domenica 7 giugno 2020

Coronavirus, trovati i geni che aumentano il rischio. - Elisa Buson

Trovati i primi geni che determinano la diversa suscettibilità delle persone alla Covid-19 (fonte: quapan, Flickr, CC BY 2.0) © Ansa
Trovati i primi geni che determinano la diversa suscettibilità delle persone alla Covid-19 (fonte: quapan, Flickr, CC BY 2.0)

Da uno studio italiano, grazie all'intelligenza artificiale.

E' un maxi studio genetico italiano il primo al mondo a stringere il cerchio intorno ai geni che determinano la diversa suscettibilità delle persone alla Covid-19: i primi 'indiziati' sono stati individuati grazie all'intelligenza artificiale presso l'Università di Siena nell'ambito del grande progetto di ricerca Gen-Covid, che attraverso la collaborazione di 35 ospedali di tutta Italia analizzerà il Dna di 2.000 persone entro l'estate. I risultati ottenuti sui primi 130 pazienti sono presentati alla conferenza della Società europea di genetica umana.
"Abbiamo usato un approccio completamente nuovo che valuta il singolo paziente: così sarà più facile trovare terapie personalizzate contro Covid-19", spiega Alessandra Renieri, professore all'Università di Siena e direttore dell'Unità di genetica medica all'Azienda ospedaliero-universitaria Senese. "In Italia abbiamo avuto la sfortuna di fare da apripista con i nostri pazienti: ora speriamo di poter fare altrettanto come scienziati".
L'estrema variabilità della malattia Covid-19 è uno degli aspetti più oscuri della pandemia. Alcune persone infettate dal nuovo coronavirus sono del tutto asintomatiche, altre hanno una sindrome influenzale, altre ancora sviluppano conseguenze gravissime che portano alla morte. "Abbiamo pensato fin dall'inizio che fosse la genetica dell'ospite a fare la differenza - spiega Renieri - e diversi studi hanno poi dimostrato che la gravità della malattia dipende al 50% da fattori ereditari". Per scoprire quali fossero, sono stati condotti diversi studi genetici mettendo a confronto il Dna di persone malate di Covid e persone sane, ma i risultati sono stati deludenti.
"Abbiamo quindi deciso di cambiare metodo, provando a valutare ogni paziente come un caso a sé, proprio come facciamo da anni nello studio delle malattie genetiche rare", precisa la genetista. "Abbiamo scomposto la Covid nei vari organi che colpisce, valutando se nel singolo paziente fosse grave o lieve dal punto di vista polmonare, epatico, cardiovascolare e così via. Poi abbiamo esaminato il Dna: ogni individuo presenta oltre 50.000 varianti genetiche, e per semplificarne lo studio abbiamo deciso di valutare le varianti più significative analizzandole secondo un sistema binario, proprio come fanno i computer: il gene vale 0 se è intatto, vale 1 se è alterato".
Questa mole di dati, rielaborata grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, ha permesso di trovare in ogni malato una media di tre geni mutati che sembrano influire sulla suscettibilità al coronavirus dei singoli organi o apparati. “Di questi geni – conclude Renieri - alcuni sono già bersaglio di farmaci attualmente disponibili sul mercato che potrebbero avere una nuova indicazione contro Covid”.

Decreto Scuola, Camera lo approva con 245 voti a favore e 122 contrari. Azzolina: “Grazie al governo”. Ecco tutte le novità.

Decreto Scuola, Camera lo approva con 245 voti a favore e 122 contrari. Azzolina: “Grazie al governo”. Ecco tutte le novità

La discussione fiume è andata avanti, ininterrottamente, da venerdì a causa dell'ostruzionismo del centrodestra, in particolare di Lega e Fratelli d'Italia, che, portando il numero degli iscritti a parlare a 172, ha cercato di impedire il voto finale sul testo entro la scadenza ultima, fissata alla mezzanotte di oggi.
Il Decreto Scuola è legge. In attesa della firma da parte del presidente della Repubblica e la conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la Camera dei Deputati ha approvato con 245 voti a favore e 122 contrari il testo proposto dalla maggioranza di governo. Il via libera è arrivato intorno alle 11.45, dopo una seduta fiume andata avanti ininterrottamente da venerdì a causa dell’ostruzionismo del centrodestra, in particolare di Lega e Fratelli d’Italia, che, portando il numero degli iscritti a parlare a 172, ha cercato di impedire il voto finale sul testo entro la scadenza ultima. “È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l’anno scolastico in corso. Il testo è stato migliorato durante l’iter parlamentare grazie al lavoro responsabile della maggioranza di governo. Con l’obiettivo di mettere al centro gli studenti e garantire la qualità dell’istruzione. Ora definiamo le linee guida per settembre, per riportare gli studenti a scuola, in presenza e in sicurezza”, ha commentato a caldo la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina. 
Cosa cambia: dalle regole sugli esami di Stato al concorso per insegnanti.
Uno degli aspetti più urgenti erano le disposizioni per lo svolgimento degli esami di Stato a conclusione dell’anno scolastico 2019-20. Il decreto contiene la cornice normativa per lo svolgimento degli esami del I e II ciclo e per la valutazione finale. A seguito dell’emergenza coronavirus, sono state previste misure specifiche e semplificate per questo anno scolastico. In particolare, l’esame di Stato del I ciclo coincide con la valutazione finale da parte del Consiglio di classe, che terrà conto anche di un elaborato consegnato e discusso online dagli studenti. Mentre per il II ciclo è prevista la sola prova orale in presenza.
Novità riguarderanno anche i voti alla scuola primaria. Tornano i giudizi descrittivi al posto dei voti in decimi. La novità sarà reintrodotta dal prossimo anno scolastico. Una successiva ordinanza del ministero dell’Istruzione darà alle scuole tutte le indicazioni operative.
Il testo introduce anche maggiori tutele per gli alunni con disabilità. I dirigenti scolastici, sulla “base di specifiche e motivate richieste da parte delle famiglie degli alunni con disabilità”, tenuto conto della particolarità di questo anno scolastico, dopo aver sentito i Consigli di classe e acquisito il parere del Gruppo di lavoro per l’inclusione della loro scuola, potranno consentire “la reiscrizione dell’alunno al medesimo anno di corso frequentato nell’anno scolastico 2019-20″. Questo consentirà di recuperare il mancato conseguimento degli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia stabiliti nel Piano educativo individualizzato.
Novità anche per i privatisti che avranno l’esame a settembre e vogliono iscriversi all’università. I candidati che dovranno sostenere l’Esame del II ciclo nella sessione straordinaria di settembre, in attesa di conseguire il diploma, potranno partecipare con riserva alle prove di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato e ad altre prove previste dalle università, istituzioni dell’Alta formazione artistica musicale e coreutica e altre istituzioni di formazione superiore post diploma. Potranno partecipare con riserva anche a procedure concorsuali pubbliche, selezioni e procedure di abilitazione per le quali sia richiesto il diploma di II grado.
Ai sindaci saranno conferiti poteri speciali in materia di edilizia scolastica, così da favorire un più rapido adeguamento delle strutture in vista del prossimo anno di studi. L’esecuzione degli interventi sarà infatti velocizzata: fino al 31 dicembre 2020 i Sindaci e i presidenti delle Province e delle Città metropolitane potranno operare con poteri commissariali. Gli enti locali avranno, dunque, uno strumento in più per agire e garantire che gli interventi possano svolgersi rapidamente e in tempi utili per l’avvio del prossimo anno scolastico.
Cambia il concorso straordinario per l’ingresso nella Scuola secondaria di I e II grado. I docenti che hanno i requisiti per partecipare non sosterranno più una prova a crocette, ma una prova con quesiti a risposta aperta, sempre al computer. La prova sarà diversa per ciascuna classe di concorso. Il bando, già pubblicato in Gazzetta Ufficiale a fine aprile, sarà modificato tenendo conto delle novità introdotte. Le prove si svolgeranno appena le condizioni epidemiologiche lo consentiranno. Ai vincitori di concorso immessi in ruolo nel 2021-22 che rientrano nella quota di posti destinati all’anno scolastico 2020-21 sarà riconosciuta la decorrenza giuridica del contratto, anche ai fini dell’anzianità, dal 1° settembre 2020. Le graduatorie dei supplenti, invece, saranno aggiornate, ma anche provincializzate e digitalizzate. Si attuerà, perciò, quanto previsto dal decreto scuola di dicembre, ma con un’importante semplificazione per garantire l’attuazione delle nuove regole in tempo per il nuovo anno scolastico: il ministero potrà emanare un’apposita ordinanza, anziché muoversi per via regolamentare. La provincializzazione consentirà di sgravare le segreterie delle istituzioni scolastiche: saranno gli Uffici territoriali del Ministero a seguire il processo e assegnare le supplenze. La presentazione delle domande sarà, poi, informatizzata per tagliare i tempi e rendere il processo più efficiente anche a vantaggio degli insegnanti e degli studenti. Con il nuovo modello le supplenze saranno assegnate più rapidamente.
È inoltre prevista l’istituzione di un apposito Tavolo di confronto per avviare “con periodicità percorsi abilitanti” e fare chiarezza sul percorso per diventare insegnanti, consentendo così anche ai giovani neo-laureati un percorso di accesso all’insegnamento “caratterizzato da una formazione adeguata”. Il Tavolo sarà presieduto dal Ministro.
La corsa contro il tempo per l’approvazione.
La seduta è iniziata venerdì mattina con l’esame e il voto sui 193 ordini del giorno, dei quali 157 presentati dall’opposizione. Il numero di deputati che ha chiesto la parola, 172 con 10 minuti a disposizione ciascuno, secondo quanto stabilito dai regolamenti, avrebbe potuto prolungare la discussione per oltre 28 ore, alle quali dovevano essere sommate le pause obbligatorie per le sanificazioni delle sale, ogni tre ore, e il tempo necessario per la firma del presidente della Repubblica e conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, mettendo così a rischio la conversione in legge.
Poco prima dell’ora di cena la seduta è anche stata sospesa dopo dei momenti di confusione provocati dai leghisti che hanno innalzato uno striscione con la scritta “Azzolina bocciata“. A suscitare l’ira del Pd, come hanno spiegato successivamente Enrico Borghi e Patrizia Prestipino, è stato il fatto che i deputati del Carroccio hanno attraversato precipitosamente l’emiciclo e sono saliti sui banchi del Pd per fotografare i colleghi con lo striscione (vietato dai regolamenti parlamentari) e poter postare la foto sui social. “I nostri banchi sono stati invasi – ha detto Borghi – Non vogliamo che la Camera diventi l’anticamera di uno stadio. Noi rispettiamo l’ostruzionismo della Lega, ma pretendiamo il rispetto delle nostre prerogative”.

sabato 6 giugno 2020

Grandi opere e vincoli: il liberismo spacca l’Italia - Vittorio Emiliani

2 Giugno, manifestazione centrodestra a Roma: per Salvini raffica ...
“Al Matteo a gh’è scapà la vaca in tal prà”, avrebbe detto un lumbard. “Gli è scappata la vacca nel prato”, nel senso che in piazza del Popolo, Matteo Salvini le ha sparate grosse, le più grosse possibili: sulle grandi opere niente gare d’appalto, niente controlli tecnici, niente intralci di vincoli, niente di niente, si fanno e basta.
Sentendolo parlare, anzi blaterare in quel modo, in piazza del Popolo, gioiello della pianificazione urbanistica napoleonica, mi sono venute alla mente le immagini agghiaccianti della Liguria che, a ogni pioggia appena più violenta, subisce ovunque alluvioni devastanti. Perché? Perché – come mi spiegò negli anni Sessanta il grande geografo Lucio Gambi – “stanno tagliando con le gallerie dell’autostrada la costa a metà senza curarsi di farci studiare e quindi incanalare il corso delle acque sotterranee, così queste, trovando ostruito il cammino verso il mare, prenderanno le direzioni più impensate scassando il sottosuolo e anche il suolo…”. Facile profezia purtroppo mentre in Liguria dilagavano le seconde e terze case di milanesi e torinesi. Diecimila vani in più all’anno solo a Rapallo che Giorgio Bocca sul Giorno chiamò sarcasticamente “Lambrate sul Tigullio”.
Del resto il Verbo paesaggistico di Matteo Salvini è questo da anni. Due anni fa, in campagna elettorale, discutendone con l’allora sottosegretario Pd, Maria Elena Boschi, disse che lui le Soprintendenze le avrebbe abolite. Era furibondo con un soprintendente lombardo che aveva bocciato una nuova variante sul Lago di Como, la Tremezzina. E Maria Elena gli aveva fatto presente che anche il Pd era d’accordo nel ridurre i poteri di interdizione e di vincolo delle Soprintendenze.
Ecco il punto: dov’è la sinistra o il centrosinistra alternativo alla barbarie del centrodestra salviniano?
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/06/grandi-opere-e-vincoli-il-liberismo-spacca-litalia/5826251/#

Con-te partirò. - Marco Travaglio




Se i set dei film e delle fiction non si decidono a riaprire alla svelta, rischiano di vedersi rubare il mestiere dai giornali. Cioè da quegli oggetti cartacei che un tempo contenevano notizie e ora fabbricano invenzioni. Le più in voga, negli ultimi tempi, sono tre: escogitare alibi (ovviamente falsi) per salvare le chiappe agli sgovernanti della Lombardia prima che passino alla storia come i più terrificanti (e al contempo comici) serial killer mai visti sull’orbe terracqueo; trovare il modo di scongiurare la scomparsa di due specie in via d’estinzione, i renziani e i calendiani; propiziare la nascita di un nuovo governo, possibilmente presieduto da Mario Draghi (senza peraltro domandargli se sia minimamente interessato) e sostenuto da tutti i vecchi partiti, previo dirottamento di Giuseppe Conte su un qualche strapuntino di consolazione (senza peraltro domandargli se sia minimamente interessato). La terza missione, la più improba, vede impegnatissime le principali testate e i loro signorini grandi firme, che studiano per il premier nuovi mestieri alternativi (come se non fosse già un prof e un avvocato).
L’estate scorsa, caduto il suo primo governo, tutti scrivevano che sarebbe andato certamente al ministero degli Esteri o a Bruxelles come commissario Ue (infatti restò premier). L’altro giorno Il Tempo e Il Dubbio (mica pizza e fichi) lo davano sicuro candidato di Pd e 5Stelle a sindaco di Roma (dove peraltro il M5S ricandida la Raggi e i dem, come sempre, uno a caso da buttar giù alla prima occasione). Ieri il sempre attendibile Claudio Tito, su Repubblica, lo dipingeva molto “tentato” dall’appassionante sfida di candidarsi a senatore alle elezioni suppletive a Sassari (gnamm!) per “blindare il governo” (qualunque cosa voglia dire) e diventare “il primo candidato ‘giallorosso’”, un “laboratorio” vivente della prossima “fusione Pd-M5S” (ovviamente mai pensata da alcuno). L’idea che uno che fa il presidente del Consiglio con consensi intorno al 60%, fra i più alti in Europa, non stia nella pelle di fare il senatore di Sassari o il sindaco di Roma, rende perfino più credibile la notizia ripetuta per la quarantesima volta da Libero: “Giuseppi confida nel virus per rimanere in sella e sogna il Quirinale”. E mentre briga per il Campidoglio, per il seggio sassarese e per il Quirinale e nei ritagli di tempo governa, ha ancora parecchio tempo libero. Infatti ha “pronto il suo partito”. Lo scrive un’altra firma di provata credibilità: Stefano Zurlo del Giornale. Dunque dev’essere vero. L’aveva già scritto ai primi d’aprile il piduista Bisignani su Libero: “Il partito di Conte è pronto. Dovrebbe chiamarsi ‘Insieme con Conte’. Il piano segreto del premier”.
Talmente segreto che non ne sapevano nulla né Conte né gli altri congiurati: Andrea Scanzi, il sottoscritto, un certo Gianluca Rospi (ha “un ufficio in via della Pigna”, e ho detto tutto) e un “fidatissimo collaboratore, Gerardo Capozza”. Senza dimenticare “i gruppi vicini alla figura di San Francesco d’Assisi” (santa Chiara, il lupo di Gubbio e alcuni uccelli), “i ciellini di Giorgio Vittadini, il volontariato, la Comunità di Sant’Egidio e gli intransigenti di Civiltà Cattolica”. Quando lessi la bisignanata, ci scherzai sopra sul Fatto e proposi per il Pochette Party un nome più accattivante del noiosissimo “Insieme con Conte”, ma soprattutto più diretto e subliminale: “Con-te”. Voi non ci crederete ma l’altroieri l’autorevole Zurlo ha trasformato la mia battuta in una notizia: “‘Con-te’: un gioco di parole per un partito che cerca strada” ma è “pronto”: “Un contenitore a immagine e somiglianza” di Conte, il quale “cospira con due mani: in una ci sono diversi soggetti della diaspora grillina, nell’altra prototipi democristiani”. Peccato non ne abbia una terza, di mano, perché ci sono pure “una decina di circoli in gestazione, embrione del movimento”.
Se poi ne avesse una quarta, potrebbe pilotare “alcuni nomi” che lavorano con lui notte e giorno al partito: Bruno Tabacci, ex Dc, ex Ccd, ex Udc, ex Pd, ex giunta Pisapia, ex Più Europa (lui, antiabortista, con l’abortista Emma Bonino); “il comandante Gregorio De Falco”, quello che tentò di rimandare a bordo Schettino, poi salì a bordo del M5S, poi ne scese in piena èra giallo-verde e riuscì a votare persino la mozione Bonino pro Tav essendo stato eletto col movimento più No Tav della storia; Lorenzo Fioramonti, quello che pensava di fare il ministro dell’Istruzione dal Sudafrica e diede le dimissioni un mese dopo, ma solo perché non credeva che Conte le accettasse e ora guida “Eco”, movimento ambientalista monozigote a chilometro zero, impatto zero e soprattutto voti zero. Insomma, tutta gente a posto e soprattutto coerente. Poi c’è Angelo Sanza, uno che era già sottosegretario di Andreotti e amico di Cossiga: un tenero virgulto. E tal “Alessandro Fusacchia, a suo tempo ghostwriter della Bonino”. Un parterre de roi da paura, un trust di cervelli e trascinatori di folle che – assicura Zurlo – “va avanti con provette e alambicchi”. Intanto nelle redazioni si rincorrono le voci sul marchio già depositato del nuovo partito e si commissionano sondaggi: l’ultimo è di ieri e dà il Con-te Party, prim’ancora che nasca, già al 14%, quarto in assoluto dietro a Lega, Pd e FdI. Numeri che si spiegano in un modo solo: il campione interpellato deve aver saputo di Rospi e Capozza, forse anche di Fusacchia.

venerdì 5 giugno 2020

Quanto è usurante l’ultima prova del cavallo morente. - Daniela Ranieri

Quanto è usurante l’ultima prova del cavallo morente

Matteo Renzi - Il nuovo libro del Signor Due Per Cento.
“Ero l’uomo più potente d’Italia, non lo sono più”. Sarebbe bastato lanciare questo epitaffio politico – o tweet, come lo chiamerebbe il suo autore – nel grande mare delle Lettere, e si sarebbe dato a esse lo stesso contributo; invece no: intorno a questa scabra ed esaustiva verità si sviluppano 214 pagine di “interventi concreti”, un vero “patto tra le generazioni”, anzi “un appello a non disperdere energie”. Le abbiamo lette tutte. Non saremo certo noi a negargli un seggio in Parnaso, ma siamo un po’ delusi da questo La Mossa del cavallo (Marsilio), titolo-calco del best-seller di Camilleri (hai visto mai i commessi delle librerie, opportunamente riaperte dopo il lockdown come l’autore chiedeva da tempo, rifilino questo ai clienti, invece dell’omonimo), nonché di un racconto di Viktor Šklovskij (che narra di quando, siccome a San Pietroburgo i gabinetti gelavano, nei giorni feriali le focacce si cuocevano su feci umane, la domenica, invece, su quelle di cavallo).
“Eppure ho fatto il presidente del Consiglio dei ministri a 39 anni, il più giovane nella storia d’Italia”. Sì, lo sappiamo, più giovane anche di Mussolini, che aveva 39 anni e 3 mesi, mentre il narratore li aveva compiuti da un mese soltanto (perciò #enricostaisereno, sennò gli scattava la quota Benito).
Stiamo temporeggiando. In realtà non si sa da dove cominciare. Il menù è quello turistico: un secondo Jobs Act, “perché il primo ha funzionato”; il “Piano Shock”, nome croccante per il vecchio Sblocca Italia; un nuovo “Rinascimento” affidato a Italia Viva (lui, Rosato e Marattin al posto di Lorenzo il Magnifico, Poliziano e Pico della Mirandola), ma stavolta c’è una pietanza in più: il condono sui contanti. Infatti, pare, l’Italia ha “cento miliardi di contante dormiente nelle cassette di sicurezza e sotto i materassi”, su cui si potrebbe agevolmente metter mano con una tassa del 10 o 15%. È un’idea geniale: finora, quando si parlava di condono sul nero, si pensava al rientro dei capitali esotici dall’estero (format di Berlusconi, Tremonti, lo stesso Renzi e l’anno scorso pure Salvini). Mai nessuno aveva pensato di regolarizzare “quei centomila euro che il nonno – carpentiere o ristoratore – ha lasciato in eredità al nipote e che sono stati frutto di pagamenti in nero”, nonno che magari è pure spirato sotto Covid. Ebbene, “sblocchiamoli. È inutile perseverare con i giudizi moralistici su ciò che è avvenuto magari vent’anni fa”, e qui si riconosce il marchio di fabbrica: la confusione tra moralismo e essere morali, e va da sé che nella nuova cashless society, in questa Italia senza contanti dove si paga tutto via smartphone mentre i materassi eiettano banconote (ministro delle Finanze sarà Fabrizio Corona?), bisogna essere garantisti, non giustizialisti. Ecco il conticino: “Cento miliardi di liquidità che finiscono direttamente nelle banche”, che poi naturalmente faranno i prestiti ai nipoti dei carpentieri, questo nel caso le mamme dei vostri amici non siano disposte a prestarvi 700 mila euro sull’unghia per comprarvi la villa. Questo Rinascimento voluntary disclosure è propagandato in forza di citazioni di Machiavelli, Seneca, Hannah Arendt, Shakespeare, Goethe e finanche del povero Kafka, che se fosse in vita riscriverebbe Il Processo intorno a un’accusa di fatture false.
Quindi: dalla pandemia e dalla crisi che ne segue, come non fossero disgrazie abbastanza grandi, nasce la mossa del cavallo (morente): l’autore, condottiero del 2%, si sente chiamato alla Rinascita d’Italia. A questo punto si registra un divertente cortocircuito epistemologico. Come alla Leopolda – che è per i renziani ciò che è la Sala del Regno per i testimoni di Geova – Renzi si “intesta” la Scienza, nelle persone dei virologi Burioni e Capua, vittime dei novaxcinquestellegiustizialisti, ma al contempo deve tenere accesa la fiamma sotto le terga del governo che in teoria sostiene e che si rifiutava di riaprire tutto quando diceva lui. Come conciliare il vitalismo dannunziano dalle sfumature bergsoniane con la prudenza del Comitato scientifico? Facile, attaccando gli epidemiologi, i nuovi professoroni: “Nel momento in cui scrivo il contagio è sceso sotto le mille unità in terapia intensiva (questa frase non vuol dire niente, ndr). Sostenere dunque (?,ndr) che in virtù di un’apertura generalizzata e senza protezioni… si possa arrivare a oltre 150 mila casi da terapia intensiva, è matematicamente falso. Ma serve perfettamente allo scopo: a diffondere ansia e paura” (come vedete, si passa da Goethe a una citazione apocrifa del generale Pappalardo).
Del resto, questo è “un libro di cuore, non è un libro del cavolo”, ha asserito l’autore, che con l’organo apposito disprezza il reddito di cittadinanza e tesse l’elogio di Berlusconi, “un grandissimo innovatore nel settore televisivo, nel calcio, nell’edilizia, persino nell’organizzazione politica” che aveva solo un difetto: “Ha sempre preferito una linea più di compromesso, perdendo una storica opportunità di rivoluzionare l’Italia”, ma proprio a volergliene trovare uno.
Infine, il topos letterario dell’opera omnia renziana, ciò che è la masturbazione per Philip Roth: la stigmatizzazione dell’“invidia per chi ha successo” (chi non desidera essere ultimo nei consensi dopo Crimi e Mattia Santori delle Sardine?), stante ovviamente la visione del mondo che la sostiene, quella neo-liberista (perpetrata dal suo governo) grazie alla quale quando arriva una pandemia ci si trova senza terapie intensive, senza medici, con otto milioni di poveri.
PS: siccome l’autore lamenta di essere vittima di “un’inedita ferocia”, tanto da chiedersi “quanta paura devo fare perché mi trattino così?”, ci teniamo a dire che il nostro giudizio non è ascrivibile alla paura che abbiamo di lui, ma alla fatica improba di prendere sul serio quello che scrive (anzi, stiamo vedendo con Travaglio se si può fare qualcosa affinché l’Inps, insieme ai lavori in galleria, cava, miniera, nelle fonderie di seconda fusione e nell’asportazione di amianto, riconosca la qualifica di “lavoro usurante” anche alla lettura dei nuovi libri di Matteo Renzi).
La dignità dov'è finita?
Usare una sede istituzionale per pubblicizzare un libro con un titolo scopiazzato da un best sellers, è di pessimo gusto.
Renzi non mi fa neanche pena;
- come pensavo, è un personaggio in cerca d'autore, senza idee, senza carattere, senza forma, emulo di chiunque sia riuscito ad ottenere un successo sia in senso positivo che negativo. E' un nulla assoluto. E chi lo scelse come presidente del consiglio lo fece perchè sapeva che avrebbe fatto tutto ciò che gli sarebbe stato richiesto di fare.
E non si può dire che sia finito come uomo politico, perché non è mai neanche esistito come tale.
Ritengo, però, che andrebbe accusato alla "Corte internazionale dei diritti dell'uomo" per incriminarlo definitivamente come distruttore dello "Statuto dei lavoratori", del quale, ne sono certa, non conosceva neanche l'esistenza.
Chi non ha mai lavorato nella sua vita, ma ha solo eseguito ordini dietro elargizioni di natura rappresentativa, peraltro ben remunerate, non può capire la discriminazione e sofferenza di chi lavora e non si vede riconosciuto il giusto compenso o il riconoscimento che meriterebbe.
Cetta

Memory non deve morire. - Marco Travaglio

È l'ipocrisia il vero motivo per cui le tecniche di memoria non ...
Se un giorno gli storici dovranno battezzare l’epoca che stiamo vivendo, la chiameranno l’Era del Mitomane e dello Smemorato. Del resto fra mitomania e smemoratezza c’è un preciso nesso causale: se conservassimo un po’ di memoria, non saremmo infestati da tanti mitomani di successo.
Prendete l’Innominabile. A 45 anni non si ricorda più chi era. Come Alberto Sordi nel film Troppo forte di Carlo Verdone, nei panni dell’avvocato Giangiacomo Pignacorelli in Selci, che un bel mattino si sveglia ballerino e coreografo, indossa una tutina aderente e improvvisa una danza sull’aria di Oci Ciornie davanti ai clienti disperati, mentre le anziane sorelle ricordano “quando faceva il dentista e cavò tre denti al fruttivendolo che gli fece causa perché erano tutti sani”. Ora l’Innominabile si crede garantista e, nel tentativo di promuovere quella ciofeca del suo nuovo libro, strilla contro Piercamillo Davigo, reo di ricordare che la responsabilità politica e morale, diversamente da quella penale, può essere accertata e sanzionata prima delle sentenze. “Parole gravissime, enormi, incredibili!”, bercia lo statista rignanese:
“Dire che non bisogna aspettare le sentenze va contro la civiltà giuridica europea! Mi sorprende che un membro del Csm non distingua giustizia e giustizialismo!”.
Eppure qualche anno fa c’era un presidente del Consiglio ipergiustizialista che, insensibile alla civiltà giuridica europea, predicava il dovere di non attendere le sentenze per licenziare i presunti assenteisti dalla PA. Dovevate sentirlo come ululava, lanciando la riforma Madia: “Per i furbetti del cartellino è finita la pacchia! È una legge cattiva ma giusta. D’ora in poi si va subito a casa!” (15.6.2016). “Chi fa il furbo col cartellino viene licenziato in 48 ore!” (29.11.2017). Cioè senza aspettare non solo le sentenze, ma pure le indagini. E molti gli diedero retta, pensando che prima non si potesse licenziare un assenteista dalla PA: invece si poteva, ma non in 48 ore, bensì in 4 mesi, per consentire all’accusato di difendersi. Infatti la Consulta rase al suolo la sua boiata e lui si rimise a strillare: “La Corte ci impedisce di licenziare i furbetti del cartellino”. Era una balla, ma molti se la bevvero perché lui era il capo del governo. E con la spensierata (in senso etimologico) Madia aveva lanciato il licenziamento in 48 ore al teatro Ariston di Sanremo per fare demagogia sul vigile lì filmato e arrestato perché timbrava in mutande o in tuta, additato al pubblico ludibrio e poi licenziato dal Comune senza uno straccio di condanna e né di rinvio a giudizio. Come voleva il premier giustizialista. La sentenza è poi arrivata sei mesi fa.
E ha assolto il vigile “perché il fatto non sussiste”: l’imputato spacciato per simbolo dell’assenteismo lavorava più degli altri e “la timbratura in abiti succinti non costituisce neppure un indizio di illiceità penale e ha una spiegazione logica” (una disposizione del comandante che imponeva al vigile incriminato, in funzione di custode, di timbrare il cartellino in abiti borghesi dopo aver aperto all’alba il mercato municipale). Resta da precisare il nome di quel premier giustizialista che non voleva attendere le sentenze e nemmeno le indagini: Matteo Pignacorelli in Renzi. Lo stesso che ora accusa Davigo di essere un aguzzino incivile per aver detto molto meno di quel che diceva lui.
Dicevamo della smemoratezza e mitomania. Ieri tal Bruno Astorre, nientemeno che senatore e segretario del Pd nel Lazio, ha molto rosicato perché Virginia Raggi ha vinto la sua battaglia solitaria per lo sgombero degli occupanti abusivi di Casa Pound dopo 17 anni e 4,5 milioni di danni erariali. Così ha pensato bene di negarla, ringraziando “la Procura di Roma” (non si sa mai) e “la Questura”, ma anche “i cittadini che hanno sempre portato avanti questa battaglia di legalità” e attaccando la sindaca “che al solito ha assistito dal balcone del suo Facebook”. In realtà la Raggi, dopo aver sollecitato infinite volte lo sgombero al Demanio (ministero dell’Economia) padrone dello stabile, contro i rinvii della Prefettura pidina e salviniana, si era recata personalmente lì sotto per far scalpellare l’insegna di Casa Pound e metterci la faccia, buscandosi qualche simpatica minaccia di morte, in aggiunta a quelle seguite all’abbattimento dei villini del clan Casamonica. Non sappiamo su quale balcone fosse quel giorno l’Astorre. Sappiamo però chi era sindaco nel 2003 quando Casa Pound occupò il Palazzo: Veltroni. Poi Alemanno e Marino, ma anche lì zero sgomberi (a parte quello di Marino per mano del Pd). Al Mef si susseguivano i ministri (anche il Pd Padoan), ma nessuno pareva interessato a riprendersi lo stabile. Quindi, per favore: astenersi smemorati e mitomani.
A proposito: leggiamo sul Corriere che Zingaretti dice sì a “un’anima patriottica” comune con B. e sul Foglio che il capo dei senatori Pd Marcucci iscrive B. e tutta FI in “un approdo liberale e fortemente europeista”. Parole pronunciate nel giorno dell’ennesimo arresto di Sergio De Gregorio, che una sentenza definitiva definisce “corrotto” da B. con 3 milioni in cambio del suo passaggio dall’Italia dei Valori a FI per rovesciare il governo Prodi-2. Ma lo sanno Zinga e Marcucci che il B. “patriota” e “liberale” è lo stesso corruttore che comprava senatori per rovesciare il loro ultimo governo? O serve un disegnino?

Il ponte sullo Stretto di Messina è costato 960 milioni. (13 Gennaio 2017)



Il ponte sullo Stretto di Messina esiste solo sui rendering promozionali diffusi dalla società concessionaria e probabilmente resterà in tale forma, ma finora è costato al contribuente italiano quasi un miliardo di euro. Un record mondiale per un'opera fantasma. Nel verdetto che chiede una rapida chiusura della procedura di liquidazione della società Stretto di Messina, la Corte dei Conti ha calcolato che questa società ha speso dal 1981, anno della sua costituzione, al 2013, anno della decisione di liquidarla, 958.292 milioni di euro, cui vanno aggiunti altri sei milioni dal 2013 al 2016, perché la società esiste ancora, e spende.
I giudici hanno articolato la storia della società in sei periodi. Nel primo, dal 1981 al 2001 ha speso 74,443 milioni per studi di fattibilità, ricerca e progetto di massima. Nel biennio successivo (2002-2003) ne ha spesi altri 91,246 per il progetto preliminare e gli atti di convenzione, per poi spenderne 146,999 nel 2004-2006 per la gara di appalto, il piano finanziario, i sistemi informativi e gestionali.
La sospensione delle attività nel biennio 2007-2008 è costata, paradossalmente, 160,612 milioni. Nel 2008 sono iniziate le attività per gli accordi con i contraenti, l'aggiornamento delle convenzioni e il piano finanziario terminate l'anno successivo, che hanno comportato un esborso di 172,637 milioni. Ma il maggiore salasso è arrivato tra il 2010 e il 2013, quando la Stretto di Messina ha speso ben 312,355 milioni. Le causali sono la stesura del progetto definitivo, il monitoraggio ambientale, l'aggiornamento del piano finanziario e la stipula dell'atto aggiuntivo. Nel 2013 è stata decisa la liquidazione della società, che però è costata quasi due milioni l'anno nel 2014 e 2015 ed è prevista una spesa di 1,4 milioni per il 2016.
Ma non è tutto, perché è in corso la vertenza giudiziaria avviata da Eurolink, la società che ha vinto l'appalto per la progettazione e la costruzione del ponte, per ottenere un indennizzo per la mancata realizzazione dell'opera. Una vertenza che comporta ovviamente costi di avvocati e periti e che comporterà un esborso notevole se Eurolink vincerà la causa. La società ha chiesto, infatti, 700 milioni.