martedì 19 aprile 2011

Napoli, se questo è un sindaco. - di Emiliano Fittipaldi e Gianfrancesco Turano


Una fortuna economica con origini misteriose. Una sfilza di fallimenti alle spalle. Una finanziaria in cui compare un fiduciario della 'ndrangheta. Eppure Giovanni Lettieri, candidato del centrodestra, ha sponsor eccellenti nel Pdl. Perché?



Nel 2006 il senatore Emiddio Novi, napoletano e berlusconiano della prima ora, non poteva certo immaginare che cinque anni più tardi Gianni Lettieri sarebbe diventato il candidato sindaco del Pdl. Così in commissione Antimafia non cercava giri di parole. "Ebbene", chiedeva Novi, "mi aspetto che qui ci si spieghi chi è questo Lettieri. Come mai da modesto imprenditore che alloggiava in un modesto appartamento di 120 metri quadri a Salita Arenella numero 9, in pochissimi anni si trasforma in un imprenditore di questo livello... Chi stava dietro questo signor Lettieri? Quali erano i rapporti di questo signore con la politica? Qual era il sistema di potere?".

Nessuno ha mai risposto alle sue domande. Al tempo Giovanni detto Gianni era presidente dell'Unione industriale di Napoli. Ma nemmeno ora che è in corsa - da favorito - per il governo della terza città d'Italia di lui si sa molto. Il suo passato, le sue amicizie e le origini della sua fortuna sono ancora misteriose. Si sa che ha sposato Maria Toscano e che ha tre figli (i familiari sono spesso coinvolti nelle sue attività imprenditoriali), che da un pezzo ha lasciato l'Arenella per l'elegante via Petrarca, che ama fare jogging e leggere Ken Follett. Ma in pochi sanno chi sono i veri sponsor della sua discesa in campo, e pochissimi conoscono la sua vera storia imprenditoriale. Nessuno, di sicuro, sa che dentro la sua finanziaria Meridie, quotata in Borsa, compare un fiduciario della 'ndrangheta.

Ma andiamo con ordine. E partiamo dal 1956. Gianni Lettieri nasce dietro la Ferrovia, in una zona popolare chiamata Ponte di Casanova. La famiglia è di umili origini. Gianni si rivela presto un ragazzo scaltro e sveglio, e decide di diplomarsi come geometra. Ci riesce nel 1974, in soli tre anni, frequentando un istituto tecnico. L'anno successivo si iscrive a Economia ma dopo un po' lascia gli studi. Forse lavorava troppo: nel 1975 diventa infatti direttore commerciale di un'azienda di La Spezia specializzata in abbigliamento militare. Il tessile diventa il suo ramo d'azione, e il suo curriculum racconta che fu lui ad aprire, in provincia di Avellino, il primo stabilimento di tessuto "Denim Ring".

Fare jeans gli piace, ma il sogno di farsi chiamare dottore, però, resta un'ossessione. Riuscirà a coronarlo solo nel gennaio 2011, grazie a una laurea honoris causa conferita dall'università privata Parthenope. Il preside di facoltà che propone l'onorificenza per pura coincidenza nominato qualche tempo prima da Lettieri membro del collegio sindacale di una sua società, la Mcm Holding. Le voci dei maligni a Gianni gli fanno un baffo. Anche perché in prima fila quel giorno, ad ascoltare la sua lectio magistralis, c'è nientemeno che Gianni Letta, suo grande amico e patrono. Non è una sorpresa: è da tempo che il sottosegretario e il suo sodale Luigi Bisignani hanno puntato su di lui. Forse abbagliati dai miracolosi successi industriali. Ma sarà tutto oro quel che luccica?

A contestare i suoi meriti professionali ci sono alcuni suoi colleghi di fama, dal suo predecessore Antonio D'Amato all'armatore Manuel Grimaldi, tanto che pochi giorni fa Lettieri ha dovuto spedire ai giornali una lettera in puro stile berlusconiano dove spiccano i 200 milioni di salari distribuiti in 18 anni a 600 dipendenti e il richiamo all'ottimismo. Una virtù indispensabile, perché Lettieri è l'equivalente imprenditoriale di Giobbe. Capitano tutte a lui. Sulle banche dati il suo nome è collegato a una sfilza di imprese liquidate oppure fallite. Oggi il suo salotto buono è la Meridie, quotata a Piazza Affari, finanziaria d'investimenti attiva soprattutto nel Mezzogiorno. Di Meridie Lettieri è presidente e amministratore delegato, anche se le azioni (14 per cento) sono in mano alla figlia più grande, Annalaura.

Per rimanere alle disgrazie recenti, Meridie ha investito 2,8 milioni in Banca Mb: soldi bloccati dopo che l'istituto è stato messo in amministrazione straordinaria da Bankitalia. Ha dato 2,5 milioni al produttore Massimo "Viperetta" Ferrero per acquistare il 25 per cento di una compagnia aerea di charter (la Livingston) che, a novembre, è finita in insolvenza. Ferrero, che il 20 gennaio avrebbe dovuto ricomprarsi la quota, non si è presentato dal notaio. Non è tutto. Una controllata, la Medsolar attiva nel campo dei pannelli fotovoltaici, ha subito una perdita di 2 milioni per la consegna in ritardo dei macchinari.



Mannino lancia il suo movimento "Rifaremo la DC con Berlusconi e Casini".


L'ex ministro dei Trasporti lancia a Palermo il suo nuovo movimento, Iniziativa Popolare. "La proposta è di ricomporre i democratici cristiani che la diaspora ha portato in varie formazioni". Commosso il ricordo di Cuffaro, tra gli applausi del pubblico: "Totò è stato l'unico a portare da solo la bandiera della Dc"

di Giuseppe Pipitone

La sentenza definitiva della Cassazione è del gennaio 2010. Dopo 17 anni di iter processuale, due anni di galera, una condanna in appello e un annullamento era arrivata l'assoluzione. Secondo gli ermellino Calogero Mannino avrebbe si beneficiato dei voti della mafia, ma senza che si riuscisse a provare che in cambio del sostegno elettorale avesse elargito favori a uomini di Cosa Nostra. Di tutto questo non si è ovviamente parlato all'Astoria hotel di Palermo, dove oggi l'ex ministro dei Trasporti ha tenuto a battesimo il suo nuovo movimento. Il nome provvisorio eraIniziativa Popolare, ma davanti a molti fedeli supporters di lungo corso Mannino ha dichiarato che il nuovo movimento potrebbe chiamarsi Idee e Battaglie, come il giornale fondato nel 1942 da Alcide De Gasperi.

E' una lezione di storia contemporanea quella che il politico nato ad Asmara ha regalato alla platea. Tra un Fanfani e un Andreotti si è poi passato all'attualità. Molti gli applausi per le affermazioni dell'ex ministro che ha confidato di aver predetto la spaccatura del Pdl: "si intuiva che uno come Fini, che fa riferimento al potere autoritario della magistratura non poteva stare nel Pdl." Poi è stato il momento di connotare bene il nuovo movimento nello scacchiere politico nazionale. "Una cosa é lavorare affinchéBerlusconi apra il cantiere per un nuovo partito di centro - ha detto Mannino - un'altra è diventare il suo fanalino di coda. Io sono rimasto alla crisi che si è aperta nel Pdl con l'uscita di Fini e penso che bisogna mettere insieme le forze disseminate in un arco che va dal Popolo della libertà al Pd, includendo, ovviamente, l'Udc diCasini, in ragione di una comune ispirazione ai valori della dottrina sociale della Chiesa". L'idea quindi è quella di rifare la Democrazia Cristiana, un partito popolare con Berlusconi e Casini. "Quando il 14 dicembre, senza negoziazione alcuna - aggiunge Mannino - ho votato la fiducia a Berlusconi, ho posto il tema di ritrovare il rapporto con l'Udc e con Casini. Non era un'indicazione di opportunismo, ma la proposta di una ricomposizione dei democratici cristiani che la diaspora ha portato in varie formazioni".

L'apice dell'euforia si è toccata quando l'ex ministro ha ricordato Cuffaro: "Totò è stato l'unico a portare da solo la bandiera della Dc nel 1996, quando io mi trovavo nelle sue condizioni attuali. Gli consigliai tramite mio figlio di fare il Cdu con Buttiglione e di resistere alle avances di Berlusconi per entrare in Forza Italia. La storia mi dimostra che avevo ragione". Il pubblico si è quasi spellato le mani. "Per la lealtà che dovevamo all'amico Totò Cuffaro - ha aggiunto Mannino - siamo usciti dall'Udc nel momento in cui partito di Casini, attraverso la proposta del Terzo polo, si accingeva all'alleanza con il Pd per operare il ribaltone".

Nel nuovo movimento porte aperte per il neo ministro Romano, attualmente indagato per mafia dalla Dda di Palermo. "Sarebbe auspicabile - ha ricordato Mannino - che anche nostri stretti compagni, che al momento hanno fatto scelte diverse, rientrassero con noi".

lunedì 18 aprile 2011

Berlusconi vs magistratura: 17 anni di scontri.





“Indagini ad orologeria”, questo il comune denominatore di tutte le accuse mosse da Silvio Berlusconi nei confronti della magistratura. 17 anni di carriera politica, 17 anni di scontri con l'intera categoria dei magistrati. Tante frasi che hanno scatenato accese polemiche. L'ultima è stata pronunciata in occasione della convention a sostegno di Letizia Moratti per le amministrative di Milano, dove il presidente del Consiglio, ha dichiarato: "Fra il presidente della Camera e la magistratura c'è stato un patto sceleris". A seguire, un elenco con tutti i numeri che lo legano alla magistratura: 103 indagini, 587 visite della polizia giudiziaria e della guardia di finanza, più di mille magistrati che si sono occupati di lui, per un totale di 2585 udienze.

Un rapporto sempre conflittuale e pieno di scontri, quello tra Berlusconi e la magistratura, dal 1994 ad oggi. Da "I giudici sono eversivi" a "La magistratura vuole fare con me quello che ha fatto a Craxi", una breve cronistoria del difficile rapporto tra Berlusconi e la magistratura.



Pdl chiede pena più leggera per concorso esterno in mafia.

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È tempo di colmare un vuoto legislativo e introdurre nel codice penale il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, con una pena da 1 a 5 anni. A chiederlo è il senatore del Pdl Luigi Compagna, che ha presentato a Palazzo Madama un disegno di legge dal titolo appunto «Nuove norme in materia di 'concorso esterno'». Lo scopo, «è alleggerire la barbarie».

Con la tipizzazione del reato in uno specifico articolo del codice, non sarà più applicato a chi si macchia di 'concorso' l'articolo 416-bis sull'associazione mafiosa che prevede pene più alte. Si va dalla reclusione da 3 a 6 per anni per la semplice associazione, ai 4-9 anni per chi promuove o dirige l'associazione, fino ai 4-10 anni in caso di associazione armata. Le pene poi sono aumentate da un terzo alla metà se le attività economiche controllate dagli associati sono finanziate con il profitto dei delitti. Compagna chiede poi l'abrogazione dell'articolo 418 sull'assistenza agli associati, oggi punita con la reclusione fino a due anni, «rimasto sostanzialmente inapplicato».

Al suo posto prevede un nuovo articolo, con una pena da 3 mesi a 3 anni, che in più cancella la non punibilità dei congiunti. In attesa di leggere il testo, dura la prima reazione del Partito democratico e dell'Idv che fanno muro contro ogni ipotesi di alleggerimento della pena.

La giurisprudenza, ha spiegato Compagna nell'introduzione del ddl, pur in mancanza di indicazioni normativa «ha ritenuto di applicare anche al reato associativo di cui all'articolo 416-bis del codice penale l'istituto del concorso previsto dall'articolo 110». E nonostante «gli apprezzabili sforzi» della corte di Cassazione che «ha introdotto e legittimato l'ipotesi di concorso esterno», per il senatore restano «una serie di problemi irrisolti connessi alla mancata tipizzazione del reato». Compagna, ha tenuto a ricordarlo lui stesso rispondendo all'Agi, fu l'unico nel giugno del 1993 a votare in giunta per le Autorizzazioni a procedere del Senato contro l'autorizzazione chiesta nei confronti di Giulio Andreotti, accusato di collusione con la mafia. Da allora, ha spiegato, ha sempre pensato che fosse necessario intervenire per tipizzare un reato non previsto nel codice Penale «per allegerire la barbarie» dal momento che «più che un garantista io sono un vero innocentista».

Per Compagna «l'idea che le condotte associative possano essere punite senza che vi sia stato nemmeno un inizio di esecuzione del programma criminoso e addirittura fuori di una effettiva partecipazione al sodalizio non può non determinare serie preoccupazioni». Evidentemente «in Italia negli ultimi quattro lustri la tradizionale passione per i delitti associativi si è rivelata travolgente». Da qui il testo, composto di due articoli, per il quale il senatore ha spiegato di essersi mosso «nello stesso spirito» di Giuliano Pisapia che aveva presentato due proposte di legge in materia.

Nel ddl, al primo punto, si chiede di introdurre dopo l'articolo 379 del codice penale il 379-bis e il 379-ter. Il 379-bis, sul favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso, prevede che «chiunque fuori dai casi di partecipazione alle associazioni di cui all'articolo 416-bis agevola deliberatamente la sopravvivenza, il consolidamento o l'espanzione di un'associazione di tipo mafioso, anche straniera, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni». Il 379-ter, relativo all'assistenza agli associati, stabilisce che «chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano a un'associazione di tipo mafioso, anche straniera, al fine di trarne profitto è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni. La pena è aumentata se l'assistenza è prestata continuativamente. L'articolo 2 invece prevede l'abrogazione dell'articolo 418 del codice penale.

Critica l'opposizione. «In generale siamo contrari a qualsiasi ipotesi di riduzione di pena, sarebbe un segnale bruttissimo», ha commentato Andrea Orlando, responsabile giustizia del Pd. Sulla stessa linea Massimo Donadi, capogruppo dell'Italia dei valori alla Camera. «Se per un verso la codificazione è una cosa buona, non altrettanto è la riduzione della pena che porta con sè anche termini più brevi di prescrizione e un declassamento del reato», ha detto, «ma vogliamo
comprendere la ratio della proposta».




Ultimatum di Napolitano: «Giustizia, toccato limite».

Napolitano strilla Silvio 304


In una lettera inviata al vice presidente del CSM Michele Vietti e resa nota dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annunciato la decisione di dedicare la celebrazione della Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevista il 9 maggio prossimo al Quirinale, «in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro -sottolinea Napolitano -, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche». «La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - afferma Napolitano - costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta «Associazione dalla parte della democrazia», per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti».

Genchi: colpevole per non aver commesso il fatto - Marco Travaglio.



Gioacchino Genchi assolto nel processo per accesso abusivo alla Sitel - Compra Berluscoma 2010 su http://grillorama.beppegrillo.it/berluscoma



Napolitano pronto a intervenire contro le leggi ad personam. - di Sara Nicoli



Il premier continua la sua offensiva contro Fini e contro i giudici, ma il Colle potrebbe presto intervenire con qualcosa di più di un monito. Pdl preoccupato per la possibilità che il Quirinale agisca direttamente nel dibattito su "processo breve" e "processo lunghissimo".

La misura è stata da tempo superata, ma questa continua escalation di attacchi di Berlusconialla magistratura in una campagna elettorale sempre più infuocata, hanno convinto il Capo dello Stato del fatto che è venuto il momento d’intervenire. E dire basta. La doccia scozzese delle continue intemerate berlusconiane, una volta contro i magistrati, un’altra contro Fini, un’altra ancora contro la scuola pubblica, rischiano di far degenerare un clima già fin troppo pesante. Napolitano teme il peggio. Di qui la decisione di intervenire. E anche in tempi brevi, forse addirittura questa settimana.

Sullo strumento che Napolitano userà per dare un messaggio più forte del solito al Paese, ma soprattutto alla sua classe politica, non è ancora stato deciso, ma quello che si sa è che i punti su cui ruoterà questo messaggio saranno l’esigenza di ripristinare un giusto “bilanciamento tra i poteri dello Stato” e che qualsiasi investitura politica popolare, per quanto plebiscitaria, ha pur sempre “dei limiti dettati dalle regole della democrazia” che non possono in alcun modo essere disattesi.

E’ noto che il Cavaliere si è sempre fatto beffe dei messaggi di Napolitano, limitandosi ad usare con il Quirinale – comunque di malavoglia – alcune attenzioni per evitare che le sue leggi ad personam finissero tutte respinte ancor prima di arrivare al momento della firma del Colle. Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, anche le buone maniere sono state messe da parte. La legge sul processo breve è l’ultimo esempio di questo dialogo interrotto – e male – tra governo e Quirinale. Il Capo dello Stato non sa nulla, ufficialmente, della prescrizione breve, né delle sue terribili conseguenze su alcuni dei processi più pesanti dell’ultima parte della storia Repubblicana. Ufficiosamente, invece, sa perfettamente dove vuole andare a parare il Cavaliere e ha fatto chiaramente capire, a chi lo segue da vicino, che così com’è uscita dalla Camera la legge lui non la firmerà mai. Stessa questione riguarderà, a breve, la legge sulle intercettazioni, che il Cavaliere vuole tirare fuori al più presto dalla polvere della commissione Giustizia della Camera per farla approvare (e stavolta in via definitiva) entro la fine di maggio, ma forse anche prima. E che dire, poi, di quell’altra legge appena presentata al Senato e gergalmente chiamata “processo lunghissimo”, a firma del peone di palazzo Madama, Franco Mugnai, che nel Pdl puntano a mandare avanti rapidamente.

Insomma, un reticolo di nuove leggi per garantire l’impunità a Berlusconi che Napolitano non ha alcuna intenzione di avallare. Da un lato perché “un Parlamento totalmente bloccato sulle questioni giudiziarie del premier – sostengono fonti vicine al Capo dello Stato – non fanno che accrescere la sfiducia dei cittadini nella classe politica” e dall’altro perché si sta determinando – ed ogni giorno che passa diventa più profondo – un “allargamento del conflitto tra poteri dello Stato” a cui Napolitano è deciso a posse un freno. Questa settimana, dunque, mentre le truppe pidielline si muoveranno come formiche operose tra le commissioni si Camera e Senato per rendere più rapide possibili le discussioni sulle leggi che interessano al Caimano, il Capo dello Stato potrebbe far sentire la sua voce in modo più determinato (e determinante) del solito. Qualcuno ha ipotizzato che possa cogliere l’occasione della calendarizzazione, in commissione Giustizia del Senato, delprocesso breve per lanciare quello che non potrà più essere considerato solo un monito, ma un vero e proprio allarme per la democrazia.

D’altra parte, i toni del Cavaliere contro la magistratura, e in generale contro chi attenta alla sua impunità, sono destinati a salire nel corso delle prossime settimane. La campagna elettorale del Pdl, soprattutto a Milano e Napoli, ruoterà tutta intorno all’aggressione ai giudici, al presidente della Camera Fini, del quale continuerà a chiedere pubblicamente le dimissioni, e alla necessità di fare le riforme, prima fra tutte la Giustizia. E il clima che si sta creando, di contrapposizione pesante e di veleni, destano profondo allarme nel Capo dello Stato. Le indagini sull’ultimo episodio dei manifesti apparsi per le vie di Milano contro una magistratura paragonata alle Br sono seguite da vicino anche dal Colle, ovviamente preoccupato di una degenerazione poi difficilmente controllabile. Sapendo che Berlusconi continuerà a soffiare sul fuoco, convinto che lo scontro istituzionale più duro alla fine lo vedrà vincitore. Anche se i sondaggi dicono l’esatto contrario.