Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 3 ottobre 2024
Come potete riconoscere un presuntuoso? - Guendalina Middei
mercoledì 2 ottobre 2024
LA CITTÀ PIÙ ANTICA DEL MONDO È GERICO.
Il mistero della mummia di Bashiri.
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domenica 29 settembre 2024
Tunnel neolitici: millenni fa l’Europa era attraversata da autostrade sotterranee? - Angela Di Francesca
Tunnel neolitici l'Europa era attraversata da autostrade sotterranee. Heinrich Kusch archeologo Tedesco afferma – con disarmante certezza, in alcuni casi – l’esistenza di una rete sotterranea di condotti che si estende, e citiamo, “dalla Scozia fino alla Turchia“. L’esperto ribadisce come ci siano degli anelli di congiunzione ancora nascosti (in attesa di essere scoperti?), ma come la teoria generale del collegamento sotterraneo tra civiltà antiche sia quantomeno plausibile. Affascinante pensarlo, senz’altro, così come riteniamo agevole formulare una teoria simile quando nell’alta Mesopotamia ci sono siti straordinari che stravolgono le nostre conoscenze su quel passato. Ogni riferimento al duo Göbekli Tepe – Karahan Tepe è puramente casuale.
Siccome siamo coscienti del fatto che il mondo intero senta il maniacale bisogno di saperlo, ve lo diciamo: non siamo pienamente d’accordo con Kusch, anche se ne condividiamo l’intraprendenza critica. L’archeologo può lasciarsi andare in queste supposizioni perché il campo di ricerca è abbastanza inesplorato. Inoltre costanti ritrovamenti di gallerie sotto terra avvalorano la sua tesi. In cosa stona perciò? Beh, per iniziare, è difficile credere che i cosiddetti “Tunnel neolitici” (che in realtà appartengono ad un’epoca anteriore, ma quando il web sentenzia, c’è poco da fare) fossero razionalmente collegati tra loro in lungo e in largo. Poi per un territorio così esteso! Forse è anche banale dirlo.
Tunnel neolitici entrate in Scozia e Germania.
Di certo non possiamo negare la loro esistenza, così come è impossibile distogliere lo sguardo di fronte ai dati che il caro professor Heinrich sviscera. I Tunnel esistono, si estendono per chissà quanti km e sono una realtà visibile in parte del continente europeo. E sì, queste gallerie testimoniano una grande conoscenza architettonica, nonché ingegneristica, appartenuta a popoli vissuti millenni fa (le testimonianze più sorprendenti ci parlano di opere antropiche di vecchie 12.000 anni).
L’umanità già allora conosceva strumenti e tecniche avanzate per la realizzazione di intere città sotterranee. Gli esempi non mancano. Kusch cita come prova le formazioni piramidali in Bosnia (sotto le quali si estendono tunnel chilometrici, la maggior parte dei quali inesplorati ed inesplorabili). Ma l’esempio balcanico secondo noi non è tanto azzeccato come lo è quello anatolico. L’esperto tedesco non poteva non chiamare in causa Derinkuyu, conglomerato urbano che sprofonda sotto il suolo per circa 85 metri e forse anche più.
Tunnel neolitici corridoio sotterraneo Cappadocia
La fonte più antica che ci parla di Derinkuyu è Senofonte (430 a.C. – 355 a.C.), il quale attesta lo sviluppo della città al VIII secolo a.C. In realtà è probabile che la sua formazione sia di molto precedente, ma come sempre, si avanza per teorie e non per certezze. Cosa si può ricavare da queste parole? Tanto o poco, dipende dalle prospettive che ognuno ha a riguardo.
Si crede che ci sia tanto da scoprire prima di giungere a tesi così azzardate, ma è questo il bello della ricerca…
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Il lago Baikal, Siberia orientale, Russia.
sabato 28 settembre 2024
Uno studio calcola in più di 6 miliardi di pianeti simili alla nostra Terra presenti nella sola Via Lattea, la nostra galassia: i dettagli. - Pasquale D'Anna
Possono esistere fino a un pianeta simile alla Terra per ogni cinque stelle simili al Sole nella Via Lattea, secondo le stime del 2020 degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica che utilizzano i dati della missione Kepler della NASA (missione terminata). Per essere considerato simile alla Terra, un pianeta deve essere roccioso con un diametro simile a quello terrestre e in orbita attorno a stelle come il Sole (tipo G). Inoltre gli esopianeti devono orbitare nelle zone abitabili delle proprie stelle, la giusta distanza affinché ci sia una temperatura atta a poter “ospitare” acqua liquida, e potenzialmente vita, sulla sua superficie.
Un numero enorme di pianeti extrasolari.
Le stime precedenti della frequenza dei pianeti simili alla Terra andavano da circa 0,02 pianeti potenzialmente abitabili (per stella simile al Sole) ad uno. In genere, i pianeti come la Terra sono più difficili da individuare rispetto agli altri tipi, poiché sono piccoli e orbitano lontani dalle loro stelle. Ciò significa che un catalogo planetario rappresenta solo un piccolo sottoinsieme dei pianeti che sono effettivamente in orbita attorno alle stelle. Gli scienziati hanno usato una tecnica nota come “modellazione in avanti” per superare questi limiti.
Il radius gap.
La ricerca ha anche fatto luce su una delle questioni più importanti della scienza degli esopianeti: il “radius gap” dei pianeti. Il divario di raggio dimostra che non è comune per i pianeti, con periodi orbitali inferiori a 100 giorni, avere una dimensione compresa tra 1,5 e 2 volte quella della Terra. I ricercatori hanno scoperto che il divario del raggio esiste in un intervallo molto più ristretto di periodi orbitali di quanto si pensasse in precedenza. La ricerca continua!
I buchi neri sono in realtà stelle congelate? Lo sostiene una nuova teoria. - Sandro Iannaccone
Le entità complesse e misteriose potrebbero essere strani oggetti quantistici che risolverebbero il cosiddetto paradosso di Hawking.
Ingoiano e spaghettificano tutto quello che gli càpita a tiro, luce compresa. Sono densi, densissimi, così tanto che la loro densità non ha neppure un valore finito, ma diverge in quello che gli scienziati chiamano “singolarità”, un punto in cui le grandezze sfuggono all’infinito e le “normali” leggi della fisica cessano di valere. Insomma: comunque li si guardi, i buchi neri sono un’entità complessa e misteriosa, che la fisica moderna ancora non è riuscita a comprendere e descrivere se non per ipotesi, più o meno verificabili. L’ultima e affascinante teoria sulla natura dei buchi neri arriva da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Physical Review D da parte di un gruppo di scienziati della Ben-Gurion University, in Israele, e postula che i buchi neri potrebbero in realtà essere uno strano oggetto quantistico descrivibile come “stella congelata”. Se questo fosse vero – il periodo ipotetico è d’obbligo, perché al momento si tratta di un’ipotesi interessante e nulla più – si risolverebbero di colpo alcuni dei problemi e dei paradossi legati ai modelli “tradizionali” di buco nero, tra cui, per l’appunto, la presenza di una singolarità e il cosiddetto paradosso di Hawking, proposto per la prima volta dal fisico britannico nella metà degli anni settanta e al momento ancora insoluto.
Singolarità e distruzione delle informazioni.
Prima di esaminare l’ipotesi appena proposta, soffermiamoci un momento sui due problemi che abbiamo appena citato. Il primo, quello della singolarità, rappresenta una questione che ai fisici proprio non va giù, una frattura irrisolvibile tra teoria ed evidenza. Le equazioni della teoria della relatività generale di Albert Einstein, che descrivono il comportamento della gravità, prevedono con grande precisione la geometria dello spazio-tempo dovuta alla presenza di masse che la deformano, ma quando vengono “spinte al limite”, ossia quando si ha a che fare con masse sufficientemente elevate, danno come risultato un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spazio-tempo in un unico punto, con curvatura e densità infinita, il cui limite è detto “orizzonte degli eventi” (un buco nero, per l’appunto). Il problema è che il concetto di “infinito” è puramente matematico, dal momento che in natura non può esistere nulla di realmente infinito: per questo motivo gli scienziati stanno da tempo cercando una teoria alternativa che rimetta a posto gli infiniti. Il paradosso di Hawking è ancora più complesso, ed è emerso quando il fisico britannico ha provato a “incorporare” la meccanica quantistica all’interno dei modelli dei buchi neri: dai suoi calcoli è emerso che, proprio a causa di effetti quantistici, occasionalmente alcune particelle potrebbero sfuggire dall’orizzonte degli eventi, dando luogo a una lentissima (ma costante) perdita di energia, sotto forma di radiazione, da parte del buco nero, che in capo a (molto) tempo porterebbe alla sua evaporazione. Il paradosso emerge quando si considera che questa radiazione non porta alcuna informazione sulla materia che originariamente compone il buco nero: e dunque, se questo evaporasse, l’informazione sulla sua natura andrebbe persa per sempre, il che è in contraddizione con il principio della meccanica quantistica che postula che l’informazione non può essere distrutta. Per questo motivo, il paradosso di Hawking è detto anche paradosso della perdita dell’informazione.
Buchi neri? No, stelle congelate.
Il modello della “stella congelata”, secondo gli scienziati che lo hanno proposto, permetterebbe di risolvere i due problemi appena descritti fornendo comunque una descrizione dei buchi neri compatibile con le evidenze sperimentali. “Le stelle congelate sono oggetti molto simili ai buchi neri – ha spiegato a Live Science Ram Brustein, uno degli autori del lavoro appena pubblicato – ma senza tutte le loro caratteristiche ‘scomode’ come la singolarità e l’orizzonte degli eventi. Se esistessero per davvero e fossero proprio loro i buchi neri, bisognerebbe modificare in modo significativo e fondamentale la teoria della relatività generale di Albert Einstein”. Il modello, ovviamente, è molto complesso e tecnico: semplificando molto, gli autori hanno immaginato degli oggetti molto compatti e composti da materia ultra-rigida (congelati, per l’appunto) con proprietà ispirate alla teoria delle stringhe (una teoria che tenta di riconciliare la meccanica quantistica e la relatività generale) che sembrano essere degli ottimi candidati a ricoprire il ruolo dei buchi neri. “Abbiamo dimostrato – dice ancora Brustein – che queste stelle congelate si comportano come assorbitori quasi perfetti, sebbene siano privi di orizzonte degli eventi, e sono anche in grado di emettere onde gravitazionali. Possono assorbire quasi tutto ciò che si avvicina loro, proprio come i buchi neri, hanno la stessa geometria esterna prevista dai modelli ‘convenzionali’ dei buchi neri e ne riproducono perfino le proprietà termodinamiche”.
Alla prova sperimentale.
Come dicevamo all’inizio, al momento tutto questo è solo una bella ipotesi o poco più. Bisognerà prima immaginare, e poi eventualmente realizzare, degli esperimenti e delle osservazioni per comprendere se il modello delle stelle congelate potrebbe funzionare. Possibili candidate per discriminare tra i modelli “convenzionali” e quello delle stelle congelate sono le onde gravitazionali, che potrebbero portare con sé informazioni sulla struttura interna delle stelle congelate. “Dobbiamo ancora studiare quale potrebbe essere la struttura interna di questi oggetti – ha concluso lo scienziato – e in che modo differirebbe da quella di altri oggetti cosmici come le stelle di neutroni, ma in linea di principio la cosa si può fare. Un’eventuale conferma di una qualsiasi delle previsioni del modello delle stelle congelate avrebbe un impatto rivoluzionario sulla fisica”.
https://www.wired.it/article/buchi-neri-nuova-teoria-stelle-congelate-paradosso-di-hawking/