I problemi della scuola – quelli vecchi e quelli nuovi creati dalla pandemia – sono noti. Il governo fa quel che può, per i pochi soldi, il poco tempo e il rischio che le aule diventino nuovi focolai nella stagione autunnale, la più propizia per un’ondata di ritorno del Covid. Occorrono classi più piccole e spazi più vasti per garantire il distanziamento, dunque più insegnanti, bidelli, assistenti, strutture ed edifici idonei, oltre alle precauzioni anti-contagio. Una montagna di soldi che, anche se fossero disponibili, non si riuscirebbe a spenderli in tempo. Qualche demente voleva riaprire le scuole a maggio, poco prima di richiuderle per le ferie, perché “tutta Europa le riapre tranne noi”. Balle: in Francia, Macron ci ha provato su base volontaria e contro il parere degli scienziati, ma il 70% dei genitori han tenuto i figli a casa; idem in Inghilterra, dove il 50% non ci mette piede; la Spagna, come noi, riapre a settembre. Allora i dementi han preso a dire che la maturità sarebbe stata un disastro, anzi non si sarebbe mai fatta: invece tutto procede decentemente.
Ora il Partito Preso dell’Apocalisse preannuncia catastrofi per settembre e ha individuato il bersaglio perfetto: Lucia Azzolina, che è donna ma grillina, ergo può essere lapidata senza problemi. Intendiamoci: di ogni ministro è sacrosanto criticare pensieri, parole, opere e omissioni. Ma qui, come spesso accade a questo governo, non si capisce quali sarebbero i suoi errori. E soprattutto le soluzioni alternative (con relative coperture finanziarie): assumere 150mila docenti per sei mesi-un anno e poi licenziarli quando finirà l’emergenza? Costruire nuove scuole fra luglio e agosto? Stampare moneta come Totò e Peppino nella Banda degli onesti? È ovvio che si cerchi di investire il più possibile, di assumere più personale, di alternare la didattica a distanza con quella di presenza, di rispettare l’“autonomia scolastica” che consente a ogni preside di gestire le proprie risorse e strutture (alcuni istituti ne hanno troppe, altri troppo poche). Cioè di tamponare l’emergenza sperando che passi presto e intanto gettare le basi per un riassetto complessivo della scuola. Bene fanno insegnanti, genitori e studenti a scendere in piazza per chiedere al governo il maggiore sforzo possibile. Ma chi pensa di avere tutto subito sostituendo la ministra con qualcun altro fa ridere: specie se non ha mai detto una parola sui veri responsabili del disastro: non solo la Gelmini, ma pure le Giannini, le Fedeli (nota falsa laureata). Noi leggiamo con devozione Repubblica, organo ufficiale del Partito Preso, che pullula di aspiranti ministri dell’Istruzione.
Chiara Saraceno ha già individuato il bubbone: la “ministra alla sciatteria” che delega troppo “in nome dell’autonomia scolastica”. Cioè di una legge dello Stato, che fra l’altro non ha fatto lei. E “non si rende conto” che bisogna “aumentare i docenti” (infatti li sta aumentando, con un concorso osteggiato dal partito della sanatoria Pd-sindacati). E non “apre la didattica alla comunità locale”, qualunque cosa voglia dire. Sempre in cerca di soluzioni praticabili e comprensibili, ci abbeveriamo alla fonte di Massimo Recalcati, un altro degli “intellettuali” reclutati da Repubblica per spiegarci “quello che la politica dovrebbe fare per la ripartenza”. E qui, va detto, concretezza portami via. Sul giornale che per un mese ha preso per il culo Conte sugli Stati generali dell’economia, Recalcati ha un’ideona: “Subito gli Stati generali per l’Anno zero dell’istruzione”. Già, perché occorrono “sguardo e pensiero lungo”, soprattutto limpido, mica come “le decisioni ministeriali incerte e farraginose che disorientano”. In parole povere: “una rivoluzione culturale” per “inaugurare una nuova stagione culturale” in “quello spazio culturalmente decisivo dove la vita dei nostri figli prende forma”. Quindi, in concreto? “Senza una buona Scuola un Paese è morto”. Eh già. E attenzione: “Una Scuola chiusa è evidente che non è una Scuola”. Ma va? Se è chiusa come si fa con la “trasmissione di cultura della cittadinanza, di pensiero critico (tipo il suo alle Leopolde, ndr), di desiderio di sapere?”. Ah saperlo. “Il sapere che dà forma alla vita è un sapere mai scisso dalla relazione”. Perbacco. Senza dimenticare “l’universo plurale delle lingue” (tipo la sua alle Leopolde).
La “didattica a distanza” non gli garba, anzi “non esiste”. Sì, è vero, fino a due mesi fa si moriva come le mosche, ma “è stato un errore non introdurre dispositivi simbolici anche minimi per sancire la promozione delle scuole secondarie”, tipo un traduttore simultaneo delle recalcazzole. Quindi basta “ragionare sulle distanze necessarie da preservare, sul rischio degli assembramenti, sulle mascherine, sulle pareti di plexiglass”: questo Covid ha rotto i coglioni e “il dibattito non può restare ostaggio del virus e del problema della sicurezza”. Ci vuole ben altro, detto terra-terra: “rimodulazioni profonde”, “interdisciplinarietà”, “ricomposizione inedita”, “diversa circolazione degli allievi” (a targhe alterne) e soprattutto “portare la scuola verso la città, nei quartieri, nei territori” (le famose classi a rotelle) e “favorire la permanenza” indovinate di chi? Non dei peggiori, ma nientemeno che “dei migliori”. Del resto “la Scuola da tempo è in terapia intensiva”, ergo serve “una terapia d’urto”. Con tarapia tapioco come fosse Antani.
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