giovedì 17 febbraio 2022

Pressing per azienda vicina ai clan: salvato Giovanardi da FI&Iv. - Ilaria Proietti

 

IMPUNITÀ - Gli è stato accordato lo scudo dell’immunità contro i magistrati di Modena che lo avevano trascinato a processo per rivelazione e utilizzazione di segreti d’uffici, violenza o minaccia a Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e oltraggio. La casta “assolve” anche Siri.

Lui giura di aver fatto solo il suo dovere di parlamentare. E che importa se, per ottenere che una ditta amica in odore di ’ndrangheta potesse partecipare alla ricostruzione dopo il terremoto dell’Emilia-Romagna, ha minacciato e fatto pressioni di ogni sorta spendendo il suo ruolo e le sue amicizie a Roma. L’ex senatore Carlo Giovanardi aveva ragione da vendere: strapazzare funzionari di Prefettura per ottenere ciò che si vuole, minacciarne la carriera e ottenere informazioni riservate abusando dello status di parlamentare, si può fare e impunemente. Lo ha confermato il voto di ieri del Senato dove grazie ai voti del centrodestra e Italia Viva gli è stato accordato lo scudo dell’immunità contro i magistrati di Modena che lo avevano trascinato a processo per rivelazione e utilizzazione di segreti d’uffici, violenza o minaccia a Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e oltraggio.

Bum! Per l’aula del Senato non ci sono reati: le condotte di Giovanardi sono al più l’espressione di opinioni magari un po’ forti, ma pur sempre insindacabili perché espresse nel suo ruolo di parlamentare, come sostenuto dal leghista Simone Pillon nella relazione approvata a maggioranza: “Nel caso di specie, il senatore Giovanardi riteneva con tutta evidenza che l’esclusione dalla white list della ditta Bianchini fosse un’ingiustizia e che tale misura fosse del tutto infondata sulla base di una propria opinione, fortemente critica rispetto all’operato dei pubblici ufficiali coinvolti”.

E tanto deve bastare, a prescindere dal merito delle condotte tenute all’epoca dei fatti da Giovanardi, che può tirare un sospiro di sollievo, anzi di più: “È un voto importante per la democrazia perché riguarda la libertà del Parlamento in un sistema democratico” ha detto sempre più convinto che “l’unico atteggiamento di un parlamentare di fronte a macroscopici errori della Pubblica amministrazione non può essere quello di un omertoso silenzio”.

E pace se in questo caso non c’erano affatto errori macroscopici. E se qualcuno si ostina a ritenere che i reati contestati a Giovanardi restino tali e davvero poco hanno a che fare con le opinioni, come ha sottolineato Pietro Grasso di LeU, per il quale “la violazione del segreto d’ufficio o le minacce, non hanno alcun legame funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare”.

Per l’ex procuratore antimafia, insomma, si tratta di un precedente pericoloso attraverso il quale è stata ingiustificatamente estesa la prerogativa dell’insindacabilità. Attraverso un barbatrucco già evidenziato da Anna Rossomando del Pd quando la questione era stata trattata in Giunta. “L’aspetto più problematico della motivazione fornita dal senatore Pillon è quello che finisce per estendere la prerogativa a qualsiasi condotta purché persegua un fine in qualche modo ricollegabile ad una pregressa attività parlamentare intra moenia”. Tradotto: per ottenere lo scudo basterà presentare un’interrogazione per poi avere la licenza di compiere impunemente fuori dal Palazzo qualunque tipo di reato sul fatto oggetto di quella attività parlamentare. Ma ormai l’andazzo è questo. Ieri la stessa Giunta delle immunità ha scudato il meloniano Andrea Augello, per un post su Fb ritenuto offensivo dall’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino (che lo ha portato in Tribunale) nonostante non sia da tempo più parlamentare. Ma l’immunità gli è stata accordata lo stesso col pretesto che da senatore nel 2015 aveva presentato alcune interrogazioni sull’amministrazione capitolina.

E non è tutto. Sempre l’asse centrodestra-Italia Viva ieri ha detto no ai magistrati di Roma: non potranno usare nessuna delle intercettazioni che rischiavano di inguaiare Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista a processo con l’accusa di essersi dato da fare, in cambio della promessa di una mazzetta, per favorire Paolo Arata, imprenditore in affari con il re dell’eolico Vito Nicastri considerato uno dei finanziatori di Matteo Messina Denaro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/17/pressing-per-azienda-vicina-ai-clan-salvato-giovanardi-da-fiiv/6496820/

Referendum, responsabilità diretta dei giudici e cannabis: affondati altri 2 quesiti. - Antonella Mascali

 

VIA AL VOTO - La Corte costituzionale ha finito l’esame: in tutto ha detto sì a cinque richieste sulla Giustizia. Tre i bocciati. Il presidente Amato ha spiegato la formulazione errata su eutanasia e droghe: sono stati scritti male.

Quando si dice è una beffa del destino. A trent’anni esatti da Mani Pulite, a presiedere la Corte costituzionale che ha dato il via libera ai referendum sulla Giustizia, a eccezione di quello sulla responsabilità civile diretta del magistrato, è Giuliano Amato, tra i protagonisti politici della Prima Repubblica al fianco di Bettino Craxi.

Aspirante senatore a vita, Amato forse ancora pensa di essere presidente del Consiglio, dato che ieri ha indetto una conferenza stampa in cui non si tiene neppure alcune critiche ricevute dalla Corte per l’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente (decisa martedì). “Sentire che non sappiamo cosa significhi soffrire mi ha ferito, ha ferito tutti noi. L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”. Quanto all’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati che, ci risulta, lui, invece, avrebbe voluto, spiega: “Essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, diversamente da altri funzionari pubblici, l’introduzione della responsabilità diretta rende il referendum più che abrogativo”.

È lo Stato, aggiungiamo noi, che risarcisce il cittadino che abbia subito un ingiusto danno, per poi rivalersi sul magistrato. Ovvio la ratio della legge: se ci fosse la responsabilità diretta, ogni indagato-imputato, potente, potrebbe intimidire così il magistrato.

Dunque, ieri, la Corte ha dato il via libera ai referendum che chiedono la separazione delle carriere dei magistrati; l’abolizione della legge Severino; lo svuotamento della carcerazione preventiva; la valutazione professionale dei magistrati da parte degli avvocati presenti nei consigli giudiziari; la possibilità per i magistrati di candidarsi al Csm anche senza una raccolta di firme. La Corte con un comunicato spiega il via libera: “Le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”. Sarà, ma se si va a leggere il quesito che chiede la separazione delle carriere, viene il mal di testa, tante sono le leggi cui fanno riferimento i promotori, altro che quesito chiaro, lineare per gli elettori. Inoltre, come la Corte sa, c’è già la riforma Bonafede, sul punto non modificata dalla ministra Marta Cartabia, che propone di diminuire i possibili passaggi da pm a giudice e viceversa, da 4 a 2, ma non di separare le carriere, di fatto, come vorrebbe, invece, Forza Italia. Se vince il sì non sarà permesso alcun cambio di funzione con buona pace del principio costituzionale dell’unicità dell’ordinamento giudiziario e con un possibile destino per il pm di essere dipendente dal governo.

Via libera anche al referendum che chiede l’abolizione della legge Severino, che vieta l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati gravi come mafia, terrorismo e corruzione. Se vince il sì, viene abolito anche l’articolo 11 della stessa legge sulla sospensione per 18 mesi degli amministratori e rappresentanti locali condannati in primo grado per determinati reati. E pensare che la Severino ha retto a tutti i vagli della Consulta.

C’è poi il referendum che si potrebbe ribattezzare “liberi tutti”: si chiede la cancellazione della possibilità di arresto per un reato a “caso”, il finanziamento illecito ai partiti, ma anche per altri reati che prevedono la reclusione “non inferiore nel massimo a cinque anni”, a meno che non ricorra il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Sparisce quindi il pericolo di reiterazione del reato. “C’è da rimettersi solo alla saggezza dei cittadini”, osserva Nello Rossi, ex avvocato generale della Cassazione, “sperando che, se voteranno sì all’abrogazione, non imprechino poi contro giudici e pm se i truffatori seriali, gli hacker e i bancarottieri resteranno liberi e in azione sino alle condanne definitive”. Infine, dichiarato inammissibile il referendum sulle droghe perché, ha spiegato Amato “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze con papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”.

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Balle Pulite. - Marco Travaglio

 

Breve antologia delle migliori scemenze sui 30 anni di Mani Pulite.

“Mani Pulite svelò la corruzione, ma non la risolse” (Francesco Merlo, Repubblica). È il lodo Merlo-Senaldi: i giudici non devono processare i reati già commessi, ma quelli che verranno.

“Una storia di eccessi: troppi reati, troppo carcere, troppi accanimenti” (Merlo, ibidem). E quale sarebbe il numero perfetto dei reati e degli arresti, per evitare l’accanimento?

“Troppa complicità tra Pm e giornalisti. Ci portiamo dietro un finto giornalismo che spaccia per scoop i verbali di questura” (Merlo, ibidem). Si chiama cronaca giudiziaria, su cui campò per 30 anni Repubblica prima di mettersi in casa i Merlo.

“Cagliari, presidente Eni, si suicidò in prigione nel 134° giorno di quella carcerazione preventiva di cui, dopo 30 anni, in Italia si continua ad abusare” (Merlo, ibidem). Poi la vedova andò in Svizzera, svuotò il conto del martire, tornò con 13 miliardi di lire e li restituì all’Eni, ma questo è meglio non dirlo.

“Produsse negli indagati paura di essere arrestati e messi alla gogna, con la confessione come unica via d’uscita” (Marco Imarisio, Corriere). Quindi confessavano reati mai commessi e restituivano miliardi mai rubati. Furbi, loro.

“Tra i patteggiamenti si nascosero colpevoli ma anche innocenti che vollero solo uscire di scena e di galera preventiva” (Filippo Facci, Libero). Che volpi: concordavano anni di carcere senz’aver fatto nulla per uscire dalla galera preventiva ed entrare in quella definitiva. O forse erano innocenti, ma non lo sapevano: l’hanno scoperto da Facci.

“30 anni fa il golpe dei pm. Ora comandano loro. La politica si è arresa senza condizioni” (Piero Sansonetti, Riformista). Ora ci sono persino dei politici che non rubano: vergogna.

“Mani Pulite ha indebolito la Giustizia… Il bilancio di questi 30 anni è fallimentare” (Carlo Nordio, Messaggero). In effetti c’era pure un pm a Venezia che non ne azzeccava una.

“Ripristinare l’art. 68 della Costituzione come fu pensato nel 1947” (rag. Claudio Cerasa, Foglio). Cioè com’è adesso: uno scudo contro eventuali processi ai parlamentari per le loro idee, non per i loro furti.

“Azione politica per defenestrare cinque partiti, tutti di centrodestra. Poi arrivò mio fratello” (Paolo Berlusconi, Giornale). E lui, l’altro fratello, già arrestato (e poi tre volte condannato) per gravi reati, cominciò a finir dentro pure al posto suo.

“Ora i partiti smettano di candidare magistrati” (Luciano Violante, magistrato eletto deputato nel Pci, Pds, Ds dal 1979 al 2008, Giornale). A saperlo prima, ci risparmiavamo pure Violante.

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Bollette, da aprile i primi cali dei prezzi. Ma servono misure anti crisi. - Davide Tabarelli

 

L’ottimismo degli ultimi sviluppi deve lasciare immediatamente il posto al pessimismo della ragione, sia per accelerare il ritorno a normalità, sia per evitare di trovarci nelle stesse disastrose condizioni fra 8 mesi, il prossimo ottobre quando ricomincia la stagione invernale.

Fine della crisi, per ora. Lo possiamo finalmente dire, la spirale rialzista è finita e gli aumenti da capogiro delle bollette non ci saranno nei prossimi mesi. Addirittura, si può azzardare un calo dal prossimo primo aprile, con l’aggiornamento che verrà effettuato fra poco un mese. I prezzi del gas sul mercato spot, dove si è scatenato il panico a fine 2021, sono scesi sotto la soglia psicologica dei 70 € per megawattora, minimo, se si esclude l’ultimo giorno dell’anno, da novembre.

Rimaniamo ancora a distanze siderali rispetto ai prezzi di un anno fa di 20 €, o rispetto ai prezzi americani di 13 €, differenza enorme che ha spostato decine di navi piene di gas liquefatto verso l’Europa. Come accade da mesi, il prezzo dell’elettricità segue in maniera speculare, almeno in Italia, l’andamento del gas. I prezzi sulla borsa elettrica sono scesi sotto la soglia dei 200 € per megawattora per la prima volta da più di un mese e mezzo e sono a minimi, escludendo i giorni festivi, che non si vedevano da ottobre, quando la crisi stava montando. Anche qui occorre ricordare che i prezzi normali sono stati per anni intorno ai 50 € e che, pertanto, la discesa, per chiudere interamente la crisi, deve continuare ancora per parecchio.

La riduzione delle bollette.

Dal prossimo primo aprile, già con i prezzi di oggi, la riduzione delle bollette sarebbe dell'ordine del 3% per l’elettricità e del 5% per il gas: l’economia italiana può tirare un sospiro di sollievo. Si, perché anche le imprese riceveranno fatture mensili a marzo stabili su alti valori, ma, da aprile, finalmente vedranno la fine dell’incubo con dei cali. Addirittura, con più azzardo, è possibile intravedere un calo più intenso, al limite del crollo, perché, come accade spesso dopo i momenti di forte panico al rialzo, la scomparsa dello spauracchio di scarsità fisica, fa scendere i prezzi con altrettanto velocità. L’ottimismo degli ultimi sviluppi deve lasciare immediatamente il posto al pessimismo della ragione, sia per accelerare il ritorno a normalità, sia per evitare di trovarci nelle stesse disastrose condizioni fra 8 mesi, il prossimo ottobre quando ricomincia la stagione invernale.

Il Nord Stream 2, non appena finirà l'assurdo confronto in Ucraina fra Stati Uniti e Russia, potrà e dovrà finalmente partire. Le scorte di gas in Germania devono essere riempite con un obbligo imposto dal governo tedesco o della Commissione e non lasciarle in balia del mercato. Le autorità di regolazione, a partire dalla nostra Autorità dell’energia, devono attivarsi nell’indagare cosa è successo sui mercati del gas e dell'elettricità, non solo per capire, cosa dovuta ai consumatori, chi ha fatto tanti profitti, ma anche per contenere il rischio che il panico dello scorso inverno abbia di nuovo effetti così devastanti. Il mercato spot del gas europeo si è spostato tutto in Germania, dove la liquidità e lo spessore sono troppo bassi per essere il principale riferimento di tutta l’energia europea. Occorre che i prezzi siano più sensibili alle importazioni di gas liquefatto, quello che, seppur per poco, ha maggiori quantità per compensare altri ammanchi che dovessero verificarsi.

La Russia e la sua Gazprom rimangono cruciali, ovvio, contano per il 40% della domanda di gas dell’UE, e farne a meno è impossibile. Tuttavia, devono aiutarci a capire cosa è successo, e loro ne sanno parecchio, a cominciare dai contratti di lungo termine, perché è anche nel loro interesse far sì che i mercati siano efficienti, con prezzi ragionevoli per entrambi le parti, condizione questa per costruire relazioni stabili e pacifiche, per anni, cosa di non poco conto in questo periodo.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/bollette-aprile-primi-cali-prezzi-ma-servono-misure-anti-crisi-AEvsxSEB

mercoledì 16 febbraio 2022

Passato di Cassese. - Marco Travaglio

 

Appena digerito, ma non del tutto, il passato di verdure con vista Quirinale consumato con Salvini, l’emerito Sabino Cassese è passato all’acqua calda con un editoriale sul Corriere dal titolo: “La politica ha bisogno di regole”. Ma va? È dagli anni 40, cioè dalla Costituente e dal celebre appello di don Luigi Sturzo, che si discetta dell’urgenza di dare una veste giuridica ai partiti, attuando l’articolo 49 della Carta affinché rispettino almeno le regole che si danno. Cassese però ne approfitta per paragonare due “vicende giudiziarie che coinvolgono i 5Stelle e il Pd”. Cioè per sommare le mele con le pere. La mela è l’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli che ha sospeso le delibere dell’agosto scorso sulla modifica dello Statuto M5S e l’elezione di Conte a presidente perché votate “con l’esclusione degli iscritti da meno di 6 mesi… in assenza di un regolamento”: una storia di pure scartoffie, peraltro sbagliate perché quel regolamento non era assente, ma presentissimo dal 2018 (infatti il M5S ha chiesto la revoca del provvedimento). Quindi, contrariamente a quanto scrive Cassese a proposito della loro presunta “anomia”, i 5Stelle non hanno violato, ma osservato “le norme che essi stessi si sono dati”. La pera è invece una brutta storia di vile danaro: l’inchiesta sulla “fondazione” Open, che in realtà era un trucco per aggirare la legge sul finanziamento ai partiti, quella sì voluta dai partiti medesimi, che la votarono nel lontano 1974, non la abrogarono mai, ma la violarono spesso. Prevede che essi possano farsi finanziare da chi vogliono, purché il finanziatore iscriva i fondi a bilancio e il partito li registri nell’apposito elenco in Parlamento a disposizione degli elettori, che hanno il diritto di sapere.

La stessa trasparenza non è prevista per le fondazioni, che anzi schermano finanziatori e finanziamenti dietro il paravento della privacy. Poi ogni tanto arriva un magistrato e li smaschera. Come nel caso di Open, che non è un processo alle regole dei partiti e delle fondazioni, ma a un gruppo di politici (Renzi e i suoi cari, ora quasi tutti in Italia Viva) che prendevano soldi per fare politica nel Pd (avvantaggiandosi sulle altre correnti per mantenere il controllo del partito), ma anziché al Pd li facevano versare a Open. Di qui l’accusa di finanziamento illecito. Alcuni dei finanziatori, poi, ricevevano dai finanziati favori sotto forma di fondi pubblici e leggi su misura, il che trasforma i finanziamenti in possibili tangenti: di qui le accuse di corruzione e traffico di influenze. Naturalmente, per Cassese, i magistrati di Napoli hanno ragione anche se hanno torto e quelli di Firenze hanno torto anche se hanno ragione. Ma questo è tipico di chi vive nel Paese di Sottosopra.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/16/passato-di-cassese/6495342/

Eutanasia, referendum inammissibile per la Consulta: “Non preserva la tutela della vita umana”. Cappato: “Brutta notizia per la democrazia”. - Antonella Mascali e Giacomo Salvini

 

LA SENTENZA - La decisione della corte: il quesito referendario che proponeva di depenalizzare il reato di omicidio del consenziente è inammissibile. L'Associazione Coscioni: "Non lasceremo nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari. Ci rivolgeremo anche alle forze politiche e parlamentari, in questi anni particolarmente assenti o impotenti".

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. La Consulta ha fatto sapere che il quesito, che proponeva la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, è stato bocciato perché, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Ora si dovranno aspettare le motivazioni della sentenza.

Il primo commento è stato di Marco Cappato che, per l’Associazione Coscioni, da mesi si batte per la raccolta delle firme e la sensibilizzazione sul tema: “Questa per noi è una brutta notizia”, ha dichiarato praticamente in lacrime, “credo che sia una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo sofferenze insopportabili contro la loro volontà. Credo sia ancora di più una brutta notizia per la democrazia del nostro Paese perché sarebbe stata una grande occasione per collegare la realtà sociale con le istituzioni su questo molto disattente”. La presidente del comitato promotore Filomena Gallo, su Twitter, ha aggiunto: “Abbiamo comunque gettato il seme per una nuova stagione laica e di democrazia nel nostro Paese. Grazie a tutti coloro che hanno dato forza alla nostra battaglia”. Mentre l’Associazione Luca Coscioni ha annunciato che “il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Certamente, la cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte costituzionale renderà il cammino più lungo e tortuoso, e per molte persone ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza e violenza. Ma la strada è segnata”. E ha annunciato: “Non lasceremo nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari. Ci rivolgeremo anche alle forze politiche e parlamentari, in questi anni particolarmente assenti o impotenti, e prenderemo in considerazione la possibilità di candidarci direttamente a governare per realizzare le soluzioni che si affermano ormai in gran parte del mondo democratico”.

Il comitato per il referendum Eutanasia Legale, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, è nato ad aprile 2021 e nel periodo giugno-settembre ha raccolto oltre 1,2 milioni di firmeUna mobilitazione senza precedenti che ha permesso, senza alcun sostegno mediatico, di superare la quota minima di 500mila firme. Ilfattoquotidiano.it ha seguito passo dopo passo la campagna con la sezione speciale: “Referendum eutanasia legale. Un risultato che è stato raggiunto anche grazie all’impegno di 13mila volontari. Una spinta dal basso che ha dimostrato la grande consapevolezza dell’opinione pubblica sull’argomento. Tra i primi leader politici a parlare oggi c’è stato Enrico Letta: “La bocciatura da parte della Corte Costituzionale del referendum sull’ eutanasia legale deve ora spingere il Parlamento ad approvare la legge sul suicidio assistito, secondo le indicazioni della Corte stessa”, ha scritto su Twitter.

LA LEGGE ANNACQUATA – Il problema rimane l’assenza di una legge. Il Parlamento per 40 anni non è stato in grado di trovare un accordo, nonostante le decine di proposte e le continue discussioni: ecco perché il referendum è sempre stata considerata l’ultima chance. Una legge sul suicidio assistito è attualmente in discussione a Montecitorio, ma è stata fortemente annacquata e rischia di essere ancora più restrittiva rispetto a quanto già previsto dalla sentenza della Consulta (sul caso di Dj Fabo) che ha già valore di legge. Al momento infatti è stata introdotto un “meccanismo rigido di obiezione di coscienza che rischia di portare a una paralisi della struttura sanitaria, che invece deve essere obbligata a rispettare le volontà del malato”, aveva messo in guardia Cappato.

IL REFERENDUM E LE RAGIONI DEI PROMOTORI – L’obiettivo del referendum per l’eutanasia legale era depenalizzare l’omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione da 6 a 15 anni. Con alcune eccezioni: resta un reato se si tratta di un minore e in questo caso si applicano le pene previste per l’omicidio.

In questi mesi non sono mancate le critiche alla proposta di referendum e il comitato, presieduto da Filomena Gallo, ha replicato punto per punto. La contestazione più frequente che è stata fatta, dice che “l’abrogazione dell’omicidio del consenziente” comporterebbe “una totale liberalizzazione di questa fattispecie” e non solo “la legalizzazione dell’eutanasia”. “Tale scenario”, replicano i promotori, “si fonda su basi giuridiche e sociali errate: infatti gli effetti giuridici di un’abrogazione devono essere valutati alla luce della realtà sociale e della prassi giuridica relativa all’art. 579 c.p. Il nuovo contesto costituzionale nel quale si inserirà la normativa di risulta a seguito del referendum è oggi caratterizzato sia dalla vigenza della legge 219/2017 che definisce le caratteristiche che il consenso del richiedente deve avere nell’ambito di un percorso di fine vita, sia dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 che individua le circostanze per le quali si possa legittimamente chiedere la morte volontaria”. Inoltre, scrivono ancora i promotori, “l’art. 579 c.p. non verrebbe totalmente depenalizzato“: “Il quesito referendario fa salve le tutele poste per le persone più vulnerabili ovvero i minori, gli incapaci anche parzialmente o con una deficienza psichica momentanea e le persone il cui consenso non è libero, ovvero estorto o carpito con l’inganno. In tutte queste circostanze verrà applicata la norma che punisce l’omicidio doloso”.

I promotori hanno anche respinto qualsiasi tesi secondo cui, se passasse il referendum, “qualsiasi persona depressa potrebbe richiedere di essere uccisa”. Questo perché, dicono, la modifica “non esplicherà effetti di depenalizzazione per fatti commessi contro persone che non abbiano piena coscienza della propria richiesta. La giurisprudenza sull’art. 579 codice penale è sempre stata univoca su questo punto, che dunque non può e non deve essere strumentalizzato dai detrattori del referendum. Infatti viene sempre applicato il reato di omicidio doloso nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso nei confronti di una persona inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica per altra infermità. A viziare il consenso è sufficiente anche una momentanea diminuzione della capacità psichica che renda il soggetto non pienamente consapevole delle conseguenze del suo atto, come appunto uno stato depressivo o una nevrosi momentanea”.

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Mani pulite, Colombo e Davigo. “La guerra l’han vinta i corrotti, non noi…” - Gianni Barbacetto e Peter Gomez

 

Trent’anni fa iniziava alla Procura di Milano un’inchiesta giudiziaria che poi fu chiamata Mani pulite. La ricordiamo insieme a due protagonisti, allora pm del pool insieme ad Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo.

Prima di Mani pulite, negli anni 80, a Milano furono iniziate molte indagini sulla corruzione. Perché non arrivarono a risultati significativi? 

Colombo: Perché le indagini cominciavano a Milano e poi la Cassazione stabiliva che dovessero andare a Roma, perché la Procura di Roma sollevava conflitto di competenza. A Roma finivano nel niente. Così morivano inchieste che avrebbero portato ineludibilmente a scoprire il sistema della corruzione con una decina di anni di anticipo.

Ci sono degli esempi che ci potete fare?  

Colombo: Il 17 marzo del 1981, con il collega Giuliano Turone abbiamo scoperto le carte della P2. Oltre alle liste, c’erano anche oltre trenta buste sigillate da Licio Gelli, ognuna delle quali conteneva una notizia di reato. Una riguardava il Conto Protezione, un un passaggio di soldi dal Banco Ambrosiano al Psi di Bettino Craxi. Abbiamo fatto una rogatoria in Svizzera per avere i dati di quel conto. Poi l’inchiesta è passata come al solito a Roma. Ebbene, il giudice istruttore di Lugano che si chiamava Luisoni ci disse: “Noi le carte del conto Protezione le abbiamo pronte, ma a Roma non le vogliono”. Noi due giudici istruttori avevamo anche chiesto al procuratore della Repubblica di Milano di fare un comunicato per bloccare le fughe di notizie sulla P2. Il procuratore ci ha risposto che avremmo dovuto restituire a Gelli le carte sequestrate. Poi nel 1992, quando viene arrestata una persona molto vicina a Bettino Craxi, Silvano Larini, questi ci racconta finalmente che su quel suo conto svizzero erano arrivati 7 milioni di dollari dell’Ambrosiano destinati al Psi di Craxi. Altro esempio: 1984, indagini sui fondi neri dell’Iri. Erano 360 miliardi di lire, 4 miliardi di euro. Anche in quel caso, la Cassazione manda l’inchiesta a Roma e tutto si ferma.

Invece il 17 febbraio 1992 Antonio Di Pietro fa arrestare Mario Chiesa, mentre sta intascando una piccola tangente da 7 milioni e mezzo di lire. E inizia Mani pulite. Le inchieste, questa volta, non si fermano.

Davigo: L’inchiesta decolla subito per un paio di motivi. Il primo. All’inizio, Chiesa non parla, ma poi Di Pietro viene a sapere, dalla causa di separazione di Chiesa dalla moglie, di alcuni suoi conti in Svizzera con nomi di acque minerali e chiede per rogatoria il loro sequestro. Poi dice al suo avvocato: “Dica al suo cliente che l’acqua minerale è finita”. L’avvocato non capiva, ma Di Pietro: “Vedrà che lui capirà”. Il secondo motivo. Craxi, il segretario del Psi a cui Chiesa apparteneva, dichiara che proprio in prossimità delle elezioni lui si trovava in difficoltà per colpa di un “isolato mariuolo”. Chiesa si è sentito scaricato. E ha cominciato a parlare. Ha raccontato di otto imprenditori che gli avevano pagato tangenti.

Questi a loro volta parlano e raccontano molti altri episodi. L’inchiesta si espande fino a coinvolgere migliaia di persone. Ma come si spiega il fatto che gli imprenditori questa volta parlano, mentre in precedenza negavano tutto?

Davigo: Si spiega con il fatto che fino a quel momento gli imprenditori erano riusciti tranquillamente a trasferire il costo delle tangenti sulla Pubblica amministrazione, attraverso la revisione prezzi e le varianti in corso d’opera. Dal 1991 c’è una stretta di bilancio imposta dal governo, quindi improvvisamente i costi delle tangenti vanno a incidere non più sul costo delle opere ma sul profitto degli imprenditori, che cominciano a sentirsi concussi. Una bugia colossale su cui i difensori hanno marciato per anni.

Ci spieghi che cos’è la concussione e perché la considera una colossale bugia.

Davigo: La concussione è quando un imprenditore è costretto o indotto a pagare da un politico o da un amministratore, in una situazione di inferiorità rispetto al pubblico ufficiale. Nella realtà non è quasi mai così. Basti pensare che le tangenti erano pagate con somme in nero accantonate prima che arrivasse la richiesta: sarebbe come se uno uscendo di casa si portasse un po’ di soldi, in caso gli capitasse di essere rapinato. Invece le tangenti erano pagate in accordo tra politico e imprenditore e ad essere gonfiato era il costo delle opere pubbliche. Dopo Mani pulite, per esempio, i costi di Malpensa 2000 e della linea 3 della metropolitana al chilometro si sono quasi dimezzati.

Dopo qualche tempo, il procuratore Francesco Saverio Borrelli affianca, a Di Pietro, Colombo e poi Davigo.

Davigo: Andò così: io avevo una settimana di ferie arretrate da fare e prima di partire andai a salutare Gerardo D’Ambrosio, il procuratore aggiunto, che mi disse: “Già che va in vacanza, portati questi verbali da studiare perché il procuratore Borrelli e io abbiamo pensato di affiancare anche te a Gherardo e Antonio Di Pietro”. Io non volevo, perché desideravo trasferirmi in Corte d’appello e quando lessi quei verbali avevo capito che sarebbe deflagrato l’effetto domino. “Se metto le mani in questa roba qui, devo stare minimo altri cinque anni in Procura”. E sono stato ottimista. Ma poi, l’ultimo giorno delle mie ferie, ci fu la strage di Capaci. Allora mi vergognai anche solo di aver pensato di dire di no e quindi quando rientrai dissi: faccio quello che devo fare.

Colombo: Maggio 1992: è il mese dell’attentato a Giovanni Falcone. Quel giorno, il 23 maggio, ero al carcere di San Vittore e stavo interrogando il presidente di un ente in cui i soldi delle tangenti, fiumi di denaro, andavano a tutti i membri del consiglio d’amministrazione che rappresentavano tutti i partiti, esclusi il Movimento sociale italiano da una parte e Democrazia proletaria dall’altra. All’uscita da San Vittore, un agente della polizia penitenziaria mi ha detto dell’attentato a Falcone. Quella sera avevo una cena con alcuni amici, tra cui Turone: non abbiamo scambiato una parola per tutta la sera.

A un certo punto vi rendete conto che le indagini diventavano vastissime e che la risposta non poteva essere solo giudiziaria. 

Colombo: A luglio 1992 avanziamo la proposta che poi è stata impropriamente chiamata di “condono”: non va in carcere chi si presenta, racconta come sono andate le cose, restituisce tutto ciò di cui si è appropriato illecitamente e si allontana per qualche anno dalla vita pubblica. Era una soluzione tendente a far emergere tutto perché era impossibile gestire tutti quei processi. La proposta non è passata. Il Parlamento ha cominciato invece a fare leggi che riducevano i reati, che toglievano valore ad alcuni mezzi di prova, che dimezzavano la prescrizione. È andata a finire che adesso la vulgata sostiene che Mani pulite è stata una specie di invenzione, che la corruzione non c’era, che abbiamo messo in prigione gli innocenti e fatto una specie di colpo di Stato.

Davigo: Quella proposta di “condono” io la interpreto in questo senso: neppure uno Stato solido poteva reggere per anni alla scoperta di malefatte della classe dirigente pubblica e privata, politici e imprenditori, figurarsi uno Stato malandato come il nostro in quel momento. Allora, dicevo, bisogna fare presto e chiuderla lì, usando un ragionamento che abbiamo sempre fatto: chi racconta tutto diventa inidoneo a commettere di nuovo questi reati perché si rende inaffidabile al sistema.

Colombo: Eravamo un po’ ingenui: proprio per questo non l’hanno fatto.

Davigo: Ne uscì infatti solo un progetto di riduzione di pena che per carità, piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto… Il presidente del Consiglio dell’epoca (Giuliano Amato) ci mandò un suo incaricato – perlomeno ci disse di venire a nome del presidente del Consiglio – e ci chiese che cosa volevamo proporre. Quando glielo spiegammo, ci disse: “Ma siete matti? Così li prenderete tutti”. Mi caddero le braccia perché io ero ancora convinto che i vari poteri dello Stato fossero concordi nel voler far rispettare a tutti la legge e cercare una via d’uscita che conciliasse il rispetto della legge con il non sfasciare tutto. Invece ci fu il decreto Biondi che era una cosa indegna sotto il profilo etico perché ci imponeva di scarcerare i colletti bianchi, una plateale e brutale violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Andaste davanti alle telecamere a dire che vi sareste dimessi. Questo vi è ancora rimproverato come una forte intromissione nella politica.

Davigo: Noi abbiamo applicato quel decreto e abbiamo chiesto al giudice di scarcerare gli indagati, però abbiamo detto che non lo volevamo più fare perché ci ripugnava moralmente. Poi il governo ha ritenuto di non chiedere la conferma in Parlamento di quel decreto legge, che è decaduto. Quindi ammonire qualche volta serve.

Una delle accuse che più spesso vi è stata rivolta è che avete salvato il Partito comunista.

Davigo: A livello locale, a Milano, il Pci si finanziava come gli altri partiti. A livello nazionale, le imprese normali finanziavano i partiti della maggioranza, mentre le cooperative cosiddette “rosse” finanziavano il Pci. Intendiamoci, dare soldi ai partiti non è vietato, è vietato farlo di nascosto. Le cooperative mettevano a bilancio perlomeno una parte dei soldi che davano al partito, quindi non c’era una pista immediatamente illegale da seguire. Però ci è accaduto di raccogliere dichiarazioni come quella su una valigetta di soldi portata da Raul Gardini a Botteghe Oscure, sede del Pci, poi Pds e poi Ds. Ma nessuno ce l’ha confermato. Anche Primo Greganti, che lavorava per il Pci, ha preso certamente soldi, ma ha detto di averli tenuti lui. Che cosa potevamo fare? Torturare i testimoni? Questo vogliono quei bei garantisti che ci criticano?

Colombo: Nel sistema della metropolitana milanese, il Pci era coinvolto esattamente come gli altri partiti, anzi era un esponente del Partito comunista che prendeva i soldi e poi li distribuiva. E il sistema delle percentuali fa riflettere: al Partito socialista andava il 37,5% delle tangenti, alla Democrazia Cristiana e all’ex Partito comunista andava la metà di quella percentuale, poi l’11% ai socialdemocratici e il resto al Partito repubblicano. Pensate quanto ragionamento c’è dietro il fatto che a Pci e Dc andasse una somma con due decimali.

Davigo: A chi dice che noi con Mani pulite abbiamo fatto danni e ora qui rubano come prima, ricordo una barzelletta. Durante il fascismo venne inventata la guerra alle mosche e alle zanzare. Un prefetto andò in visita in un piccolo comune dove c’era il podestà ad accoglierlo, ma quando scese dall’auto venne assalito da un nugolo di mosche. Allora disse al podestà: “Ma in questo comune non avete fatto la guerra alle mosche?” E quello rispose: “Sì eccellenza, ma hanno vinto le mosche”.

Nel 1992 e ’93 c’era un clima di sostegno a voi magistrati. Avevate dei veri e propri fan. 

Colombo: Io credo che per il magistrato siano sempre da preferire i fischi agli applausi, perché i fischi tengono alta la soglia dell’attenzione per non sbagliare. A me poi non fanno né caldo né freddo né gli applausi né i fischi. A Davigo invece piacciono i fischi.

Davigo: Oggi, dopo Mani pulite, nessuno può più dire in buona fede che la corruzione non esista. Può al massimo dire: “C’è, però ci piace così”. La questione non è di poco momento perché adesso è in atto un tentativo di restaurazione. Siccome arrivano i soldi del Pnrr dell’Unione europea, sono tutti entusiasti. Immagino che allargandosi di nuovo la torta si possa ricominciare a rubare alla grande. Peccato che siano in larga misura prestiti che bisognerà restituire e quindi, quando la festa finirà, se verrà ripristinato un sistema di corruzione diffusa come quello scoperto da Mani pulite, il risultato finale sarà che ci sarà un’altra catastrofe come quella del 1992. Perché le restaurazioni non durano mai all’infinito.

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