Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 20 gennaio 2015
Come pulire 10 oggetti nel modo migliore.
I taglieri
Tagliate un limone, versate del sale sul tagliere di legno e sfregare per bene, poi lavate con acqua e sapone per stoviglie. Riuscirete così a pulire a fondo rimuovendo anche quelle piccole particelle che possono rimanere incastrate nel legno.
Le teglie
Sfregare le teglie con sapone per stoviglie non è sufficiente per rimuovere tutto lo sporco. Preparate una miscela con 1/4 di tazza di bicarbonato di soda e quanto basta di acqua ossigenata per ottenere una pasta morbida. Utilizzatela per sfregare per bene la teglia e lasciarla agire per qualche ora. Risciacquare con acqua, il risultato? Come nuove!
La doccia
Un semplice spray e una passata di spugna non sono sufficienti per far risplendere la pigna della vostra doccia. Ma esiste un modo semplice ed efficiente per riportarla al suo originale splendore. Prendete un sacchetto di plastica per alimenti, versate al suo interno dell’aceto bianco, infilatelo sulla pigna e chiudete con un legaccio. Lasciate agire per un’ora, una passata di spugna umida e sarà come nuovo.
I materassi
I materassi sono una bella sfida da pulire. Per prima cosa passatevi l’aspirapolvere per eliminare qualsiasi residuo. Quindi, cospargete il materasso con bicarbonato di sodio sull’intera area. Lasciate riposare per qualche ora e poi ripassate l’aspirapolvere. Finito!
Il microonde
Il modo più semplice ed efficace per pulire a fondo il vostro microonde esiste. Ponete nel forno un contenitore con acqua e aceto, accendete alla massima temperatura per almeno 2 minuti. Asciugate con un panno, il vostro microonde sarà pulito e splendente.
Lo spazzolino da denti
Un numero sorprendente di persone non pulisce lo spazzolino da denti! Eppure bisognerebbe sostituirlo ogni tre mesi. Per pulirlo prendete un bicchiere e riempitelo di aceto bianco ed immergetevi lo spazzolino per qualche ora, meglio per tutta la notte.
Il tostapane
Se per pulire il vostro tostapane vi limitate a scuoterlo a testa in giù ogni tanto, beh, non basta. Anche l’esterno deve essere pulito e lustro. C’è un modo molto semplice: prendete del cremor tartaro, un po’ d’acqua e con una spugnetta sfregate per bene l’esterno del vostro tostapane. Tornerà come nuovo, lucido e splendente. E l’interno? molti modelli hanno dei cassettini estraibili per rimuovere tutte le briciole facilmente.
Il forno
Solitamente ci vogliono ore per pulire il forno ed è un’operazione che si tende a rimandare proprio per questo, fino ad arrivare al punto di non ritorno! Ma c’è una soluzione molto più semplice e veloce. Mescolate del bicarbonato di sodio con pochissima acqua, in modo da formare una pasta piuttosto densa, spargetela all’interno del forno e lasciate agire per una notte. Poi, spruzzate un po’ di aceto bianco e pulite con un panno bagnato. Accendete quindi il forno a bassa temperatura per una ventina di minuti per far asciugare. Come nuovo!
Tapparelle e imposte
Esiste un modo molto efficace per pulire velocemente le imposte ma molti di noi ancora non lo conoscono. Indossate una calza di cotone imbevuta di acqua e aceto sulla vostra mano e passate le liste delle imposte e delle tapparelle, una ad una. Facile no? Per asciugare utilizzate l’altro calzino e il gioco è fatto.
Quadri e dipinti
Avete mai pensato che una fetta di pane potesse essere il modo più veloce ed efficace per rimuovere la polvere e lo sporco dai vostri dipinti?
http://www.grandecocomero.com/10-oggetti-purire-puliti-modo-sbagliato/
lunedì 19 gennaio 2015
Greta e Vanessa, ex dei servizi segreti: “Ostaggi? L’Italia ha sempre pagato”. - Enrico Fierro
Lo 007 in pensione ricorda i sequestri dei quattro contractor in Iraq, di Daniele Mastrogiacomo, di Enzo Baldoni e di Giuliana Sgrena: "Impossibile riportare a casa i rapiti se non si danno tanti soldi a miliziani e informatori. La guerra è un business".
La verità è che abbiamo sempre pagato. S.E.M.P.R.E. Te lo dico a caratteri cubitali, così lo capisci e la finiamo qui”. Il signore che ci parla è una vecchia volpe dei servizi con esperienze in quella che definisce “la fogna” mediorientale. L’uomo ha appeso la barba finta al chiodo. “Faccio il pensionato e mi diverto a leggere le stronzate che scrivete voi giornalisti. Tutto si paga in inferni come l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, posti dove la guerra è un business, una industria diffusa, qui paghi tutto, e quando non lo fai allora ti riporti il morto a casa. Lo ricordi Enzo Baldoni?”. Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista free-lance per la rivista Diario di Enrico Deaglio viene rapito nei pressi di Latifiya, città irachena del triangolo sunnita, il 20 agosto del 2004, il 26 viene ufficializzata la sua morte. “Ecco – ci racconta il nostro uomo – ci sono anche casi in cui non ti danno il tempo di pagare”. E allora, aggiungiamo noi attingendo ai ricordi, scatta l’operazione demolizione della vittima . Ricordiamo alcuni titoli su Baldoni pubblicati all’epoca da Libero, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri che aveva tra le sue firme di punta sull’intelligence Renato Farina, successivamente scoperto in rapporti ottimi con i servizi con il nome di “agente Betulla”: “Vacanze intelligenti”, “Il pacifista col Kalashnikov”. Non solo, ma all’epoca ambienti della nostra intelligence fecero circolare la notizia dell’esistenza di un video dove si vedeva Baldoni lottare con i suoi rapitori, altro materiale utile ad accreditare la tesi di un uomo davvero imprudente.
La verità sulla morte del giornalista non è ancora venuta fuori, ma anche in quel caso, nonostante smentite e depistaggi, una trattativa ci fu, o quantomeno fu avviata. E allora ha ragione il nostro ex 007 che per trattare devi avere tempo, i danari non sono un problema. Tempo e buoni contatti sul territorio. Ma per i quattro contractors rapiti in Iraq in quel 2004, non ci furono trattative, né soldi spesi: Maurizio Agliano, Umberto Cupertino,Salvatore Stefio, i tre sopravvissuti dopo l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi, furono liberati dopo un blitz. “E come fai a individuare una stamberga di Ramadi, città a oltre cento chilometri da Baghdad, dove i tre erano rinchiusi insieme a un polacco (Jerzy Ros, ndr) se non paghi informatori, gole profonde, gente che sta un po’ di qua e un po’ di là?”. L’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, disse che non c’era stata trattativa: “È stata una azione di intelligence e militare senza spargimento di sangue”. “Beato te – è la replica – e che doveva dire? Darvi il numero del bonifico con l’Iban e tutto? Ma per favore, la linea è sempre la stessa, ieri come oggi, con Frattini o con Gentiloni.
Negare, negare sempre. Per i tre la trattativa fu lunga, soprattutto dopo l’esecuzione di Quattrocchi (“vi faccio vedere come muore un italiano”, ndr), e con varie concessioni. Il 14 aprile esce la notizia della morte di Quattrocchi, il giorno dopo c’è l’ultimatum dei rapitori e la minaccia di uccidere un ostaggio ogni 48 ore, il 20 aprile si apre un corridoio umanitario della Cri per Falluja, intanto tutti, ministri, governo e opposizione dichiaravano che con i terroristi non si tratta”. L’8 giugno la liberazione, rivendicata davanti alle tv di tutto il mondo dagli americani, contrari fermamente a ogni concessione ai rapitori. Il nostro sorride. “So bravi gli americani, ma il merito di quel blitz è tutto dei colleghi polacchi, gente che stava in Iraq dal Novanta, che conosceva tutti, buoni e cattivi, anche loro hanno trattato e pagato per arrivare in quel covo”.
Misteri, strani personaggi che si muovono sul terreno infido di una guerra dove non esistono confini, il ricorso a organizzazioni che hanno conquistato una loro autorevolezza sul campo. È il caso di Emergency di Gino Strada che viene attivata nel sequestro dei contractors e in quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, il ruolo di Maurizio Scelli, all’epoca commissario della Croce Rossa, successivamente deputato berlusconiano, nella liberazione delle “due Simona”, le volontarie di un “Un Ponte per…” rapite il 7 settembre del 2004 a Baghdad. Il 28 settembre, e dopo un’altalena di comunicati sulla loro morte, vengono liberate e consegnate nelle mani di Scelli. Ancora una volta la versione ufficiale fu “nessun riscatto pagato”, ma nel 2006, il britannico Times rivelò che l’Italia aveva pagato 11 milioni di dollari, 5 per la liberazione delle due operatrici di un “Un Ponte per…”, e 6 per riavere la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005 e liberata il 4 marzo. Nel tragitto verso l’aeroporto, un militare americano sparò ferendo la Sgrena e uccidendo il funzionario del Sismi, Nicola Calipari.
Travaglio: ‘Così hanno truffato Di Bella’. - Marco Travaglio
TORINO - La sperimentazione della cura Di Bella sarebbe viziata da gravi irregolarità. Peggio: alcuni dei 386 malati di cancro che provarono la "multiterapia" (Mdb) del medico modenese sarebbero stati usati come cavie, trattati con farmaci "guasti e imperfetti", non si sa con quali effetti sulla salute.
E l' Istituto superiore di Sanità, pur sapendolo, non avrebbe avvertito 50 dei 51 ospedali d' Italia che sperimentavano i protocolli.
Sono queste le conclusioni della lunga e minuzionsa indagine aperta due anni fa dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, in seguito ad alcune denunce, sulla sperimentazione nei 4 "centri di riferimento" di Torino (Molinette, San Giovanni antica sede, Mauriziano e Sant' Anna) e nei 4 della provincia (gli ospedali di Chivasso, Orbassano, Chieri e Cirè).
Un' indagine che non entra nel merito dell' efficacia o meno della cura, ma si limita ad analizzare la regolarità della sperimentazione.
Quattro gli accusati, tutti dirigenti dell' Istituto superiore di sanità (Iss): Roberto Raschetti e Donato Greco, coordinatori della sperimentazione del 1998, Stefania Spila Alegiani, responsabile dei preparati galenici, ed Elena Ciranni, che curava i rapporti con i vari centri clinici.
Grave l' ipotesi di reato: "somministrazione di medicinali guasti o imperfetti" (punibile, secondo l' articolo 443 del codice penale, con la reclusione fino a 3 anni).
Il direttore Giuseppe Benagiano, a suo tempo indagato, è stato poi archiviato.
Nessuna responsabilità per l' ex ministro della Sanità Rosi Bindi, sentita come testimone in gran segreto, a Roma, all' inizio dell' anno.
I 4 indagati hanno ricevuto l' "avviso di chiusura indagini".
Una sorta di preannuncio di rinvio a giudizio, che poi però non è arrivato: grazie alla legge Carotti, i difensori hanno chiesto e ottenuto dal Pg della Cassazione Nino Abbate il trasferimento dell' inchiesta a Firenze.
Con la curiosa motivazione che i farmaci "incriminati" li produce l' Istituto farmacologico militare fiorentino.
Inutile l' opposizione di Guariniello il quale, sentenze della Cassazione alla mano, ha ribattuto che il 443 non punisce la produzione o la detenzione, ma la somministrazione di farmaci guasti (avvenuta, appunto, a Torino).
Spetterà dunque alla Procura di Firenze - che l' anno scorso aveva già archiviato un' altra inchiesta sui protocolli Di Bella - trarre le conclusioni: rinviare a giudizio o chiedere l' archiviazione.
Tutto dipenderà dall' interpretazione delle irregolarità emerse a Torino: errori in buona fede o condotte dolose?
Per Guariniello, la prova del dolo sarebbe in una lettera inviata nel ' 98 a un ospedale romano, che chiedeva lumi sulla conservazione e la composizione delle "soluzioni ai retinoidi" previste per i protocolli 1 e 9.
Nella lettera i dirigenti dell' Iss precisavano che quelle sostanze hanno una "validità" di soli 3 mesi, dopo di che "scadono" e vanno buttate.
Peccato che la stessa direttiva non sia stata diramata agli altri 50 ospedali che sperimentavano la cura.
E che infatti continuarono, ignari di tutto, a somministrare quelle soluzioni ampiamente scadute (addirittura vecchie di 4, 5, 9 mesi) e "deteriorate".
Non solo: un gravissimo errore tecnico avrebbe dimezzato il quantitativo di un componente, un principio attivo, fondamentale per l' efficacia di quelle soluzioni: l' "axeroftolo palmitato". In pratica, per i due protocolli, quella sperimentata non era la multiterapia Di Bella, ma una "variazione sul tema" non dichiarata.
Così com' era emerso nel ' 98 per altri due protocolli, frettolosamente ritirati dopo che Guariniello vi aveva scoperto alcune sostanze mancanti e alcune altre (come il tamoxifene del professor Umberto Veronesi) aggiunte da una mano misteriosa.
Ma quel capitolo è ancora aperto.
A Torino.
(Art. del 7 sett. del 2000)
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/09/07/cosi-hanno-truffato-di-bella.html
Andrea Scanzi - Civati
To bee or not to bee?
Ieri, nel suo blog, l'attivissima staffetta della Brigata Kalimera Pippo Civati ha tuonato: "Dovremmo dimetterci tutti".
Alludeva al caso Cofferati, che secondo lui neanche è un "caso" perché Renzi vuole esattamente questo: un voto di scambio, fuori i voti di sinistra e dentro i voti della destra. Tutto molto bello e condivisibile, ma la domanda resta la stessa: chi ti impedisce di andartene, Pippo?
Il lupo cattivo?
La Boschi?
il complotto delle giovani marmotte?
Questo tuo tentennamento pavido (e interessato?) è davvero oltre ogni soglia del ridicolo. Non se ne può più di questo balletto da Don Abbondio, ti sta ridendo dietro mezzo mondo. Ormai, anche nel gergo comune, non si dice più "can che abbaia non morde" ma "sei solo un Civati".
La strada era già chiara più di un anno fa: esci dal PR (Partito Renzi: il Pd è morto da un pezzo), mostri finalmente un briciolo di coraggio e provi a fare qualcosa di decente a sinistra.
E magari parti proprio dalla Liguria, candidando un nome serio, in grado di catalizzare quelle migliaia di persone che ancora provano imbarazzo dopo lo spettacolo misero delle "primarie" "vinte" da tal Paita.
Se tu facessi il giornalista, avresti il plauso di molti per le tue analisi spesso argute.
Facendo il politico, professione appena diversa da quella di politologo, questi perenni vorrei-ma-non-posso si rivelano - in attesa si spera non eterna dello strappo, che sono sicuro arriverà - uno sconfortante mix di pavidità e correità.
Datti una mossa, Civati.
Basta con questi "mi si nota di più se resto o me ne vado?", altrimenti sei solo chiacchiere e frignate.
https://www.facebook.com/pages/Andrea-Scanzi/226105204072482?fref=nf
(pubblicato il 19/1 alle 10,20 circa)
Quirinale: manca il Capo dello Stato. Qualcuno se ne è accorto? - Furio Colombo
Ma come fanno i deputati, come fanno i senatori, a restare lì dentro a far finta di lavorare, mentre un caos di fili annodati l’uno nell’altro, che sarebbero le riforme da fare subito, si accatasta qui dentro come in una fabbrica assediata? Non so chi ha avuto questa vertigine. Ma qualcuno ha deciso, in un momento di estrema confusione, in cui manca il capo dello Stato, di fare finta di niente e come direbbero ufficiali severi e patriottici sotto un bombardamento, l’importante è che nessuno lasci il suo posto. Sapete a che cosa si lavora? Alla Camera per completare l’abolizione del Senato. Al Senato per avere la legge elettoraleper eleggere la Camera (unica parte del Parlamento che sopravvive).
Come ricorderete, il Paese continua a non avere una legge elettorale da quando la Corte Costituzionale ha dichiarato inaccettabile quella a liste blindate che il governo di Berlusconi, all’improvviso e senza ragione, aveva fatto calare sull’Italia coloniale che governava con la rigorosa fedeltà dei media e con la complicità di un’opposizionesilente o assente. Ma il Senato non può fare la legge elettorale finché non sa se e fino a quando il Senato continuerà a esistere. E la Camera non può continuare a votare finché non c’è un presidente della Repubblica che possa firmare la legge.
È in corso, vi sarete accorti, una gara furiosa e appassionata di una sola persona con se stessa. Si tratta del presidente del Consiglio Renzi che voleva un cronoprogramma, senza badare al contenuto delle materie che via via avrebbero dovuto passare sulla sua catena di montaggio. Nel frattempo vuole essere l’arbitro assoluto (insieme a Berlusconi, strettamente legato da un patto che non conosciamo) della selezione, poi della scelta, poi della strategia, poi della votazione, magari con un tuono di ovazioni, per il presidente che non c’è. Nel frattempo, naturalmente, ciascuno dei mille deputati, senatori e votanti aggiunti in rappresentanza – come si usa dire – del potere locale, stanno facendo, quasi ognuno, la stessa cosa: si candidano o partecipano a gruppi, alcuni da dopo lavoro, altri accanitamente militanti, per l’elezione di qualcuno.
Nel frattempo le reti televisive fanno lotterie e distribuiscono ai partecipanti dei loro talk show biglietti per votare i nomi preferiti. I giornali pubblicano, uno dopo l’altro, vite e curricula, ipotesi e sceneggiature di possibili esisti. Poiché c’è spazio e tempo, di alcuni presidenti inventati ci si trattiene a dire che cosa farà in Europa, come affronterà le fabbriche chiuse, e persino in che rapporti è o sarebbe con Obama e la Bce. Ma il presidente non c’è, e i deputati e senatori che lo devono eleggere, lavorano o fanno finta di lavorare ad altro. Fanno finta perché niente può andare avanti. Bisognerebbe almeno tenere conto delle due ipotesi fondamentali: eleggere un presidente che sia un nulla e che non conti nulla. È il sogno di Renzi ma non è detto che tutti i sogni si avverino, persino per lui. Oppure, per qualche errore che può sempre succedere, il presidente è qualcuno, che vuol sapere che cosa si sta votando e perché, e in quale ordine e con quale urgenza, anche solo come cortese informazione.
C’è qualcosa di folle nel concepire l’idea che voi lavorate a riforme costituzionali e a una legge chiave come quella elettorale, da cui dipende la qualità della vita democratica del Paese, e io intanto penso, per conto mio, a giudizio mio e del mio socio (e non disturbatemi) a trovare la persona adatta per le cerimonie. Ma c’è un altro fatto che è impossibile non considerare. Statisticamente, è più probabile che sia un deputato o un senatore, a essere eletto presidente della Repubblica piuttosto che qualcuna o qualcuno esterno alla vita politica. È naturale che tutti si sentano parte, alcuni apertamente in corsa. Tutti, comunque, hanno una ragione per volere il tempo di partecipare alla più importante discussione politica italiana ogni sette anni (in questo caso, nove, ma proprio a causa di una cattiva legge elettorale che non produce maggioranze e che adesso bisognerebbe ritoccare in fretta e furia prima del voto presidenziale).
In altre parole il progetto sembra essere di far trovare il grosso del lavoro già fatto alla brava persona che sarà mandata al Quirinale, con lo svelto voto di una mezza giornata, in modo che debba dedicarsi alle sue cerimonie senza pensieri sproporzionatamente pesanti e senza mettere becco in questioni già decise. Mi rendo conto che sto dicendo le stesse cose che ha detto in aula il capogruppo di Forza Italia Brunetta. Evidentemente il travolgente impulso di Renzi di fare in fretta, non importa se male, non importa che cosa, sta accostando allarme e proteste di chi vede, anche da punti di vista immensamente diversi, lo stesso innegabile pericolo. Come se non bastasse grava (a scapito persino di Brunetta) il patto del Nazareno, che è saldo, segreto e inviolabile.
E certamente ha nella elezione del capo dello Stato, il suo punto più importante. Non c’è bisogno di immaginare che sia una associazione per scopi indicibili. Ma è segreta, “tiene” (ci assicurano ogni volta o la Boschi o Verdini) e ci annuncia che le decisioni sono già prese. Sarebbe un caos, se il patto dovesse fallire. Sarebbe un caos se la pallina (secondo decisioni che non conosciamo con persone che, purtroppo, conosciamo) andasse in buca. Qualcuno vede il lieto fine?
domenica 18 gennaio 2015
Alfano smentisce Alfano sul bomb jammer: “Non è pericoloso”. - Giuseppe Pipitone
La risposta del sottosegretario del ministero della Difesa al senatore del M5S Maurizio Santangelo: “Il dispositivo antibomba emetterebbe radiazioni non ionizzanti pienamente nella norma”. Dichiarazione che sconfessa la posizione del ministro dell’Interno: “Installato sulla macchina di Di Matteo, disattiverebbe le apparecchiature di un ospedale o il pacemaker di un anziano per strada”.
Stesso partito, Nuovo Centro Destra, stesso cognome,Alfano, e due dichiarazioni opposte sul bomb jammer, il dispositivo elettronico in grado di disinnescare i telecomandi che azionano gli ordigni esplosivi. Dal Viminale sentenzia il ministro dell’Interno Angelino Alfano: ‘‘Si è parlato con troppa superficialità di bomb jammer: è un dispositivo che si usa soprattutto nei teatri di guerra o in casi specifici. Nessuno può immaginare che se passa la macchina di Di Matteo si disattivino le apparecchiature di un ospedale o il pacemaker di un anziano per strada”. Dal Senato arriva la risposta del sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano:”Le tipologie di disturbatori (denominati, appunto, jammers) impiegati dai militari italiani nei teatri operativi (incluso l’Afghanistan), sono di media e piccola capacità” . E ancora: ”i sistemi non nuocciono assolutamente alla salute delle persone (operatori ed estranei), grazie alla potenza limitata”. Eppure il dispositivo antibomba, quello che gli agenti di scorta di Nino Di Matteo, il pm condannato a morte da Cosa nostra, ritengono ”l’unico strumento che potrebbe salvare la vita al magistrato”, non arriva.
Non è arrivato dopo le esternazioni di Totò Riina, che dal carcere di Opera ha manifestato al compagno di ora d’aria Alberto Lorusso la sua volontà di affrettare l’attentato a Di Matteo, di ”farlo subito” quel botto, per levarsi il pensiero. E non arriva neppure dopo le ultime le rivelazioni del neo pentito Vito Galatolo che ha svelato i dettagli del piano di morte per Di Matteo, programmato in una prima fase proprio con un autobomba da piazzare nei pressi del palazzo di Giustizia. “Il bomb jammer per Di Matteo? E’ già stato messo a disposizione” diceva nel dicembre del 2013 il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Poi nel novembre del 2014, è arrivata la marcia indietro. Secondo l’uomo del Viminale, il jammer è dannoso per le apparecchiature ospedaliere, per i peacemaker per le donne incinte: ”Il bomb jammer è dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare”. Ma rispondendo ad un’interrogazione parlamentare depositata dal senatore del M5S Vincenzo Santangelo nella quarta commissione permanente di Palazzo Madama, il sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, smentisce: il bomb jammer emetterebbe “radiazioni non ionizzanti pienamente nella norma”. E ancora:”Le tipologie di disturbatori (denominati, appunto, jammers)impiegati dai militari italiani nei teatri operativi (incluso l’Afghanistan), sono di media e piccola capacità”. E per finire: ”i sistemi non nuocciono assolutamente alla salute delle persone (operatori ed estranei), grazie alla potenza limitata. In ogni caso, prima dell’uso degli apparati vengono condotti, come detto, studi approfonditi, e, successivamente, le stesse apparecchiature vengono sottoposte a rigide verifiche periodiche”.
Quali studi? E qui il sottosegretario scende nei dettagli, spiegando come sarebbe stato dimostrato dagli specialisti che l’utilizzo del dispositivo antibomba non nuocerebbe alla salute. “L’iter di acquisizione delle apparecchiature da parte delle competenti articolazioni della Difesa prevede, inoltre, l’effettuazione di specifiche misure e rilievi idonee a valutare se i livelli di campo elettromagnetico emessi dagli apparati possano comportare rischi per gli operatori o per la popolazione alle esposizioni delle radiazioni non ionizzanti. In particolare, le ultime prove per l’omologazione dei sistemi sono state effettuate presso il Centro interforze studi e applicazioni militari di San Piero a Grado (in provincia di Pisa), e hanno evidenziato valori inferiori a quelli di soglia previsti dalle norme vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” si legge nella risposta del sottosegretario Alfano al senatore Santangelo. Quegli studi e approfondimenti auspicati dal ministro dell’ Interno non solo sarebbero stati ultimati ma avrebbero dato esito positivo: il bomb jammer si può utilizzare. Resta da capire perché non sia ancora stato messo a disposizione di Di Matteo.
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