domenica 16 giugno 2019

MACIGNO TAGLIATO DA UN LASER NELL'ETA' DEL BRONZO!!! CHI E' STATO?



Situato nell'Oasi di Tamya in Arabia Saudita è un affascinante megalito chiamato Al-Naslaa. E 'perfettamente suddiviso in mezzo e ha curiosi simboli raffigurati sulla sua superficie. 
Se non fosse sufficiente, le due rocce si dividono a metà con precisione laser, sono riuscite a rimanere in piedi per secoli e sono in qualche modo perfettamente equilibrate. Le pietre erano divise a metà con una precisione degna di un taglio laser.
Immagina di camminare nel deserto, esplorando l'ignoto e incontrerai una massiccia pietra in piedi, divisa in mezzo da una perfetta linea geometrica. 
Che cosa sarebbe la prima cosa che salta alla tua mente?
Le pietre in piedi di Al-Naslaa veramente sono un mistero. Situato in Arabia Saudita, le due pietre divise a metà hanno creato confusione tra gli esperti fin dalla loro scoperta. 
Considerato come uno dei petroglifi più fotogenici sulla superficie del pianeta, la roccia massiccia è divisa a metà con estrema precisione. 
Tuttavia, secondo alcuni, il taglio di precisione laser non è stato creato artificialmente .
Secondo molti, è uno dei più grandi misteri dell'uomo, e questa incredibile struttura in pietra antica attrae migliaia di turisti ogni anno che vengono ad Al-Naslaa per osservare la sua perfezione e l'equilibrio, che ha dato origine a innumerevoli teorie che cercano di spiegare la sua origine. 
La roccia è in perfetto equilibrio, sostenuta da due basi e la cosa più strana è che si divide perfettamente in metà. 
Tutto suggerisce che ad un certo punto deve essere stata lavorato da strumenti estremamente precisi, alcuni hanno anche avventurato e hanno detto strumenti come il laser.


Ogni parte della pietra divisa ha una roccia minima o un ammortizzatore in basso, impedendo che tocchi il suolo.
Le scoperte archeologiche dimostrano che in epoca antica la zona in cui si trova la roccia era abitata. Infatti, è uno dei petroglifi più fotogenici della zona.
Il megalito è stato scoperto da Charles Huver nel 1883 e, sin dalla sua scoperta, è stato oggetto di dibattito tra esperti che hanno diviso le opinioni in merito alla sua origine.
Nel 2010 SCTH - la Commissione Saudita per il Turismo e il Patrimonio Nazionale ha annunciato la scoperta di una roccia vicino a Tayma con un'iscrizione geroglifica del Faraone Ramses III. 
Sulla base di questa scoperta, i ricercatori hanno ipotizzato che Tayma faceva parte di un importante itinerario tra la costa del Mar Rosso della penisola araba e la valle del Nilo. 
Recenti scoperte archeologici mostrano che Tayma è stata abitata fin dall'età del bronzo.
Come notato la divisione tra due rocce in piedi e la sua superficie piana è un evento completamente naturale.
UnusualPlaces offre una spiegazione naturale per il taglio enigmatico, laser:
"... Probabilmente il terreno si è spostato leggermente sotto uno dei due supporti e la roccia si è divisa. 
Potrebbe essere da un area vulcanica di qualche minerale più debole che si è solidificato prima che tutto fosse esumato. Oppure, potrebbe essere una vecchia crepa di pressione (si vede una crepa parallela a destra di essa) che è stata spinta / distanziata da alcuni. O, potrebbe essere una vecchia linea di faglia (minore), poiché il movimento di faglia crea una zona di roccia indebolita che si erode relativamente più facilmente della roccia circostante ... " 


Ma questa è ovviamente un'altra teoria. Il taglio estremamente preciso, divide le due pietre, ha sollevato più domande rispetto alle risposte.
Se vogliamo capire la sua origine, forse dovremmo viaggiare indietro nel tempo.
Secondo i rapporti, la menzione più antica della città oasi appare come "Tiamat" nelle iscrizioni assire risalenti all' VIII secolo aC. 
L'oasi si sviluppò in una città prospera, ricca di pozzi d'acqua e di edifici belli.
Inoltre, gli archeologi hanno scoperto iscrizioni di Cuneiforme forse risalenti al VI secolo aC presso la città dell'oasi. 
Come si può vedere, oltre ad essere un'area in cui sono state fatte numerose scoperte archeologiche, l'area in cui si trova l'incredibile megalite di Al-Naslaa è anche ricca di storia.
E' possibile che esistessero altri sistemi di taglio di cui oggi non siamo ancora a conoscenza?

sabato 15 giugno 2019

Radio Radicale, dove sono finiti i 300 milioni di fondi pubblici. - Patrizia De Rubertis



Trecento milioni di euro arrivati quasi sempre a fine anno nelle leggi di Stabilità, nei decreti Milleproroghe o in altri provvedimenti ad hoc hanno permesso a Radio Radicale di svolgere per 25 anni “servizio pubblico”, senza alcun tipo di valutazione (come l’affidamento con una gara) e nonostante sia una radio privata e legata a un partito. Ed è una ricorrente che il salvataggio dell’emittente fondata nel 1976 da Marco Pannella arrivi sempre in extremis grazie a denaro pubblico. Come l’ultima boccata di ossigeno arrivata dall’accordo Lega-Pd che giovedì ha concesso a Radio Radicale altri 3 milioni nel 2019 (e 4 milioni nel 2020). Che si vanno ad aggiungere ai 5 già stanziati per l’anno in corso. Un unicum nel panorama editoriale quello conquistato dall’emittente.
Radio Radicale nasce 43 anni fa, per iniziativa di un gruppo di deputati militanti dell’omonimo partito, e diventa subito il megafono delle battaglie di Marco Pannella, tra cui quella contro il finanziamento pubblico ai partiti. Ma senza quei fondi e a fronte di costi di gestione sempre più alti, sono costretti a chiudere nel luglio 1986. I dirigenti decidono di sospendere tutti i programmi per lasciare la parola agli ascoltatori che tra messaggi di stima e bestemmie la trasformano nell’emittente più ascoltata d’Italia (l’esperimento è stato ripetuto anche nel 1993, sempre per salvarsi dalla chiusura). Ma la svolta arriva nel 1990 con la legge 230 quando si aprono le porte dei contributi pubblici: da allora la radio percepisce ogni anno circa 4 milioni di euro. La secondo svolta è datata 21 novembre 1994: viene firmata la convenzione, approvata con un decreto del ministro delle Telecomunicazioni Giuseppe Tatarella, che da allora eroga alla società Centro di produzioni S.p.a. (ossia Radio Radicale con il suo archivio in via Principe Amedeo a Roma) 10 milioni di euro ogni anno per la trasmissione delle sedute parlamentari. È merito di un bando del governo Berlusconi, che i maligni dicono sia stato cucito su misura (niente musica e zero pubblicità), se la radio – che navigava in cattive acque – si salva di nuovo. I Radicali continuano a essere contrari a dare i soldi dei contribuenti ai partiti, ma da allora la radio ha incassato oltre 300 milioni di euro. Il bando, fatto per decreto, non è stato mai convertito in legge. È stato rinnovato per ben 17 volte, da tutti i governi, con una specie di regime transitorio. Contributi all’editoria e rinnovo della convenzione che hanno permesso di percepire 14 milioni di euro ogni anno.
Chi c’è dietro la radio? Fino alla fine degli anni Novanta l’azionista unico dell’emittente era l’Associazione politica nazionale Lista Marco Pannella. Poi l’assetto proprietario cambia nel marzo 2000 quando l’imprenditore Marco Podini (già padrone della catena di supermercati A&O e dei discount Md), aderendo all’appello pubblico di Pannella in un altro momento di difficoltà della radio, acquista tramite la Pasubio Spa il 25% di Radio Radicale per 25 miliardi di lire. Emittente finanziata fino ad allora solo da soldi pubblici, e il cui valore totale schizza così a 100 miliardi di lire. Pochi mesi prima la Rai aveva fatto un’offerta per rilevare tutta la società per una ventina di miliardi. Podini annuncia un aumento della sua partecipazione al 50%, che però non avverrà mai. L’imprenditore siede insieme alla sorella Maria Luisa nel cda della società (la quota è passata nel frattempo alla Holding Lillo) ed è anche il presidente della Dedagroup, una società che si occupa di information technology. Così come l’altro gruppo che possiede, la Piteco, una software house italiana quotata in Borsa.
Da allora le quote della società che controlla la radio sono rimaste immutate: all’associazione Pannella, editore dell’emittente, resta il 62,68% e un’altra piccola quota, del 6,17%, è in mano alla commercialista Cecilia Maria Angioletti. Il resto è in mano alla holding finanziaria Lillo attiva nel campo della distribuzione alimentare che fattura 2,3 miliardi di euro l’anno. Nel 2017, ultimo dato aggiornato del bilancio, i ricavi complessivi della radio hanno raggiunto gli 8,3 milioni con un incremento di 21mila euro sull’anno prima, garantiti dagli introiti della convenzione. A cui si aggiungono 4 milioni di contributi dal fondo dell’editoria. Il costo del personale (a Radio Radicale lavorano 52 dipendenti tra cui 20 giornalisti impiegati) è salito a 4 milioni dai 3,8 del 2016 (compresi contributi e Tfr) con il direttore Alessio Falconio e l’ad Paolo Chiarelli che guadagnano poco più di 100mila euro. Utili ce ne sono stati pochi negli ultimi anni, ma non è sempre andata così. Il 2010, per dire, si chiuse con un utile di 168 mila euro, ma il cda deliberò di distribuire un dividendo di 600 mila euro attingendo alle riserve. Negli ultimi 3 anni i conti hanno sempre chiuso in rosso (nel 2017 di 6.500 euro).

venerdì 14 giugno 2019

Gli attacchi odierni alle petroliere nel Golfo di Oman sono contro gli interessi dell’Iran – O no? - moonofalabama.org




Nelle prime ore del mattino, intorno alle 6:00 UTC, due petroliere nel Golfo di Oman sono state attaccate con armi di superficie. Entrambe le navi si trovavano a circa 50 chilometri a sud-est di Bandar-e Jask, in Iran, e a circa 100 chilometri ad est di Fujairah.
La Front Altair, una nave cisterna per il trasporto di petrolio grezzo lunga 250 metri e battente bandiera delle Isole Marshal, proveniva dagli Emirati Arabi Uniti e si stava dirigendo verso Taiwan. Il suo carico di 75.000 tonnellate di nafta si è incendiato e l’equipaggio ha dovuto abbandonare la nave.
La seconda nave attaccata è la Kokuka Courageous, una petroliera di 170 metri di lunghezza, battente bandiera panamense. Proveniva dall’Arabia Saudita e si stava dirigendo verso Singapore. La nave ha lo scafo aperto al di sopra della linea di galleggiamento, ma il suo carico di metanolo sembra essere intatto.
La nave iraniana di ricerca e salvataggio Naji ha raccolto i 44 membri dell’equipaggio delle due navi e li ha trasferiti a Bandar-E Jash. I prezzi del petrolio sono aumentati di circa il 4%.
Questi attacchi arrivano un mese dopo che quattro navi ancorate nei pressi del porto di Fujairah (Emirati Arabi Uniti) erano state danneggiate da cariche esplosive attaccate agli scafi. Le indagini su questo incidente da parte degli Emirati Arabi Uniti non avevano indicato nessun colpevole, ma avevano suggerito che la responsabilità andava attribuita ad un’entità nazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, aveva accusato l’Iran.
È probabile che forze mercenarie iraniane siano responsabili degli attacchi di maggio. Sembra però improbabile che l’Iran abbia qualcosa a che fare con gli attacchi di oggi.
I fatti di maggio erano stati seguiti da due attacchi di droni lanciati dalle forze Houthi nello Yemen contro il gasdotto saudita est-ovest, che consente ad una certa percentuale delle esportazioni saudite di evitare il passaggio attraverso lo stretto di Hormuz. Un terzo attacco era stato il lancio di un missile a medio raggio della Jihad islamica nella striscia di Gaza contro la città di Ashkelon, in Israele.
Tutti e tre gli attacchi erano stati avvertimenti diretti a tutti quei paesi che premono per un conflitto Stati Uniti-Iran, giusto per far capire che verrebbero seriamente danneggiati nel caso in cui l’Iran venisse attaccato.
L’attacco di oggi arriva però in un momento inopportuno per l’Iran. La rumorosa campagna anti-iraniana, iniziata da John Bolton ad aprile e a maggio, si era recentemente calmata.
Il presidente Trump sta cercando di costringere l’Iran a negoziare con gli Stati Uniti. Di recente, ha ricevuto alla Casa Bianca il Presidente della Svizzera. La Svizzera è la “potenza protettrice” che rappresenta gli interessi diplomatici degli Stati Uniti in Iran. Il ministro degli Esteri tedesco Maas era stato inviato in Iran per sollecitare concessioni da parte di Teheran. Attualmente, il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe è in visita a Teheran. Oggi ha incontrato il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Khamenei, ma non ha avuto successo nel convincere l’Iran a negoziare con Trump.
Anche se l’Iran continua a rifiutarsi di negoziare con gli Stati Uniti, almeno finché gli Stati Uniti manterranno le proprie sanzioni, non ha alcun interesse a turbare l’attuale fase diplomatica. L’Iran non avrebbe nulla da guadagnare da questi attacchi.
C’è qualcun altro che ha quasi silurato (letteralmente) gli attuali tentativi di mediazione?
Aggiornamento (11:30 utc, 7:30 orario del blog):
Alcuni tweet che il leader supremo dell’Iran ha rilasciato oggi, dopo il suo incontro con il Primo Ministro Abe, suggeriscono un motivo per cui l’Iran potrebbe essere costretto a compiere un gesto simile all’attacco verificatosi oggi:
Khamenei.ir @khamenei_ir – 9:36 UTC – 13 Jun 2019
Non crediamo affatto che gli Stati Uniti stiano cercando veri negoziati con l’Iran; perché trattative serie non verrebbero mai da una persona come Trump. La serietà è molto rara tra i funzionari degli Stati Uniti.
. @ AbeShinzo Il presidente degli Stati Uniti si è incontrato e ha parlato con lei alcuni giorni fa, anche dell’Iran. Ma dopo essere tornato dal Giappone, ha immediatamente imposto sanzioni all’industria petrolchimica iraniana. È forse questo un messaggio di onestà? Una cosa del genere dimostra che è disposto ad impegnarsi in veri negoziati?
Dopo l’accordo sul nucleare, il primo a violare immediatamente il JCPOA era stato Obama; la stessa persona che aveva richiesto trattative con l’Iran e che aveva inviato un mediatore. Questa è la nostra esperienza e, Sig. Abe, sappia che non ripeteremo la stessa esperienza.
La parola chiave qui è “petrolchimica“. Le petroliere colpite oggi erano cariche di nafta dagli EAU e di metanolo dall’Arabia Saudita. Entrambi sono prodotti petrolchimici e non semplicemente petrolio grezzo. Venerdì scorso, 7 giugno, gli Stati Uniti hanno sanzionato tutti gli scambi commerciali con il maggiore produttore petrolchimico iraniano. Queste sanzioni danneggeranno gravemente l’Iran.
Quando l’amministrazione Trump aveva iniziato a sanzionare, l’anno scorso, le esportazioni di petrolio dall’Iran, l’Iran aveva annunciato che non avrebbe giocato secondo le regole. Aveva affermato che si sarebbe rivalso nei confronti degli altri produttori del Golfo Persico, qualora non fosse stato in grado di esportare i suoi prodotti:
L’Iran ha minacciato di bloccare lo Stretto di Hormuz, un’arteria vitale per il trasporto del petrolio dal Medio Oriente. L’avvertimento è una risposta agli Stati Uniti, che stanno cercando di bloccare le esportazioni di greggio iraniano.

Il consigliere anziano per gli affari internazionali del capo supremo dell’Iran, Ali Akbar Velayati, ha dichiarato che il suo paese si vendicherà.
“La risposta più trasparente, completa e tempestiva era stata data da [Hassan] Rouhani, il presidente iraniano, durante il suo ultimo viaggio in Europa. La risposta era stata chiara: ‘se l’Iran non può esportare petrolio attraverso il Golfo Persico, allora nessuno potrà,’“aveva detto Velayati parlando alla riunione del Gruppo Valdai, in Russia. “O tutti esporteranno, o non lo farà nessuno,” aveva aggiunto.
Ora possiamo applicare la parola chiave usata oggi da Khamenei a queste frasi: “se l’Iran non può esportare prodotti petrolchimici attraverso il Golfo Persico, nessuno lo farà.” “O possono esportare tutti, o nessuno.”
Che l’Iran possa avere i suoi motivi non significa o prova che sia responsabile dell’attacco di oggi. Rischiare di affondare due navi cisterna straniere in acque internazionali non è una cosa che un Iran, solitamente prudente, farebbe a cuor leggero. Potrebbe averlo eseguito qualcun altro per potergli dare la colpa.
Comunque, indipendentemente dal fatto che l’Iran sia o no coinvolto, le parole di Khamenei sono un messaggio molto serio che Abe, l’inviato di Trump in Iran, capirà e riferirà alla Casa Bianca.
Moon of Alabama
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Falsi malati, truffa da oltre un milione.

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Sequestro per oltre 1 milione di euro emesso dal Tribunale di Palermo nei confronti di 39 indagati per falso e truffa ai danni dell’Inps, tra cui due dipendenti dell'Istituto. Il provvedimento è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo siciliano.

Le indagini, delegate dal Dipartimento 'Pubblica Amministrazione' della Procura della Repubblica traggono origine da attività di analisi dei flussi di spesa di enti pubblici risultati anomali, confermate in talune attività di accertamento interne degli ispettori dell’Ente di Previdenza Nazionale. Le investigazioni successivamente svolte hanno consentito di portare alla luce una vera prassi illecita, quasi un fenomeno di 'costume', che vedeva coinvolte decine di persone residenti a Palermo e provincia le quali, utilizzando documentazione medica falsificata, hanno beneficiato di particolari indennità economiche spettanti a pazienti colpiti da gravi patologie del sangue (talassemia major, talassodrepanocitosi e drepanocitosi).

Grazie all’incrocio dei dati in possesso dell’assessorato della Salute della Regione Siciliana e degli ospedali palermitani, è stato possibile individuare i pazienti che non solo non risultavano iscritti nel 'Registro Siciliano delle Talassemie ed Emoglobinopatie' - presso cui vengono registrati coloro che, per la natura delle patologie sofferte, effettuano trasfusioni con cadenza periodica - ma godevano in realtà di ottima salute. "Il meccanismo della truffa era semplice e talvolta grossolano. Bastava infatti un certificato medico a nome di medici, che in realtà non l’avevano mai sottoscritto, e timbri falsi. La documentazione veniva poi presenta all’ufficio Inps territorialmente competente", dicono le Fiamme Gialle.
Ovviamente l’interesse non era quello di beneficiare delle trasfusioni, a cui sono costrette le persone purtroppo realmente malate, ma quello di ottenere l’indennità economica spettante per legge ai lavoratori affetti da talassemia major (morbo di Cooley) e drepanocitosi che, raggiunti i requisiti anagrafici e di contribuzione, hanno diritto a un’indennità annuale pari alla pensione minima erogata dall’Inps.

In una prima fase è stata acquisita, presso l’Istituto di previdenza, la documentazione di tutti i soggetti beneficiari nel territorio provinciale (103) dell’indennità in parola per complessivi euro 1.624.882. Le Fiamme Gialle hanno quindi accertato, nei confronti di 54 persone, indebite percezioni per 1,4 milione di euro mentre - in attività sinergica con la Finanza - l’Inps avviava le procedure di recupero di parte delle somme illecitamente ottenute. Nei confronti di alcuni di loro, la Procura della Repubblica di Palermo, condividendo pienamente le prospettazioni investigative, ha richiesto e ottenuto dal competente Gip presso il Tribunale palermitano, l’emissione del provvedimento di sequestro preventivo, avente ad oggetto disponibilità finanziaria, beni mobili e denaro fino a concorrenza dell’importo da ciascun indagato oggetto di truffa.

I due dipendenti Inps coinvolti sono stati poi deferiti all'autorità giudiziaria con l'aggravante della violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, poiché assegnati all'ufficio che ha gestito le relative pratiche. In pratica, si erano autoassegnati - direttamente o per il tramite del coniuge, ma con le stesse modalità fraudolente - le stesse indennità previste.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/06/14/falsi-malati-truffa-oltre-milione_S7WucfhJCFPEtvsnJl1MrN.html

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”. - Vincenzo Bisbiglia e Marco Pasciuti

Traffico rifiuti Latina-Roma, compost irregolare interrato nei campi: “Danni irrimediabili per ambiente e salute pubblica”

La Società Ecologica Pontina, al centro dell'inchiesta della Dda di Roma che vede indagate 23 persone, avrebbe venduto a cinque aziende agricole fertilizzante nel quale i rifiuti organici venivano triturati con scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. E quelle lo interravano nei loro campi su cui sono coltivati "olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni". Un sistema con il quale in 4 anni la società avrebbe smaltito 57mila tonnellate di rifiuti speciali.

Qua come c’è un po’ di caldo ci facciamo male”. Perché quella roba puzza, crea percolato nei capannoni e continua a “fumare”, anche quando viene trasportata e stesa sui terreni agricoli. Meglio interrarla nei campi, pagando i proprietari. Pazienza se si creano “danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica”. Il problema, ai titolari del gruppo Sep srl, Società Ecologica Pontina, non interessa. Tanto da cedere a diverse aziende dell’Agro pontino il loro compost farlocco, certificato da analisi chimiche falsate, nel quale ai rifiuti organici venivano mischiati scarti di ogni tipo: vetro, plastica, metalli vari. Perfino siringhe. Pagando i proprietari perché se lo prendessero, per risparmiare sullo smaltimento. E i proprietari dei campi lo seppellivano e poi ci coltivavano “olivi e granturco”.

Sono inquietanti i risvolti dell’indagine della Dda di Roma sulla società di smaltimento rifiuti – fra le principali del Lazio – secondo gli inquirenti gestita “in maniera occulta” anche dal dirigente della Regione Lazio, Luca Fegatelli. Una “condotta criminale” che, secondo quanto emerge dalla lettura del decreto di sequestro preventivo emanato dal Tribunale di Roma, “andava avanti da anni”.

La Sep è autorizzata da Provincia e Regione a gestire 50mila tonnellate l’anno di rifiuti per produrre quello che in gergo tecnico è definito “ammendante compostato misto“, materiale ricavato dalla lavorazione della frazione umida degli scarti urbani, degli avanzi dell’industria agroalimentare e dei fanghi di depurazione biologica (la parte solida contenuta nelle acque reflue), che in genere viene venduto alle aziende agricole e utilizzato come fertilizzante in campagna. Ma questo lavoro l’azienda di Pontinia lo fa male, non rispetta le leggi e nel compost, insieme all’umido che arriva dai Comuni della provincia, tritura plastica, vetri e metallo sminuzzando tutto in particelle superiori ai 2 millimetri. Producendo, cioè, una “sostanza qualificabile a tutti gli effetti come rifiuto” che andrebbe smaltita in discarica “e non certo idoneo (anzi nocivo) allo spargimento come fertilizzante sui terreni agricoli”.

Il che è proprio quello che fa la Sep che, secondo la Dda, cede il suo compost fuorilegge a cinque aziende agricole della zona. Siccome, però, sprigiona un “nauseabondo olezzo di spazzatura simile a quello proveniente dalle discariche ufficiali”, il materiale non può essere semplicemente sparso sui campi come falsamente attestato dai documenti di accompagnamento, ma va seppellito in buche profonde scavate con le pale meccaniche e ricoprendo tutto. Un lavoro di interramento svolto “in quantità tali da alterare morfologia, composizione e persino temperatura del terreno, con danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica, atteso che tali appezzamenti sono poi destinati alla coltivazione”. 

Siti da bonificare, la mappa del Consorzio Italbiotec: “Oltre 12mila potenzialmente inquinati”. Gli interventi? Vanno a rilento. Danni di cui i titolari della Sep, indagati insieme ad altre 21 persone, sanno perfettamente. “Guardi, noi qui facciamo smaltimento illecito di rifiuti”, dice il 15 marzo 2018 il titolare intercettato nella sua auto, raccomandando al suo interlocutore, non identificato, “di stare attento a non parlare molto perché all’interno del veicolo potrebbero esserci delle microspie”, annotano i magistrati. Soprattutto erano compiacenti i tecnici di tre laboratori, uno di Napoli, uno di Pomezia e uno di Isola del Liri, nel frusinate, che falsificavano le analisi dichiarando la compatibilità di legge del compost nonostante questo avesse percentuali di “impurità” di gran lunga superiori al consentito.

Consapevoli, per i pm, sono anche i titolari delle cinque aziende agricole distribuite tra Sabaudia, Cori, Maenza, Pontinia e Roma. Perfettamente al corrente, secondo i magistrati, di ciò che veniva scaricato nei loro terreni, al punto che non solo non pagavano il compost ma venivano addirittura remunerati dalla Sep per prenderselo. Ed è proprio dall’odore sprigionato dai rifiuti interrati in un terreno tra Aprilia e Ardea è partita l’indagine della Dda, nata dall’accorpamento di altri sei procedimenti a carico della Sep, che ha portato alla luce un sistema tanto oliato al punto che, scrive il gip Claudio Carini, in quattro anni l’azienda ha sversato nei campi strappati alla palude negli anni ’30 del secolo scorso almeno 57mila tonnellate di rifiuti speciali classificati come non pericolosi. Anche in terreni su cui sono coltivati “olivi e granturco e sono attigui ad altre piantagioni – hanno specificato gli investigatori in conferenza stampa a Roma – il rischio che tramite le falde acquifere questo materiale possa aver inquinato le coltivazioni c’è ed è reale”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/14/traffico-rifiuti-latina-roma-compost-irregolare-interrato-nei-campi-danni-irrimediabili-per-ambiente-e-salute-pubblica/5253922/

La macchina del tango, - Marco Travaglio

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L’ultimo grido del tartufismo nazionale è smentire notizie inesistenti per cancellare quelle esistenti e rispondere alle domande sbagliate per eludere quelle giuste. Tipo dialogo tra sordi. “Che ora è?”, “Vigevano”. “Come ti chiami?”, “L’altroieri”. Con questo trucchetto ciascuno può fare e dire quel che gli pare, senza che si arrivi mai al nocciolo della questione: cioè a stabilire cosa è vero, cosa è falso, chi ha fatto (o non ha fatto) cosa. Una grande fumeria d’oppio dove convivono mezze, doppie e triple verità, le une incompatibili con le altre. Prendete lo scandalo del Csm. Il 5 giugno il Corriere narra che Mattarella auspica l’azzeramento del voto sul procuratore di Roma della commissione del Csm, che ha tributato 4 voti a Marcello Viola e 1 a testa a Giuseppe Creazzo e a Francesco Lo Voi, per dare la precedenza agli uffici scoperti da più tempo: l’“ordine cronologico”, purtroppo inesistente fra le regole e le prassi del Csm, che infatti lo adottò una sola volta, sempre su richiesta del Quirinale (èra Napolitano) e sempre per rimettere in gioco lo sconfitto Lo Voi. Il tutto in attesa di un “nome nuovo” in “continuità giudiziaria” col dogma dell’Immacolato Pignatone.

Abbiamo atteso una smentita del Quirinale a quell’incredibile entrata a gamba tesa via Corriere. Invece è arrivata la conferma: il Csm ha congelato il voto del Plenum su Roma in ossequio all’inedito “ordine cronologico”. Non contento, Mattarella ha mandato avanti le consuete “fonti del Quirinale” per far sapere che “non ha mai parlato di nomine, né mai è intervenuto per esse”. È il Csm che ha spontaneamente deciso di calpestare le proprie regole e seguire l’ordine cronologico, ma non perché gliel’ha chiesto Mattarella, bensì perché tutti gli altri consiglieri gli hanno letto nel pensiero. Oppure hanno letto il Corriere e han preso per buono un auspicio falso, che però Mattarella si era scordato di smentire facendolo apparire vero. Nel frattempo sono emerse altre due circostanze imbarazzanti: il verbale del pm Luca Palamara, indagato per corruzione a Perugia, sulla voce circolante nell’ambiente che lui fosse intercettato con un Trojan e che fosse partita dal consigliere giuridico del Colle; e una frase intercettata del deputato-imputato Pd Luca Lotti, che racconta a Palamara di essersi recato al Quirinale per lamentarsi della persecuzione giudiziaria della Procura di Roma contro di lui su Consip. La prima è stata subito smentita dal Quirinale. La seconda no, anzi: il Colle fa sapere che l’ultimo incontro fra Mattarella e Lotti risale al 6 agosto, prima delle richieste di rinvio a giudizio degli imputati Consip.

Dunque è vero che l’imputato Lotti chiese e ottenne udienza da Mattarella per parlare del suo processo: il Quirinale e le sue fonti si scordano di spiegare a che titolo, e se tutti gli italiani imputati possano recarsi in processione a lagnarsene col capo dello Stato. C’è un apposito Ufficio Reclami Vittime Malagiustizia, con tanto di centralino? E qual è il numero? Per aggiungere surrealismo a surrealismo, Repubblica titola: “Il fango su Mattarella”. E perché non il tango? O il mango?

La storiella del “fango” funziona sempre e si porta su tutto, quando si vuole svicolare dai fatti. Tant’è che la racconta pure Lotti, mentre escono le sue intercettazioni (sempre con Palamara) in cui dispensa consigli inferiori al Consiglio superiore su quali magistrati nominare in quali Procure. Dice che a David Ermini, il renziano piazzato da Pd, Unicost e MI alla vicepresidenza del Csm, “qualche messaggio gli va dato forte”, perché non è abbastanza pron(t)o a obbedire. Invece a Creazzo, che a Firenze ha osato far arrestare i genitori di Renzi, Palamara dice che “va messa paura con l’altra storia” (un esposto di pm fiorentini contro il loro capo) e così “liberi Firenze, no?”. Ma la competenza di Lotti si estendeva su tutto il territorio nazionale: “A Roma si vira su Viola, ragazzi… Poi però a Torino chi ci va? Scusate se vi faccio ’sta domanda”. Che gli fregava di Torino? Voleva metterci il procuratore di Reggio Calabria, dove a quel punto sarebbe andato Creazzo, liberando Firenze per le terga di un amico degli amici. Conclusione del Pg della Cassazione: “Si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti”. Uno normale, in un partito normale, si dimetterebbe e andrebbe a nascondersi. Ma Lotti non è uno normale e il Pd non è un partito normale. Infatti Zingaretti continua a balbettare che “non c’è nulla di illecito” e a non muovere un dito. E Lotti fa addirittura la vittima: strilla alla “montagna di fango contro di me”, oltre “i livelli minimi di accettabilità” (li decide lui). E i suoi traffici intercettati? “Ho espresso liberamente le mie opinioni: parole in libertà, non minacce o costrizioni. Quindi ho commesso reati? Assolutamente no. Ho fatto pressioni o minacce? Assolutamente no. In questi anni ho incontrato decine di magistrati, per i motivi più svariati: se è reato incontrare un giudice non ho problemi a fare l’elenco di quelli che ho incontrato io, in qualsiasi sede”. La classica smentita che respinge accuse (minacce, costrizioni e pressioni) mai lanciate da alcuno e nega reati (incontrare magistrati) mai contestati da alcuno, per non affrontare l’unico, vero scandalo che lo riguarda: un parlamentare imputato che suggerisce i nuovi procuratori di Roma (dove ha un processo) e di Firenze (dove vive e opera) a chi deve nominarli e richiama all’ordine il vicepresidente del Csm che lui stesso, senz’averne alcun titolo, ha contribuito a far eleggere. Il classico dialogo tra (finti) sordi. “Vai a pescare?”, “No vado a pescare”, “Ah credevo che andassi a pescare”.

“La macchina del tango” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 14 Giugno 2019

https://infosannio.wordpress.com/2019/06/14/la-macchina-del-tango/

Come volevano silurare il Pm del caso Renzi. - Simone Di Meo - La Verità



È come Chernobyl. Le radiazioni che arrivano dall’ inchiesta di Perugia contaminano e rendono inabitabili le ovattate sale del Csm dove ieri, nel giro di un pomeriggio, è andata in scena la prima parte della grande resa dei conti. Il togato Gianluigi Morlini (ex Unicost) si è dimesso dall’ incarico, pur non essendo indagato. Ha ammesso di aver incrociato il deputato renziano Luca Lotti a un dopocena con altri colleghi il 9 maggio 2019: «so di avere compiuto un errore dovuto a leggerezza», ma «senza che io lo sapessi o lo potessi prevedere».

È però finito comunque sotto inchiesta disciplinare su decisione del procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio così come gli altri tre consiglieri che, nei giorni scorsi, insieme a lui si erano autosospesi: Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli (che nel frattempo ha lasciato la commissione disciplinare).

L’ atto di incolpazione riguarda tanto gli incontri, ritenuti «non casuali», con Lotti e il deputato del Pd Cosimo Ferri («estranei alle funzioni consiliari», si legge nelle carte) quanto il presunto dossier preparato per azzoppare candidati scomodi nella corsa per la Procura di Roma, come il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo (che coordina le indagini sulla famiglia Renzi, inchieste che hanno portato all’ arresto dei genitori dell’ ex premier), che emerge come il vero obiettivo delle manovre dell’ ex ministro Lotti.

L’ atto contiene anche stralci di intercettazioni, raccolte col virus spia incolpato nel cellulare dell’ ex segertario dell’ Anm Luca Palamara (indagato per corruzione), che catturano le voci dei partecipanti (tra cui due uomini non identificati, uno dall’ accento meridionale e un altro dall’accento settentrionale).

Lotti appare impegnato a dare il timing della nomina del procuratore di Roma che dovrà reggere la pubblica accusa contro lo stesso Lotti nel processo Consip («Io strategicamente vi darei il suggerimento di chiudere tra il 27, 28 e 29») e a coordinare le attività («si vira su Viola, sì ragazzi», afferma in tono familiare, notano gli inquirenti). Di rilievo anche la conversazione di Palamara in cui dice che ha un «collega» (omissis) «che ha raccolto tutte queste cose in un dossier… tutte le cose che non andavano su questa inchiesta (concorsi in sanità, ndr) e su Creazzo, e su… (inc) e ha fatto l’ esposto».

E prosegue: «Quindi non è proprio…non una cazzata, voglio dì…non è passata come una cazzata». Il mattatore degli incontri – si legge nell’ atto di incolpazione – è sempre Lotti. Che in un altro brano sembra molto preoccupato del destino di Creazzo: «Poi però a Torino chi ci va? Scusate se vi faccio ‘sta domanda». Palamara risponde: «Torino secondo me è ormai aperta». E il deputato del Pd controreplica: «Non so, però per me è un pizzico legata alla difesa d’ ufficio che devono fare loro due di una situazione fiorentina che sinceramente ve lo dico con franchezza è imbarazzante…».

Interviene anche l’ ex consigliere Csm, Luigi Spina: «Cioè, l’ unico che se ne va… e noi te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile». Un altro interlocutore domanda: «Ma non ha fatto domanda per Torino Creazzo?» E Lotti, evidentemente informato, assicura: «No, no». Palamara spiega dall’ alto della sua esperienza: «Se lo mandi a Reggio liberi Firenze». E Lotti: «Se quello di Reggio va Torino, è evidente che questo posto è libero. E quando lui capisce che non c’ è più posto per Roma, fa domanda (per Reggio Calabria, ndr) e che se non fa domanda non lo sposta nessuno, ammesso che non ci sia, come voi mi insegnate… (voce fuori campo interviene: «un altro motivo». E Luca ragiona: «A norma di regolamento un altro motivo». Il riferimento sembra all’ esposto che dovrebbe affondare Creazzo.

Interviene Ferri: «Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole andà a Reggio Calabria o no, secondo voi?». Palamara taglia corto: «Gli va messa paura con l’ altra storia, no? (…) Liberi Firenze, no?».

Il vero nemico di Luca Lotti e della sua compagnia in quel momento sembra quindi più che il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, il procuratore di Firenze.

In una giornata dominata da evidenti segnali di una crisi di sistema, si è fatto sentire anche il Colle. E lo ha fatto attraverso fonti raccolte dalle agenzie di stampa che hanno specificato che «il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mai parlato di nomine di magistrati né è mai intervenuto per esse». Una presa di distanza, anche rispetto alle notizie pubblicate da alcuni quotidiani sui contenuti delle ormai famigerate intercettazioni di Perugia, utile a sottolineare «inoltre che la presidenza della Repubblica non dispone di notizie su indagini giudiziarie e che dal Colle non sono uscite informazioni al riguardo».

«Gli interventi messi in atto sono stati di carattere generale, per richiamare il rispetto rigoroso dei criteri e delle regole preposte alle funzioni del Csm». Riguardo, invece, a Luca Lotti, dal Colle evidenziano «che l’ ultimo incontro risale al 6 agosto 2018 quando è cessato dalla carica di ministro». Dunque, non c’ è stata alcuna riunione successiva.

Di ricostruzioni approssimative, che riguardano la presidenza della Repubblica, parla anche chi, in queste ore, ha potuto raccogliere gli sfoghi di Palamara che avrebbe confidato agli amici di «non aver mai sparso veleni sul Quirinale» come «ho dettagliato nel mio interrogatorio», reso nei giorni scorsi a Perugia.

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