sabato 26 gennaio 2019

Deportazione. Ieri, oggi.

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Oggi.

E l'occidente che sfrutta gli africani a casa loro diciamo le cose come stanno realmente.

I Bambini di Llullaillaco vennero a lungo Drogati prima del loro Sacrificio Rituale. - Annalisa Lo Monaco


Il Vulcano Llullaillaco


Nel 1999, tra le fredde e ventose vette della Cordigliera delle Ande che segnano il confine tra Cile e Argentina, in cima al Vulcano Llullaillaco, furono trovati i resti mummificati di tre bambini, morti circa 500 anni fa, in ottimo stato di conservazione.
La spedizione, guidata dal Professor Johan Reinhard, era partita proprio alla ricerca dei luoghi dove gli Inca sacrificavano i bambini durante cerimonie rituali. L’impresa non era certo agevole: il team fu costretto a trascorrere circa un mese a bassa quota sulla montagna, per acclimatarsi, salendo verso la cima a tappe, e affrontando condizioni climatiche estreme, con temperature anche di 40 gradi sotto zero, e venti impetuosi. Arrivati a 6.600 metri di altezza, dopo una tempesta durata quattro giorni, Reinhard e la sua squadra avevano quasi deciso di rinunciare, quando trovarono un sentiero dove c’erano tracce di un passaggio umano, il percorso verso il luogo di sepoltura dei tre bambini:
La doncella, la niña del rayo ed el niño
La “doncella”aveva 13/15 anni quando andò incontrò alla morte, mentre i suoi compagni “el niño”, e la “niña del rayo” (la bambina del fulmine) avevano tra i 4 e i 5 anni di età.
Analisi radiologiche e del DNA, effettuate nel 2012, hanno rivelato alcuni dettagli sorprendenti: i bambini erano stati drogati e avevano consumato alcool durante l’anno precedente al sacrificio, nel corso delle fasi rituali che lo precedevano.

Frammenti di foglie di coca fra i denti della “Doncella”

Le tre vittime avevano masticato foglie di coca e bevuto birra di mais, secondo le analisi di campioni dei loro capelli. I ricercatori hanno anche scoperto che i bambini provenivano probabilmente da famiglie contadine, perché risulta che abbiano consumato soprattutto verdure comuni fino a quando non furono scelti per il sacrificio. In seguito, e fino alla morte, seguirono una dieta solitamente riservata alle classi privilegiate, nella quale erano presenti mais e carne di lama. Questa pratica è confermata anche dai resoconti storici, secondo i quali i bambini erano accuratamente selezionati in tutto il vasto territorio dell’impero, anche in base alla loro perfezione fisica, e poi seguiti attraverso un percorso di purificazione durante il quale partecipavano a una serie di cerimonie sacre, prima di essere sacrificati.
Le analisi hanno rivelato che i bambini furono trattati in maniera diversa: la “doncella” aveva seguito una dieta elitaria e consumato coca e alcool nei 21 mesi precedenti la sua morte, mentre i bambini più piccoli avevano cambiato abitudini alimentari soltanto nove mesi prima del loro sacrificio.
La coca era usata comunemente per tollerare gli effetti dell’altitudine dalle persone che frequentavano queste vette
La ragazza più grande si distingue anche per il modo in cui era vestita e pettinata: aveva un copricapo di piume e i capelli elaboratamente intrecciati, oltre che numerosi manufatti di seta posti su un drappo appoggiato sulle sue ginocchia.

El niño

I risultati dello studio suggeriscono che il bambino di Llullaillaco non ebbe una morte pacifica: sui suoi vestiti fu trovato sangue e vomito, segno che forse morì soffocato, mentre era strettamente avvolto in un panno, cioè legato, l’unica vittima a ricevere un trattamento apparentemente violento.
La niña del rayo, chiamata così perché fu probabilmente colpita da un fulmine, dopo la sepoltura, aveva la testa e una parte del corpo avvolti in una coperta di lana spessa, cui era sovrapposta un’altra coperta colorata.
Andrew Wilson, archeologo dell’Università di Bradford nel Regno Unito, spiega perché la doncella fu trattata in modo diverso rispetto ai suoi compagni più giovani: “La doncella era forse una donna scelta per vivere in modo totalmente diverso dalla sua vita precedente, tra l’élite e sotto la cura delle sacerdotesse”.
Sotto, la replica della giovane ragazza al “Museo Nacional de Historia Natural” di Santiago in Cile:
Questo tipo di pratica sacrificale era probabilmente usata come una forma di controllo sociale: essere scelti per i riti sacrificali doveva essere visto come un grande onore, ma probabilmente era anche fonte di paura, con i genitori che non dovevano mostrare timore o rabbia se i loro figli venivano scelti. Forse ulteriori studi delle tre mummie congelate di Llullaillaco forniranno una maggiore comprensione del sacrificio rituale.
Dal 2007 le tre mummie sono esposte al Museo de Arqueología de Alta Montaña, a Salta, in Argentina, in un territorio che faceva parte dell’impero Inca, fino a che non crollò sotto la conquista degli spagnoli, nel 1530. I discendenti del fiero popolo degli Inca vedono nella riesumazione e nell’esposizione delle mummie un affronto alle loro tradizioni religiose e culturali: il vulcano Llullaillaco è ancora una montagna sacra per loro, che non andrebbe profanata.


La Casta fa autocritica e si autoassolve. - Marcello Veneziani

Da diversi giorni su la Repubblica va in scena il teatrino dell’assurdo: la Casta spiega al popolo perché ha perso e perché hanno vinto i loro nemici. Fanno autocritica perché non accettano critiche, gli unici abilitati a criticarli sono sempre loro stessi. Hanno la presunzione di sapere solo loro come sono andate effettivamente le cose, perfino la loro sconfitta la capiscono solo loro che l’hanno pur causata, almeno in buona parte. La loro autocritica esclude il presupposto di ogni serio bagno di umiltà: ascoltare. Ascoltare gli altri, ascoltare chi ha vinto e chi ha decretato la vittoria dei populisti e dei sovranisti, ascoltare la gente, ascoltare chi già prima del collasso spiegava le ragioni del cambiamento in corso. Macché. Gli altri non esistono, non hanno diritto di parola, sono plebe, o fascisti, reazionari, sovranisti o loro complici. La stessa cosa ha fatto il Pd.
Ma tutta questa presunzione – che il loro Papa laico definisce in modo altrettanto presuntuoso come “albagia” (Eugenio Scalfari dixit di Sé stesso, col Sé maiuscolo) per non confonderla con la volgare arroganza – spiega il crollo delle élite molto più di quanto si possa immaginare.
Infatti cosa si può rimproverare alle élite, il fatto di esistere e dunque per ciò stesso di tradire la democrazia, cioè l’autogoverno del popolo? Ma no, questo è lo schema puerile, simil-rousseauviano, di chi crede alla favola della democrazia diretta. C’è sempre stato un governo d’élite, non si conoscono paesi e sistemi politici in cui i governati coincidano coi governanti, nemmeno a rotazione, e tutto si decide a colpi di referendum e di plebiscito, persino le manovre economiche si fanno al balcone e poi si firmano in piazza tra bandiere, abbracci e tric-trac.
Il problema vero, la malattia del sistema, è che non si sono viste in campo  le élite, al plurale, in competizione tra loro, come si addice a una vera democrazia, ma una sola oligarchia, un blocco di potere compatto e uniforme benché ramificato.
I teorici delle élite, da Mosca a Pareto, parlavano di circolazione delle elite, per loro la storia è un cimitero di aristocrazie; sono le minoranze che governano, ma sono minoranze in competizione, che si rinnovano.
Da noi invece è avvenuta la stipsi delle élite. O se preferite una metafora meno cacofonica, l’arteriosclerosi delle élite, l’indurimento delle arterie che non consentivano la loro fluida circolazione. Si formano i trombi nel sangue e i tromboni nella società. E fermano il flusso. È lì che la classe dirigente si è chiusa a riccio, diventando solo classe dominante, e casta sovrastante.
Non c’è stata circolazione, non c’è stata competizione tra élite divergenti, e non c’è stato filtro selettivo per consentire il ricambio tramite la meritocrazia. Si è bloccato l’ascensore sociale, si è chiuso l’accesso dei capaci e dei meritevoli. Si accedeva alle élite solo per cooptazione, per affiliazione alla cupola elitaria, per conformità di idee, metodi, linguaggi e idolatrie.
Ma per avere circolazione, selezione, competizione, devi ammettere che non esista solo un Modello, una via di sviluppo, un solo codice politico, culturale e ideale. Devi accettare le differenze e il vero antagonismo.
E invece chi non era conforme a quella precettistica, era messo fuori legge, fuori sistema, si poneva di volta in volta fuori dalla modernità, dalla democrazia, dall’Europa e in certi casi perfino fuori dall’umanità. Poi non si spiegano perché l’odio sia diventato un fatto sociale diffuso. Dopo aver insegnato Odiologia verso chi dissentiva dal loro canone, non potete poi meravigliarvi se la gente ha ricambiato, magari con la rozzezza dovuta a chi è carente di cultura e buone maniere. D’altra parte la buona educazione, dal ’68 in poi, fu cancellata e se non sbaglio da quella storia provenite pure voi. Una società volgare, sboccata, primitiva, nasce proprio da quella “liberazione”, dal mancato nesso tra diritti e doveri, che dal ’68 in poi è diventato il discorso dominante (“il diritto di avere diritti”). Ora, non dico che quel che è accaduto sia solo colpa della casta: anche dalla parte opposta si è fatto poco per far crescere e formare élite adeguate, qualificate e competitive. Però negando ogni cittadinanza alle idee diverse, ai modelli politici e culturali diversi, riducendo tutto a fascismo e paraggi, e soprattutto negando perfino l’esistenza di chi la pensava diversamente perché chi divergeva non poteva avere pensiero, hanno di fatto avallato il loro essere un Blocco Unico e Chiuso, che si autoriproduce.
A differenza loro, io per esempio leggo Ezio Mauro e Alessandro Baricco, Michele Serra e Ilvo Diamanti, Eugenio Scalfari e altre loro firme culturali, e ne apprezzo in generale la qualità intellettuale. Li critico, polemizzo. Per loro invece, chi non la pensa come loro o è una bestia o non esiste. Poi non si sanno spiegare perché alla fine parlano solo tra loro e a Sé stessi, col sé maiuscolo, dimenticando il mondo. Che alla fine fa volentieri a meno di loro, o si rivolta contro di loro.
MV, La Verità 15 gennaio 2019

venerdì 25 gennaio 2019

Il popolo sono me- Marco Travaglio

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Se non lo vedessimo sovente in tv o in fotografia, ma ne leggessimo soltanto i pensieri leggermente retrò, il professor Sabino Cassese ce lo immagineremmo con la parrucca bianca e il codino infiocchettato, il volto impomatato e il neo finto sotto il nasino, o meglio ancora con la tuba sul capo, la redingote un po’ lisa a coda di rondine, il panciotto con l’orologio a cipolla incatenato, il monocolo o gli occhialini a pince-nez, le babbucce di velluto cremisi misura 46-47 per tener comoda la gotta. Un perfetto cicisbeo del 7-800, di quelli che rientrarono a corte un po’ anchilosati, col girello e la flebo, dopo il Congresso di Vienna al seguito dei sovrani deposti dalla Rivoluzione e da Napoleone. Invece pare che il nostro sia un contemporaneo, anche se dalle sue recenti uscite non si direbbe: da quando il popolo (per non dire volgo, plebaglia, feccia) ha smesso di votare come dice lui, non passa giorno senza che l’arzillo misirizzi ci renda partecipi della sua diffidenza verso il suffragio universale, spaziando dal Corriere al Sole, dal Foglio a Repubblica, per tacer dei talk. L’estate scorsa fu tarantolato dall’improvvisa urgenza di dimostrare a edicole unificate che non era colpa di Autostrade se a Genova era crollato un ponte gestito da Autostrade su 43 cadaveri. E dunque guai se il governo avesse rinazionalizzato quel bene pubblico regalato alla Sacra Famiglia Benetton. Non gli faceva certo velo il fatto di aver seduto nel Cda di Autostrade dal 2000 al 2005, per 700 mila sudati euro tra gettoni di presenza e consulenze. La sua era una posizione ideale, sentimentale.

Ora, a levargli il sonno, è la riforma Fraccaro del referendum propositivo, che invece gli piaceva tanto quando la varò il governo Renzi col ddl Boschi-Verdini (che però si limitava a prometterla, rinviando tutto a una legge costituzionale tutta da scrivere), poi bocciato dagli italiani per tutt’altri motivi il 4 dicembre 2016. Intervistato da Repubblica, è “positivamente” sorpreso dal fatto che i 5Stelle abbiano “udito” degli “esperti” e il governo “cominci a rispettare la competenza”: si era fatto l’idea che questi aborigeni fossero fermi alla clava, alla pietra focaia e ai segnali di fumo dalle loro palafitte. Invece hanno addirittura accolto vari emendamenti delle opposizioni sul quorum. Ma questo non basta a restituirgli il sonno, perché purtroppo nei referendum, come del resto nelle altre elezioni, non votano solo lui e gli amici del circolo della canasta: vota nientemeno che “il popolo legislatore”. E questo è un bel guaio. Perché accade sempre più spesso che lui gli dica (al popolo legislatore) di votare in un modo e quello voti in tutt’altra maniera. Per sfregio.

In democrazia, di solito, il popolo ha sempre ragione, anche quando dà torto a Cassese. Invece, per Cassese, il popolo ha ragione solo quando dà ragione a lui. “Come assicurare quegli errori madornali che il popolo può fare (vedi la Brexit)?”, si domanda svegliandosi tutto sudato dal solito incubo. Un bel problema, non c’è che dire. Lui gliel’aveva detto, agli inglesi, di votare Remain. E quelli, dispettosi, gli han votato Brexit. Bisogna assolutamente “introdurre qualche limite esplicito (ad esempio di materia o relativo ad alcuni diritti indisponibili) per evitare errori che l’abuso dei referendum ha prodotto in California, per esempio”. Già, perché pure quelle merde dei californiani hanno l’abitudine di non leggere Cassese o, se lo leggono, di fare l’opposto. Dunque: dicesi “errore madornale” o “abuso dei referendum” quando il voto disattende le aspettative di Cassese; e dicesi “diritto indisponibile” qualsiasi cosa stia a cuore a Cassese. Purtroppo il referendum presenta altre controindicazioni: tipo il “carattere necessariamente dicotomico (si risponde solo sì o no)”: ma tu pensa. Ergo bisogna assolutamente prevedere altre caselle sulla scheda: “Boh”, “Ni”, “Forse”, “Magari”, “Casomai”. Ma non è finita: “quale effetto questo avrà sull’ipertrofia legislativa italiana, senza un limite alle leggi popolari?”. Giusto: siccome abbiamo già chi dice 150 mila, chi 300 mila leggi, tutte fatte dal Parlamento, come si può permettere al popolo legislatore di aggiungerne 3 o 4 all’anno? E “come possono promotori e popolo indicare i mezzi per farvi fronte?”. Non sia mai che facciano “come gli emendamenti di bilancio di Rifondazione comunista, che indicava sempre l’introduzione di un’imposta patrimoniale”: si rischierebbe una tassa equa, che prenda ai ricchi anziché ai poveri, Dio ne scampi.

E poi va tutelato il Parlamento “da tempo sotto attacco”: per i decreti e le fiducie a raffica degli ultimi 5-6 governi? No: “si pensi alla questione dei vitalizi”. In effetti applicare ai parlamentari le regole pensionistiche che essi hanno imposto ai non parlamentari è un attacco al Parlamento. E, se il nuovo governo fa le sue nomine senza consultare o nominare Cassese, è “occupazione dello Stato”. E se Di Maio accusa Bankitalia, che sbaglia sempre le previsioni, di sbagliare sempre le previsioni, è “meno democrazia”. E se si blocca un’opera inutile da 15-20 miliardi come il Tav, “ci vuole una partecipazione dei cittadini alle grandi decisioni collettive”. Cioè un bel referendum, che in quel caso – e solo in quello – non sarebbe un “errore madornale” tipo Brexit né un “abuso” tipo California. Ma solo se poi si vota come vuole lui. Se no, è nullo. Per evitare inutili equivoci e risparmiare centinaia di milioni a ogni referendum, basta un emendamento semplice ed efficace di due soli commi. Cassese non osa proporlo per un fatto di eleganza, ma si vede che ci tiene: “1. Hanno diritto al voto tutti i giudici costituzionali emeriti nati ad Atripalda (Av) il 20.10.1935 e nomati Sabino Cassese. 2. Sulla scheda, in luogo delle caselle per il Sì e il No, ne comparirà una sola con la dicitura ‘Come vuole Cassese’”.

Il documentario RAI che ti spiega semplicemente come la Francia stia ammazzando l’Africa ed i suoi abitanti.



Franco CFA: il paradosso africano della moneta forte in un’economia debole, nel servizio di Filippo Barone il neocolonialismo finanziario francese ai danni dei paesi francofoni dell’Africa sub sahariana. 

Fotografia Brenno Maria Marcellini.

https://cosaesuccessoogg.blogspot.com/2019/01/il-documentario-rai-che-ti-spiega.html

Fotografato per la prima volta il buco nero al centro della Via Lattea. - Francesco La Teana

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La parte centrale della nostra galassia, la Via Lattea, come la riprende nel vicino infrarosso lo strumento Naco del Vlt (Very Large Telescope) dell’Eso. Crediti: Eso/S. Gillessen et al. via Inaf.

Essendo nascosto da nuvole di polvere e gas finora non era stato possibile ottenerne immagini nitide. Ora un gruppo di astrofisici,  grazie a nuove tecniche di osservazione, è riuscito ad aprire la strada al suo studio diretto.


Il buco nero denominato Sagittario A* (Sgr A*) situato al centro della nostra galassia rappresenta uno degli obiettivi più promettenti per lo studio della dinamica dei buchi neri, grazie alla sua relativa poca distanza da noi. Fino ad ora però è sempre stato estremamente elusivo, perché nascosto da grandi nuvole interstellari che ne coprono la visuale. Tanto che la sua stessa esistenza è stata più volte messa in discussione.

I dati in nostro possesso indicano che al centro della Via Lattea vi è un oggetto ipotetico chiamato Sagittario A*, rivelato dalla fortissima emissione tipica dei buchi neri supermassivi nel campo delle radiofrequenze, che dovrebbe avere, per giustificare tale emissione, una massa pari a circa 4 milioni di masse solari e distante da noi 8,1 chiloparsec, pari a 250 mila miliardi di chilometri.

Con la tecnica denominata Interferometria a base molto ampia (Very Large Baseline Interferometry - VLBI) è stato possibile ad una nutrita pattuglia di ben 44 scienziati ottenere una risoluzione doppia di quella raggiungibile in precedenza ed è stato possibile ottenere le prime immagini di Sgr A*. La diffusione della luce rende sfocate e distorte le immagini, però 
ha consentito di definire le proprietà esatte dell'oggetto.

I primi risultati, pubblicati sulla rivista The Astrophisical Journal disponibile per ora solo in preprint dal gruppo di ricercatori soprendentemente guidato da una studentessa, Sara Issaoun, che sta studiando per il suo Ph.D. presso la Radboud University Nijmegen nei Paesi Bassi, consentono di affermare che l'oggetto è contenuto in un angolo molto piccolo e l'area occupata è molto inferiore a quanto stimato in precedenza e presenta una certa simmetria. La maggior parte delle emissioni radio proviene da un angolo di soli 300 milionesimi di grado (come guardare una mela sulla Luna dalla Terra).

Un fatto sufficiente a porre i primi problemi. Infatti, se si considera il modello attualmente accettato, nei dintorni di un buco nero vi è un disco di materia (disco di accrescimento), che forma un vortice intorno ad esso, in attesa di venirne risucchiato, mentre in direzioni opposte si genera un fortissimo e luminosissimo getto di materia ed energia che raggiunge grandi distanze. Quindi i buchi neri, invece che neri, in realtà appaiono come considerevoli e luminosissimi oggetti che occupano vaste aree.

Sgr A* sembrerebbe quindi rappresentare un'eccezione. Le ipotesi degli autori sono due: o il getto è inefficiente dal punto di vista radiativo (quindi emette poca radiazione e non risulta visibile) oppure può darsi che il getto radio punti verso la nostra direzione e quindi non lo vediamo esteso su un'area vasta, ma racchiuso. In tal caso, che è quello scelto dagli autori, il fatto che appaia piccolo non implica necessariamente che si tratti di un oggetto piccolo, ma solo che lo vediamo di fronte, dalla parte del getto, che punta verso di noi.

La tecnica utilizzata prevede l'uso di una rete di telescopi sparsi in tutto il mondo. Sono stati utilizzati l'impianto ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), posto sulle Ande cilene dall'ESO (European Southern Observatory), un telescopio, composto da 66 antenne di alta precisione, disseminate a distanze che raggiungono i 16 chilometri, costruito per analizzare la luce compresa tra lunghezze millimetriche e submillimetriche, fra l'infrarosso e le onde radio. Ad Alma è stato aggiunto il Global VLBI Array, una rete di telescopi e antenne situate in Spagna, Francia, Germania, Svezia e Finlandia. Tutti questi telescopi, in fase tra di loro, hanno osservato contemporaneamente Sgr A*, in modo da formare un radiotelescopio grande quasi quanto la Terra, permettendo, come abbiamo detto, di raggiungere una risoluzione doppia rispetto alle precedenti osservazioni nella stessa frequenza.