martedì 27 marzo 2018

Caso ex spia russa, l'Italia ha espulso i diplomatici russi obtorto collo. - Umberto De Giovannangeli


SOCHI, RUSSIA MAY 17, 2017: Italys Prime Minister Paolo Gentiloni (L) and Russias President Vladimir Putin attend a press conference following their meeting at the Bocharov Ruchei residence. Mikhail Metzel/TASS (Photo by Mikhail Metzel\TASS via Getty Images)

Il nostro Paese non vuole mettere all'angolo la Russia, Lega e Fratelli d'Italia parlano di grave errore. Silenzi da M5s e Pd. I sospetti del Nyt sulla linea di Roma.


Obtorto collo. Il latino corre in aiuto per spiegare come l'Italia stia affrontando la "guerra diplomatica" ingaggiata dall'Europa contro la Federazione Russa e il suo presidente-padrone: Vladimir Putin. Ufficialmente, tutti negheranno. Ma fuori dall'ufficialità, e con la garanzia dell'anonimato, fonti diplomatiche alla Farnesina e a Bruxelles, raccontano una storia più complessa e meno idilliaca di quello che parrebbe dalla conta di funzionari e/o spie russe che i Paesi dell'Unione hanno deciso di rispedire a casa, in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia Yulia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury, nel Regno Unito, con un agente nervino.
A concordare la risposta europea, raccontano le fonti ad HP, sono state le premier di Germania, Angela Merkel, e Regno Unito, Theresa May assieme al presidente della Francia, Emmanuel Macron. Le prime due, racconta ancora la fonte, avrebbero voluto andar giù ancor più pesantemente, inasprendo le sanzioni economiche e commerciali contro Mosca, rispetto a quelle attuate al seguito dell'(irrisolta) crisi ucraina. "Ma su questo – dicono alla Farnesina – il premier Gentiloni ha fatto resistenza, riuscendo a stoppare l'iniziativa anglo-tedesca, ben vista dall'altra parte dell'Oceano". Di diplomatici, Francia e Germania ne hanno espulsi quattro a testa, così come la Polonia. Tre ciascuno da Repubblica Ceca e Lituania, mentre due da Italia, Spagna, Danimarca e Olanda. Uno a testa, per il momento, da Lettonia, Romania, Croazia, Ungheria ed Estonia. I Ventotto hanno anche richiamato l'Ambasciatore dell'Ue a Mosca per consultazioni. Il capo della delegazione dell'Ue nella Federazione Russa, Markus Ederer, è giunto a Bruxelles nel fine settimana, e ieri è stato a colloquio con l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Quanto alle misure adottate oggi, dall'entourage di "Lady Pesc" si ribadisce che tali misure sono conseguenziali a quanto deciso, unanimemente, al Consiglio europeo del 22 e 23 marzo.
Un riferimento che si ritrova nella nota diffusa dalla Farnesina, in cui si legge che "a seguito delle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo del 22 e 23 marzo scorso, in segno di solidarietà con il Regno Unito e in coordinamento con partner europei e alleati Nato, il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale ha notificato oggi la decisione di espellere dal territorio italiano entro una settimana due funzionari dell'ambasciata della Federazione russa a Roma accreditati in lista diplomatica". Sono 14 gli Stati membri della Ue ad aver preso finora il provvedimento "come seguito" di quanto deciso al vertice Ue della settimana scorsa, ha affermato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, aggiungendo che "altre espulsioni non sono da escludere nei prossimi giorni e settimane". Farnesina e Palazzo Chigi non confermano né smentiscono, ma la linea che s'intende seguire sarebbe quella della "prudenza". In altri termini, vorremo fermarci a due cartellini rossi, peraltro sventolati a due funzionari non propriamente "apicali".
Tutti gli espulsi hanno una settimana di tempo per lasciare i relativi Paesi. Un'azione congiunta per la quale esulta il governo britannico, dal ministro degli Esteri Boris Johnson a quello della Difesa Gavin Williamson. "La straordinaria risposta internazionale dei nostri alleati – ha detto Johnson – rappresenta la più grande espulsione collettiva di agenti dell'intelligence russa nella storia e ci aiuterà a difendere la nostra sicurezza. La Russia non può violare impunemente le norme internazionali". L'Italia è tra i Paesi europei che più hanno patito le conseguenze sanzionatorie. Ma la ragione del nostro freno non è solo dettata da interessi, economici e commerciali, nazionali. E le fonti diplomatiche spiegano i perché: "Restiamo convinti – dicono – che la Russia è un partner cruciale per la stabilizzazione di aree esplosive come il Nord Africa e il Medio Oriente, e a questo va aggiunto che le conseguenze negative della corsa al riarmo ingaggiata da Usa e Russia ricadrebbero soprattutto sull'Europa". Su questo, rimarcano ancora le fonti, c'è una visione "trasversale" comune alle maggiori forze politiche italiane: ognuna con le proprie motivazioni e accenti, il Movimento 5 Stelle, la Lega di Salvini, il Pd e Forza Italia convergono nel ritenere la Russia un interlocutore che non può e non deve essere messo all'angolo. Un punto di vista che non è particolarmente gradito nelle altre cancellerie europee che contano e tanto meno alla Casa Bianca.
Con un editoriale sul New York Times, Frank Bruni, una delle firme più autorevoli del NYT, ha dato voce e visibilità esattamente a un timore che non investe solo l'amministrazione Trump: : lo spostamento dell'asse di riferimento del Paese a netto favore di Vladimir Putin. "L'Italia ha abbandonato l'America. Per la Russia", il titolo eloquente. Una forzatura, certo, ma che mette in rilievo il rischio di una "etichettatura" negativa per l'Italia da parte, interessata, di Washington e, sia pure in modo meno esplicitato, di Londra, Parigi e Berlino: quello del Paese più "putiniano" del Vecchio Continente.
Un passo indietro nel tempo. "Abbiamo sostenuto la fiducia delle imprese italiane nelle aziende russe e in questo Paese". Mosca, 17 maggio 2017. Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in una conferenza stampa con il presidente russo Vladimir Putin commentava i rapporti diplomatici tra il nostro Paese e la Russia. Poi Gentiloni fissò un obiettivo: "Tra Italia e Russia ci sono aree di cooperazione nella lotta al terrorismo e nella gestione di alcuni crisi regionali. Penso alla Libia, alla Siria e all'Afghanistan nelle quali Italia e Russia possono e devono collaborare", disse il premier italiano. "Abbiamo minacce in comune e dobbiamo rispondere in comune", aggiunse il premier. A questo punto, Gentiloni ha anche parlato delle sanzioni alla Russia: Dal nostro punto di vista lo sforzo che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare è quello di sottolineare che non può esserci un automatismo nel rinnovo delle sanzioni alla Russia. Bisogna fare una discussione seria, con l'obiettivo di mantenere unita l'Unione europea ma maturando queste decisioni, facendo un ragionamento serio".
L'Italia è per "attuare gli accordi di Minsk, ma dobbiamo dirci come stanno le cose. L'Italia - aggiunse - è interessata a questo dossier. Nessuno pensi che l'Italia romperà in solitaria con i suoi alleati ma nessuno creda che le decisioni sul rinnovo delle sanzioni possano essere prese con il pilota automatico", concluse Gentiloni. "E' questa la linea su cui continuiamo ad attestarci – rimarcano ancora alla Farnesina – fino a nuovo ordine". E al nuovo primo ministro. Se dovesse toccare a Matteo Salvini, c'è da chiedersi se manterrà fede al "patto di amicizia" firmato a Mosca da Lega Nord e Russia Unita, il partito di Putin, definito di "cooperazione e collaborazione". Un accordo, spiegò in quell'occasione lo stesso Salvini, che mette in luce unità di intenti su "lotta all'immigrazione clandestina e pacificazione della Libia, lotta al terrorismo islamico e fine delle sanzioni contro la Russia, che sono costate all'Italia 5 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro persi". Era il 6 marzo 2017. E la linea è rimasta la stessa. Tanto da meritare un elegiaco pezzo di Sputnik Italia, il sito "putiniano, solerte nell'indicare chi sono nel Belpaese i "veri amici" di Mosca.
"Al governo non avrei fatto una scelta del genere", ha detto Matteo Salvini commentando l'espulsione dall'Italia di diplomatici russi in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury nel Regno Unito. "Leggere che invece che riannodare i fili del dialogo il governo italiano subisce la richiesta, che arriva da altri, ed espelle diplomatici russi - ha concluso a margine del consiglio comunale di Milano - mi sembra una cosa poco utile a un futuro di dialogo e convivenza". Non da meno gli è Giorgia Meloni. "E' inaccettabile che un Governo dimissionario decida di espellere due funzionari dell'ambasciata russa", dichiara la leader di Fratelli d'Italia che parla degli "ultimi colpi di coda di un Governo asservito alla volontà di Stati esteri che per fortuna sarà messo presto nelle condizioni di non nuocere più gli interessi nazionali italiani". Chissà che ne pensano dalle parti di Washington e di Berlino.

A Londra strade asfaltate con le bottiglie di plastica riciclata. - Belloni

A Londra strade asfaltate con le bottiglie di plastica riciclata

L'esperimento nel quartiere di Enfield: materiale di recupero come collante al posto del bitume preso da combustibili fossili.
La guerra contro la plastica adesso ha una nuova frontiera: utilizzare bottiglie e altri scarti per costruire le strade. In Gran Bretagna questo sogno ecologico è giù diventato realtà e di recente ha raggiunto Londra, grazie all’amministrazione del quartiere di Enfield. Per adesso gli amministratori si sono concentrati su una via, ma nel mirino ci sono altre strade e spazi da sottoporre al riciclo creativo.
L’intervento pilota ha riguardato una parte di Green Dragon Lane (nella foto in alto) ed è stato così positivo che Transport for London ha deciso di erogare un finanziamento per i lavori e ha suggerito di ripetere l’esperimento anche per alcune fermate degli autobus nella stessa zona. Anche perché la nuova miscela “amica della Natura” risulta vantaggiosa pure sotto altri aspetti: è più resistente all’usura e quindi dura molto più a lungo dell’asfalto tradizionale consentendo un risparmio di costi significativo.
Il responsabile dell’ambiente del consiglio di Enfield, Daniel Anderson, si è detto soddisfatto dei risultati e soprattutto felice di sapere che mari e oceani soffrono meno grazie alle scelte organizzative del suo quartiere. La sua idea è quella di ridurre al minimo l’impronta di carbonio che ogni ente produce con le sue scelte. Perché non tutti riflettono sul fatto che ogni persona lascia una traccia di inquinamento con le sue scelte.
La strada che è stata selezionata per l’asfaltatura innovativa è molto trafficata, visto che rappresenta lo snodo per tre diverse linee di trasporto pubblico e viene sfruttata anche da molte auto private. Fino ad ora i risultati sembrano positivi e questo apre un nuovo orizzonte nell’ambito dei lavori pubblici.
Prodotto dalla società MacRebur, che ha sede a Lockerbie, questo asfalto speciale contiene un mix di plastiche riciclate. Per ogni tonnellata di asfalto si usano tra i tre e i dieci chili di materiale di recupero, che servono come agente collante al posto del bitume preso da combustibili fossili.
La società ha ottenuto un milione di sterline attraverso il crowfounding e nel 2016 si è aggiudicata il premio della Virgin di Richard Branson come start up guadagnando un finanziamento da 50mila sterline e una campagna di marketing da 250mila sterline.
Il suo primo intervento sul suolo britannico è stato in Cambria, con un programma di asfaltature da 200mila sterline per l’autostrada A7 nel Lake District, che ha utilizzato l’equivalente di 500mila bottiglie di plastica. Ma la MacRebur ha anche realizzato una strada di servizio al Carlisle City Airport e vanta progetti da completare con i consigli di Fife e Cambridgeshire.
L’intervento di Enfield, però, è il primo nella capitale e anche il primo ad aver ottenuto l’appoggio di Transport for London, il che potrebbe portare ad alzare il tiro dei lavori a anche a una ribalta di tipo internazionale.
Va segnalato che l’idea di riciclare la plastica per costruire strade non è del tutto nuova. La Kws, una società del gruppo edilizio VolketWessel, ha avviato un progetto chiamato Plasticroad, che si basa su principi per certi versi analoghi. A Rotterdam è stata costruita un paio d’anni fa la prima strada modulare con questo sistema, che ricorda una specie di Lego, con strutture fisse fatte in plastica riciclata, che si possono disporre rapidamente e sollevare altrettando velocemente per fare riparazioni e intervenire su perdite di acqua o gas, che invece oggigiorno richiedono blocchi di giorni prima di essere risolti.

sabato 24 marzo 2018

Trovato un gene per riparare il cuore dopo un infarto.

Trovato un gene per riparare il cuore dopo un infarto
Gabriele D'Uva e Mattia Lauriola 

La scoperta è di un team internazionale di scienziati guidato dal ricercatore Gabriele D’Uva, con il contributo di una giovane scienziata dell'Ateneo di Bologna.

BOLOGNA - Identificato un gene chiave capace di riparare il cuore danneggiato da un infarto. A effettuare la scoperta è un team internazionale di scienziati, guidato dal ricercatore italiano Gabriele D’Uva, laureato all'Alma Mater, nel laboratorio del professor Tzahor del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele. Lo studio, pubblicato il 6 aprile sulla rivista Nature Cell Biology (e ripreso oggi in Nature - News & View), ha individuato il motivo per il quale il muscolo cardiaco non riesce a rigenerarsi e scoperto un gene chiave che, una volta attivato, consentirebbe di “aggiustarlo”. Hanno contribuito alla scoperta la dottoressa Mattia Lauriola del dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna, lo Sheba Medical Center (Israele) e l’Università del South Wales.

Durante un infarto miocardico le cellule del muscolo cardiaco muoiono e sono sostituite da tessuto cicatriziale, il quale, non avendo la capacità di contrarsi, determina una funzione ridotta del cuore e spiana la strada per l’insufficienza cardiaca, purtroppo spesso letale. Le "malattie cardiache sono una delle principali cause di morte in tutto il mondo, in parte perché il nostro organo più importante non è in grado di rigenerarsi", spiegano i ricercatori. Gli autori di questo studio hanno scoperto che l’incapacità del muscolo cardiaco di rigenerarsi sarebbe dovuta alla scarsa presenza di un gene, chiamato ERBB2, che è necessario per la proliferazione delle cellule muscolari del cuore durante lo sviluppo embrionale, ma che si riduce drasticamente dopo la nascita.


Trovato un gene per riparare il cuore dopo un infarto

I ricercatori hanno ipotizzato che l’induzione del gene ERBB2 potesse spingere le cellule cardiache del topo adulto a proliferare. Un’idea avvalorata dal fatto che il gene è anche ben noto nel campo dell’oncologia, perché promuove la crescita cellulare in svariati tipi di cancro. “Perché non imparare dai tumori?”  ha suggerito la dottoressa Lauriola – Dopotutto una delle caratteristiche chiave dei tumori è proprio la proliferazione incontrollata”. Si è applicato dunque uno degli stimoli più potenti, responsabile della proliferazione dei tessuti tumorali, in un contesto come quello cardiaco in cui la proliferazione cellulare è pressoché assente.

L’induzione di ERBB2 nel cuore di un topo adulto, grazie a sofisticate tecniche di biologia molecolare, ha infatti determinato la regressione delle cellule muscolari cardiache a uno stadio embrionale. L’effetto è stato cosí forte che ha portato alla “gigantizzazione” del cuore, più grande del normale di 2-3 volte. Successivamente, il team di ricercatori ha riattivato provvisoriamente il gene in alcuni topi che avevano subito un infarto, per il tempo sufficiente a indurre la giusta quantità di proliferazione di cellule muscolari cardiache necessaria per riparare il cuore. Al termine, è emerso che il segnale indotto da ErbB2 era riuscito, nel giro di poche settimane, a rigenerare il muscolo cardiaco.

”Secondo questi risultati, le persone colpite da infarto cardiaco potrebbero migliorare le condizioni del cuore - spiega Gabriele D’Uva - se nel futuro si riuscisse a trovare un modo per aumentare i livelli di ERBB2 nelle cellule muscolari cardiache”. Come? Questa è la sfida successiva, che potrebbe aiutare milioni di pazienti in tutto il mondo.


http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/04/23/news/scoperto_un_gene_chiave_per_riparare_il_cuore_dopo_un_infarto-112643227/

venerdì 23 marzo 2018

Tiziano Renzi non risponde ai pm e se la prende con i giornali: ‘Stop stillicidio, urlo mia innocenza, processatemi ovunque’.

Risultati immagini per tiziano renzi e moglie

I genitori dell'ex premier si avvalgono della facoltà di non rispondere nell'inchiesta che li vede indagati a Firenze per presunte fatture false. L'avvocato del padre dirama una nota in cui Tiziano accusa la stampa, professa la sua innocenza e anticipa che non risponderà mai più ai magistrati: "Non ho niente da temere, non avendo commesso alcuno dei reati che mi sono stati contestati".

Per Tiziano Renzi la colpa è dei giornali. Specie di quelli che hanno raccontato i suoi affari e le indagini dei magistrati nei suoi confronti. La versione del padre dell’ex premier è arrivata oggi, in una lunga nota diramata dal suo avvocato Federico Bagattini. I tempi contano: la lettera di Renzi senior è arrivata dopo che il diretto interessato e sua moglie Laura Bovoli si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande dei pm fiorentini Luca Turco e Christine von Borries, che hanno iscritto i coniugi Renzi nel registro degli indagati ipotizzando il reato di fatture false. Il padre e la madre dell’ex sindaco di Firenze, nella fattispecie, avrebbero dovuto chiarire i loro rapporti con Luigi Dagostino, imprenditore di origini pugliesi molto attivo nel settore degli outlet di lusso ed ex socio di Tiziano Renzi.

Il padre dell’ex segretario del Pd, però, ha deciso di tacere, almeno davanti ai magistrati. Molto articolata, invece, la presa di posizione che emerge dalla nota diffusa dal suo legale. “Da quattro anni la mia vita professionale e personale è stata totalmente stravolta – si è lamentato Tiziano Renzi – Dopo anni di onorata carriera, senza alcun procedimento penale mai aperto in tutta la mia vita nei miei confronti, mi sono trovato improvvisamente sotto indagine in più procure d’Italia per svariati motivi”. I motivi? Per Renzi non ce ne sono: “All’improvviso e del tutto casualmente dal 2014 la nostra vita è stata totalmente rivoluzionata – ha spiegato – da cittadino modello a pluri-indagato cui dedicare pagine e pagine sui giornali. Alla veneranda età di 67 anni confesso la mia stanchezza. Ribadisco con forza e determinazione che non ho mai commesso alcuno dei reati per i quali sono stato – e in alcuni casi ancora sono – indagato“.

Tiziano Renzi, poi, ha passato in rassegna le indagini in cui è coinvolto, rispedendo al mittente le accuse ma non spiegando i motivi della sua convinzione: “Non ho mai fatto bancarotta fraudolenta come finalmente dopo anni di indagine Genova si è stabilito con l’archiviazione del procedimento; non ho mai commesso il reato di traffico di influenza per il quale sono stato messo sotto indagine a Napoli prima e a Roma poi; non ho mai fatto fatture false come si ipotizza a Firenze”. Poi l’appello e l’accusa ai giornali, colpevoli di aver scritto articoli su di lui: “Urlo con forza la mia innocenza che peraltro nessuno ha mai potuto negare in questi anni – ha sottolineato Tiziano Renzi – Ma dopo quattro anni di processi sui giornali con uno stillicidio di anticipazioni, notizie, scoop senza che mai ci sia un solo responsabile per le clamorose e continue fughe di notizie, adesso dico basta. Sono io – ha detto – che chiedo che si facciano i processi. Ma si facciano nelle aule di tribunale, non sui giornali. Ho il dovere di difendere la mia dignità e la credibilità professionale della mia azienda”.
Successivamente Tiziano Renzi ha anticipato quella che sarà la sua strategia processuale: “D’ora in avanti ho deciso che in tutti i procedimenti in cui sono coinvolto mi avvarrò della facoltà di non rispondere – ha spiegato – Non ho niente da temere, non avendo commesso alcuno dei reati che mi sono stati contestati. Ma voglio essere processato davanti alla Giustizia italiana per ciò che ho fatto, non sui giornali per il cognome che porto. Ancora oggi – ha raccontato – dovevo essere interrogato a Firenze e ore prima dell’appuntamento con i magistrati le redazioni dei giornali erano già state allertate”. “Sono un cittadino italiano – si legge ancora nella nota – stupito da ciò che è avvenuto nei procedimenti giudiziari che mi riguardano a cominciare dalla evidente falsificazione di presunte prove nei miei confronti, falsificazione così enorme da suonare paradossale”: chiaro, in questo caso, il riferimento all’inchiesta Consip e alla questione Scafarto. “Ma credo nella giustizia e nelle Istituzioni italiane. E dunque mi auguro che si celebrino i processi – ha detto ancora – Chiedo che si celebrino i processi: quelli in cui sono indagato e quelli in cui ho chiesto risarcimento danni per tutelare la storia professionale mia e della mia azienda. Se devo essere processato, che mi processino. Che mi processino il più velocemente possibile, se possibile. Passerò i prossimi anni della mia vita nei tribunali per difendermi da accuse insussistenti e per chiedere i danni a chi mi ha diffamato. Ma almeno – ha concluso Tiziano Renzi – potrò dire ai miei nipoti che la giustizia si esercita nelle aule dei tribunali e non nelle fughe di notizie e nei processi mediatici“.
Avvalersi della facoltà di non rispondere equivale ad una tacita ammissione dei reati ascritti.
Gli avvocati della difesa, infatti, consigliano di utilizzare questa formula quando temono che l'imputato, rispondendo alle domande della pubblica accusa, possa, in qualche modo, ammettere le colpe attribuitegli per non dichiarare il falso e commettere, per conseguenza, l'ulteriore reato di falsa testimonianza o spergiuro.

Risorge il Cnel con le 48 nomine del governo Gentiloni. - Concetto Vecchio

Risorge il Cnel con le 48 nomine del governo Gentiloni

L'organo consultivo delle Camere e dell'esecutivo in materia economica è sopravvissuto al voto referendario del 2016 e si appresta a riunire il suo parlamentino di 64 esperti. Il presidente Treu: "Tutti a dire che non serve a niente ma poi c'era la fila ad entrare".

Dato per morto durante la campagna referendaria ("voglio essere chiaro sul Cnel: anche basta!", diceva Matteo Renzi prima del voto del 4 dicembre 2016), al punto che a poche settimane dal voto gli uffici di Villa Lubin a Roma erano ingombri degli scatoloni di chi si apprestava a fare un trasloco, risorto nella notte del No, festeggiata con pasticcini e champagne, il Cnel ha celebrato oggi la sua definitiva resurrezione con le 48 nomine varate dal governo Gentiloni in uno dei suoi ultimi atti.
 
L'organo consultivo del Parlamento e del governo in materia economica, che da un anno è retto dal professor Tiziano Treu, che fu ministro del Lavoro nel primo governo Prodi, e ministro dei Trasporti con D'Alema a Palazzo Chigi ("mi sono preso il miglior D'Alema", dice), e che al referendum aveva votato Sì ("ma sul Cnel non ero d'accordo"), quindi riparte: il parlamentino è composto da 64 esperti, dieci dei quali sono di nomina del Quirinale e i rimanenti sei dal Terzo Settore. Ridefinite le regole d'ingaggio: niente stipendi, solo un rimborso spese per chi non vive nella Capitale.
 
Quella del governo Gentiloni è una presa d'atto, nel senso che i nomi sono tutti indicati dalle varie organizzazioni sociali o sindacali. Nel giugno scorso le nomine erano già state decise, ma a quel punto piovvero una trentina di ricorsi di chi si era sentito escluso. "Tutti a dire che non serve a niente - fa notare Treu - ma poi c'era la fila ad entrare". Per sbrogliarne la matassa l'avvocatura di Stato è stata costretta a occuparsene per nove mesi.
 
"C'è la corsa dei renziani a farne parte", denunciava giorni fa il neosenatore leghista Alberto Bagnai. "Suvvia", dice Treu. "E' tutta gente competente, di cui non si conosco la casacca politica. Un tempo ci parcheggiavano i dinosauri, quel tempo è passato. E fa i nomi di alcuni esperti nominati oggi: l'ex ministro montiano Mario Catania; Paolo Peluffo, già sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio con Monti; l'ex presidente dei giovani industriali, Marco Gay; Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil.
 
Il Cnel, la notte del 4 dicembre 2016, fu al centro di molti commenti ironici sui social, dopo che il 60 per cento degli italiani si era espresso a favore del No, a dispetto degli allarmismi di Renzi, che aveva quantificato "in un miliardo in 70 anni", il costo dell'organismo per le casse pubbliche.


http://www.repubblica.it/politica/2018/03/21/news/nomine_cnel_treu-191878843/

Leggi anche: 
http://www.corriere.it/elezioni-2018/notizie/cnel-nomine-dell-ultimo-istante-faeef6e2-2d48-11e8-af9b-02aca5d1ad11.shtml

LO SCONFITTO RENZI VUOLE PIAZZARE LA BOSCHI IN VIGILANZA RAI E LOTTI AL COPASIR, LA COMMISSIONE SUI SERVIZI SEGRETI: IL GIGLIO MAGICO NON È AFFATTO APPASSITO E CONTA SULLE POLTRONE RISERVATE ALL’OPPOSIZIONE PER MANTENERE IL POTERE. NONOSTANTE 4 BATOSTE ELETTORALI CONSECUTIVE.




Maurizio Belpietro per La Verità.


Quattro batoste possono bastare? A quanto pare no. Perdere due capoluoghi di regione, tra cui la capitale d' Italia, un referendum, una quarantina di Comuni, tra cui città amministrate dalla sinistra fin dal 1946, e dimezzare i voti evidentemente non è ancora ritenuto sufficiente per arrendersi. E così, non avendo compreso bene la lezione uscita dalle urne, i renziani si apprestano a ripartire, come se il 4 marzo non fosse successo niente di preoccupante.

renzi boschi
Renzi Boschi

Altro che Giglio magico appassito. Approfittando della primavera, dalle parti di Firenze l' ex presidente del Consiglio e i suoi fedelissimi sono pronti a sbocciare di nuovo. Dopo essersi dimesso dalla carica di segretario del Pd, Renzi lavora infatti per mantenere il controllo del partito, dettandone la linea e impedendo che Maurizio Martina corregga le direttive da lui imposte al momento dell' addio.

Così, se il vicesegretario reggente apre alla possibilità che, su richiesta del presidente della Repubblica, il Pd appoggi un esecutivo con i 5 stelle, l' ex premier chiude e lancia l' idea di un referendum tra gli iscritti. Una consultazione che rischierebbe di arrivare fuori tempo massimo e dunque a giochi conclusi.
Che poi è proprio quello che Renzi vuole, ossia lasciar fare agli altri, a pentastellati e leghisti, affinché con il passare dei giorni si brucino o peggio siano costretti a mettersi insieme.

tiziano renzi luca lotti
Luca Lotti Tiziano Renzi

Tuttavia non è solo l' ex segretario a prepararsi a rifiorire, pronto anche a fondare un proprio partito o una propria corrente che almeno nel nome scopiazzi il movimento di Emmanuel Macron. No, a rialzare i petali si preparano tutti i renziani. Non hanno ancora mollato le poltrone occupate in questi anni che già si preparano a coprirne altre. La più lesta di tutti a quanto pare è l' ape regina del Giglio magico, Maria Elena Boschi, che si appresterebbe a volare sul bocciolo della Rai.

Per lei il Pd sarebbe pronto a chiedere la presidenza della commissione di vigilanza sulla televisione pubblica, poltroncina da sempre riservata a un esponente dell' opposizione. Depositare le zampette sull' organo di controllo di Viale Mazzini, garantirebbe, anche senza essere in consiglio di amministrazione, una presa sull' informazione oltre che una discreta visibilità.

RENZI LOTTI
 Renzi Lotti

Il prossimo governo dovrà fare i conti con l' occupazione renziana del servizio pubblico e avere una postazione come quella della presidenza della commissione di vigilanza potrebbe consentire di tenere sotto tiro le operazioni di smantellamento del sistema di potere.

Ma se l' ape regina punta sul polline Rai, per un altro petalo del Giglio magico si aprirebbe la strada del Copasir, ovvero del comitato parlamentare che ha il compito di controllare l' operato dei servizi segreti. Il delicato incarico, che anche in questo caso per prassi spetta all' opposizione, farebbe gola al ministro dello Sport, Luca Lotti. Già nel dicembre 2017, allorquando Renzi fu costretto dalla legnata referendaria a passare il testimone a Paolo Gentiloni, Lotti aveva provato a farsi assegnare le deleghe sugli 007, ma l' operazione non era riuscita.

Marco Carrai con Matteo Renzi
Marco Carrai con Matteo Renzi

Un po' perché un ministro dello Sport che oltre a occuparsi di calciatori abbia le mansioni di tener d' occhio le spie avrebbe rappresentato un' anomalia nel pur insolito panorama politico italiano. E un po' perché lasciare nelle mani di un fedelissimo di Renzi il controllo sulle agenzie di sicurezza era come delegare a un segretario di partito una delle attività più delicata della Repubblica. Risultato, Lotti si dovette accontentare di seguire, oltre allo sport, anche l' editoria e il comitato di programmazione economica.

carrai renzi cybersecurity 5
Carrai Renzi Cybersecurity 5

E il suo mentore, che quand' era a Palazzo Chigi provò a mettere alla guida della cybersicurezza il suo prestacasa, ossia l' imprenditore Marco Carrai, fu costretto al secondo passo indietro. Oggi però Lotti, e dunque Renzi, ritentano il colpo, sperando di riuscire a mettere le mani sul comitato. Ci riusciranno? Difficile rispondere. Di certo Renzi e i suoi nel Pd contano ancora molto. In Parlamento l' ex segretario ha fatto entrare solo uomini di fiducia e in direzione anche. Dunque rovesciare i rapporti di forza non è semplice e per farlo ci vuole tempo.

Insomma, serve pazienza. Per ora prepariamoci a vedere risbocciare il Giglio magico. Il virgulto sarà probabilmente meno infestante di prima, ma per estirparlo serve il diserbante di un' altra batosta.

Gruppo Espresso, i vertici sono indagati per truffa milionaria all’Inps. - Luciano Cerasa e Valeria Pacelli


Corrado Corradi, Monica MondardiniRoberto Moro

Le accuse - Coinvolta Mondardini, oggi Ad di Gedi. I pm: pensioni anticipate per milioni di euro a dirigenti che erano privi del diritto.

Il cuore del Gruppo Gedi, la società che edita il quotidiano Repubblica e il settimanale L’Espresso (estranei alla vicenda), finisce sotto inchiesta. Truffa ai danni dell’Inps è il reato che la Procura di Roma contesta all’amministratore delegato Monica Mondardini, al direttore delle Risorse umane Roberto Moro e a Corrado Corradi, capo della Divisione Stampa Nazionale. Per questo ieri i finanzieri sono entrati nelle sedi della Gedi – il gruppo che oggi edita anche La Stampa di cui è presidente onorario Carlo De Benedetti, presidente il figlio Marco – e della Manzoni Spa, la concessionaria di pubblicità del gruppo editoriale, per acquisire documentazione relativa al prepensionamento concesso, secondo la Procura senza averne diritto, ad alcuni dirigenti di nove società del gruppo.
Il punto è questo: il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Francesco Dall’Olio sospettano che per far ottenere il prepensionamento, ossia il riposo anticipato, ad alcuni dirigenti che non avevano accesso al beneficio, siano stati utilizzati alcuni escamotage come il demansionamento a quadri o i trasferimenti. Da ciò la presunta truffa di milioni di euro. Le contestazioni riguardano fatti dal 2012 a oggi. L’indagine – che ora crea qualche grana al gruppo che nel 2016 vantava 705 milioni di euro di ricavi e 11,9 milioni di utili – nasce da un’informativa dell’Ispettorato del lavoro che evidenzia le anomalie nell’ottenimento dei benefici dei prepensionamenti, e che è stata inviata in Procura.

Le ispezioni della Direzione Vigilanza dell’Inps, da cui si sono avviate le indagini della Procura di Roma, hanno avuto impulso da una notizia del Fatto del settembre 2016, in cui si riportava il carteggio interno tra la presidenza, la direzione generale e alcune direzioni dell’Istituto scaturito da alcune email di denuncia, inviate al presidente Tito Boeri a partire dal maggio precedente. Una figura evidentemente a contatto con la società editoriale e poi ascoltata dagli inquirenti capitolini, segnalava a Boeri una presunta truffa per decine di milioni di euro ai danni dell’Inps operata dal gruppo editoriale tra il 2012 e il 2015.
La questione si rimpalla per diverso tempo tra gli uffici fino a quando Boeri decide di inviare una ricostruzione di quanto accertato dalle sue direzioni al ministero del Lavoro e incarica il direttore generale pro tempore, Massimo Cioffi – dimessosi di lì a poco per i forti contrasti con il presidente sulla gestione dell’Ente –, di stendere una lettera da inviare al ministro del lavoro, Giuliano Poletti. In questa lettera, Cioffi racconta che in occasione di due operazioni di ristrutturazione aziendale – la prima che si è conclusa nel 2012 e la seconda nel 2015 –, la società Manzoni Spa avrebbe chiesto 117 esuberi: poco prima lo stato di crisi però aveva assunto altro personale, proveniente – ipotizza l’Inps –, da società appartenenti al medesimo gruppo e in qualche caso anche dall’esterno.

Cioffi scrive così che nell’ambito dei citati 117 esuberi sono stati segnalati all’istituto 7 nominativi di dirigenti, trasformati in quadri per poter essere prepensionati.
Sempre secondo le segnalazioni pervenute all’Inps, tutti i dipendenti assunti non sarebbero neppure usciti dalle aziende di origine. Dalla banca dati ministeriale delle comunicazioni obbligatorie sono emerse 248 segnalazioni di inizio di attività lavorativa nei 4 mesi che hanno preceduto la dichiarazione di esubero e la conseguente messa in cassa integrazione straordinaria dei dipendenti, con il prepensionamento di poligrafici e giornalisti.
Tra il 2011 e il 2015 sono stati concessi per decreto ministeriale al gruppo editoriale Gedi e alla Manzoni spa 187 prepensionamenti di poligrafici e 69 di giornalisti, mentre per altri 554 lavoratori sono stati attivati contratti di solidarietà. Il direttore dell’Inps accludeva anche la scheda di ciascuno dei dirigenti che sarebbero stati demansionati a quadro per permettere loro di accedere al pensionamento anticipato.

L’iniziativa di Cioffi arrivava dopo una serie d’informative interne che gli organismi centrali e regionali dell’Inps si scambiano fin dall’aprile del 2012. Tra silenzi e solleciti di verifiche, il rimpallo all’interno dell’istituto va avanti da anni. Le ispezioni avviate hanno investito anche altri gruppi editoriali, come la Mondadori, il gruppo Riffeser e del Sole 24 Ore (gruppi estranei all’indagine).
A dare notizia della presenza dei finanzieri nelle proprie sedi, ieri, è stato lo stesso gruppo Gedi. “L’ufficio del personale del Gruppo – scrivono in una nota – sta fornendo piena collaborazione agli inquirenti per consegnare copia dei fascicoli dei dipendenti demansionati e trasferiti. La Società fa sapere di avere piena fiducia nell’operato della magistratura e si dice certa di dimostrare la assoluta regolarità delle pratiche di accesso alla cassa integrazione e al prepensionamento”.