sopra il 60% in alcune aree come Bolzano (record negativo al 61%), la Sicilia (63%) e nella fascia 30-39 anni non si raggiunge il 70%, tuttavia Draghi e la sua squadra puntano su due dati positivi: il 91,5% del personale scolastico immunizzato e la forte adesione alla campagna dei giovani sotto 30 anni.

    Questo, ha detto il premier, "ci permette di affrontare con una certa tranquillità e minore incertezza dell'anno scorso l'apertura delle scuole. La scuola in presenza è sempre stata una priorità". "E si potrà tornare a sorridere", ha aggiunto il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, confermando che nelle classi in cui tutti sono vaccinati si potrà evitare la mascherina. Una scelta che, però, secondo la leader di FdI Giorgia Meloni "è priva di giustificazione scientifica, visto che i vaccinati possono contagiare ed essere contagiati". Per ora docenti e personale scolastico, così come i viaggiatori delle tratte a lungo raggio, sono vincolati al Green pass, che vale 12 mesi e si potrà ottenere anche con test salivari, grazie a un emendamento approvato dalla Commissione affari sociali della Camera. In futuro riguarderà anche altri settori. "L'applicazione del green pass mi pare stia andando bene.

    Sui trasporti ci saranno sempre dei casi di foto di mezzi pieni, ma in generale la preparazione è stata ben fatta", ha notato Draghi, chiarendo che con Speranza "da tempo" sta "discutendo" e "l'orientamento" è quello di "estendere" l'uso del certificato vaccinale: "Per decidere quali settori dovranno averlo prima eventualmente faremo una cabina di regia come è stato chiesto dal senatore Salvini ma la direzione è quella". Si potrebbe cominciare dagli esercenti di ristoranti, bar e mense, e il tema è caldo per i dipendenti della Pubblica amministrazione. Mentre fragili, malati cronici e anziani potrebbero essere fra le prime categorie interessate dall'obbligo (quando sarà possibile applicarlo in modo esteso), che per ora è fissato per legge solo per gli operatori sanitari. Intanto Draghi ha precisato che la vaccinazione per il Covid è prevista anche per "tutti i migranti". In Italia sono arrivate finora oltre 88 milioni di dosi, e le Regioni ne hanno ora a disposizione 10 milioni. Intanto laddove si vaccina meno cresce la percentuale di posti letto di terapia intensiva occupati da pazienti Covid. In Sicilia è al 14%, a fronte di una media nazionale stabile al 6% (555 ricoverati, 15 in più nelle ultime 24 ore). In Sardegna è all'11%, sopra la soglia critica ma in calo da un paio di giorni: dopo il monitoraggio di domani dell'Istituto superiore di sanità l'isola dovrebbe evitare di finire in zona gialla. In base ai tassi di contagio, invece, nell'aggiornamento settimanale della mappa del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) finisce in rosso il Lazio (oltre il 4% con Basilicata, Calabria, Marche, Sardegna, Sicilia e Toscana) mentre la Campania torna in giallo.

    ANSA

    giovedì 2 settembre 2021

    “Non solo stalking: addio arresti anche per spaccio e frodi”. - Marco Pasciuti

     

    Fabio Roia. Il giudice sui referendum.

    “Non riesco a capire come un problema così macroscopico possa essere sfuggito”. Fabio Roia è presidente vicario del Tribunale di Milano, dove è a capo della sezione Misure di prevenzione. Il problema è che Il quinto quesito del referendum sulla giustizia proposto da Lega e Radicali prevede di abolire le misure cautelari, nonostante il pericolo di reiterazione del reato, nei confronti di persone sospettate di aver compiuto reati che non prevedono la violenza fisica con l’uso di armi o simili. Telefono Rosa e il ministro Mara Carfagna, che è stata promotrice e sua prima firmataria nel 2009, dicono che depotenzia la legge sullo stalking.

    “Premetto: – dice Roia, esperto di reati di genere e Consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio – se c’è una volontà referendaria che va in questo senso, i magistrati la rispetteranno. Ma credo sia doveroso avvertire delle conseguenze”.

    I promotori dicono di voler limitare gli abusi nell’applicazione della custodia cautelare.

    Se il quesito dovesse passare, la si potrebbe disporre qualora vi sia un pericolo di violenza alla persona messa in atto o con armi o con mezzi violenti. Quindi c’è un richiamo solo alla violenza fisica. Ma lo stalking non è basato su quest’ultima. Tanto per restare ai reati di genere, resterebbero fuori tutte le attività, forse la maggior parte, che riguardano la violenza psicologica o morale, tipo le minacce o le molestie che sono una delle caratteristiche fondanti del reato, nonché dei maltrattamenti di familiari e conviventi, nonché le violenze sessuali commesse approfittando dell’incoscienza della persona.

    Quando si dà alcol o droga a una ragazzae si abusa di lei.

    È un reato in cui se non ci sono le altre due condizioni – il pericolo di fuga o quello di inquinamento delle prove – le misure restrittive non possono essere più applicate. L’onorevole Carfagna ha fatto bene a puntare l’attenzione sullo stalking, ma non è il solo caso. Le parlo di quello che vediamo tutti i giorni nelle aule di giustizia. Il quesito toglie una delle condizioni più frequenti per l’applicazione di misure limitative della libertà, che non sono solo la custodia in carcere ma anche gli arresti domiciliari. Ma questo ciò per tutta una serie di reati che non comprendono un’aggressione fisica o l’uso di mezzi violenti, ma che sono comunque gravi.

    Qualche esempio.

    Nel caso dello spacciatore, piccolo o grande, non c’è un rischio di inquinamento probatorio o di fuga. Ciò che mi porta ad applicare una misura – i domiciliari per il primo e il carcere per il secondo – è proprio la reiterazione del reato. Che già oggi la legge mi impone di motivare. Una legge che verrebbe spazzata via dal referendum.

    È un tipo di reato con cui la gente è a contatto perché magari cel’ha sul marciapiede sotto casa.

    Certo, la custodia serve proprio a impedire che si continui a spacciare e lo spaccio non si realizza attraverso atti violenti contro la persona. Un altro esempio è il furto in abitazione. Se passasse il referendum non potrebbe essere applicata nessuna misura cautelare perché non c’è un pericolo di reiterazione del reato basato sulla violenza, in quanto 9 volte su 10 il furto avviene in assenza dei proprietari. E in questo caso non sussistono i pericoli di fuga né di inquinamento delle prove. E poi arriviamo ai reati di frode fiscale o alle gravi bancarotte fraudolente.

    Anche quelli?

    Se non c’è un rischio di inquinamento o di fuga, ma solo di reiterazione– abbiamo a che fare con soggetti che hanno sviluppato una professionalità nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti o la costruzione di frodi a carosello – io non posso più dare alcun tipo di misura cautelare.

    Sembra di capire che la modifica ricadrebbe sulla sicurezza dei cittadini.

    L’effetto del quesito sarebbe devastante per la sicurezza pubblica perché finirebbe per depotenziare moltissimo gli strumenti di controllo. E non vorrei che tutto ciò finisse per essere scaricato sui magistrati.

    In che senso?

    Le misure cautelari vengono sempre date con estrema prudenza. Nel caso dell’omicidio di Vanessa (26 anni, uccisa ad Aci Trezza la notte del 23 agosto, ndr) una delle accuse che vengono mosse al giudice è di non aver dato all’assassino alcuna misura gravosa. Ecco, noi già oggi nel caso di un piccolo spacciatore non possiamo applicare alcuna misura efficace sul piano del contenimento perché magari costui non ha una casa e, invece del carcere, dobbiamo dargli l’obbligo di firma. Se passasse il quesito non potrei fare neanche più questo. E ciò sarebbe frustrante per le forze di polizia, che arrestano una persona, la portano di fronte al giudice e quello la scarcera. Non voglio fare una difesa della categoria, ma è bene che ognuno si assuma le sue responsabilità. Anche perché dell’aspettativa di sicurezza uno dei promotori di questo referendum ha fatto una battaglia politica.

    A proposito, Giulia Bongiorno, che firmò la legge del 2009, ora difende il quesito che la depotenzia. Dice che per applicare le misure basterà che il giudice ravvisi nello stalker una “personalità proclive alla violenza”.

    Come al solito ci viene chiesto di fare una forzatura interpretativa. Dovrei dire che chi molesta o fa appostamenti a una ragazza è incline alla violenza fisica. Dovrei, cioè, fare un’interpretazione fantasiosa. La strada indicata dall’onorevole Bongiorno, che pure io stimo per le battaglie fatte in favore delle donne, non mi sembra molto corretta. La custodia cautelare è un’extrema ratio, ma dove ci sono le condizioni deve essere applicata. Altrimenti poi altrimenti piangiamo un sacco di donne ammazzate.

    ILFQ

    mercoledì 1 settembre 2021

    Gian Carlo Caselli - “Limitare le misure cautelari? Nelle corde dei radicali, meno del carroccio”. - Gianni Barbacetto

    Gian Carlo Caselli - “Limitare le misure cautelari? Nelle corde dei radicali, meno del carroccio”.

    Gian Carlo Caselli, già procuratore della Repubblica a Torino e a Palermo, prevede un effetto boomerang, a proposito dei referendum radicali e leghisti sulla giustizia: “Possibili effetti negativi per l’amministrazione della giustizia e per l’interesse generale, ma anche un boomerang per i promotori”.

    Dottor Caselli, si riferisce al quesito sulla custodia cautelare?

    Non solo a quello. Il quinto quesito prevede che i potenziali autori seriali di gravi reati, se questi non sono commessi con armi o con violenza, non possano più essere assoggettati a misure cautelari in base – come avviene ora – alla previsione della possibile ripetizione dei reati. Si possono riscrivere le norme sulla custodia cautelare riducendone gli spazi: è un’operazione nelle corde dei radicali, assai meno della Lega. Se passa il referendum, ci saranno casi delicati e complessi, in cui sarebbe utile se non necessario ricorrere alla custodia cautelare, che non potrà invece scattare, in forza della nuova normativa. L’opinione pubblica, la piazza, rifiuteranno questa situazione, si genererà sconcerto, ci saranno proteste sul funzionamento della giustizia, che sarà accusata di lassismo. Gli effetti, per la magistratura, già in profondissima crisi dopo lo scandalo Palamara, saranno devastanti. Ancora una volta si darà la colpa di tutto ai giudici. Un boomerang per la giustizia. Ma anche per la Lega che è tra i promotori del referendum e che ha sempre chiesto massima severità per chi compie certi reati, come lo stalking.

    In difesa del referendum è intervenuta anche Giulia Bongiorno, in passato sostenitrice di misure dure per chi compie reati contro le donne.

    Proprio sul Fatto, la senatrice ha sostenuto che questo referendum vuole evitare gli abusi, ma non riduce le tutele, perché “per applicare le misure cautelari sarà sufficiente che il giudice ravvisi nella condotta dello stalker elementi sintomatici di una personalità incline al compimento di atti di violenza” e il giudice dovrebbe cercare “i sintomi” di una possibile violenza futura. È una forzatura della legge che genera un cortocircuito. La prognosi astratta di futura effettiva violenza è, se non impossibile, almeno molto difficile, opinabile, sicura rampa di lancio di incertezze, discussioni interminabili e polemiche feroci.

    Strana alleanza, quella tra i Radicali e la Lega?

    Ognuno in politica si allea con chi vuole, ma in questo caso tra i due ci sono enormi differenze. L’area radicale comprende l’associazione “Nessuno tocchi Caino” e ha una filosofia opposta a quella della Lega incentrata sul classico “legge e ordine”. Due mondi così diversi, al punto da far temere un’alleanza strumentale: in un momento difficile per la magistratura, sull’orlo del baratro per una crisi terribile, questo per qualcuno potrebbe sembrare il momento giusto per sferrare l’attacco finale, per fare i conti definitivi con i giudici. Ma vorrei segnalare, a questo proposito, un quesito referendario ancor più pericoloso.

    Quello sulla separazione delle carriere?

    Sì. Si basa sull’affermazione che i giudici sono appiattiti sul pm, dunque bisogna separarli. È una prospettazione sostanzialmente falsa. In tutti i Paesi in cui la separazione c’è, la conseguenza è sempre una sola: il pm prende ordini o direttive dal potere esecutivo. Fine dell’indipendenza della magistratura, fine della speranza che la legge possa essere uguale per tutti. Così torneremmo indietro rispetto a una situazione che in molti Paesi europei viene invidiata: in un articolo di Le Monde del giugno 2020, autorevoli rappresentanti della magistratura francese indicavano di fatto la situazione italiana come traguardo da raggiungere, per liberare i magistrati d’accusa francesi dal peso di dover analizzare gli affari “sensibili” in base ai possibili interventi del potere. E noi invece in Italia vogliamo fare il contrario.

    ILFQ