mercoledì 23 novembre 2016

La contro-riforma putiniana di Renzi, Boschi e Verdini. - Paolo Flores d'Arcais




Amici lettori, pensate davvero che la “riforma” costituzionale Renzi-Boschi-Verdini non costituisca un pericolo per le vostre libertà? Provate a ragionare su questi ineludibili dati di fatto.

Oggi in Italia vi sono tre schieramenti che ottengono grosso modo il 25/30% dei voti (il resto si disperde tra forze minori). Poiché ormai un terzo degli italiani non va a votare (e il fenomeno è in crescita), con la “riforma” suddetta e la concomitante nuova legge elettorale (sia nella versione Italicum che, forse ancora peggio, in quella “corretta Cuperlo”), chi rappresenta solo il 17/20% dei cittadini otterrà una schiacciante maggioranza assoluta in Parlamento (di nominati, dunque fedeli al Capo “perinde ac cadaver”), il controllo della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura (da cui dipendono tutte le nomine ai vertici di Procure Tribunali e Cassazione), la scelta del Presidente della Repubblica (e la possibilità di facile impeachment nel caso non piacesse più e non si “allineasse”), il controllo della Rai, tutte le nomine delle Authority di “garanzia” (Consob, Privacy, ecc.), oltre ovviamente al governo.

Potrebbe vincere Renzi, potrebbe vincere Grillo, potrebbe vincere la destra-destra (in declinazione Berlusconi/Salvini o Berlusconi/Parisi, a seconda degli umori di Arcore). Io voterò M5s, come faccio già da tempo, ma avrei paura se a questa forza andassero i poteri previsti dalla contro-riforma (chiamiamola col suo nome, vivaddio!) Renzi-Boschi-Verdini. E ne avrebbero anche i “cinquestelle”, responsabilmente, visto che hanno proposto una legge elettorale “proporzionale corretta” (tipo Spagna e in parte Germania) e sono impegnati per il No.

Perché con la contro-riforma costituzional-elettorale (le due cose sono inscindibilmente intrecciate proprio nel disegno dei promotori), un leader da 17/20% di consenso dei cittadini avrebbe un potere che sfiora quello di Putin e di Erdogan, senza necessità di ricorrere alla galera e alla violenza. E, ripeto, chi sia questo leader dipenderebbe da spostamenti minimi di voti (nel caso del turno unico saremmo addirittura alla roulette). Davvero questa prospettiva non vi gela il sangue?

Se non vi fa paura vuol dire che avete superato in atarassica serenità zen il più “disincarnato” dei monaci orientali, il che sarà magari ottimo per la vostra psiche e le vostre future reincarnazioni, ma per il funzionamento di una democrazia è micidiale. In ogni democrazia fondamentale è il rispetto delle minoranze, le garanzie per i bastian-contrari, i diritti civili e gli spazi di comunicazione reale di quella minoranza delle minoranze che è il singolo dissidente. Niente di tutto questo resta in piedi con le contro-riforme Renzi-Boschi-Verdini.

Vi flautano nelle orecchie: ma è il prezzo da pagare per l’efficienza, per la velocità del processo legislativo. Davvero ci siete cascati? Non l’avete ancora letto l’articolo 70 controriformato? Claudio Santamaria lo ha recitato in pubblico, alla manifestazione indetta da MicroMega con Maltese, Rodotà, Zagrebelsky, Carlassare, Ovadia e tanti altri, lo ha letto come si conviene a un grande attore e come esige la punteggiatura di quella pagina e mezzo (attualmente l’articolo 70 è di una riga): un incomprensibile labirinto mozzafiato di commi e sottocommi, su cui i giuristi hanno già dato una dozzina di interpretazioni diverse, una sbobba procedurale che garantirà ricorsi su ricorsi fino alla Corte Costituzionale. Santamaria ha detto che sembrava scritta da Gigi Proietti in uno dei suoi momenti satirici di grazia. Forse, ma certamente con la collaborazione del notissimo e manzoniano dottor Azzeccagarbugli.

Vi sventolano davanti agli occhi lo specchietto per le allodole dei costi della politica che diminuiscono, davvero ve la siete bevuta? Qualche decina di milioni in meno: costa assai di più ogni settimana semplicemente tener in vita l’ipotesi del Ponte sullo Stretto (se poi, con il Sì nelle vele, lo costruiranno davvero, saremmo a una tragedia da piangere per generazioni). E se i senatori saranno un pochino di meno, in compenso i politici regionali e comunali che andranno in quegli scranni godranno del premio più ambito per i troppi politicanti che della politica fanno mercimonio e profitto: l’amatissima immunità. I costi della politica si tagliano in radici riducendo a zero le migliaia e migliaia di consigli di amministrazioni delle “partecipate”, le migliaia e migliaia di consulenze di nomina politica, il groviglio ciclopico di enti inutili, e insomma i milioni di persone che “vivono di politica”, e lautamente, per meriti che con il merito hanno ben poco a che fare.

Millantano che con il Sì combatterete la Casta, ma la Casta sono loro, ormai, il giglio magico e le sue infinite propaggini, l’indotto di nuovi piccoli satrapi messo in moto dalle Leopolde, le incredibili mediocrità assurte a posizioni apicali, le imbarazzanti nullità innalzate nell’Olimpo dell’intreccio affaristico-politico, che ormai fanno apparire uno statista perfino Cirino Pomicino.


Col No, il No che conta, vince invece la società civile di questo quarto di secolo di lotte. Che ha come programma l’unica grande riforma necessaria: realizzare la Costituzione, che i conservatori di sempre hanno bloccato, edulcorato, sfigurato, avvilendola nella camicia di forza della “Costituzione materiale”, democristiana prima, del Caf (Craxi Andreotti Forlani) poi, infine di Berlusconi (che con le sue televisioni ammicca al Sì e a chiacchiere sta col No, il solito piede in due scarpe), e oggi del suo nipotino Renzi.

Se col tuo voto vincerà il No, amico lettore, non ci sarà nessuna instabilità, semplicemente diventerà inevitabile un governo di coerenza costituzionale, e si aprirà la strada per l’unico rinnovamento di cui l’Italia ha bisogno, quello che porta scritto “giustizia e libertà” e come stella polare ha l’eguaglianza incisa nella Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-contro-riforma-putiniana-di-renzi-boschi-e-verdini/

Mandiamoli a casa.

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Per capire come ci ingannano i nostri governanti basta pensare che le riforme costituzionali presentate da Berlusconi illo tempore, le stesse presentate dal governo PD oggi, sono state ricusate illo tempore dal PD, oggi dallo stesso Berlusconi.
Questa è la prova del fatto che questi loschi individui non hanno alcuna intenzione di prodigarsi per migliorarci la vita, ma per mettere a punto gli interessi dei loro padroni in cambio di agevolazioni di varia natura.
Sono, pertanto, servi servili dei quali non abbiamo alcun bisogno e che ci procurano solo nocumento.
Mandiamoli a casa.

Votiamo NO!

Cetta.

martedì 22 novembre 2016

Castelli nel mondo.


Castello di Neuschwanstein - Bavaria, Germania

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Castello di Hohenschwangau, Bavaria - Germania
Castelli del mondo
Castello nido di rondine, Ucraina
Guaita Fortress. San Marino.
Conwy Castle. Galles
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Castello di Alcatraz. Segovia - Spagna
Castello di Bodiam - Inghilterra
Castello di Bodiam. East Sussex, in Inghilterra.
Castello di Kilchurn, Loch Awe, Scozia

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Burg Liechtenstein, Austria

lunedì 21 novembre 2016

PADRI RICOSTITUENTI. - SANDRA BONSANTI

Padri ricostituenti


Ma come è potuto accadere che fosse un signore imputato per appartenenza a un’associazione segreta, per il quale il Pm ha chiesto quattro anni di carcere, a concordare la riforma della costituzione con il governo Renzi? Uno come Denis Verdini che rivendica a ogni piè sospinto la sua partecipazione decisiva al tentativo di indebolire il nostro Parlamento e rafforzare il potere del governo e del suo capo?
E come è potuto accadere che un banchiere del vertice di Banca Etruria chiamato Boschi si rivolgesse in cerca di grandi nomi per il governo della banca, a un tal Flavio Carboni per il quale, nella stessa inchiesta sulla P3, il Pm ha chiesto nove anni e mezzo di carcere? Verdini, padre costituente, accusato di aver fatto parte “di un’aggregazione stabile che aveva scelto la segretezza come forma strutturale e sistematica per poter penetrare negli apparati dello Stato, a tutti i livelli…”.

Cosa c’è di malato in questa Italia avvinghiata agli spettri di un passato tutt’altro che glorioso proprio quando predica il cambiamento derivante da una nuova Costituzione? Ci aiuta a trovare una spiegazione, una intervista che Carlo Azeglio Ciampi dette a Mario Calabresi nel gennaio del 2013. Disse Ciampi: “In Italia non si è data sufficiente importanza a cosa è stata la P2, ma villa Wanda è ancora aperta e il titolare è ancora lì (Gelli morì due anni dopo, nel 2015, ndr) e molti degli aderenti a quella loggia massonica sono ancora in circolazione. La stagione della P2 non è mai finita, ha continuato ad agire sotto traccia, continuando a inquinare le istituzioni italiane. Il fatto di non aver estirpato fino in fondo questo cancro è un grande cruccio”.

Mi sono chiesta se fosse soltanto il grido di allarme un po’ generico e un po’ ripetitivo di un padre della patria… oppure, invece, la denuncia del politico accorto e informato, che visse in prima persona gli anni della Banca d’Italia, le vicende legate a Sindona e Calvi, a Sarcinelli e Baffi, a Giorgio Ambrosoli… a Gelli, a Andreotti…
Me lo sono chiesta poche settimane fa, alla morte di Tina Anselmi, quando in molti hanno voluto ricordarla per i tanti motivi per i quali dobbiamo esserle grati, ma pochi hanno nominato la commissione P2 e l’ansia che ha sempre tormentato quella grande donna perché vedeva che la sua sfida era persa e l’antistato era più vivo che mai.
Lo tenevano sempre attivo coloro che da sempre avevano sostenuto il piano di rinascita della P2: un progetto che arrivava da lontano, dai primi anni del dopoguerra, alimentato da spezzoni della politica italiana che si muovevano verso una destra eversiva. E che sono sopravvissuti alimentando molti dei progetti di riforme della costituzione volte a rafforzare l’esecutivo nella mani di un sol uomo, venendo finalmente alla luce della ribalta con la grande riforma di Craxi e i progetti di repubblica presidenziale.

Ecco perché le preoccupazioni di Carlo Azeglio Ciampi non posso e non devono essere sottovalutate. 
Ecco perché le trame di Verdini e Carboni possono essere una cosa seria. 
Ecco perché non c’è assolutamente nulla di nuovo nella costituzione Boschi-Renzi-Verdini. 
Ecco perché deve essere respinta.

Imposimato.




Il testamento di Gheddafi che io non avevo mai letto. - Antonio Angelini

testamento gheddafi


Ho trovato grazie ad un amico una cosa che non avevo letto su nessun giornale.    
Il testamento di Muhammar Gheddafi.  
L’ eredità che ha lasciato a noi italiani è stata la immigrazione incontrollata e la perdita della nostra supremazia sul petrolio libico a vantaggio di altre (Total in primis). 
Il suo popolo sta male, contrariamente a prima quando la Libia era terra dove molti andavano a lavorare da altri paesi. Il suo progetto del Dinaro d’ Oro è ovviamente naufragato e come moneta per gli scambi si usano ancora dollaro (per il Petrolio) o Franco Africano. 
https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_CFA che da grandi svantaggi ai paesi africani dovuti al cambio fisso e da vantaggi alla Francia.   …   
Sappiamo tutti a chi è convenuto uccidere Gheddafi (Fra-USA -UK in ordine non casuale. )  e a chi non è convenuto. NOI . (ITA)
Tripoli 5 Aprile 2011, testamento di Muhammar Gheddafi:
“Per 40 anni, o forse di più, ho fatto tutto quello che ho potuto per dare al popolo case, ospedali, scuole.
E quando avevano fame, gli ho dato cibo. Ho trasformato Bengasi da un deserto in terra fertile, ho resistito agli attacchi del cowboy Reagan quando, tentando di uccidermi, ha ucciso un’orfana, mia figlia adottiva, una povera bambina innocente.
Ho aiutato i miei fratelli e le mie sorelle africani con denaro per l’Unione Africana. Ho fatto di tutto per aiutare il popolo a comprendere il concetto di vera democrazia, nella quale i comitati popolari governano il nostro paese.
Per alcuni tutto questo non bastava mai, gente che aveva case di 10 stanze, abbigliamento e mobilio ricchi. Egoisti come sono, chiedevano sèmpre di più a spese degli altri, erano sempre insoddisfatti e dicevano agli Statunitensi e ad altri visitatori che volevano “democrazia” e “libertà”.
Non si volevano rendere conto che si tratta di un sistèma di tagliagole, dove il cane più grosso divora tutto. Si facevano incantare da queste parole, non rendendosi conto che negli Usa non c’erano medicine libere, ospedali liberi, case libere, istruzione libera, cibo garantito. Per costoro non bastava nulla che facessi, ma per gli altri ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l’unico vero leader arabo e musulmano che avessimo avuto dai tempi di Saladino, un uomo che restituì il Canale di Suez al suo popolo come io ho rivendicato la Libia per il mio popolo. Sono state le sue orme che ho cercato di seguire, per mantenere il mio popolo libero dal dominio coloniale, dai predoni che ci vorrebbero derubare.
Ora sono sotto attacco della più grande forza militare della storia. Il mio piccolo figlio africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, le nostre libere abitazioni, la nostra libera medicina, la nostra libera istruzione, il nostro cibo sicuro, e sostituirlo con il ladrocinio stile Usa chiamato “capitalismo”. Ma noi tutti, nel Terzo Mondo, sappiamo cosa ciò significhi. Significa che le imprese governano i paesi, il mondo, e che i popoli soffrono.
Così per me non c’è alternativa, devo resistere e, se Allah vorrà, morirò seguendone la via, la via che ha arricchito il nostro paese di campi fertili, viveri, salute e ci ha perfino consentito di aiutare i nostri fratelli africani e arabi a lavorare qui con noi, nella Giamahiria libica.
Non desidero morire, ma se dovessi arrivarci, per salvare questa terra, il mio popolo, le migliaia di miei figli, che allora sia.
Lasciate che questo testamento sia la mia voce al mondo. Dica che mi sono opposto agli attacchi dei crociati Nato, alla crudeltà, al tradimento, all’Occidente e alle sue ambizioni colonialiste. Che ho resistito insieme ai miei fratelli africani, ai miei veri fratelli arabi e musulmani.
Ho cercato di fare luce. Quando altrove si costruivano palazzi, ho vissuto in una casa modesta e in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non ho sprecato le nostre ricchezze nazionali e, come Saladino, il nostro grande condottiero musulmano che salvò Gerusalemme per l’Islàm, ho preso poco per me…
In Occidente qualcuno mi ha definito “pazzo” e “demente”. Conoscono la verità, ma continuano a mentire. Sanno che la nostra terra è indipendente e libera, non soggetta al colonialismo. Sanno che la mia visione e il mio cammino sono sempre stati onesti e nell’interesse del mio popolo. Sanno che lotterò fino all’ultimo respiro per mantenerci liberi. Che Dio ci aiuti”.

LA RIFORMA RENZI: UN’AGGRESSIONE ALLE GARANZIE COSTITUZIONALI. - LUIGI FERRAJOLI

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La tesi ripetuta con più insistenza dai sostenitori del Sì al referendum costituzionale è che la riforma non tocca la prima parte della Costituzione, cioè i diritti fondamentali e le garanzie, ma solo la seconda parte, dedicata all’ordinamento della Repubblica. Formalmente, questo è vero. Nella sostanza, purtroppo, è vero il contrario. Da questa riforma risultano indebolite tutte le garanzie costituzionali. Al punto che è legittimo il sospetto che proprio questo sia il suo principale obiettivo.
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Grazie all’azione congiunta della riforma del Parlamento e della legge elettorale maggioritaria verrà infatti sostanzialmente soppresso quello che è il tratto distintivo delle costituzioni antifasciste del secondo dopoguerra: il loro ruolo di limitazione del potere politico e la stessa garanzia della rigidità costituzionale, cioè l’impossibilità di modificare la Costituzione se non con larghissime maggioranze. Domani, se questa riforma passerà, chi vincerà le elezioni entrerà in possesso, di fatto, dell’intero assetto costituzionale. Ma le elezioni saranno vinte dalla maggiore minoranza: verosimilmente, da un partito o da una coalizione votati dal 25 o dal 30% dei votanti, corrispondenti, tenuto conto delle astensioni, al 15 o al 20% degli elettori. Grazie alla legge elettorale maggioritaria, questa infima minoranza otterrà la maggioranza assoluta dei seggi, con la quale potrà fare ciò che vuole, incluse le manomissioni della Carta costituzionale. Questo, del resto, è esattamente ciò che ha fatto la maggiore minoranza presente in questo Parlamento, approvando la sua riforma con la maggioranza fittizia conferitagli dal Porcellum dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e sostanzialmente riprodotto dal cosiddetto Italicum.
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Non solo. L’artificiosa maggioranza assoluta assegnata automaticamente e rigidamente alla maggiore minoranza consentirà al vincitore delle elezioni di eleggere da solo, a sua immagine e somiglianza, tutte le istituzioni di garanzia: il Presidente della Repubblica, i membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e delle altre autorità cosiddette “indipendenti”. L’intero sistema politico ne risulterà squilibrato per il venir meno di tutti gli checks and balances, cioè dell’intero sistema dei freni e contrappesi. Le istituzioni di garanzia non saranno più tali, cioè in grado di limitare e controllare i poteri di governo, ma saranno ridotte a espressioni della maggioranza e del suo governo e, di fatto, con questo solidali.
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Ma l’aggressione ai diritti fondamentali, e in particolare ai diritti sociali – alla salute, all’istruzione, alla previdenza, alla sussistenza – potrà avvenire, come l’esperienza insegna ma come avverrà assai più agevolmente con questa nuova costituzione, anche senza alterare la prima parte del testo costituzionale. E’ infatti la “governabilità”, ripetono i sostenitori del SI, la grande conquista realizzata da questa riforma. Riservando la fiducia al governo alla sola Camera, nella quale la maggiore minoranza avrà automaticamente la maggioranza assoluta dei seggi, la sera delle elezioni sapremo non solo chi ha vinto, come ripetono i sostenitori della riforma, ma anche chi sarà il capo che ci governerà per cinque anni, senza limiti, né controlli né compromessi parlamentari. Matteo Renzi ripete che non c’è nessuna norma nella riforma che aumenti i poteri del presidente del Consiglio.
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Di una simile norma, infatti, non c’è affatto bisogno, essendo l’aumento e la concentrazione dei poteri nel governo e nel suo capo l’ovvio risultato dell’esautorazione del Parlamento, della neutralizzazione delle istituzioni di garanzia e dell’indebolimento delle autonomie regionali. Grazie a questo squilibrio nei rapporti tra i poteri, la nostra democrazia parlamentare si trasformerà in un sistema autocratico, verticalizzato e personalizzato, ben più di quanto accada in qualunque sistema presidenziale, per esempio gli Stati Uniti, dove è comunque garantita, oltre alla separazione tra Stati federati e governo federale, la totale indipendenza del Congresso dal Presidente e perciò la separazione del potere legislativo in capo al primo dal potere esecutivo in capo al secondo.
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Domandiamoci allora, cosa vuol dire questa decantata governabilità? Può voler dire capacità di governo. In questo senso, certamente, la massima governabilità si è avuta nei primi 35 anni della Repubblica: allorquando – grazie a questa Costituzione, al sistema elettorale proporzionale, alla centralità e rappresentatività del Parlamento e, insieme, alla più forte opposizione e al conflitto di classe più aspro di tutto l’occidente capitalistico – è stata costruita la democrazia e lo Stato sociale e l’Italia, che era tra i paesi più poveri dell’Europa, è diventata la quinta o sesta potenza economica mondiale.
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Ma “governabilità”, nel lessico politico odierno, vuol dire soltanto potere di comando, senza limiti dal basso, grazie alla smobilitazione sociale dei partiti, e senza limiti e vincoli dall’alto, grazie al venir meno dei freni e contrappesi e la scomparsa della Costituzione dall’orizzonte della politica. E’ questa la governabilità inseguita da 30 anni – prima da Craxi, poi da Berlusconi e oggi da Renzi – attraverso la semplificazione e la verticalizzazione dell’assetto costituzionale intorno al governo e al suo capo: una governabilità necessaria alla rapida e fedele esecuzione dei dettami dei mercati. E’ questo, e non altro, il senso delle riforme istituzionali di Matteo Renzi. “Ce le chiede l’Europa”, ripetono i nuovi costituenti a proposito delle loro riforme. Ce le chiede l’ambasciatore degli Stati Uniti.
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Domandiamoci: perché? Perché mai i mercati, l’Unione Europea, gli Usa, le agenzie di rating, il gigante finanziario americano JP Morgan si preoccupano della riforma costituzionale italiana, delle nuove competenze del nostro Senato e della nostra legge elettorale? Sono gli stessi giornali e le stesse forze politiche schierate a sostegno del SI che confessano apertamente le finalità della riforma. L’Europa, e tramite l’Europa i mercati, ci chiedono di sostituire alla centralità del Parlamento la centralità del governo e del suo capo perché solo così può realizzarsi questa agognata governabilità, cioè l’onnipotenza della politica nei confronti dei cittadini e dei loro diritti, necessaria perché si realizzi la sua impotenza nei confronti dei grandi poteri economici e finanziari. Solo se avrà mani libere nei tagli alle spese sociali, il governo potrà trasformarsi in un fedele esecutore dei dettami di quei nuovi sovrani invisibili, anonimi e irresponsabili nei quali si sono trasformati i cosiddetti “mercati”.
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Si capisce allora il nesso tra la lunga crisi della democrazia italiana nell’ultimo trentennio e l’aggressione alla Costituzione del 1948. All’aggravarsi di tutti gli aspetti della crisi – il discredito e lo sradicamento sociale dei partiti, la loro subalternità all’economia e alla finanza, l’opzione comune e sempre più esplicita per le controriforme in materia di lavoro e di stato sociale – ha fatto costantemente riscontro il progetto di indebolire il Parlamento e di rafforzare il governo tramite modifiche sempre più gravi delle leggi elettorali e della seconda parte della Costituzione repubblicana: dapprima, negli anni Ottanta, il progetto craxiano della “grande riforma”, poi i tentativi delle Commissioni Bozzi, De Mita-Jotti e D’Alema; poi l’aggressione ben più di fondo alla Costituzione da parte del governo Berlusconi con la riforma del 2005, bocciata dal referendum del giugno 2006 con il 61% dei voti; infine l’ultimo assalto da parte di questo governo.
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Di nuovo, come sempre, ciò che accomuna tutti questi tentativi, oltre all’argomento della “governabilità”, è l’intento del ceto di governo di far ricadere sulla nostra carta costituzionale la responsabilità della propria inettitudine. Del resto queste riforme costituzionalizzano ciò che di fatto in gran parte è già avvenuto. 

Già oggi, tra decreti-legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa, la schiacciante maggioranza delle leggi è di fonte governativa. 

Già oggi, grazie alle mani libere dei governi, si è prodotto un sostanziale processo decostituente in materia di lavoro e di diritti sociali, con l’abbattimento di quell’ultima garanzia della stabilità dei rapporti di lavoro che era l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, i tagli alla scuola e alla ricerca, il venir meno della gratuità della sanità pubblica e la monetizzazione di farmaci e visite che pesa soprattutto sui poveri, al punto che ben 11 milioni di persone nel 2015 hanno dovuto rinunciare alle cure.
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Ebbene, l’attuale riforma equivale alla legittimazione popolare e al perfezionamento istituzionale di questo tipo di governabilità, nonché del processo decostituente che ne è seguito, interamente a spese dei soggetti più deboli. Si parla sempre del Pil come della sola misura della crescita e del benessere; mentre si tace sulla crescita delle disuguaglianze e della povertà e sul fatto che, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono diminuite le aspettative di vita delle persone.
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Dall’esito del referendum dipenderà dunque il futuro della nostra democrazia: la conservazione sul piano normativo e la rivendicazione popolare della restaurazione di fatto del suo carattere parlamentare, oppure la legittimazione e lo sviluppo dell’attuale deriva anti-parlamentare; la riaffermazione della sovranità popolare, oppure la consegna del sistema politico alla sovranità anonima, invisibile e irresponsabile dei mercati; la legittimazione del governo dell’economia e della finanza, oppure la riaffermazione e il rilancio del progetto costituzionale; lo sviluppo degli attuali processi decostituenti, oppure il rafforzamento, contro future aggressioni, della procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 138, rivelatasi debolissima ed esposta a tutti gli strappi e a tutte le incursioni più avventurose nel nostro tessuto istituzionale..

agora magazine, 26 ottobre 2016