Segnatevi questa frase. È del 4 febbraio 2015, da un’intervista a Panorama: “Pazzesco. Un ministro dell’Interno che twitta su indagini in corso non merita neppure un commento. Il fatto in sé la dice tutta sul quel personaggio lì”.
Quel personaggio lì era Angelino Alfano, che aveva appena annunciato tutto giulivo via Twitter l’arresto di Massimo Bossetti, sospettato dell’omicidio di Yara Gambirasio e da lui già dato un minuto dopo per sicuro colpevole. E il nostro uomo gli saltò (giustamente) addosso: “Io non sopporto la spettacolarizzazione… Massimo riserbo e massimo silenzio. Non dovrebbe trapelare nessuna notizia… Poi non bisogna mai esibire un catturato. Se devi portare via uno, lo porti via di nascosto, la notte”.
E chi era di questo squisito ipergarantista, questo sensibilissimo custode del riserbo? Matteo Salvini, tre anni prima di diventare ministro dell’Interno e di twittare compulsivamente su ogni arresto (anche se ancora da eseguire), indagine e sospetto, assumendosene il merito (che peraltro è sempre della magistratura e delle forze dell’ordine), chiedendo condanne esemplari e promettendo inasprimenti di pene.
“Pazzesco”, avrebbe detto il Salvini del 2015 sul Salvini del 2019. Anzi, di “quel personaggio lì”.
Memorabile il suo cinguettio all’alba del 4 dicembre scorso: “15 mafiosi nigeriani arrestati a Torino dalla Polizia. Grazie alle Forze dell’Ordine! La giornata comincia bene!”. Purtroppo la Polizia ne stava ancora cercando alcuni, sfuggiti alla cattura perchè non erano in casa o non avevano casa. Forse qualcuno, avvisato dal ministro che lo stavano cercando, non si fece più trovare. Il procuratore Armando Spataro s’infuriò: “Non sono accusati di mafia, non sono 15 e non li abbiamo ancora arrestati tutti. Così si rischia di danneggiare l’operazione”. Il cosiddetto ministro replicò: “Se il procuratore di Torino è stanco, vada in pensione” (unica variante del refrain prima fassiniano e poi salviniano: “Se Tizio vuole fare politica, si faccia eleggere”).
Poi, il 6 giugno scorso, ci ricascò con un altro leggendario tweet: “Si erano fronteggiati a Prato con coltelli e pistole per il controllo della prostituzione: 10 cinesi, tra cui 6 clandestini, sono stati arrestati. Grazie ai Carabinieri! Nessuna tolleranza per i delinquenti: la pacchia è finita!”. Furioso il procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi, perché l’operazione era in pieno corso: i cinesi arrestati erano solo 3, gli altri 7 non si sono più trovati.
Pare che ormai i delinquenti comuni - oltre a quelli in guanti gialli che popolano il suo partito e il suo entourage - seguano appassionatamente Salvini sui social. Vedi mai che li avverta in anteprima che qualcuno sta andando a prenderli.
L’altroieri, l’apoteosi con la tragedia del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega, assassinato durante un’operazione in borghese ancora tutta da chiarire. Salvini condivide subito una notizia del messaggero.it – presa per buona anche da Gentiloni, poi rivelatasi falsa o incompleta – sulla “caccia a due nordafricani” e aggiunge: “Caccia all’uomo a Roma, per fermare il bastardo che stanotte ha ucciso un Carabiniere a coltellate. Sono sicuro che lo prenderanno, e che pagherà fino in fondo la sua violenza: lavori forzati in carcere finché campa”. E poi, a stretto giro: “Spero li prendano il prima possibile e che finiscano in galera ai lavori forzati a vita, come in Austria”.
La solita pagliacciata di annunciare o promettere cose impossibili: ammesso e non concesso che un giorno Salvini presenti una legge sui lavori forzati (al momento, è la prima volta che ne parla), questa varrebbe comunque per chi commettesse reati dopo quella data, non per chi li ha perpetrati prima. Idem per l’escalation di insulti ai sospettati ancora senza nome e senza volto: “bastardi”, “infami”, “stronzi”, come se qualcuno provasse simpatia per loro, e se bastasse qualche contumelia per riportare in vita il morto ammazzato, lenire il dolore dei familiari e placare lo sdegno dei cittadini. Infatti, siccome nessuno se lo fila, qualche ora dopo Salvini si riprende dallo choc per la nazionalità dei sospetti (extracomunitari, sì, ma americani). E rilancia ancora, col solito ribaldo accenno alla pena di morte, lanciando il sasso e ritraendo la mano: “Sperando che l’assassino del nostro povero carabiniere non esca più di galera, ricordo ai buonisti che negli Stati Uniti chi uccide rischia la pena di morte. Non dico di arrivare a tanto, ma al carcere a vita (lavorando ovviamente) questo sì!”.
Peccato che l’ergastolo per l’omicidio volontario aggravato, come quello del carabiniere, in Italia sia già previsto. Da sempre. Se qualche omicida non lo sconta per intero, è per le mille norme impunitarie varate da centrosinistra e centrodestra (Lega inclusa) per i loro amichetti accusati di tutt’altri reati. Il problema è che il ministro dell’Interno non è pagato per piangere i morti ammazzati, lanciare insulti e auguri di “marcire in galera” a chi delinque e suggerire le pene ai giudici. Ma far sì che si delinqua un po’ meno, con quella cosa (per lui) misteriosa che si chiama “prevenzione”. Cioè con investimenti per riempire i vuoti in organico delle forze dell’ordine (a Roma – segnala Virginia Raggi, inascoltata da Salvini, da prima del delitto Desirée, maturato anch’esso nei bassifondi della droga – mancano almeno 2 mila agenti di Polizia, e l’ordine pubblico e la prevenzione anticrimine non spettano certo a sindaci e vigili urbani). E soprattutto per organizzarli e dislocarli meglio sul territorio.
Ma tutto questo riguarda un eventuale ministro dell’Interno. Noi invece abbiamo un ministro dell’Esterno, che fa e dice tutto quel che non dovrebbe e quel che dovrebbe non lo fa e non lo dice. “Quel personaggio lì”.
Marco Travaglio FQ 28 luglio