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venerdì 5 luglio 2019

‘Ndrangheta al Nord, così l’imprenditore lombardo ha rotto il muro di omertà: “Non chiedo il permesso ai mafiosi”. - Andrea Tundo

‘Ndrangheta al Nord, così l’imprenditore lombardo ha rotto il muro di omertà: “Non chiedo il permesso ai mafiosi”

L'uomo voleva aprire un parcheggio nella zona di Malpensa, a poche centinaia di metri da uno gestito dalla famiglia De Castro, il cui capostipite è ai vertici della locale di 'ndrangheta. Dove aver rifiutato un accordo per averli come soci, sono arrivate le pressioni: "Qualunque cosa viene fatta lì, vado e scasso tutto", viene fatto riferire. Il capo della Dda milanese: "È la prima volta che un imprenditore denuncia le pressioni".

Quarantotto ore. Tanto aveva impiegato la famiglia De Castro, il cui capostipite Emanuele è tra i capi della locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo, dopo il rifiuto di un imprenditore di entrare in società con loro, a far capire che allora non ci sarebbe stata alcuna nuova area parcheggio vicino all’aeroporto di Malpensa perché “sarebbe risultata in concorrenza” con quella da gestita dalla famiglia. “Altrove sì, ma a Ferno no”, aveva mandato a dire ad A. I., senza sapere che l’uomo – che ha chiesto a Ilfattoquotidiano.it di tutelarne la privacy – avesse installato una app sul suo smartphone per la registrazione delle chiamate in entrata e in uscita dal cellulare.
Le ha archiviate tutte, si è fatto coraggio ed è andato dai carabinieri per raccontare per filo e per segno la sua storia, ora parte integrante dell’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip del tribunale di Milano, Alessandra Simonha arrestato 34 persone, 13 delle quali accusate di associazione mafiosa per la ricostituzione della ‘ndrina legata alla famiglia di Cirò Marina. È proprio attraverso quelle telefonate e ai racconti che l’imprenditore ha più volte fatto a investigatori e inquirenti che la Dda di Milano ha accertato gli interessi della cosca attorno all’aeroporto di Malpensa, appetiti in crescita anche per la chiusura di Linate nei mesi estivi. Un ruolo fondamentale, riconosciuto dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci: “Una nota di speranza”, l’ha definita il magistrato antimafia.
I messaggi erano chiari, fatti arrivare tramite un consulente del lavoro, Giampaolo Laudani, che da un lato doveva partecipare all’affare e dall’altro secondo i magistrati ‘giocava’ per i De Castro: “Lui esplicitamente mi ha detto assolutamente no, diglielo… perché, anzi mi ha aggiunto: ‘Qualunque cosa viene fatta lì sono io che vado lì e scasso tutto'”. Lì, era a Ferno, a poche centinaia di metri da uno dei parcheggi controllati dai De Castro – di estorsione aggravata rispondono Emanuele e il figlio Salvatore, la sua compagna Vanessa Ascione e Laudani – che non volevano concorrenza. L’avventura di A. inizia nell’autunno 2018 quando insieme al consulente del lavoro, che a insaputa dell’imprenditore lo era anche dei De Castro, avvia attività propedeutiche alla realizzazione del parcheggio.
Dopo un “no” all’acquisto dell’area degli uomini legati alla ‘ndrina e aver valutato sconveniente l’apertura di un’area a Lonate per una “situazione monopolistica” accertata in un’altra inchiesta, l’imprenditore decide di realizzare la sua idea a Ferno. Sceglie il terreno da affittare e contatta un secondo imprenditore  di sua conoscenza, M. G., pure lui parte offesa, per avere un partner commerciale. Ma Laudani, si legge nell’ordinanza, “riferiva del progetto ai De Castro, tramite Vanessa Ascione, convivente di Salvatore e titolare del parcheggio di Ferno in via Piave”. I De Castro si mostrano interessati e tentano di entrare nell’affare. È il 6 marzo 2019 e quel parcheggio sarebbe un buon investimento. Non hanno però messo in conto la valutazione dell’imprenditore che “declinava l’offerta dichiarando di aver appreso (…) che ‘i De Castro erano mafiosi e padroni del settore'”.
Una scelta che segnerà il destino del suo investimento. Perché quell’area sarebbe dovuta sorgere a circa 300 metri dal parcheggio riconducibile a De Castro rischiando così di incrinarne gli affari. E infatti appena due giorni dopo arriva il primo avvertimento. È Laudani a chiamare l’imprenditore: “C’è un piccolo problema”, gli dice. “Io ho parlato con una persona (…) Lui mi ha detto testuali parole ‘dì chiaramente a quella persona lì, che siccome avevamo già discusso, qualunque cosa lui fa in quelle zone lì, avrà solo problemi’, ok, ha usato proprio queste parole, anzi siamo al telefono io mi limito così. Quindi mi ha detto ‘ma diglielo proprio, eh'”.
Parole che secondo Laudani sarebbero riferite al secondo imprenditore coinvolto nella vicenda, M. G., conoscente dei De Castro. Ma che si ripercuotono anche sulla volontà di A.I.. “Mi ha detto che se vuoi parlarci non c’è problema”, aggiunge il consulente spiegando di aver “aperto per cercare di trovare un accordo insieme”. La risposta è categorica: “No, lasciamo stare. Beh, se no a noi non ci fa fare nulla?”. E Laudani conferma: “Mi sembra di aver così, sì…”.  L’imprenditore ha già annusato l’aria: “Io con loro, non è per cattiveria perché ripeto io non li conosco, però non voglio rotture di coglioni e sarebbe stato gradito non avere le rotture di coglioni da parte loro…”.
Salvatore De Castro, intanto, dagli arresti domiciliari ha già fatto arrivare quello che il gip definisce un “pizzino” a M.G. nel quale “si lamentava di non avere saputo direttamente e per tempo del suo interessamento al parcheggio”. Con Laudani – che, secondo il giudice, “agiva a sua volta consapevolmente nel loro interesse simulando ‘terzietà'” – i De Castro sono ancora più espliciti: “Mi ha detto ‘quella persona sa già, questa zona non va toccata’”, spiega Laudani parlando con lo smartphone di A.I, che nel frattempo registra l’intera vicenda, chiamata dopo chiamata. L’affare tra l’imprenditore che ha denunciato, Laudani e M. G. alla fine sfuma, perché A.I. si rifiuta “di andare a chiedere il ‘permesso'”. Nel frattempo, il 27 marzo, entra nella caserma dei carabinieri, fa ascoltare le telefonate e inizia a raccontare tutto. È la “prima volta”, dice la procuratrice Dolci, che un imprenditore lombardo varca quella soglia per parlare delle pressioni ricevute dagli ‘ndranghetisti.

giovedì 11 ottobre 2012

‘Ndrangheta in Lombardia, in un pizzino il patto dei clan con l’assessore Zambetti. - Davide Milosa e Mario Portanova.



"Hai visto quel pisciaturo come ha pagato...". Dalle carte dell'inchiesta che ha portato in carcere l'assessore alla Casa della giunta Formigoni, i retroscena del voto di scambio alla milanese. Gli appalti dell'Expo2015 in cambio del sostegno elettorale. In campo anche Ambrogio Crespi, fratello del sondaggista di Berlusconi, per i suoi legami con "la criminalità napoletana, siciliana e calabrese".


“Hai visto quel “pisciaturu” (ndr: uomo di poco conto) di Zambettti come ha pagato … eh … lo facevamo saltare in aria … Ciru’ … eh … tu l’avevi letta la lettera che gli hanno mandato?”. Così un presunto ‘ndranghetista, Eugenio Costantino, parla di un assessore regionale della Regione Lombardia, Domenico Zambettti, con delega alla Casa, arrestato oggi con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso e altri reati. Costantino si riferisce a un “pizzino”, in pratica un patto pre-elettorale con il politico del Pdl che alle elezioni regionali del 2010 ha poi conquistato 11mila preferenze, risultando tra i più votati in assoluto. E’ uno dei particolari che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandro Santangelo su richiesta del pm Giuseppe D’Amico, della Direzione distrettuale antimafia di Milano. L’inchiesta è stata condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri, avviata dal comandante Antonino Bolognani e proseguita dal suo successore Alessio Carparelli
Spiega ancora Costantino: “Gli hanno mandato una lettera dopo… tramite me… che quando l’ha letta, figlio mio… le orecchie si sono “incriccate così”… e fino a quando non ha risolto il problema … che lì gli è andato … lu “diabete””.  Una lettera ben fatta, tanto che si vedeva “che avevano gente laureata nel gruppo”, che conteneva la “cronostoria (sic) di come sono iniziate le cose, di come erano i patti e di come andava a finire”. Di fronte al documento compromettente, l’assessore Zambetti si sarebbe “messo a piangere”, sempre nel racconto del presunto uomo delle cosche al nord. “E piangeva per la miseria, si è cagato sotto, cagato completo, totale”. Per gli ‘ndranghetisti questa è una  ”soddisfazione”. Perché “il potere lo hanno i politici e la legge, però ogni tanto vaffanculo, con l’aiuto degli amici, una soddisfazione ogni tanto ce la prendiamo… vaffanculo… lui lo sai quante persone fa piangere? Ecco perché io sarò sempre dalla parte della delinquenza”.
IL BOSS ALL’ASSESSORE: “ATTENTO AL MANGIARE”. In una telefonata intercettata il 15 marzo 2011 Giuseppe D’Agostino, legato al clan Morabito, parla con l’assessore Zambetti  con “toni decisi e autorevoli, nei quali è possibile scorgere una sottintesa quanto velata minaccia”, nota il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. D’Agostino si interessa dello stato di salute dell’assessore: “Bisogna fare attenzione”, e dopo una lunga pausa aggiunge “con il mangiare”. E il politico appare “spaventato e rassegnato”. D’Agostino prosegue: “Mi permetto di ricordarle la faccenda della figlia del nostro amico”, riferendosi alla “questione relativa all’assunzione della figlia di Eugenio Costantino”, considerato “rappresentante” della cosca Mancuso. La telefonata, secondo il gip, ottiene “il suo scopo”. Il politico risponde al presunto boss: “Ok, tranquillo che lo farò”. E D’Agostino: “Tante, tante buone cose lei e la famiglia, stia tranquillissimo su tutto, stia bene”.
EXPO 2015, MERCE DI SCAMBIO: “ZAMBETTI CI DARA’ I LAVORI”. C’è l’Expo 2015 tra la nerce di scambio del presunto patto politico-mafioso. Degli appalti per la grande esposizione in programma a Milano parlano Eugenio Costantino e un altro arrestato, Alessandro Gugliotta. Il primo prospetta al suo interlocutore “la possibilità di ottenere agevolazioni nell’assegnazione di lavori e appalti pubblici gestiti dalla Regione Lombardia come reiteratamente promessogli dallo stesso assessore regionale Domenico Zambetti”. Dice Costantino in una conversazione intercettata: “Però, adesso ti faccio un esempio… Se Zambetti ci dà un lavoro, o noi gli diciamo: ‘Mimmo, guarda che c’è quel lavoro, c’è che ce lo devi far dare, adesso tu sai che c’è l’Expo, lui ci può aiutare, e lì guadagniamo tutti noi. E ancora: “Noi dobbiamo dirgli: ‘Mimmo noi sappiamo che c’è il bando di questa cosa, lui me l’ha detto chiaro, noi sappiamo che lì si può prendere… Lui farà di tutto per farcelo avere… Lui ci aiuta non è una persona cattiva, a me risponde sempre al telefono quando lo chiamo…”.
Come rilevato da altre inchieste sulla ‘ndrangheta in Lombardia, il rapporto con la politica è sempre funzionale a far girare il sistema delle aziende mafiose: “Vedi che guadagniamo anche noi anche perché noi le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono, però lui ha detto anche una cosa, se voi trovate un lavoro segnalatemelo. Quindi noi dobbiamo trovare dei lavori e lui ce li fa fare in qualche modo…”.
“HO ORGANIZZATO 200 CENE ELETTORALI, TANTO PAGANO I CONTRIBUENTI”. ”Ho organizzato forse duecento cene fino adesso (…) io sto facendo parecchie campagne elettorali (…) mi sono scelto i più belli locali di Milano”. Così il presunto boss della ‘ndrangheta, Eugenio Costantino, intercettato, spiega a un’amica il suo attivismo nell’organizzazione di cene per campagne elettorali nel Milanese, comprese quelle per l’assessore regionale Zambetti, arrestato oggi. “Oh, l’assessore che gli abbiamo fatto noi la campagna elettorale, hanno speso più di quattro milioni di euro, mamma mia, quattro milioni di euro”, dice ancora Costantino al telefono nel giugno 2011. E all’amica, che gli chiede chi abbia pagato quegli eventi per le campagne elettorali che lui organizza, il presunto boss risponde: “Gli investitori, allora un po’ il partito diciamo se è la sinistra un po’ la sinistra se è il Pdl… noi chi li paga, siamo noi contribuenti”.
“IL CANDIDATO E’ UN BUSINESS”. Le carte dell’inchiesta raccontano l’avvicinamento a Vincenzo Giudice, esponente del Pdl, per convogliare voti sulla figlia Sara, candidata per il Terzo Polo al consiglio comunale di Milano nel 2011. Vincenzo Giudice è indagato, mentre Sara è estranea all’inchiesta, ma gli inquirenti sottolineano l’inconsapevolezza dei legami criminali degli interlocutori. Ma un’intercettazione del solito Costantino illustra la strategia politica della ‘ndrangheta a Milano. Sara Giudice  ”non è con il Pdl”, realizza a un certo punto Costantino, ma “sta ragazza che si presenta, è con una lista civica, però la cosa è buona, perché, essendo con una lista civica, se loro riescono a fargli fare il primo posto, come preferenza, lei si piglia, fa la consigliera sicuro. Stiamo parlando del Comune di Milano. Una ragazza laureata di 23- 27 anni, fa una carriera, non ci vuoi niente eh. E’ tutto un business”.
IL VOTO DELLE COSCHE. Ma come avviene il controllo dei voti in Lombardia, secondo l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia? Le 4mila preferenze (su oltre 11mila totali) raccolte in favore di Zambetti alle Regionali del 2010 “mediante la pressione rappresentata dalla forza di intimidazione dell’associazione mafiosa” sarebbero state vendute al politico per la somma, pagata “in più rate” e in contanti,di almeno 200 mila euro. Costo unitario, 50 euro a voto. “Gli esponenti della cosca Barbaro-Papalia procuravano circa 500 voti nella loro area di tradizionale influenza (CorsicoBuccinasco ed hinterland Sud di Milano)”, si legge nell’ordinanza. Eugenio Costantino, quello dell’intercettazione sul pizzino, “aveva procurato circa 700- 800 voti nell’area del Magentino“, tra Milano e Novara. E a Milano città “venivano raccolti complessivamente 2.500 voti di preferenza”, per la maggior parte raccolti da Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, ex sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi. Ambrogio, secondo i magistrati della Dda, li raccoglieva soprattutto nei quartieri periferici della città “forte dei suoi legami con ambienti della criminalità napoletana, siciliana e calabrese”. 
A portare acqua al politico del Pdl sarebbero stati, oltre ai Barbaro-Papalia, altri nomi ricorrenti della ‘ndrangheta in Lombardia, come il clan Onorato, protagonista dell’inchiesta Metallica. Ed emergono contatti su questo fronte con Domenico Pio, accusato di essere il capo della ‘ndrangheta a Desio, città brianzola dove l’inchiesta Infinito del 2010 provò un’ampia collusione politico-mafiosa.
LA SORELLA DEL BOSS ALL’AZIENDA DELLE CASE POPOLARI. Non solo gli appalti di una grande opera come l’Expo. L’assessore Domenico Zambetti si sarebbe speso in favore delle cosche anche per favori più “spiccioli”. Per esempio, l’ordinanza riporta “la promessa fatta da Zambetti a Eugenio Costantino di interessarsi per il rinnovo del contratto da parrucchiera in favore di Mara Costantino, sorella dell’indagato; l’attivazione di Zambetti per procurare l’assegnazione di una casa Aler in favore dell’amante di Costantino; l’assunzione – su sollecitazione di Costantino e di Giuseppe D’Agostino – di Teresa Costantino, figlia di Eugenio, presso l’Aler, ente pubblico controllato dall’assessorato di Zambetti, e la successiva assegnazione alla stessa di mansioni più gradite presso la Direzione Generale del predetto ente pubblico”.