domenica 21 agosto 2011

Portofino, l’enclave dei ricchi dove il silenzio è sacro. - di Lorenzo Galeazzi


I facoltosi dipartisti ormeggiati nel porticciolo ligure negano la proprietà delle proprie imbarcazioni e danno risposte evasive alle domande dei cronisti. Come se si vergognassero della loro ricchezza.

“È sua questa barca?”. “Magari, sono solo un ospite”. “Il proprietario è a bordo?”. “No, non c’è”. “È in paese? Forse possiamo chiamarlo”. “No, non è qui. Ora, se non le dispiace, la saluto”. Daigrandi charter da 50 metri e oltre, fino alle barche più piccole, la regola d’oro di Portofino è il silenzio. L’ex villaggio di pescatori è uno di quei posti che non conosce crisi. E la sua piccola marina, 18 posti barca al massimo, è l’ambita meta di facoltosi vacanzieri e vip da tutto il mondo.

Verso sera, al rientro dei mega-yacht, sono tutti sul molo ad ammirare l’attracco dei giganti extra-lusso del mare. Battono rigorosamente bandiera di qualche paradiso fiscale: dalle Isole Duglasalle Cayman. Guardare sì, ma con discrezione perché a Portofino la privacy dei ricchi ospiti è sacra. Nemmeno la Marina è in possesso della lista passeggeri. “Meglio – dice Giancarlo Linari, direttore della società pubblico-privata che gestisce il porto – altrimenti avremmo la banchina invasa dai paparazzi”.



Infatti avvicinarsi a queste imbarcazioni è praticamente impossibile. Non appena si muove un passo nella loro direzione, si viene placcati da qualche zelante membro dell’equipaggio che in inglese o in russo consiglia di cambiare aria. Non va meglio con i diportisti italiani. Sebbene non ci sia nessun energumeno in short e scarpe da barca a bloccare la strada, il grado di discrezione è direttamente proporzionale alla lunghezza dello scafo. “Cosa fa, registra?”, chiede minacciosa una signora appollaiata sul pontile a gustarsi delle bollicine indicando la piccola telecamera digitale. Quando poi apprende che il cronista è del Fatto Quotidiano scappa sottocoperta urlando che neanche in vacanza si può avere un po’ di pace. Dopo pochi minuti appare il marito che chiede se si tratti proprio di quel giornale. Una volta rassicurato, controlla che la telecamera sia spenta e, senza lasciare neanche il tempo di fare una domanda, dice: “Guardi pago più del 40 per cento di tasse, la barca è mia, batte bandiera italiana e non è intestata a nessuna società di comodo. Ora se ne vada e ci lasci stare”.

La situazione migliora un paio di postazioni più in là. “Sono un imprenditore e voto Lega”, si presenta il proprietario del Kapriccio, una delle imbarcazioni più modeste, undici metri o poco più. Dice che la barca, 500mila euro, è intestata a lui: “Un capriccio, appunto”. Secondo il diportista, anche il mondo della nautica turistica è stato pesantemente bastonato dalla crisi. “Vede? – dice indicando gli yacht commerciali – sono sempre di più, mentre fino a qualche anno fa a Portofino c’erano molte più imbarcazioni delle dimensioni della mia. È colpa del carburante che costa troppo”. La pensa così anche il direttore della Marina. “La crisi ha colpito principalmente le barche inferiori ai 18 metri – spiega Linari – ma anche i grossi charter. Prima erano americani, ora sono russi e indiani. La settimana scorsa è sbarcato anche uno yacht cinese di 65 metri”.

Ma c’è crisi e crisi. Per ogni diportista che fatica a fare il pieno al proprio “capriccio”, decine di famiglie italiane non riescono ad arrivare a fine mese. E i costi della manovra del governo saranno principalmente sulle loro spalle. “Bisogna cancellare tutte le province e dimezzare il numero degli onorevoli”, è la ricetta di un signore ormeggiato poco distante dal Kapriccio. Bene anche l’idea di un nuovo scudo fiscale perché “è sempre bello quando rientrano i capitali dall’estero”. Ma non parlategli della proposta di ritassare i capitali scudati: “Ingiustamente punitiva verso chi si è fidato”. Anche il suo gioiellino batte bandiera italiana, “siamo gente onesta che paga le tasse e soprattutto paga a caro prezzo il gasolio”, dice.

Il punto però non è l’onestà, ma un’autorizzazione che alla perla della Liguria ancora manca: quella di erogare il carburante sif, che alle barche che battono bandiera extracomunitaria costa il 50 per cento in meno. “A parte i grossi yacht per cui Portofino è meta obbligata – spiega Antonio Vantaggiato, comandante della Capitaneria di porto – qui non si vedono tante barche private registrate in paradisi fiscali perché non possono fare gasolio”. Stanno alla rada in attesa che il porto ligure ottenga quel permesso. “Forse dall’anno prossimo”, dice Vantaggiato. E allora se ne vedranno delle belle, ma sarà ancora più difficile avvicinare i riservati e ricchi diportisti.


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