mercoledì 5 agosto 2020

I test della DiaSorin e quelle strane fatture della società leghista. - Antonio Massari e Davide Milosa

I  test della DiaSorin e quelle strane fatture della società leghista

Intrecci - All’attenzione dei pm i rapporti tra la Servire Srl (presidente del cda il salviniano Gambini) e la multinazionale degli esami sierologici.
Il Covid-19 oltreché un’emergenza sanitaria si è rivelato un affare per molti. Soprattutto in Lombardia. Accordi opachi, affidamenti diretti senza gare pubbliche, il tutto grazie alla politica che ha fatto da volano per il giro del denaro. In questo contesto si inserisce la non chiarita vicenda dell’accordo tra la multinazionale DiaSorin e l’ospedale San Matteo di Pavia per la commercializzazione dei test sierologici. Poi acquistati grazie a un affidamento diretto per due milioni dalla giunta del governatore Attilio Fontana. In questa storia, deflagrata dopo le perquisizioni del 22 luglio disposte dalla Procura di Pavia e l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici del San Matteo e di DiaSorin con le accuse di peculato e di turbata libertà nella scelta del contraente, si innesta oggi una novità di rilievo che rischia di terremotare la Lega. Il partito padano, stando agli atti delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Mario Venditti, appare il vero convitato di pietra.
Gli accertamenti della Procura proseguono soprattutto sulla figura di Andrea Gambini (perquisito ma non indagato), leghista della prima ora, già commissario provinciale del partito a Varese e titolare di diversi incarichi, dall’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano di cui è presidente alla direzione generale della Fondazione Istituto Insubrico di Gerenzano (Varese) che ha sede all’interno dell’Insubrias Biopark così come anche la Servire srl di cui Gambini è presidente del Cda. Sempre a Gerenzano si trova una seconda sede di DiaSorin. Ed è proprio sui rapporti commerciali tra Servire e DiaSorin che gli inquirenti puntano la lente. L’obiettivo è analizzare le fatture emesse dalla società di Gambini verso DiaSorin per capire quanto siano reali. Secondo i primi accertamenti molte causali allegate alle fatture risultano troppo generiche. Quasi tutte, secondo gli inquirenti, hanno le indicazioni “servizi vari”. Un elemento che se pur ancora da confermare ha messo la procura di Pavia sulla pista investigativa di fatture false per operazioni inesistenti. Al momento però nessun nuovo capo di imputazione è stato aggiunto. Di certo i rapporti tra Servire e DiaSorin sono molto stretti. Con le fatture emesse tra il 2019 e il 2020 si arriva a circa 1,5 milioni di euro. Nel solo 2019 la cifra è stata di 1,2 milioni a fronte di un volume d’affari dichiarato dalla società del leghista di 1,3 milioni. Dai numeri si comprende come DiaSorin sia quasi l’unico cliente di Servire. C’è poi da capire come la società di Gambini, con appena sette addetti dichiarati al 30 marzo, riesca a fornire servizi a DiaSorin per oltre un milione di euro. Giorno dopo giorno si capisce come l’accordo tra la multinazionale e il San Matteo sia stato orchestrato tra la Regione e la Provincia di Varese, vera culla leghista. Non pare un caso se i vertici del San Matteo e in particolare il presidente Alessandro Venturi (indagato) a partire dal 5 febbraio affidino un incarico legale a un penalista che lavora presso lo studio varesino dell’avvocato Andrea Mascetti, nome noto del cerchio magico leghista, vicino all’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti e, pur mai indagato, più volte citato negli atti dell’inchiesta “Mensa dei poveri” sul sistema delle tangenti gestito dall’ex coordinatore provinciale di Fi a Varese Nino Caianiello. Fino al 2018 Mascetti è stato vicepresidente della Fondazione Istituto Insubrico, nato nel 2006 grazie all’allora presidente della Provincia di Varese, il leghista Marco Reguzzoni. E così l’avvocato dello studio Mascetti, dopo una riunione con i vertici del San Matteo, lavora alla stesura di un esposto, firmato da Venturi, col quale si chiede alla Procura di indagare eventuali illeciti nel ricorso al Tar fatto dalla società Technogenetics esclusa dopo l’affidamento a DiaSorin.
L’esposto viene depositato un mese dopo la sentenza del Tar e dieci giorni prima che il Consiglio di Stato annulli la sospensiva per DiaSorin. E se i vertici del San Matteo si rivolgono a uno studio legale vicino alla Lega, le intercettazioni fissano i contatti tra alcuni vertici dell’ospedale indagati e Giulia Martinelli (non indagata), capo segreteria di Fontana nonché ex compagna di Matteo Salvini. Si tratta di colloqui sui quali la Procura sta facendo approfondimenti. Sul fronte, invece, dell’accordo San Matteo-DiaSorin la Procura si sta concentrando sui giorni precedenti il 20 marzo, data della firma. Per farlo ha acquisito le mail tra il virologo Fabio Baldanti (indagato) e la multinazionale. Tra le mail interne all’ospedale c’è poi quella di una funzionaria che il 16 marzo scrive al direttore scientifico Giampaolo Merlini (indagato) sollevando dubbi sulla bozza dell’accordo, a suo dire troppo sbilanciato a favore di DiaSorin. La donna è già stata sentita dai pm che vogliono capire da chi arrivò la bozza e chi ne decise il contenuto.

Borghesi, l’uomo che sussurra ai contabili di Capitan Salvini. - Stefano Vergine

Borghesi, l’uomo che sussurra ai contabili di Capitan Salvini

Il senatore - Con Manzoni, Di Rubba e il tesoriere Centemero, è socio della Mdr Stp che ha ricevuto mezzo milione di euro dalla Lega.
Martedì 14 luglio, ore 22. La mattina dopo, a Milano, la Guardia di finanza fermerà Luca Sostegni in procinto di scappare in Brasile. La Procura lombarda lo accuserà di essere un prestanome usato dai commercialisti della Lega, Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, per sottrarre alla Regione Lombardia 800mila euro attraverso la compravendita di un immobile a Cormano. Poche ore prima che Sostegni inizi a parlare con i magistrati, nel centro storico di Roma, in piazza di San Clemente, due uomini sulla quarantina passeggiano. E parlano. Uno di loro è Manzoni. L’altro è Stefano Borghesi, bresciano di Lumezzane, commercialista come Manzoni, ma soprattutto uomo del cerchio magico di Matteo Salvini, vice del Capitano ai tempi della segretaria della Lega Lombarda, senatore e presidente della commissione permanente Affari costituzionali.
Un fedelissimo del Capitano a colloquio con Manzoni, nei giorni caldi dell’inchiesta su cui Salvini continua a definirsi “assolutamente tranquillo” e Manzoni “completamente estraneo”. Cosa si dicevano Manzoni e Borghesi? Lo abbiamo chiesto a Borghesi, ma nel momento in cui il giornale va in stampa il senatore non ci ha ancora risposto.
Borghesi non è indagato per la vicenda della Lombardia Film Commission. Il suo legame con i commercialisti leghisti finiti sotto il faro della Procura è però un fatto documentato. Quarantatre anni, laurea in Economia e commercio, un paio di nomine nei consigli di revisione contabile di società a controllo pubblico (Agea e gruppo Poste Italiane), Borghesi è in affari con Manzoni e Di Rubba. E anche con Giulio Centemero, l’ex assistente personale di Salvini diventato tesoriere del partito.
I quattro condividono infatti le quote azionarie della Mdr Stp Srl. È la piccola società che, fra il 2018 e il 2019, ha ricevuto 39 bonifici da Lega per Salvini Premier, Lega Nord e Radio Padania. Un totale di quasi mezzo milione di euro bonificato dalle casse del partito – gravato dal debito dei 49 milioni di euro frutto della truffa sui rimborsi elettorali ottenuti presentando bilanci falsi – e arrivato a quelle dell’impresa privata dei suoi esponenti. Motivo? Servizi contabili: questo almeno è l’oggetto sociale della società dei commercialisti di fede salviniana.
“Al di là della cifra, sono tranquillo, perché tutti i soldi sono tracciati e l’attività è stata svolta ed è sotto gli occhi di tutti”, ha spiegato ieri Manzoni all’AdnKronos in merito ai bonifici ricevuti dalla sua impresa privata. Di sicuro il suo socio Stefano Borghesi è una figura importante nella ragnatela finanziaria leghista costruita dopo l’avvento di Matteo al potere. Devono averlo pensato anche Manzoni e Di Rubba quando hanno scelto di mettersi in società con lui e Centemero. Questione di date e di ruoli. La Mdr Stp Srl è infatti un’azienda di recente costituzione. È stata fondata nell’ottobre del 2018, quando i giornali avevano già raccontato di strani giri di soldi che dalla Lega erano finiti a società legate a Di Rubba e Manzoni. Ne aveva scritto L’Espresso per la prima volta nel giugno del 2018.
Perché i due commercialisti, appena venuti alla ribalta delle cronache, pochi mesi dopo decisero di creare una nuova impresa con dei parlamentari leghisti, rischiando di attirare su di essa l’attenzione mediatica che infatti è arrivata? Le quote della Mdr Stp peraltro non sono distribuite in modo equo: Di Rubba e Manzoni detengono il 96% dell’azienda, mentre Borghesi e Centemero sono titolari del 2% ciascuno. Insomma, degli eventuali utili aziendali i due parlamentari beneficerebbero in minima parte. Una spiegazione potrebbe trovarsi fra le norme che regolano le perquisizioni. Che succede se la polizia giudiziaria deve perquisire gli uffici di una società privata tra i cui soci ci sono dei parlamentari? Succede che non basta presentarsi con un decreto firmato da un giudice.
Se infatti un parlamentare (e qui sono due) ha il suo ufficio personale all’interno dell’azienda, la faccenda si è molto più complicata. Serve il voto della giunta per le autorizzazioni, cioè l’ok da parte degli stessi colleghi in Parlamento. Lo sa bene Roberto Maroni, che in virtù di questa garanzia nel ’96 evitò una perquisizione giudiziaria per la vicenda della “Guardia nazionale padana”. Ma non è sicuramente con questo obiettivo che Borghesi & C. hanno creato un’impresa.

Riaperto al traffico il nuovo ponte di Genova.

Il nuovo ponte Genova San Giorgio

Il viadotto Genova-San Giorgio, sulla A10, inaugurato lunedì e' stato riaperto al traffico veicolare al termine delle verifiche compiute dalla Direzione di Tronco di Genova di Aspi e dopo che la struttura commissariale è intervenuta per rifare un piccolo tratto di asfalto. L'apertura è avvenuta alle 22:04, due ore dopo rispetto a quanto era stato ipotizzato. Ora il ponente e il levante della città sono 'ricuciti'.

Sono transitate le prime auto sul ponte San Giorgio. C'è già un flusso regolare. Le auto hanno salutato l'apertura suonando i clacson mentre i motociclisti hanno fatto il segno della vittoria con una mano. Il traffico sta scorrendo in entrambi i sensi di marcia.
 Ponte Genova-San Giorgio, il viadotto tutto d'acciaio, è finalmente aperto alle auto, ai grandi tir che vanno verso il porto, aperto all'Italia e all'Europa del Nord Ovest.

Dopo la cerimonia di inaugurazione di lunedì, alla quale - vuoi per la pioggia, vuoi per pudore nei confronti dei familiari delle vittime - è mancata la caratteristica della festa, oggi l'ufficio del Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera ha pronunciato la sua ultima parola di questa storia infinita, cedendo a Autostrade per l'Italia l'esercizio della viabilità sul nuovo viadotto. Un passo necessario, dopo il certificato di agibilità di Anas, per far riprendere la circolazione dei mezzi su quel nastro lungo 1.067 metri e fatto di acciaio e bitume che tanto vogliono dire per il traffico cittadino e interregionale, per l'economia di una regione e per il saper fare del Paese. Dopo la cessione dell'esercizio, Aspi ha compiuto i suoi primi passi - passi veri prima e passi burocratici poi - sul quel ponte che una volta sgombrato da gonfaloni e bandiere sembra sempre di più il ponte di una nave. Il Direttore di Tronco Mirko Nanni, assieme a alcuni tecnici e ingegneri specializzati, ha effettuato un sopralluogo per vedere se il tratto di autostrada dove ieri è stata allestita la zona per la cerimonia fosse tornato alla normalità, se i guardrail che erano stati rimossi fossero stati rimessi a posto, se il fondo stradale non avesse subìto i danni. Al termine della verifica, steso e firmato un verbale di sopralluogo secondo le procedure previste. è stato dato il via libera.

Intanto vanno avanti le indagini nate dal crollo del viadotto. La procura di Genova ha acquisito le due lettere di contestazione che l'ispettore Placido Migliorino ha inviato ad Aspi nelle quali si parla di un "grave inadempimento" per i cantieri sulla rete genovese e "i termini di attuazione del cronoprogramma dei lavori e delle ispezioni delle gallerie liguri". Le missive erano state inviate ai pm dal Mit.

Aspi scrive al governo, in due lettere cambia rotta - In una prima lettera del 14 luglio un meccanismo con una scissione proporzionale, un aumento di capitale riservato a Cdp e l'ingresso di nuovi soci, con risorse da riservare agli investimenti e al ripianamento del debito, prima di arrivare alla quotazione. In una seconda missiva, con la data di oggi, due diverse proposte che prevedono da una parte un processo di vendita competitivo, al quale Cdp "potrà" partecipare oppure un processo di scissione con la creazione di una società da quotare creando una public company. E' il cambio di rotta deciso, che modifica lo schema iniziale, quello contenuto in due lettere che l'ANSA ha potuto visionare che Autostrade per l'Italia ha inviato agli interlocutori di governo. Tra le due scadenze, certo, un confronto che non ha ancora portato ad un accordo.

Genitori di una vittima: 'La festa aumenta il nostro dolore' - "Altro che festeggiamenti, altro che orgoglio nazionale. Il nuovo ponte di Genova non è una rinascita, ma il simbolo del fallimento e di 43 vite ingoiate da un ponte fatiscente che qualcuno ha permesso crollasse in qualche modo". Lo hanno detto Franco e Daniela Fanfani, in un'intervista al quotidiano La Nazione: sono i genitori di Alberto Fanfani, medico morto a 32 anni nel crollo del ponte Morandi insieme alla fidanzata Marta Danisi, 29 anni, mentre lui la accompagnava ad Alessandria dove aveva ottenuto in ospedale il posto a tempo indeterminato come infermiera. Le celebrazioni per l'inaugurazione del nuovo ponte 'Genova San Giorgio', ha affermato Franco Fanfani, "è insopportabile per chi come noi ha perso un proprio caro. Serve solo a aumentare il dolore che mia moglie e io portiamo dietro, come tutte le altre famiglie coinvolte. Non è una una rinascita, non c'è niente da celebrare. Altro che sfilate dei politici". Daniela Fanfani ha parlato di "pianto e dolore. Ogni ponte che vedo mi si chiude lo stomaco. Altro che passerelle. I politici e gli amministratori avrebbero dovuto mettersi sotto il ponte, chinare la testa e vergognarsi di ciò che è successo". La madre di Alberto ha ricordato che il figlio "stava accompagnando" la fidanzata "a Alessandria, all'ospedale dove aveva ottenuto il contratto a tempo indeterminato come infermiera. Lui stava per prendere la specializzazione in medicina. 'Potrò fare il medico come sogno da sempre' mi aveva detto con orgoglio. Avevano anche fissato la data delle nozze: 25 maggio 2019. Erano felici. Erano insieme. E insieme sono morti in quel maledetto crollo".

martedì 4 agosto 2020

Il Colle e Conte contro i Benetton: il ponte United Colors arcobaleno. - Lorenzo Giarelli

Il Colle e Conte contro i Benetton: il ponte United Colors arcobaleno

Al taglio del nastro commozione per le 43 vittime, poi le accuse ai concessionari: “I responsabili hanno nomi e cognomi”.
Mezz’ora prima dell’arrivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Renzo Piano passeggia a lungo sul ponte Genova San Giorgio. L’ombrello in mano lo ripara dal diluvio, mentre sussurra a chi gli si avvicina i segreti del viadotto che ha regalato alla sua città e che a meno di due anni dal crollo del Morandi – era il 14 agosto 2018 – restituisce finalmente un collegamento alla Val Polcevera. È l’immagine che anticipa la sfilata delle più alte cariche dello Stato a Genova, nel giorno in cui si inaugura il nuovo viadotto.
Lo ripetono tutti: questa non è una festa. Lo ha detto Mattarella ai familiari delle vittime, che hanno preferito non partecipare alla cerimonia incontrando in privato il capo dello Stato in prefettura. Lo ribadiscono dal palco sul ponte il sindaco di Genova Marco Bucci, il governatore ligure Giovanni Toti, il già citato Renzo Piano e poi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Prima dei discorsi di rito suonano l’inno nazionale e il silenzio militare, poi vengono scanditi i nomi di chi perse la vita sul Morandi. È il momento più toccante del pomeriggio. “La prima cosa che mi viene in mente è il ricordo per le vittime e le loro famiglie”, esordisce Bucci. Toti sceglie le sue parole d’ordine: “‘Mai più’ e ‘sempre così’, perché nessuno deve morire più in questo modo e perché ogni infrastruttura dovrebbe essere realizzata così come è stato realizzato il nuovo ponte”. Renzo Piano ripropone la metafora che più gli è cara: “Ho immaginato il ponte come un vascello bianco”. Storia di mare, come nella Crêuza de mä di Fabrizio De André, rivisitata per l’occasione da 18 artisti.
Il discorso del premier, che arriva quando in cielo è comparso un arcobaleno, è quello più politico, con l’orgoglio per la decisione di sottrarre il controllo delle autostrade ai privati: “Il governo ha ritenuto doveroso promuovere il complesso procedimento di contestazione degli adempimenti che hanno causato il crollo del ponte. Questo procedimento si è concluso con l’accordo di ridefinire i termini della convenzione, con la possibilità di garantire in modo più efficace gli investimenti per la manutenzione”. Tradotto: il ponte viene consegnato ai Benetton (attuali concessionari), ma presto tornerà allo Stato. Non è un caso che Conte ne parli. Poco prima Mattarella, nell’incontro in Prefettura, era stato chiaro: “Le responsabilità non sono generiche, hanno sempre un nome e un cognome. E sono sempre frutto di azioni o omissioni, quindi è importante che ci sia un accertamento severo, preciso e rigoroso delle responsabilità”.
E se Renzo Piano spera in un ponte “amato perché semplice e forte come la città”, Conte menziona Piero Calamandrei e la sua rivista Il Ponte: all’epoca “il ponte” era tra le macerie della guerra e il futuro, oggi può “creare una nuova unità dopo la frattura del crollo”.
Il taglio del nastro e le frecce tricolori concludono la cerimonia facendo lentamente smaltire gli ospiti. Tra loro, come detto, non c’è l’associazione dei parenti delle vittime, ma c’è Emmanuel Henao Diaz, che nel crollo perse il fratello: “Mi sento in dovere di partecipare per dimostrare a mio fratello che non faccio finta di niente, come invece chi doveva pensare alla sicurezza di quel ponte”. Per il resto, tra le centinaia di invitati ci sono giuristi, dirigenti e soprattutto politici.
L’inaugurazione dà modo a tutti di esultare: al governo, ma anche a Bucci, peraltro commissario straordinario per la ricostruzione, e Toti, governatore in campagna elettorale, che in mattinata incontra la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Con loro c’è mezzo governo (Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Luciana Lamorgese, Paola De Micheli) e l’ex ministro Danilo Toninelli, coi presidenti delle Camere, la presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia e i vertici di Fincantieri. Non manca la retorica del “Paese che si rialza” e di “Genova che riparte”, ma per una volta sembrano crederci tutti.

Trattativa ferma tra Cdp e Atlantia Slitta pure l’intesa sulla concessione. - Cdf

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Che il governo non si sarebbe presentato a Genova con lo scalpo ottenuto dell’uscita dei Benetton era noto da giorni. Ieri però si è aggiunto l’ulteriore allungamento dei tempi. La ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha ammesso che domani non ci sarà la firma con Autostrade per l’Italia (Aspi) per il rinnovo del Piano economico finanziario e del nuovo “Atto aggiuntivo”. È un passo fondamentale per riequilibrare la concessione a favore della parte pubblica in base all’accordo sancito col governo. Serviranno diversi incontri tecnici per capire se le proposte di Aspi sono coerenti con il nuovo modello tariffario voluto dall’Autorità dei Trasporti. L’intesa necessita poi di un parere dell’Avvocatura e dovrà infine passare al vaglio degli organi tecnici, a partire dal Cipe.
L’accordo è fondamentale per dare un valore ad Autostrade e sbloccare la trattativa tra Atlantia e la Cassa Depositi e Prestiti. Ieri gli uomini della holding controllata dai Benetton hanno chiesto un rinvio a metà settimana dell’incontro previsto in giornata. La distanza tra le parti è notevole. Nei piani del governo Cdp dovrebbe assumere il controllo con un aumento di capitale che la porti al 33% di Aspi, Atlantia venderebbe poi a investitori graditi alla Cassa un altro 22%, infine Aspi verrebbe scissa dalla holding e quotata permettendo ai soci, in primis i Benetton, di uscire. Manca però l’accordo su due punti fondamentali. Il primo è il valore di Aspi (sotto i 6 miliardi Altantia non avrebbe perdite a bilancio, sopra ci guadagnerebbe pure). La holding vuole anche un meccanismo compensativo in caso il valore della quotazione di Aspi risulti superiore a quello di ingresso di Cdp. Il secondo è la manleva legale chiesta da Cdp: Atlantia non ne vuole sapere.

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”.

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”

In una nota il segretario Dem è tornato a chiedere di inserire il tema nell'agenda parlamentare, dopo la bocciatura, grazie anche ai voti di Italia Viva, durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio. Rosato: "Non è la priorità, rimaniamo sulla strada della concretezza".

Nicola Zingaretti torna a chiedere il rispetto degli accordi di governo per arrivare a una riforma elettorale che anticipi il referendum sul taglio dei parlamentari, tema caro invece al Movimento 5 Stelle, entro il 20 settembre, giorno del voto. Lo fa con una nota in cui esprime “preoccupazione” per l’avvicinarsi della consultazione popolare senza che ancora la riforma chiesta dal Pd sia stata messa in testa all’agenda dell’esecutivo: “Le preoccupazioni espresse da molte personalità, in ultimo da Bartolomeo Sorge, sul pericolo di votare a favore del referendum sul taglio ai parlamentari senza una nuova legge elettorale, sono fondate e sono anche le nostre – scrive il Dem – Per questo il Partito Democratico un anno fa ha fatto inserire questo punto nel programma di Governo. Per questo, e non per perdere tempo, spesso in solitudine nelle ultime settimane, abbiamo riproposto questo tema da inserire nell’agenda parlamentare”.

Nel documento, il segretario del Pd si rivolge direttamente al Movimento 5 Stelle, spiegando che “su questa posizione, in questi giorni, ci sono stati pronunciamenti importanti da parte del M5s, da ultimo con il ministro Di Maio. Pronunciamenti che vanno tutti nel senso della volontà di rispettare gli accordi. Rinnovo dunque l’appello alla collaborazione a tutti gli alleati e a fare di tutto affinché, a partire dal testo condiviso dalla maggioranza, si arrivi entro il 20 settembre a un pronunciamento di almeno un ramo del Parlamento”.

Il messaggio ha come destinatario ultimo Italia Viva e il suo leader, Matteo Renzi, che tra gli alleati di governo è quello che più di tutti si è opposto a una revisione della legge in senso proporzionale con sbarramento al 5% (che penalizzerebbe, tenendo conto dei sondaggi, il partito dell’ex premier), come vorrebbe il Pd, a differenza di quanto pattuito quando i partiti hanno deciso di allearsi per dare vita al Conte 2. Inoltre, più volte dalle parti di Iv si è spiegato che, in una situazione di emergenza dovuta alla crisi del coronavirus, la riforma della legge elettorale non rappresenta una priorità per il Paese. Non a caso, a fine luglio, Italia Viva ha deciso di votare con il centrodestra durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio impedendo così alla bozza di arrivare in aula a luglio e anche di essere discussa in commissione.

Per fare pressione sui deputati renziani, Zingaretti chiede così l’aiuto proprio del Movimento che, nonostante abbia dimostrato la propria disponibilità a compiere passi avanti, non ha mai spinto sul tema. Ma pochi giorni fa il segretario Dem, pur ribadendo il mancato rispetto degli accordi da parte dei renziani, in un’intervista a SkyTg24 ha sostenuto la necessità di un ritorno rapido al confronto tra le forze di maggioranza per partorire una nuova proposta di riforma, aprendo anche alla possibilità di un maggioritario, avvicinandosi così alle posizioni del politico di Rignano. Un cambio di strategia che coincide anche con l’emorragia di consensi della Lega iniziata con l’arrivo della pandemia e che, secondo i sondaggi, ha riportato il Carroccio a percentuali vicine a quelle del Pd.

Ma da Italia Viva arriva sempre la stessa risposta. Su Twitter, il presidente Ettore Rosato ripete che “è il momento di fare delle scelte coraggiose, dare liquidità a famiglie e imprese, non perdere posti di lavoro, far riprendere la nostra economia. Cambiare la legge elettorale che dovrà essere utilizzata nel 2023 non è una priorità. Proseguiamo sulla strada della concretezza“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/04/legge-elettorale-zingaretti-vuole-la-bozza-in-aula-prima-del-voto-sul-taglio-dei-parlamentari-preoccupazione-rispettare-gli-accordi/5889571/

Forza Italia, renziani e Pd in trincea contro i Cinque Stelle per affossare il taglio dei parlamentari. Di Maio blinda la riforma: E’ una promessa mantenuta. - Laura Tecce

LUIGI DI MAIO

Patti chiari e amicizia lunga. Il messaggio è forte e chiaro: sul referendum sul taglio dei parlamentari, previsto il 20 settembre in concomitanza col voto per le regionali, il Movimento 5 stelle non transige. Del resto una delle basi sottostanti alla nascita del secondo Governo Conte erano proprio le riforme istituzionali: il taglio del numero dei parlamentari, la riforma della base elettiva del Senato e del presidente della Repubblica e la legge elettorale. Ed proprio su quest’ultima che si è innescata l’ennesima querelle all’interno della maggioranza giallorossa.
Ad accendere la miccia il dirigente del Pd Goffredo Bettini (molto vicino al segretario Nicola Zingaretti) che in un’intervista a Repubblica ha parlato di “pericolo per il sistema democratico”. “Senza una riforma istituzionale e elettorale, dimezzare i parlamentari può essere perfino pericoloso per il regime democratico. La situazione si complica. Non è un azzardo votare Sì”, queste le parole di Bettini, che poi sottolinea come il suo partito non abbia nessuna responsabilità sul fatto sul fatto che sia saltato l’accordo sulla legge elettorale sottoscritto da tutta la maggioranza. Il convitato di pietra è sempre lui, Matteo Renzi, che alla vigilia del voto in commissione alla Camera ha cambiato idea.
Mentre Pd e M5s non vogliono andare al voto con la vecchia legge, il Rosatellum bis – sistema che non a caso deve il suo nome al relatore Ettore Rosato, attuale coordinatore nazionale di Iv)-, i renziani puntano ad abbassare la soglia di sbarramento (visti i sondaggi…) con un sistema che garantisca loro da una parte una rappresentanza (dalla quota proporzionale) e dall’altra di essere decisivi nei collegi in bilico. Bettini non lo cita ma il Pd ha accusato apertamente Renzi di aver tradito l’accordo iniziale siglato lo scorso 8 gennaio, ovvero quello di sostituire il Rosatellum con una legge proporzionale che prevede una soglia di sbarramento nazionale al 5%.
Sulla necessità di una nuova legge elettorale è stato molto chiaro (e coerente) anche il ministro pentastellato Luigi Di Maio: “Il taglio dei parlamentari dovrà essere accompagnato da una nuova legge elettorale che sia rappresentativa al massimo. C’è un accordo tra le forze politiche di maggioranza e va rispettato. Bisogna dimostrare serietà”. E ovviamente il ministro degli Esteri ribadisce come la misura sia una delle battaglie storiche del M5S: “Si tratta di una delle tante promesse mantenute dal MoVimento, una riforma che ho fortemente voluto e per cui sono stato attaccato in ogni modo. Raccontavano che sarebbe caduto il governo. Hanno fatto terrorismo psicologico in ogni sede. Ma non abbiamo mai mollato. E il 20 e il 21 voteremo per ridurre i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, con grandi risparmi per le casse dello Stato e dei cittadini. Il 20 e il 21 settembre possiamo cambiare la storia e riportare l’Italia ad essere un Paese normale”.
Infine, sull’ ennesimo sparigliamento delle carte ad opera di Renzi interviene anche il deputato di LeU Stefano Fassina: “È molto grave la giravolta di Iv. Non può prevalere la rassegnazione di fronte a tale atto di inaffidabilità, nonostante la necessità dei renziani per la sopravvivenza dell’attuale maggioranza. La violazione del patto di governo per meri calcoli di bottega deve determinare conseguenze. Sarebbe grave se il Pd e il M5S lasciassero correre. Il Presidente Conte deve intervenire. La legge elettorale è, per natura, materia parlamentare. Ma in questo caso, è asse decisivo del programma di governo”. Il senatore di Rignano sempre più isolato dunque all’interno della maggioranza. E questa non è novità.
Forza Italia Viva. La trincea di Renzi, Silvio & C.
Difficile illudersi che Renzi potesse accettare la riforma elettorale proposta dal presidente della Commissione Affari costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia: un proporzionale con lista di sbarramento al 5 per cento che preclude ai micro-partitini (non solo Iv, ma anche i movimenti guidati da Carlo Calenda ed Emma Bonino) ogni speranza di rimettere piede a Montecitorio e palazzo Madama. In ogni caso uno strappo rilevante quello del senatore fiorentino perché è la rottura di un accordo politico stretta nel momento in cui tutti in maggioranza avevano deciso di far viaggiare la legge elettorale sullo stesso binario del referendum sul taglio dei parlamentari.
Ma se l’ex premier è il bastian contrario in casa dei giallorossi, nella coalizione di centrodestra ci pensa Forza Italia a giocare in quel ruolo. Non solo sul famigerato Mes ma anche sulla consultazione referendaria il partito di Silvio Berlusconi va controcorrente tanto che tra i soci fondatori del comitato “Noi no” che si batte per il No al referendum confermativo alla riforma Fraccaro ci sono i deputati Simone Baldelli  e Deborah Bergamini e i senatori Giacomo CaliendoAndrea Cangini e Nazario Pagano. Baldelli ci ha addirittura scritto un libro, “Il coraggio di dire no al taglio della nostra democrazia”, oltre ad essere attivissimo sui social con l’hashtag #iovotono, mentre il senatore Pagano ha definito la decisione di abbinare il referendum al voto per le regionali addirittura “una violenza di parte”.
E l’ha spiegata così: “Se c’è la necessità di allungare lo stato d’emergenza e quindi non ci possono essere assembramenti, che senso ha proporlo (il referendum, ndr) se poi si prevede che si debba andare a votare?”. Non si capisce però perché il ragionamento sugli assembramenti debba valere perché c’è l’abbinamento al referendum. Per le sole regionali non ci sarebbero stati problemi? Misteri azzurri.