mercoledì 30 settembre 2015

Rai, dal camorrismo ai programmi che non si adeguano: la guerra dei renziani alla tv pubblica. Uguale a quella di B. - Giuseppe Pipitone

Rai, dal camorrismo ai programmi che non si adeguano: la guerra dei renziani alla tv pubblica. Uguale a quella di B.

Il deputato dem Anzaldi attacca il canale diretto da Vianello, reo di non aver "seguito il percorso del partito", di non essersi "accorto del nuovo segretario, poi diventato premier: dovrebbe fare servizio pubblico, ma non lo fa". Il cdr del Tg3: "Parole che ricordano nei toni editti bulgari di berlusconiana memoria". E in effetti, dopo le accuse minacciose di De Luca sul "camorrismo giornalistico", e dopo le battute del premier sui "talk show del martedì" che fanno meno share "della replica di Rambo", l'escalation del partito di governo contro la terza rete sembra molto simile a quella dei berluscones.

Un problema “grande” e “ufficiale”,  un partito di governo “regolarmente maltrattato” dai soliti talk show, che dovrebbero fare servizio pubblico, ma “non lo fa”. Il motivo? “Non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, il quale poi è diventato anche premier”.  Sembrano le saette lanciate per un ventennio in direzione viale Mazzini da tutti o quasi gli uomini della Casa della Libertà, suonano molto simili alle lacrime minacciose versate dall’ex cavaliere non appena metteva piede a Palazzo Chigi, somigliano davvero al preludio di quello che è poi passato alla storia come l’Editto Bulgaro. E invece ad intestarsi il decisivo passo avanti nell’ennesima guerra di Palazzo Chigi contro la tv di Stato è Michele Anzaldi, deputato del Pd, cresciuto come portavoce di Francesco Rutelli, poi fulminato sulla via del renzismo e quindi promosso segretario della commissione Vigilanza Rai.  “C’è un problema con Rai3 e con il Tg3, sì. Ed è un problema grande, ufficiale”, attacca il deputato palermitano davanti al taccuino di Fabrizio Roncone del Corriere della Sera.
Dopo le accuse minacciose di Vincenzo De Luca, che aveva tacciato Rai 3 di fare un giornalismo “camorristico”, dopo le battute del premier sui “talk show del martedì” che fanno meno share “della replica numero 107 di Rambo“, ecco che il Pd renziano ha inviato Anzaldi a formalizzare la dichiarazione di guerra contro la rete guidata da Andrea Vianello.  D’altra parte, Anzaldi sembra proprio l’uomo giusto scelto dai renziani per intervenire sulla questione tv: già nel marzo del 2014 aveva preso carta e penna per scrivere alla presidente Rai Anna MariaTarantola e lamentarsi dell’imitazione satirica di Maria Elena Boschi. “Alla Rai sono amici nostri, il video è andato in onda e non abbiamo detto nulla. Ma poi alla vigilia della festa della donna lo metti su internet, cioè la ridicolizzi ovunque”, diceva al fattoquotidiano.it. Un inizio morbido a parole, che metteva la satira nel mirino, come leggero era stato in principio l’attacco dei berluscones ai programmi satirici dei fratelli Guzzanti (poi emarginati come tutti gli esponenti invisi a Palazzo Chigi).
Un anno e mezzo trascorso al governo,  però,  ha indurito i toni del deputato, che adesso non usa giri di parole: ”Lo sa che i nostri ministri non vogliono più andarci a Rai3? Io mi aspetto che Rai3 faccia servizio pubblico: e, per ora, non lo fa. Si sono chiesti a Rai3 perché Renzi è andato due volte da Nicola Porro a Virus su Rai2? Perché, se dobbiamo spiegare una legge, preferiamo che i nostri parlamentari vadano da Bruno Vespa?” tuona Anzaldi. Che poi spiega quali siano le colpe imputate dal partito alla rete diretta da Vianello. “Purtroppo non hanno seguito il percorso del Partito democratico: non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier. Niente, non se ne sono proprio accorti! “. Tradotto: il padrone è cambiato e bisogna adeguarsi. Destinatario del messaggio: “Vianello che ha qualche difficoltà a percepire la realtà dei fatti, ascolti e trasmissioni fallimentari comprese”.
Quali dichiarazioni richiamino alla mente questi toni, lo dice inconsciamente lo stesso Anzaldi: “Il Pd – dice – viene regolarmente maltrattato e l’attività del governo criticata come nemmeno ai tempi di Berlusconi“. Già, Berlusconi. E sono proprio gli anni del berlusconismo quelli citati dal cdr del Tg3 per replicare alle parole del deputato dem. “Le parole di Anzaldi sono inaccettabili e ricordano nei toni editti bulgari di berlusconiana memoria: i partiti continuano ad intendere i telegiornali della Rai come cosa propria. E tutto ciò è tanto più grave nel momento in cui si parla di riforma delle news. Noi del Tg3 non subiremo in silenzio alcun tentativo di assoggettamento – continua Rivendichiamo con orgoglio la nostra indipendenza da qualsiasi governo o partito, ieri come oggi”.
Perché passando in rassegna i vent’anni del berlusconismo gli episodi di guerra tra Palazzo Chigi e viale Mazzini si sprecano. Sempre quello l’oggetto della contesa: la rete pubblica troppo laica nel raccontare le presunte gesta di governo. E non sono poche le somiglianze con le recenti esternazioni dei renziani. Se oggi Anzaldi annuncia il gran rifiuto dei ministri di Renzi a comparire nelle trasmissioni sgradite, ieri era Berlusconi a vietare ai suoi la partecipazione alle trasmissioni Rai: alla vigilia della campagna elettorale del 2001, infatti, i berluscones annunciarono un Aventino televisivo (“un paio di giorni, non di più” dissero) per protestare contro la famosa intervista di Marco Travaglio da Daniele Luttazzi.
Un Aventino che tra l’altro venne interrotto dallo stesso leader forzista, autore della celebre telefonata in studio da Santoro.”Lei è un dipendente del servizio pubblico: si contenga” disse Berlusconi, inventore poi dell’inedita imputazione di “uso criminoso del servizio pubblico“, utilizzata per motivare l’Editto Bulgaro, che decretò la cacciata di Biagi, Luttazzi e lo stesso Santoro. Accusa simile a quella mossa nei giorni scorsi dal renziano De Luca“Ci sono campagne di informazione che tendono a distruggere la vita di un essere umano: questo per me è camorrismo giornalistico”, ha detto il governatore campano alla festa di Scelta Civica, mettendo nel mirino trasmissioni come Report e Presa Diretta. Tra i dem a criticare le parole dell’ex sindaco di Salerno (e a difendere Rai 3) sono arrivati solo Vinicio Peluffo e Valeria Fedeli, contrari ad “usare questi termini”.
“Adesso però l’importante è che Vianello non faccia altri errori”, è invece la battuta – dal sapore di minaccia – con la quale Anzaldi conclude il suo dialogo con Roncone. Che tipo errori? Non “seguire il percorso” del Pd? O continuare a non accorgersi che Renzi è il presidente – segretario? E, soprattutto, se dovesse replicarli ancora quegli errori, cosa succederebbe a Vianello? Quattordici anni fa, alla vigilia del voto, era l’allora presidente della Rai Roberto Zaccaria a trovarsi nel mirino: un sintetico Gianfranco Fini gli spiegò l’agenda di governo,: “Zaccaria non si dimette? Se ne andrà subito dopo il voto. Non potranno rimanere un minuto di più al loro posto”. Parole che non sono ancora quelle del giglio magico renziano: ma la differenza diventa ogni giorni sempre più impercettibile. Mentre all’orizzonte c’è da giocare la partita dei tre nuovi direttori di rete, lontanissimo e sbiadito è ormai quel 19 aprile 2012, quando Renzi su twitter prometteva: “via i partiti dalla Rai”.

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