mercoledì 14 aprile 2021

La “pace terrificante” dei partiti, da Salvini al “poro” Calenda. - Andrea Scanzi

 

È difficile immaginare un periodo storico più spaventosamente spento e, al tempo stesso, pericolosamente violento, come questo. Da una parte un crescendo di violenza, fisica e verbale, dettata da ignoranza, invidia e frustrazione. Dall’altra, una calma piatta insopportabile e non poco ipocrita, piombata su questo Paese come una mannaia anestetica con l’avvento (del nostro scontento) del governo Draghi. Una tale stasi generale si ripercuote su tutto, anche sul dibattito politico. Ne sono prova i social, dove la politica tira meno di un post di Renzi, e pure i talk-show, dove per creare una polemica occorre sganciare una bomba in studio. Anche questa rubrica ne risente: chi merita, oggi, un identikit? Draghi? Abbiamo già dato. Figliuolo? Nel dubbio tra averne paura (Murgia) o esserne divertito (Travaglio), scelgo una garbata incredulità nel vederlo addirittura sopra quello scranno. Ne consegue che, oggi, l’identikit non riguarderà una persona, ma i partiti sulla scena politica. Ecco una rapida ricognizione al tempo della peste. E della “pace terrificante”, come la chiamava De André.

Lega. È ancora in testa ai sondaggi, ma in un anno Salvini ha perso dieci punti. Un disastro acuito da questa sua fase politicamente surreale in cui è al governo, ma finge di non esserci. Baristi e ristoratori sono incazzati neri, e non solo loro, perché aveva promesso la Luna e alla fine non ha dato loro neanche un Sallusti. La fronda giorgettiana è insidiosa. E Zaia vale trecento volte Salvini. Oltre a ciò, la Meloni lo sta sabotando. La crisi che pervade Salvini è dimostrata pure dal fatto che, sui social, ogni tanto è costretto a rilanciare qualche frase di De Angelis o Briatore per raccattare tre like in croce. Poveretto.

Pd. Boh. Letta ci sta provando. Pare aver scelto Conte e non Renzi, e ci mancherebbe altro: il primo ha molti più voti (ci vuol poco) e il secondo è Renzi. Letta ha però ancora molto da fare per derenzizzare il partito, e questa sua guerra santa alla Raggi – benché lecita – fa un po’ ridere.

FdI. È in crescita, dunque ha ragione Meloni. La quale, se non altro, è stata coerente nel non entrare nel carrozzone ora al governo. Ovviamente la sua opposizione è ora assai meno urlata di prima, perché se sbraita troppo Salvini e Berlusconi le tirano le orecchie. I problemi di Donna Giorgia sono i soliti: una classe dirigente non di rado inquietante, i legami col fascismo tutt’altro che tranciati, una comunicazione populisto-becero-sovranista e alleati così gradevoli che in confronto viene quasi voglia di rivalutare Luis Miguel.

M5S. Boh (bis). È in perdurante fase di stallo, è entrato nel governo da maggiorente ma non sta toccando palla, non va più in tivù (e fa bene) ma nel frattempo sta scomparendo pure dai social (a giudicare dalle interazioni). Conte dovrà rivoltare il movimento (anzi “partito”) come un calzino.

Forza Italia. Gli zombie sono più vivi.

Italia Viva. Chi?

Mdp/SI. Ovvero Speranza, Bersani e Fratoianni, per citare le figure più emblematiche. I primi due appoggiano il governo (anzi uno c’è proprio dentro), il terzo no. I sondaggi piagnucolano, ma qualche segnale di vita pare arrivare. Di sicuro un’alleanza organica tra M5S e Pd non potrà prescindere da loro.

Bonino. Non scherziamo, dài.

Calenda. Lo adoro, perché è uno dei pochi che ha più ego di me, Severgnini, Carofiglio, Travaglio, Cazzullo e Friedman messi insieme. Quindi stima. Anche se continua ad avere meno voti del Poro Asciugamano.

Quindi, riassumendo: siamo nella merda. Però fingiamo di non saperlo. Daje!

IlFattoQuotidiano

Miracolo Celeste: riecco il vitalizio da 7mila euro. - Ilaria Proietti

 

Il Senato ha ridato il vitalizio da 7.000 euro al mese a Roberto Formigoni: tutto intero, arretrati compresi. Perché la commissione contenziosa di Palazzo Madama ha letteralmente fatto carta straccia della delibera del 2015 con cui l’allora presidente Piero Grasso aveva imposto la sospensione dell’assegno agli ex senatori condannati per reati gravi fino all’eventuale riabilitazione. E così, grazie alla decisione presa ieri dalla commissione presieduta da Giacomo Caliendo di Forza Italia, dovrà essere restituito il vitalizio non solo al Celeste, condannato in via definitiva per aver asservito la sua funzione agli interessi economici della Fondazione Maugeri e del San Raffaele. Ma pure agli altri ex rimasti a secco causa fedina penale, per usare un eufemismo, non immacolata. Una decisione che innanzitutto potrà essere applicata anche a Ottaviano Del Turco, condannato per aver preso mazzette nell’ambito della sanitopoli abruzzese, il cui vitalizio è ormai divenuto una telenovela: prima l’annuncio della revoca dell’assegno poi l’immediata sospensione della revoca stessa: domani, grazie alla “fortuna” che ha baciato Formigoni il caso sarà chiuso.

Non si conoscono ancora le motivazioni della sentenza firmata da Caliendo&C. ma il dispositivo è piuttosto eloquente: “Disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, accoglie il ricorso e annulla delibera n. 57/2015 del Consiglio di Presidenza (quella che ha imposto la regola dello stop ai vitalizi per i condannati, ndr) e la successiva delibera n. 28/2019 del Consiglio di Presidenza (la decisione con cui erano stati chiusi i rubinetti al Celeste, ndr)”. Inutile dire che Formigoni non sta più nella pelle: “La commissione Contenziosa rimedia a un errore clamoroso. Ho ottenuto una misura di giustizia non solo per me ma per tanti altri cittadini” ha detto l’ex presidente della Lombardia assistito dall’avvocato Domenico Menorello che al Fatto dice: “Al Senato qualcuno ha riconosciuto che lo stato di diritto è ancora un valore: non è contemplato che qualcuno debba morire di stenti come misura punitiva”.

E sì perché Formigoni ha sostenuto di essere alla frutta, ai domiciliari per via della condanna e senza il becco di un quattrino. “Avendo, infatti, dedicato l’intera esistenza alle istituzioni, le uniche fonti reddituali a disposizione della sua ‘terza età’ potevano consistere negli assegni vitalizi della Regione Lombardia e del Parlamento italiano” aveva scritto nel suo ricorso lamentandosi della spietatezza della Corte dei Conti che sorda a ogni suo richiamo gli ha pignorato l’assegno erogato dalla Regione negando che si tratti di una pensione. Ora Palazzo Madama gli ha riaperto invece i rubinetti ridandogli tutto intero il vitalizio di ex senatore che gli era comunque in parte stato già restituito due anni fa in via cautelare. Quando sempre Caliendo&C. gli avevano accordato un assegno di mantenimento riconoscendogli le tutele dell’articolo 38 della Costituzione in base al quale “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

E allora a chi altri potrebbe essere restituito il vitalizio riottenuto dopo tanto lottare dal condannato Formigoni? Al Senato, per via delle condanne è stato tolto ad alcuni pezzi da novanta come Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri o Vittorio Cecchi Gori (nella lista dei revocati ci sono anche Ferdinando Di Orio, Vincenzo Inzerillo, Giorgio Moschetti, Franco Righetti. Per chi è morto, come Giuseppe Ciarrapico, a questo punto potrebbero vantare delle pretese gli eredi). E alla Camera? Attendono “giustizia” l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, l’indimenticato Giancarlo Cito e un altro paio di ex deputati, Luigi Sidoti e Raffaele Mastrantuono: che da anni reclamano il malloppo e pure gli arretrati. Anche loro da ieri sperano. E forse hanno già messo in fresco lo champagne.

IlFattoQuotidiano

Fate piano. - Marco travaglio

 

Proseguono le polemiche sulle uniformi del Comm. Str. Gen. C. A. F. P. Figliuolo, quella di serie e quella mimetica, peraltro utilissima per travestirsi da cespuglio casomai le cose andassero male, o peggio di così. E dimostrano che in Italia siamo maestri ad accapigliarci sui dettagli per non andare mai al cuore dei problemi. Come quando Conte veniva contestato per la pochette a quattro punte o perché parlava all’ora di cena e talvolta, sciaguratamente, anche dopo. A parte le divise, le mostrine, i nastrini, le medaglie, le greche e i galloni, che comunque devono essere un bel peso, il cuore del problema sono i piani di Figliuolo, di cui in appena un mese e mezzo s’è già perso il conto, perché li cambia come fossero calzini. È ormai assodato che i tre quarti della sua giornata li impiega ad aggiornare il piano del giorno prima. Tutto, temiamo, nasce da un equivoco: che per far funzionare un piano di vaccinazioni basti annunciare quanti vaccini avremo fatto fra un mese, due mesi, tre mesi e così via. Le cose sarebbero senz’altro così se tutto dipendesse da lui. Invece da lui dipende pochissimo.

Molto dipende dalle Regioni che, per quante balle si raccontino su mirabolanti “accentramenti”, erano e restano responsabili della campagna vaccinale. Molto dipende da quante dosi ci mandano le case farmaceutiche, che non mandano mai quelle pattuite. E molto dipende dagli enti regolatori (Aifa in Italia, Ema in Europa, Fda in America), che un giorno alzano il pollice e l’indomani l’abbassano: ieri, per esempio, la Fda ha bloccato J&J per casi sospetti di trombosi. Quindi affannarsi a prevedere ogni giorno quanti vaccini faremo in futuro e poi accorgersi che non è vero niente e ritoccare le cifre al ribasso, o calcolarle per dècade o per mese così il calo si nota di meno, non ha senso. Si finisce nel ridicolo. Se dici, come han fatto Draghi e Figliuolo, che a metà aprile vaccineremo 500 mila persone al giorno e poi il conta-dosi è sempre sotto le 300 mila, hanno un bel titolare i giornaloni “Anziani al sicuro, il governo accelera: 3 milioni di vaccini in 10 giorni” (Rep) o “Il governo ora accelera. Figliuolo: ‘Sei milioni di vaccini agli anziani in un mese’” (Stampa): 3 milioni in 10 giorni fa sempre 300 mila al giorno e 6 milioni in 30 giorni fa addirittura 200 mila al giorno. Che non è accelerare: è frenare. Anziché dare i numeri a casaccio per poi rimangiarseli con supercazzole assortite, il Generalissimo dovrebbe fare l’unica cosa che compete a lui, ma non risulta stia facendo abbastanza: creare nuovi centri di vaccinazione (non primule, per carità, ma almeno mughetti) e fornire alle Regioni più medici e infermieri vaccinatori. A meno che, si capisce, il piano Figliuolo non sia proprio questo: fare piani.

IlFattoQuotidiano

martedì 13 aprile 2021

Scuole aperte: ora che Dio ce la mandi buona. - Antonio Padellaro

 

Riaprono le scuole, ma sentire Roberto Speranza che parla di “tesoretto”, ma anche di “rischio”, lascia sgomenti (come dire: dio ce la mandi buona). Intanto, l’espressione (scema) “tesoretto” andrebbe abolita con apposito decreto legge (i Dpcm, è noto, li usano solo i dittatori, da Conte a Erdogan). Serve a evocare una riserva di immunizzazione – accumulata forse con le zone rosse pasquali – come se non sapessimo che il Covid bastardo torna a imperversare appena ti azzardi non a riaprire, ma persino a socchiudere. E dunque tesoretto non significa una mazza. Il ministro della Salute si appalesa da Fabio Fazio di domenica all’ora di cena, mentre noi con la forchetta sospesa siamo in attesa dell’Annuncio che assilla le famiglie italiane. Infatti, Fazio chiede come mai non si è pensato in tempo a organizzare nella scuole una campagna di test salivari a tappeto. Speranza snocciola “400mila test al giorno”. Fazio: “Nelle scuole?”. Speranza: “No, in tutta Italia”. Purtroppo non sapremo mai quanti sono i test nelle scuole perché il ministro s’incarta (e ci incarta) tra “protocolli in arrivo” e “test antigenici molto significativi”. Dalle case degli italiani s’alza un grido: dai Fazio, insistiti, chiedi al ministro se c’è il pericolo che dalle scuole non messe in sicurezza il contagio possa tornare a circolare. È questo il “rischio” di cui parla? Chi ci garantisce di non ritrovarci nei casini come l’autunno scorso? Niente da fare. Pubblicità.

A ruota scoppia la grana dei docenti immunizzati dove capita, dopo che il piano del generale Figliuolo (niente più categorie, si procede vaccinando anziani e fragili) ha lasciato scoperto il 30 per cento del personale scolastico. Resta garantita la seconda dose per tutti quelli che hanno già ricevuto la prima, ma grande è la confusione sotto il cielo delle fiale. Per questo il virologo Andrea Crisanti sostiene che “nel riaprire le scuole senza aver vaccinato come ha fatto il Regno Unito ci prendiamo un grande rischio”? Accidenti, di “rischio” non parla anche Speranza? Sì, ma poi spiega che “tutti i dati che abbiamo ci dicono che dentro le aule non ci sono problematicità emergenziali, il punto è la quantità di movimenti che si sviluppa intorno alla scuola”. Problematicità emergenziali. Movimenti che si sviluppano. Più chiaro di così! (dio ce la mandi buona).

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Draghi, troppi scivoloni e poco polso sui ministri. - Sergio Rinaldi Tufi

 

Quando Conte teneva le conferenze stampa che illustravano le misure del suo governo, molti dicevano che il luogo corretto per comunicare sarebbe stato il Parlamento (cosa per la verità non del tutto infondata: in teoria si sarebbe anche potuto verificare che da Camera o Senato venisse qualche osservazione utile). Ora Draghi fa le conferenze stampa, e nessuno dice nulla. Ma si insinuava anche che non fosse casuale la scelta degli orari, quelli di grande ascolto in concomitanza con i Tg. Ora Draghi parla addirittura nell’orario de L’Eredità, la seguitissina trasmissione pre-serale dell’ottimo Flavio Insinna, e anche qui silenzio-assenso.

Se possiamo però interrompere questo giochino del comportamento della grande stampa, e degli stessi politici, “prima” e “dopo”, bisogna un po’ affrontare il problema del “come”. Purtroppo, malgrado l’eccezionale levatura del personaggio, le conferenze stampa di Draghi non sono soddisfacenti. Intanto, l’occhio vuole la sua parte: a confronto con le aule parlamentari o con le fin troppo scenografiche ambientazioni di Conte-Casalino, la sede ora scelta in nome di una lodatissima “sobrietà”, a ben vedere, più che sobria è povera. Qualcuno si è spinto a lodare l’azzurro della parete di fondo. Be’, non è brutto ma è normale. Aggiungendo qualche logo di sponsor sembrerebbe una sala conferenze per allenatori di calcio prima e dopo le partite. A dominare la scena lì è però un altro Conte, il tecnico che sta conducendo l’Inter a un meritato scudetto…

Ma veniamo ai contenuti e (se ci si consente) alle tecniche oratorie, soffermandoci proprio sulle comunicazioni in zona-Insinna. Intanto, le scelta di dare direttamente la linea alle domande dei giornalisti rischiava di essere un boomerang, e boomerang è stato. Un personaggio di alto profilo come Draghi non può avviare una discussione senza una robusta relazione iniziale che fissi limiti e paletti, altrimenti poi le domande, che già di solito sono un po’ troppo variegate, rimbalzano per ogni dove. E qualche rimbalzo, in questo caso, è stato un falso rimbalzo.

Sui due casi, il caso-Erdogan e il caso-psicologi, si è già detto molto, ma resta spazio per qualche osservazione ulteriore. A proposito di Erdogan “dittatore”, si potrebbe premettere che forse il leader turco non si aspettava una definizione così ostile perché uno dei predecessori di Draghi, e cioè Berlusconi, ha più volte tenuto con lui ben diversi atteggiamenti: nel 2003 facendo addirittura il testimone di nozze al figlio del presidente turco, con tanto di baciamano-gaffe alla sposa (gesto da quelle parti inconsueto, per usare un’espressione cauta), e nel 2018 partecipando alla cerimonia di insediamento di Erdogan stesso dopo una vittoria elettorale peraltro non sorprendente. Alla domanda sulla poltrona negata a Ursula von der Leyen si sarebbe potuto rispondere con vari tipi di riprovazione, alludendo per esempio genericamente alla condizione della donna in quel Paese: un tema grave, ma ormai talmente dibattuto da non suscitare sorprese. L’impressione è che Draghi parlasse un po’ a ruota libera, anche una o due altre frasi sono risultate un po’ traballanti, ma quel “dittatore” è sembrata proprio una “voce dal sen fuggita”, e i tentativi di metterci una pezza non sono stati brillantissimi.

Quanto agli psicologi (a cui questo giornale ha già dato voce nei giorni scorsi), non si sa se sia peggiore la non-comprensione di una professione o la non-conoscenza di un decreto dello stesso governo. Individuato il criterio, peraltro condivisibile (e in questo caso ben illustrato) della fasce di età, sul resto il Presidente non era forse del tutto concentrato. Una cosa che da una testa ordinata come la sua non ci si aspetta. Il timore è che Draghi abbia compiuto una scelta: occuparsi prevalentemente della situazione economica (e questo ben venga, tenendo conto anche che i suoi ministri hanno già correttamente dichiarato che il Recovery Plan di Conte e Gualtieri va corretto ma non di molto), delegando ad altri la situazione sanitaria. Se per “altri” si intende il ministro Speranza, benissimo, e benissimo anche la fiducia nei suoi confronti perentoriamente confermata negli incontri con Salvini; ma, se si intendono altri ministri o commissari (specialmente ora che sembra si alzi un polverone-Arcuri) è bene che il Presidente vigili con tutta la sua autorevolezza.

IlFattoQuotidiano

Anche io avverto, nell'atteggiamento di Draghi, quasi disinteresse. Non mi sento supportata, non mi sento informata, mi sento frastornata, non seguita, allo sbando.

Tutt'altra cosa era Conte, grande trascinatore, avvolgente. Con lui mi sentivo al sicuro.

E non sono in grado di affermare che la mia sensazione rifletta la realtà che mi circonda, ma è questo ciò che il mio istinto mi suggerisce.
Nulla da dire su come Draghi potrà amministrare la montagna di soldi che arriverà dall'Europa - che io utilizzerei come una casalinga che amministra una casa e la relativa famiglia - ma credo che in quanto ad amministrazione dello stato emozionale di chi deve governare, abbia enormi carenze dovute, forse, al fatto che da economista, accademico, banchiere, dirigente pubblico e politico italiano, citando il Giusti possiamo dire, senza ombra di dubbio: 

"Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi, in tutt'altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato."
c.

Dosi e morti in Europa. Soltanto in Polonia va peggio che in Italia. - Giampiero Calapà

 

L’Italia, con quasi 400 morti al giorno nell’ultimo mese, è il secondo peggior Paese d’Europa per decessi dopo la Polonia, spia che qualcosa non funziona nella campagna di vaccinazione affidata dal 1° marzo alla cura taumaturgica del generale Francesco Paolo Figliuolo, perché le somministrazioni sono state fatte “alle categorie sbagliate di persone”, rileva l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), perché, a differenza di quanto vuole adesso fare il governatore della Campania Vincenzo De Luca contravvenendo all’annunciata correzione di rotta di Palazzo Chigi, è proprio l’età che conta.

Non è una questione di velocità delle somministrazioni dei vaccini, “tanto che più o meno l’Italia esaurisce le scorte di fiale in dieci, undici giorni, esattamente come la Germania – spiega Matteo Villa dell’Ispi – e può trarre in inganno leggere cifre giornaliere perché dipendono anche da quante fiale sono rimaste in frigo, queste comparazioni avranno magari senso fra un mese quando ci sarà un quantitativo più massiccio di vaccini per Paese”; il vero problema è aver vaccinato male come emerge chiaramente dai dati sui decessi settimanali per milione di abitanti tra il 1° marzo e il 7 aprile pubblicati proprio dall’Ispi.

Secondo il report dell’Ispi con 45 decessi settimanali per milione di abitanti, l’Italia è messa nettamente peggio rispetto alla Francia (32 decessi, -29%), ma soprattutto alla Germania (16 decessi, -64%) e al Regno Unito (11 decessi, -76%). “Mentre per il Regno Unito – si legge nel report – sembrerebbe piuttosto immediato attribuire questa riduzione alla rapida progressione della campagna vaccinale, in realtà per tutti i Paesi a contare molto sono ancora due fattori: le vaccinazioni, certo, ma anche le misure di contenimento adottate”. Rispetto alle vaccinazioni, che stanno migliorando la situazione in quasi tutta Europa, nonostante una progressione ancora piuttosto lenta, in Italia pesano, certifica l’Ispi, “gli errori commessi dalla strategia vaccinale italiana”.

Rispetto a Germania e Regno Unito (16 e 11 decessi settimanali per milione di abitanti) le cose vanno peggio dove sono state adottate misure meno severe come in Italia e Francia: decessi nettamente più elevati (rispettivamente 45 e 32), e una differenza anche qui di circa il 30% a sfavore dell’Italia. E questo succede, rileva l’Ispi, “perché in Italia, rispetto a Francia e Germania, la campagna vaccinale ha visto la somministrazione di un numero pressoché identico di dosi, ma alle categorie ‘sbagliate’ di persone”.

Nel dettaglio: “A fine febbraio avevamo somministrato la prima dose di vaccino solo al 6% delle persone ultraottantenni, mentre Parigi e Berlino erano al 22% e 23%: quasi il quadruplo. E oggi, a inizio aprile, abbiamo recuperato sugli over 80, ma restiamo molto indietro sulla fascia di età 70-79 anni: se Italia e Francia sono ormai appaiate sugli over 80 al 62%, Parigi ha vaccinato quasi il 50% dei 70-79enni, mentre l’Italia è ferma al 13%”, un divario abissale che si paga oggi in numero di persone che non ce la fanno dopo aver contratto il Covid-19.

L’impietosa classifica europea dei decessi settimanali per milione di abitanti, quindi, vede l’Italia al secondo posto: 1. Polonia 58; 2. Italia 45; 3. Romania 41; 4. Grecia 37; 5. Francia 32; 6. Spagna 26; 7. Austria 20; 8. Belgio 19; 9. Germania 16; 10. Paesi Bassi 12; 11. Regno Unito 11; 12. Portogallo e Svizzera 10.

Con una campagna vaccinale modulata meglio per fasce d’età, insomma, secondo un’altra stima dell’Ispi l’effetto delle immunizzazioni sui decessi avrebbero salvato nell’ultimo mese tra le 100 e le 200 persone al giorno che, invece, sono morte a causa del Covid-19.

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Casaleggio e bottega. - Marco Travaglio

 

Per anni Davide Casaleggio, come già suo padre Gianroberto, ha dovuto smentire le fake news che lo dipingevano come il capo della Spectre grillina, il padrone occulto dei 5Stelle, il burattinaio dei voti sulla piattaforma Rousseau: “Io svolgo solo un ruolo di supporto gratuito, sono uno dei tanti attivisti volontari”, “i parlamentari versano una quota dello stipendio come si fa con qualunque associazione culturale”. Un fornitore. Ma da un po’ di tempo fa di tutto per confermare le fake news e smentire le sue smentite. Fino al tragicomico ultimatum dell’altro giorno, con l’accusa al M5S di “mettere in difficoltà finanziaria Rousseau per mettere sul tavolo il terzo mandato e altre regole”. Non sappiamo se sia vero o falso e ce ne importa il giusto. Ma anche se fosse? Lui che c’entra, se non è il padrone? Il limite dei due mandati non è neppure nello Statuto: solo nel regolamento elettorale. Se qualcuno lo vuol cambiare, lo metterà ai voti e gli iscritti, non Casaleggio, decideranno. Idem per la piattaforma: dove sta scritto che la democrazia digitale si realizza solo con la Rousseau e non con la Pippo?

Casaleggio lacrima per i sacrifici fatti: “Potevo fare il ministro, chiedere uno stipendio…”. Ma, se avesse fatto il ministro, difficilmente avrebbe potuto fare il presidente della Casaleggio Associati, consulente di gruppi toccati da norme del suo governo, tipo Philip Morris e Onorato (come il Fatto documentò due anni fa): sarebbe passato dal conflitto d’interessi potenziale a quello reale. Quanto allo stipendio, vi ha rinunciato perché non poteva averlo: Rousseau è un’associazione non profit. Ora, visto che il nuovo corso non gli garba, ha tutto il diritto di farsi un partitucolo con qualche fuoruscito portandogli la piattaforma Rousseau, sempreché riesca a dimostrare che è sua. E così non è, visto che è stata costruita con le donazioni di parlamentari e amministratori locali M5S (3,5 milioni solo negli ultimi tre anni per un servizio che vale sul mercato, a dir tanto, 500mila euro). Trattarla come proprietà privata sarebbe come costruire una casa per conto e coi soldi di un cliente e poi pretendere di andarci ad abitare. Basta leggere lo Statuto: “L’Associazione ha lo scopo, senza il perseguimento di alcuna finalità di lucro, di promuovere lo sviluppo della democrazia digitale nonché di coadiuvare il M5S”. C’è poi una questioncella di privacy: Casaleggio è solo il “responsabile” del trattamento dei dati degli iscritti: ma per conto del “titolare”, che è il Movimento. E spetta al Movimento, non a lui, decidere regole, leader e tutto quel che gli pare. A meno che non conosca un fornitore che detta ai suoi clienti le strategie aziendali e decide pure come devono vestirsi e chi devono sposarsi.

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