giovedì 9 maggio 2019

La corruzione è come la tosse. Se non la curi tossisci tutta la vita. - Antonello Caporale

La corruzione è come la tosse. Se non la curi tossisci tutta la vita

Un male endemico è una malattia cronica. Resta appiccicata nel corpo e spunta, ogni volta che le difese immunitarie si abbassano, con il suo malefico buongiorno. Ieri e oggi, e credo nelle giornate che seguiranno, troveremo un po’ ovunque racconti e foto di corruzioni e corrotti, presunti o reo confessi, indagati o solo ingaggiati, di gran mole o di piccolo taglio, del nord lombardo e del sud calabrese. Sono casi che a noi suonano come conferma, non tolgono e non aggiungono a quel che siamo e sappiamo. Tutto uguale a prima. Dov’è la sorpresa? Qual è la sorpresa?
E’ proprio questa indiscutibile e indolente osservazione a doverci fare paura. Perché questa resa al destino è musica per le orecchie di chi seleziona la classe dirigente.
Perché si fa più fatica a convincere una persona onesta e capace a impegnarsi nella gestione della cosa pubblica. Invece lo scaltro, il furbo (o peggio) è lì che sgomita, pronto a far sognare. Elettoralmente fa più audience il secondo che il primo, è prediletto dal popolo chi ha fatto fortuna, a prescindere da come essa si sia costruita. In campagna elettorale valgono le emozioni, le parole, ma di più le promesse. Lo scaltro, e fermiamoci a questo aggettivo, è più performante: giura di arrivare, perché conosce le persone giuste, non per niente è uomo di mondo, dove altri non potrebbero.
Nella naturale selezione dei vincitori e dei vinti i vizi hanno la meglio sulle virtù e per merito nostro non loro. Cosicchè tutto torna normale quando leggiamo, o ascoltiamo o vediamo incastrate in qualche microspia una o più bustarelle. E che sarà mai? Sarà, per dirla in soldoni, che la corruzione fa deragliare un sacco di soldi, e con essi una mole infinita di opportunità. La prima di esse: il lavoro. E la corruzione è consorella della evasione fiscale, perché è figlia di un sistema di controlli corrotto, e l’evasione è la tassa sui poveri da parte dei ricchi.
Ma i poveri, essendo più numerosi dei ricchi, potrebbero far valere nell’urna i loro diritti, e scegliere il diritto al posto del rovescio.
Però se ne scordano. Al più – dopo essere stati uccellati – bestemmiano.

mercoledì 8 maggio 2019

Palermo, tangenti in appalti: 4 arresti. Per 8 imprenditori scatta il Daspo per 12 mesi previsto da legge Spazzacorrotti.

Palermo, tangenti in appalti: 4 arresti. Per 8 imprenditori scatta il Daspo per 12 mesi previsto da legge Spazzacorrotti

Le indagini sono cominciate grazie alla denuncia di un imprenditore edile: il sistema prevedeva pagamenti ai funzionari pari al 2-3% del valore del finanziamento pubblico per la costruzione di scuole e altre opere. Attraverso spese fittizie, poi, riuscivano a recuperare i soldi delle mazzette. Applicato il nuovo articolo 289-bis del ccp: la misura cautelare che prevede il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Truccavano gli appalti pubblici finanziati con fondi del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in particolare per l’edilizia scolastica, chiedendo varie tangenti con un importo che  corrispondeva circa al 2-3 per cento del valore del finanziamento statale. Questo è emerso dalle indagini che questa mattina hanno portata la polizia di Palermo ad arrestare 4 funzionari del Provveditorato opere pubbliche ed eseguire altre 10 misure cautelari nell’ambito dell’operazione denominata “Cuci e Scuci”. Tra gli indagati anche 8 imprenditori. Per loro è stata disposta per la prima volta a Palermo, e tra le prime in Italia, la misura del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per 12 mesi: il provvedimento cautelare previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrottila norma approvata nel dicembre 2018 e fortemente voluta dal M5s.

I 14 indagati dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di corruzione, falso in atti pubblici e truffe aggravate ai danni dello Stato. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Giacomo Brandini, Francesco Gualtieri e Pierangelo Padova, ha fatto emergere un sistema di tangenti all’interno del Provveditorato opere pubbliche. Le indagine, svolte dalla sezione Anticorruzione della Squadra Mobile di Palermo, sono cominciate grazie alla coraggiosa denuncia di un imprenditore edile, imbattutosi in una richiesta di tangenti da parte di alcuni dei funzionari pubblici, oggi arrestati, nel corso della ristrutturazione di una scuola elementare nella provincia di Palermo.
Nell’ordinanza del gip di Palermo che ha disposto le misure cautelari si legge che l’indagini, tramite numerosi indizi, ha “registrato uno stratificato sistema corruttivo, annidatosi nel settore degli appalti per opere pubbliche e che ha interessato un importante distretto ministeriale deputato a veicolare rilevanti fondi pubblici”. Il modus illecito adottato consentiva all’imprenditore di recuperare l’importo della tangente, attraverso l’inserimento di voci di spese fittizie o maggiorate nei documenti contabili, predisposti dai funzionari infedeli, restando di fatto a carico dello Stato. Gli appalti pubblici in questione riguardano cinque scuole situate nelle province di Palermo, Enna e Catania, un immobile confiscato alla criminalità organizzata e destinato ai Carabinieri per l’alloggio del personale e un altro edificio a Capaci, destinato alla nuova stazione dei Carabinieri.

Cosa prevede la legge Spazzacorrotti.
La nuova norma anticorruzione, approvata il 18 dicembre 2018, ha modificato diversi articoli del codice penale e del codice di procedure penale. In particolare nel cpp è stato inserito l’articolo 289-bis che prevede appunto il divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione: “Con il provvedimento che dispone il divieto – recita la norma – il giudice interdice
temporaneamente all’imputato di concludere contratti con la pubblica amministrazione”.

Trani, ex pm arrestato Savasta: «Mi sono venduto per 120mila euro». - Massimiliano Scagliarini

Ex pm Trani arrestato: «Savasta insabbiò l'indagine su Giancaspro»

Si va verso l'incidente probatorio. La confessione: «Nardi mi ricattava, se mi avessero scoperto era la fine».

«Effettivamente c’è stata la mia deviazione dal punto di vista morale di magistrato e tutto il resto». Antonio Savasta ha ammesso di aver preso circa 120mila euro: un sacco di soldi per vendere la giustizia, eppure quasi nulla rispetto alle molte centinaia di migliaia di euro che sembrerebbero essere passati di mano negli anni in cui nel Tribunale di Trani era in servizio la cricca dei giudici. L’ex pm ha confessato, ammettendo le responsabilità in oltre 200 pagine di verbali: «Ero ai limiti, vi dico sinceramente, del suicidio, vi giuro ho pensato un giorno di buttarmi sotto la metro, non ce la facevo più». Ma ha anche detto di sentirsi «ricattato» da Michele Nardi, l’ex gip tuttora in carcere, e da Flavio D’Introno per conto del quale ha creato procedimenti penali fasulli allo scopo di proteggere l’imprenditore da un processo per usura.

GLI INIZI.
È tutto nelle carte che la Procura di Lecce ha depositato in vista dell’incidente probatorio in cui, da lunedì, Savasta, D’Introno e il poliziotto Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere) verranno messi a confronto con gli altri indagati (tra cui pure l’ex pm Luigi Scimè, ora giudice a Salerno) per trasformare in prove le decine di ore di interrogatori raccolti dal procuratore Leonardo Leone de Castris e dalla pm Roberta Licci. Le parole di Savasta sono il fulcro di tutto.
Savasta dice di essere stato avvicinato da Nardi «per mero interesse»: «Aveva l’interesse di tutelare il D’Introno, quindi l'interesse suo era ricavare dal D’Introno quanto più denaro poteva essere e spostare diciamo il sottoscritto per tutta una serie di cose, tenuto conto poi che io in quel periodo poi, perché dal 2012 in poi visto i miei problemi disciplinari, e lui si faceva diciamo “non ti preoccupare, ti aiuterò” e infatti poi dopo successe anche nel 2016 (..) e quindi io stavo in una situazione tale che diciamo in un certo senso mi sentivo in debito nei confronti di questa persona, anche se questa persona non ha fatto niente per me». Ma cosa avrebbe promesso Nardi a Savasta? «Vantava ottimi rapporti con il procuratore (Capristo, ndr), e mi rappresentava che grazie alla sua posizione avrebbe potuto in qualche modo fare andare bene le cose anche per me, tutelarmi o rovinarmi». Ed ecco che, sempre secondo Savasta, Nardi gli chiede di aiutare D’Introno sequestrando alcune cartelle esattoriali milionarie: «“Ma perché ci tieni tanto a questa persona?”, dice: “Sai il D’Introno è una persona che mi sta aiutando nella mia vicenda personale, cioè lui in realtà si presta nei confronti di mia moglie a giustificare il fatto che delle volte io faccio delle scappatelle». Insomma, bisogna fare in modo di bloccare le cartelle esattoriali: «Qui entra in gioco la Cuomo (avvocato di D’Introno attualmente interdetta, ndr) che fece un’istanza nel fascicolo dicendo sostanzialmente che c’era uno soggetto, questo Patruno Gianluigi, che era amico di alcuni messi notificatori...».

«IL RICATTO»
È questo, secondo Savasta, il punto di non ritorno. «Feci presente alla Cuomo che probabilmente non avrei chiesto un rinvio a giudizio, loro invece lo volevano (...). E quindi fu lì che il D’Introno diciamo esce fuori una vicenda particolare che è quella che io ritengo diciamo del ricatto. Allora qui dice (D’Introno, ndr) “io ho speso soldi, ho fatto regali a vostro cognato, regali a Nardi, voi siete tutti d'accordo, io cioè in questa situazione non posso essere condannato”. Allora io in questa situazione diciamo ho accettato di fare un rinvio a giudizio, (...) qua si trattava veramente di fare una cosa non giusta, però d'altro canto se questo a un certo punto cominciava a mettere nei guai, cioè a raccontare di queste vicende dalla cartella esattoriale, io in quel periodo ero sotto procedimento disciplinare, ci sono tutte quelle vicende note della masseria e quei procedimenti in questione, cioè una cosa del genere per me avrebbe rappresentato la fine, sostanzialmente da quel momento in poi mi sono asservito a queste richieste del D’Introno». In cambio, per quel primo rinvio a giudizio, intorno a Natale 2014 «il D’Introno mi portò 10.000 euro».

I 120.000 EURO
La Procura di Lecce contesta a Savasta di aver preso circa 300mila euro. Lui, però, rifà i conti e riduce il totale a 120.000, compresi i soldi che D’Introno aveva speso per favorire il cognato del magistrato aprendogli una palestra in locali di sua proprietà, ammettendo anche alcuni viaggi tra cui uno in Turchia: «Vicenda Tarantini 60.000 euro, ristrutturazione della palestra, a dire di D’Introno, aveva speso circa 30-40mila euro, poi le 10.000 euro delle piante che io pensavo fossero regalo di D’Introno invece poi pare che è stato fatturato a Tarantini, i viaggi che lui (D’Introno, ndr) dice “complessivamente ho speso 20mila euro di viaggi tra te, Savino, la sorella, mia sorella... Poi ricordo, come dissi l’altra volta, che a Natale in una busta mise, non ricordo se erano 8-10mila euro come dissi l’altra volta, basta».
LICCI: «Poi c’era altro? Da Trony lei non ha mai comprato niente? Manco un telefonino?».
SAVASTA: «Non mi piacciono i telefonini».
L: «Neanche un televisore?».
S: «No No».
L: «Un frullatore? Niente?».
S: «No no».

LA STANGATA
Una delle accuse riguarda i soldi che Savasta e Nardi avrebbero ottenuto da un altro imprenditore di Corato, Paolo Tarantini, per far sparire una indagine fiscale che era stata inventata apposta: in cambio Savasta dice di aver chiesto 300mila euro, ma di aver avuto molto meno. «A quel punto mia sorella mi consegnò questa cosa, io aprii e dentro stavano circa 60.000 euro. Che questa è la cifra che lui (Tarantini, ndr) ha dato per quanto mi riguarda, naturalmente avendo appreso che Nardi aveva preso 200 eccetera, questo è stato un altro dei motivi per cui dici io cioè questo Nardi, il collega Nardi mi ha messo “nella merda più totale”». Ma da Tarantini arrivano anche i soldi per tacitare un tale Gianluigi Patruno, deferito per falsa testimonianza che minacciava di raccontare del fatto che era stato tutto organizzato da Savasta e D’Introno con l’avvocato Cuomo: «Organizzammo a Corato un incontro a un bar vicino al Duomo di Corato, e li c’era Tarantini, il Tarantini effettivamente diceva all’inizio “io veramente con tutto il rispetto, però non ho in questo periodo... un po’ di difficoltà”, disse “io massimo posso le 40-50.000 euro, non di più”, io dissi “vabbè quello che riuscite a trovare, però io ho necessità con una certa urgenza”, dissi io nella ferocia concordata con il D’Introno, dissi “io è inutile che ritorno a Corato o ci vediamo per prendere soldi eccetera, ve la vedete con D’Introno». E anche D’Introno ci fa la cresta su: «Il D’Introno mi disse questi soldi “allevate” circa 4-5.000 euro da queste 50.000 che mi sono servite perché avevo dei debiti se no mi arrivava a mia moglie delle notifiche", praticamente dice “a parte quello, tutto il resto ho dovuto darglielo al Patruno”. Quindi andai dal Tarantini, il Tarantini disse “io ho dato 50”, dissi “tante grazie ma io non ho ricevuto 50, ne ho ricevuti di meno”, lui disse “Eh si la solita cosa, quel D’Introno”». E poi ci sono i soldi che Tarantini dà a Nardi: «Mi raccontò del fatto che Nardi aveva preso 200.000 con la sorella». L’ex gip avrebbe preso da Tarantini anche altri 30mila euro per truccare un appello di lavoro.

GLI «OMISSIS»
Una parte delle dichiarazioni di Savasta è ancora oscurata, perché fa riferimento a ulteriori episodi di possibile corruzione: riguarderebbero sia fascicoli penali che tributari. Tra le persone coinvolte c’è anche un commercialista, Massimiliano Soave, consulente della Procura di Trani in numerosi procedimenti.

IL CASO D’AGOSTINO
Savasta ha escluso di avere ricevuto tangenti, direttamente o per interposta persona, per favorire il re degli outlet Luigi D’Agostino. Tuttavia ha riconosciuto che avrebbe dovuto astenersi dall’indagine, avendo chiesto favori all’imprenditore barlettano.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bat/1138556/trani-ex-pm-arrestato-savasta-mi-sono-venduto-per-120mila-euro.html?fbclid=IwAR3C_1H48Lufvml5GF6M2RGmQwev34Oe7NxuHPyMaKY4sVVcyIrATAgO538

Piantagioni di droga e spaccio in Sardegna: 14 arresti, il capo della banda era un carabiniere. - Nicola Pinna



Chi comprava la droga da loro aveva due possibilità: o pagare con i soldi raccolti durante lo spaccio al dettaglio, oppure andare a rubare e recuperare così le somme richieste. I creditori non aspettavano e facevano sempre valere le loro regole, anche con metodi da film. I proiettili a casa erano il trattamento più gentile. Ed è successo che a farne le spese sia stato il padre di uno di quelli che non avevano ancora pagato, che un giorno ha rischiato di essere travolto in pieno da un’auto lanciata a tutta velocità. Non era un incidente casuale, ma architettato per bene con l’obiettivo di ricordare al figlio dell’anziano di saldare tutti i debiti. Un’altra volta ha rischiato di passarci una donna, una signora che neanche sapeva dei rapporti del figlio con i narcotrafficanti arrestati oggi in Sardegna. Anche lui aveva da versare una cifra ingente per una partita di marijuana e visto che non riusciva a mettere insieme tutto il denaro, la proposta - che di fatto era un’ordine - ha lasciato senza parole anche gli investigatori che intercettavano la banda: «Adesso mandi tua madre a prostituirsi, così porta a casa tutto ciò che ci devi».
Quella finita nella rete degli investigatori (che oggi hanno fatto scattare 14 arresti) era certamente una delle imprese che in Sardegna maturava più utili: quasi 3 milioni di euro nel corso dei cinque mesi in cui i produttori e gli spacciatori sono stati tenuti sotto controllo dai carabinieri della compagnia e del comando provinciale di Oristano. Fin da quando si sono messi sulle tracce di questa organizzazione gli uomini dell’Arma si sono trovati a seguire gli spostamenti e gli affari anche di un loro collega: un militare, ora sospeso dal servizio e da oggi in carcere, che era praticamente il capo di una cellula organizzata come una piccola multinazionale. Era uno dei più temuti dai clienti, perché - dice la procura - usava metodi spietatissimi e qualche volta utilizzava anche la pistola di ordinanza per andare a riscuotere il denaro. La droga che veniva venduta in tutta la Sardegna era tutta prodotta in loco: marijuana a chilometro zero, coltivava all’interno di tante piantagioni, molte delle quali non sono state neanche identificate. L’isola, si sa, è una delle più grandi piattaforme italiane per la produzione di marijuana e i 13 arrestati oggi avevano costruito una filiera capace di arrivare ovunque.
La droga veniva trasportata come se fosse un carico di gioielli: scorta lungo la strada, staffetta per verificare che non ci fossero pattuglie lungo il percorso e uomini armati di fucile e pistola per portare a compimento ogni missione. «Operavano con metodo imprenditoriale, dimostrando con chiarezza che questo era il loro vero lavoro - racconta il comandante provinciale dei carabinieri, Domenico Cristaldi - Non erano spinti dallo stato di necessità o dalla loro tossicodipendenza. Anzi, si vantavano di non aver mai fatto uso di stupefacenti e di non aver neanche mai fumato uno spinello».
Il personaggio che ha stupido di più gli investigatori è di certo il più giovane della banda: un diciannovenne che si occupava soprattutto di far arrivare la droga nelle scuole superiori. Ancora studente all’istituto magistrale, ma già espertissimo nella valutazione degli stupefacenti. Andava a trattare in prima persona con i grossi fornitori ed era riuscito persino a farsi restituire tutti i soldi per una partita che considerava non eccellente. L’addetto al controllo qualità era lui.

martedì 7 maggio 2019

Da un buco nero getti di materia in tutte le direzioni.


Rappresentazione asrtistica del buco nero V404 Cygni, che emette getti di materia della stella che sta divorando (fonte: ICRAR)


Divora una stella, a 8.000 anni luce dalla Terra.


Oscilla come una trottola a 8.000 anni luce dalla Terra. E' un buco nero 'esuberante': emette getti di materia in piu' direzioni, quasi alla velocita' della luce e con regolarita'. Come un orologio cosmico. Le variazioni nel tempo di questi getti sono state osservate per la prima volta dal gruppo del Centro internazionale per la ricerca in radioastronomia (Icrar), coordinato da James Miller-Jones, dell'Universita' australiana Curtin. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, apre la strada alla comprensione dell'evoluzione dei buchi neri. Fra gli autori della ricerca l'italianoTomaso Belloni, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) di Brera. 

I ricercatori hanno studiato il sistema binario V404 Cygni, formato da una stella in orbita intorno a un buco nero. Le osservazioni sono state fatte dal Very Long Baseline Array (Vlba), una rete di 10 antenne negli Usa che si comporta come un unico grande radiotelescopio.
"E' la prima volta che vediamo un getto di materia di un buco nero cambiare direzione in poche ore", ha detto all'ANSA Belloni. "E' un sistema brillante con una massa 12 volte il Sole, individuato nel 1989. Dopo un periodo dormiente - ha aggiunto - nel 2015 e' tornato a brillare emettendo lampi di luce improvvisi e intensi, probabilmente perche' ha ripreso a divorare la stella compagna. In questo modo e' stato possibile studiarlo, e capire che ha oscillazioni regolari come un orologio. Dovute - ha rilevato - allo spazio-tempo che viene trascinato attorno al buco nero, come previsto dalla teoria della relativita' generale. Mentre cio' accade, la parte interna del disco di accrescimento formato dalla materia che cade nel buco nero oscilla come una trottola".

Secondo Belloni queste osservazioni potranno "aiutare a capire i principi fisici che, poco prima di raggiungere il punto di non ritorno dato dal cosiddetto orizzonte degli eventi, permettono alla materia di sfuggire al buco nero sotto forma di getti proiettati nel cosmo quasi alla velocita' della luce. Informazioni preziose - ha concluso - per capire come funzionano i buchi neri".


Appalti pubblici in Calabria, 20 indagati: ci sono il governatore Oliverio (Pd), il sindaco di Cosenza ed ex deputato dem. - Lucio Musolino

Appalti pubblici in Calabria, 20 indagati: ci sono il governatore Oliverio (Pd), il sindaco di Cosenza ed ex deputato dem

La procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, contesta al governatore e all'ex vicepresidente Nicola Adamo, assieme ad altre 4 persone, la “associazione per delinquere con lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione". Sotto inchiesta anche Mario Occhiuto, primo cittadino di Cosenza e candidato in pectore alle Regionali.


Altri guai giudiziari per il governatore della Calabria Mario Oliverio (Pd) e per il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto (Forza Italia), entrambi candidati in pectore alle prossime Regionali. La procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, ha chiuso l’inchiesta sulla gestione di alcuni appalti pubblici che hanno riguardato la città di Cosenza e in particolare gli investimenti relativi alla costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superficie e del museo di Alarico. Venti i soggetti iscritti nel registro degli indagati dal pm Vito Valerio con accuse pesantissime.
Tra questi c’è anche l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo (Pd) per il quale, assieme al presidente Oliverio, la procura contesta il reato di “associazione per delinquere con lo scopo di commettere – è scritto nel capo di imputazione – una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione e, nello specifico, dei delitti di turbata libertà degli incanti, di corruzione propria aggravata, di traffico di influenze illecite, di abuso in atti di ufficio, di frode nelle pubbliche forniture”. Associazione a delinquere di cui farebbero parte anche il dirigente della Regione Luigi Giuseppe Zinno, il direttore generale delle Ferrovie della Calabria Giuseppe Lo Feudo e gli imprenditori Pietro Ventura e Rocco Borgia.
Mentre Nicola Adamo, ex deputato, sarebbe stato il “punto di riferimento” e “l’elemento di raccordo tra esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori privati”, il presidente Oliverio è considerato dalla procura il “promotore” del sodalizio in quanto si sarebbe attivato per “assicurare che le gare pubbliche si sviluppino secondo i progetti dell’associazione e vengano aggiudicate agli imprenditori graditi”. Non solo: sempre su indicazione di Nicola Adamo, infatti, Oliverio si sarebbe attivato “per far ottenere ai suoi uomini di fiducia la nomina in posti strategici delle amministrazioni pubbliche regionali e locali”.
Uno dei principali affari era senza dubbio la progettazione esecutiva e la realizzazione del sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza, Rende e l’università della Calabria. Un gara d’appalto da diversi milioni di euro che – secondo la procura – è stata inquinata mediante “collusioni, accordi, promesse e mezzi fraudolenti”. Ecco quindi che gli indagati sono accusati di turbativa d’asta per aver posto “a base di gara un progetto preliminare illegittimamente realizzato dalla Metropolitana Milanese Spa in quanto affidato senza rinnovo di procedure”. Cosa che è avvenuta anche per quanto riguarda “un progetto preliminare basato su una scelta progettuale di ‘sistema su ferro’ ingiustificata sul piano tecnico ed economico”. Un appalto, quello della metropolitana, per il quale sarebbe stata indetta “la gara per la parte esecutiva” nonostante questa era stata già ricompresa “nella precedente procedura di gara per progettazione preliminare”. Il tutto, quindi, avrebbe provocato una “duplicazione indebita dei costi a base d’asta”.
Un’operazione in cui è stato coinvolto – sempre stando alla ricostruzione degli inquirenti – anche Mario Occhiuto, candidato in pectore di Forza Italia alle prossime regionali. Il sindaco di Cosenza, infatti, è indagato per corruzione. Secondo la procura di Catanzaro, per firmare l’accordo di programma per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile e il collegamento metropolitano e per adottare ogni altro atto amministrativo di sua competenza, Occhiuto avrebbe accettato “la promessa avanzata da Oliverio per il tramite del dirigente Luigi Zinno, di ottenere da parte della Regione Calabria i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del Museo di Alarico oggetto di gara d’appalto (illegittima) indetta dal Comune di Cosenza”.
Nell’inchiesta è indagato anche il consigliere regionale Luigi Incarcano. Quest’ultimo è accusato di traffico di influenze perché sfruttando le sue relazioni politiche con molti consiglieri comunali di Cosenza si faceva promettere “da Nicola Adamo e Mario Oliverio un vantaggio patrimoniale rappresentato dalla possibilità di ricoprire incarichi pubblici e istituzionali”. In sostanza, questo era il prezzo “per la mediazione illecita” di Incarnato che ha convinto i consiglieri di Cosenza a dimettersi “allo scopo di determinare l’automatica decadenza di Mario Occhiuto (Forza Italia, ndr) da sindaco di Cosenza”. Promessa che Adamo e Oliverio avrebbero mantenuto “designando e comunque agevolando la nomina di Incarnato a commissario liquidatore della Sorical spa (Società Risorse Idriche Calabresi)”. Della partita faceva parte anche Luca Morrone, l’ex presidente del Consiglio di Cosenza che per le sue dimissioni avrebbe accettato la promessa “effettuata da Adamo e Olverio di ricoprire alternativamente o la carica di vicesindaco in seno alla compagine politica eventualmente vincitrice nelle successive elezioni o comunque un incarico di ingegnere presso la Regione Calabria”.

Pietro Tatarella e Fabio Altitonante, chi sono i 2 consiglieri di Forza Italia arrestati nell’inchiesta su appalti e tangenti.

Pietro Tatarella e Fabio Altitonante, chi sono i 2 consiglieri di Forza Italia arrestati nell’inchiesta su appalti e tangenti

Il primo è vicecoordinatore regionale ed è entrato nelle liste dei candidati delle Europee, dopo essere salito a Palazzo Marino dal 2011; l'altro, consigliere regionale, è coordinatore di Forza Italia a Milano dalla fine del 2015 e sottosegretario alla Rigenerazione e sviluppo area Expo in Regione Lombardia dal 2018. Oggi la procura di Milano ha stoppato la loro scalata alle gerarchie del partito azzurro: uno è ai domiciliari, l'altro in carcere.

Sono gli ex enfant prodige, la classe emergente, la speranza per un ricambio delle file di Forza Italia, nuova linfa possibile per proseguire la storia degli azzurri soprattutto nel cuore della Lombardia, dove il partito è nato oltre 25 anni fa. Oggi Pietro Tatarella e Fabio Altitonante sono finiti agli arresti, il primo in carcere e il secondo ai domiciliari, in un’inchiesta per corruzione condotta dalla Direzione distrettuale antimafiaTatarella, consigliere comunale e vicecoordinatore regionale del partito, è candidato alle Europee nella circoscrizione Nord-Ovest. Altitonante, coordinatore di Forza Italia a Milano da tre anni e mezzo, è sottosegretario in Regione Lombardia con delega all’area Expo. Insieme hanno presentato diverse iniziative, come quando nel 2015 affiancarono Francesco Sicignano, l’uomo che sparò a un ladro a Vaprio d’Adda, nella conferenza Sicurezza e legittima difesa: politica, strategia e azioni. Chi sono i due consiglieri forzisti arrestati?

Fabio Altitonante è coordinatore di Forza Italia a Milano dalla fine del 2015 e sottosegretario alla Rigenerazione e sviluppo area Expo in Regione Lombardia dal 2018. Ha 45 anni: nato a Teramo, è vissuto in Abruzzo fino al diploma al liceo classico. A Milano si trasferisce per studiare al Politecnico dove si laurea in Ingegneria gestionale: è libero professionista dal 2005. Ricopre incarichi elettivi dal 2001 quando fu eletto nel consiglio della Zona 3 di Milano (la zona del Politecnico, appunto). Nel 2006 viene eletto per la prima volta al consiglio comunale di Milano: a Palazzo Marino si occupa in particolare di ambiente, urbanistica, casa. Nella sua mini-biografia sul sito della Regione si legge che da una sua proposta “si introduce il concetto di case low cost e l’edilizia convenzionata assume un ruolo strategico nella programmazione comunale”. Dal 2008 al 2012 è presidente della Napoli Metro Engineering, che si occupa della progettazione e della direzione lavori della metropolitana di Napoli. La gavetta continua e la scalata pure. Diventa assessore della Provincia di Milano con deleghe a Territorio, infrastrutture, casa e acqua pubblica.

Nel 2013 diventa consigliere regionale della Lombardia e ancora una volta si occupa di territorio e infrastrutture. E case, di nuovo: è tra i promotori della riforma delle case popolari. Grazie a una sua proposta, sottolinea nel suo sito, nasce a Milano il polo per la mamma, il bambino e l’età evolutiva, con l’unione di Fatebenefratelli, Macedonio Melloni, Buzzi e Sacco. Nel frattempo, da giugno 2013 alla metà del 2015, tiene anche un’altra poltrona, al consiglio di sorveglianza di Infrastrutture Lombarde Spa.
Pietro Tatarella, 36 anni, è nato a Milano e cresciuto a Baggio, da famiglia pugliese. I genitori, diceva in una vecchia intervista, “mi hanno insegnato rispetto, onestà e umiltà, tutti i valori di cui vado fiero e sui quali ho pesato ogni singola decisione presa nella mia vita”. Anche lui parte dal consiglio di zona, la 7 (che comprende anche Baggio, oltre ad altri quartieri della zona Est della città). Si candida per la prima volta al consiglio regionale a 22 anni, poi collabora con l’allora assessore (poi diventato deputato) Stefano Maullu. A Palazzo Marino siede dal 2011. Aveva più volte invocato la necessità di un cambiamento dentro Forza Italia tanto che voci lo davano in uscita (e in ingresso in un altro dei partiti del centrodestra). Poi i dissidi con i vertici lombardi di Forza Italia sono finiti quando è diventato vicecoordinatore regionale ed è entrato nelle liste dei candidati delle Europee.