giovedì 22 aprile 2021

I ristori ai soliti signori delle grandi mostre. - Nicola Borzi

 

A Mondadori e Sole la fetta più grande.

Dal Maestro delle storie di Isacco ad Assisi, forse un giovane Giotto, sino a Van Dijck e Jouvenet, la vicenda biblica di Giacobbe che carpisce con l’astuzia la benedizione del padre Isacco destinata invece per diritto al primogenito Esau è un topos che per secoli ha tenuto banco nella pittura. Nessuno ha mai dedicato al tema un’esposizione antologica, ma da qualche mese la discussione sulla furbizia infuria nel settore delle mostre. Il ministero della Cultura retto da Dario Franceschini, che gestisce 4,24 miliardi di aiuti pubblici per l’emergenza Covid, già dall’anno scorso ha versato decine di milioni alle società organizzatrici di eventi saltati a causa della pandemia. Una manna dal cielo per un comparto che come altri ha visto crollare i ricavi. Ma c’è chi sostiene che alcuni avrebbero ricevuto quella benedizione senza averne titolo.

In Italia nessuno ha dati precisi sul mondo delle mostre. Manca un registro degli eventi, non si conoscono numero degli spettatori né giro d’affari complessivo. L’unica fonte parziale sono le statistiche Siae, che però mischiano mostre e fiere, come il Salone del Mobile di Milano. Secondo i dati preliminari, nel 2020 gli eventi sono calati a 27.913, quasi 50mila in meno rispetto al 2019 (-64%) con appena 5,8 milioni di ingressi (20 milioni in meno, -78%), per un incasso al botteghino crollata a 46 milioni da 196 milioni (-77%).

A fronte di questo disastro, i contributi a fondo perduto per il ristoro di mostre d’arte cancellate annullate o rinviate valgono sinora 71,4 milioni. Una boccata d’ossigeno la cui suddivisione ha deciso i sommersi e i salvati tra gli operatori del settore. La ripartizione, gestita tramite 7 decreti ministeriali, non è stata calcolata sulle perdite di bilancio subìte dagli operatori (quando sono stati distribuiti i primi sostegni non erano ancora disponibili i rendiconti 2020) ma in base ad autodichiarazioni sulla differenza in corso d’anno tra i fatturati 2020 e 2019. L’attività delle mostre però varia di anno in anno con risultati incerti, perché nulla assicura il successo di un evento. Così sono stati risarciti incassi presunti da parametri precedenti. Inoltre gli operatori hanno ottenuto anche altri sostegni, come la cassa integrazione per i dipendenti.

La direzione Musei del Mibact con i suoi decreti ha stabilito che potevano fare domanda gli operatori “che abbiano subito un calo di fatturato per la cancellazione, l’annullamento o il rinvio, a causa dell’emergenza Covid, di almeno una mostra d’arte in Italia o all’estero in calendario tra il 23 febbraio e il 30 settembre 2020”. Erano ammessi ai contributi i soggetti la cui “attività prevalente sia l’organizzazione di mostre d’arte” e le imprese di logistica, trasporto e allestimento che dalle mostre d’arte avessero ricevuto oltre il 50% del fatturato. Tra i requisiti c’erano l’assenza di procedure fallimentari, la regolarità contabile contributiva e fiscale e la possibilità di contrattare con la Pubblica amministrazione. Gli aiuti per legge non sono tassabili come reddito e dunque entrano tutti nelle componenti positive dell’utile netto.

Una buona fetta dei sostegni agli organizzatori di mostre, oltre 65 milioni, sono stati già erogati tra il 2019 e il marzo scorso. La fetta maggiore è andata a pochissime imprese: i primi 8 gruppi (su 38) hanno ricevuto l’85% della somma, oltre 39 milioni sui 50,1 destinati alla categoria. Anche tra i gruppi dei servizi i primi 6 beneficiari (su 19) hanno ricevuto quasi l’83% del sostegno al segmento: 12,7 milioni su 15,3. Ma a scatenare le polemiche è stato soprattutto il fatto che la parte del leone nella suddivisione degli aiuti è andata alle imprese collegate a due editori, Electa della Mondadori e 24Ore Cultura del Sole. Questi due operatori da soli si sono portati a casa quasi il 40% di tutti i sostegni alla filiera, poco meno di 20 milioni su 50,1. Electa primeggia nella classifica dei beneficiari: da sola ha ricevuto il 30% dei fondi agli organizzatori di mostre, 15,1 milioni su 50,1, dei quali 10,9 versati già nel 2020. 24Ore Cultura lo scorso anno ha ricevuto aiuti per 3,52 milioni e altri 1,24 a marzo, il 9,5% del settore. Contributi detassati che hanno sostenuto i bilanci consolidati 2020 dei relativi gruppi editoriali quotati.

Secondo il bilancio, Mondadori Electa nel 2019 ha realizzato 60,2 milioni di ricavi e 8 milioni di utile. L’organizzazione delle mostre valeva 3,2 milioni, i proventi da biglietteria 20,8: in totale 24 milioni, il 40% dei ricavi. La vendita di libri ha generato incassi per 28,84 milioni, il 48% del totale. I ricavi vari “pesavano” per il 2,8%, mentre quelli da gestione museale 5,23 milioni, il 9%. Un operatore del settore che chiede l’anonimato si domanda “come abbia fatto Electa a dichiarare quale attività primaria l’organizzazione di mostre. Dalle visure risulta che l’attività prevalente indicata è la “gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili” ed “edizione di libri”. Eppure hanno già ottenuto aiuti pari a oltre il 60% dei ricavi da eventi realizzati nel 2019”. Il tema del concetto di attività prevalente è dibattuto, tuttavia i pareri legali convergono sul fatto che a dirimerne l’attribuzione non sia il codice Ateco aziendale, dunque la forma, ma la sostanza ovvero la fonte predominante dei ricavi.

Quanto a 24Ore Cultura Srl, nel bilancio al 31 dicembre 2019 segnava ricavi per 12,21 milioni e un utile di 808mila euro. I ricavi dai biglietti delle mostre erano pari a 5,79 milioni, il 47% del totale. Servizi e sponsorizzazioni, vendite di libri e altri prodotti, cointeressenze, gestione del parcheggio del museo Mudec generavano ricavi per 6,42 milioni, il restante 53%. “Eppure 24Ore Cultura ha già ottenuti aiuti per 4,76 milioni, l’82% dei suoi ricavi del segmento del 2019”, sottolinea la fonte.

Tra i maggiori beneficiari compaiono poi diverse società del gruppo Arthemisia di Iole Siena che hanno ottenuto aiuti totali per 9,1 milioni, il 18,2% del settore, Mondo Mostre con 4,1 milioni, l’Associazione Civita con 2,6 e Metamorfosi di Pietro Folena per quasi un milione. “Se si guarda all’attività prevalente Mondo Mostre, Civita o Arthemisia paiono aver titolo per i ristori”, spiega il nostro interlocutore. Ma tra le varie imprese presiedute da Iole Siena in passato ci sono stati fallimenti e concordati e una dura vertenza fra Artemisia e 24Ore Cultura ha portato la società del Sole a varare l’azione di responsabilità contro l’ex ad Natalina Costa, accusata di aver danneggiato l’impresa a favore di Artemisia. Forse un motivo per cui mancano mostre sulla furbizia che dribbla il diritto c’è.

IlFQ

Quousque tandem. - Marco Travaglio

 

Mentre la Superlega del calcio frana in testa ai suoi aedi (massima solidarietà a Sambuca Molinari e Johnny Riotta, che si erano tanto spesi sul quotidiano casualmente edito dai padroni della Juve), anche la Superlega della politica scricchiola. E non è colpa di Draghi, che ce la mette tutta, pur col piglio distaccato dell’amministratore delegato. È colpa di chi gli ha tirato il pacco, Mattarella in primis, illudendolo che bastasse ammucchiare nel governo tutti i partiti tranne uno per cancellarne le differenze di idee e di interessi. Non era così. Infatti ieri la Lega, non contenta di avere strappato le imprudenti riaperture al 26 aprile, s’è astenuta sulla proroga del coprifuoco. E non si vede che ci stiano a fare 5Stelle, Pd e Leu in una maggioranza dove, se c’è da cantare, tocca a Salvini e, se c’è da portare la croce, tocca ai giallorosa. Il giochino non può durare, anche perché prima o poi si voterà. Salvini l’ha capito e, tallonato dalla Meloni, si abbarbica al potere per tenere le mani sul bottino del Recovery, ma si finge morto appena c’è da perdere voti. Gli altri quando lo capiranno? Appena inizia il semestre bianco, ci divertiamo.

L’altro nodo che viene al pettine è quello dei vaccini. E qui Draghi c’entra. Ne aveva annunciati 500mila al giorno dopo la metà di aprile, personalmente e per interposto generale Figliuolo. Siamo al 22 aprile e l’altroieri ne sono stati somministrati 300mila. Ora, dopo due mesi di “accelerate” sui giornali, siamo in continua frenata. E, come vaticinò Bersani al cambio della guardia fra Arcuri e Figliuolo, è inevitabile fare un confronto. Dal 6 al 20 gennaio (governo Conte, commissario Arcuri) l’Italia era davanti a Germania, Spagna e Francia per vaccinati in rapporto alla popolazione, e in certi giorni anche per numeri assoluti. A fine gennaio fu superata di pochi decimali dalla Spagna, ma restò sempre davanti a Germania e Francia. Il 13 febbraio Draghi si insedia e il 2 marzo caccia Arcuri e lo rimpiazza con Figliuolo. Il passaggio di consegne al Commissariato fra la struttura Invitalia e l’armata interforze dura un mese. Arcuri e i suoi garantiscono una decina di giorni di presenza, durante i quali (3-13 marzo) l’Italia resta seconda dietro la Spagna e davanti a Francia e Germania, poi se ne tornano nella loro sede. Il 13 marzo Figliuolo vara il nuovo Piano vaccini e l’Italia inizia a precipitare: terza il 14 e 15 marzo, scavalcata anche dalla Germania; poi, con rare eccezioni, sempre ultima. I dati dell’altroieri sono impietosi: Spagna 20,19% di abitanti vaccinati, Germania 20,07, Francia 18,73, Italia 18,24. Abbiamo perso due mesi. E per peggiorare. Chi se ne va prima: Salvini o Figliuolo?

IlFQ

SINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l’occupazione in Italia. - Angelo Colombini

 

Ieri c’è stato un incontro tra i sindacati e il Premier riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo sta approntando. 

L’Italia, tra tutti gli Stati membri colpiti dal virus, è il maggior beneficiario degli aiuti inediti che sono stati resi disponibili dall’Unione europea e che arriveranno tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La profondità e l’ampiezza della crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia su occupazione, Pil, attività produttive, entrate fiscali, incremento del deficit e del debito ha comportato un dispiegamento di risorse addirittura maggiori di quelle erogate dal “Piano Marshall” nel dopoguerra. 

In Italia la crisi si è innestata e ha ampliato contraddizioni, fragilità, ineguaglianze e divari propri del nostro sistema “Paese” e si spera che possano essere in parte recuperati intercettando e soprattutto finalizzando gli aiuti del Pnrr. “Finalizzando” perché l’Italia, come capacità di spendere i fondi europei, è nella parte bassa della classifica europea. 

Per questo motivo, data la natura della crisi, i sostegni europei, lo scostamento di bilancio e il Recovery Plan, le risorse devono essere impegnate nel più breve tempo possibile, definendo procedure che facciano superare i burocratismi e gli schemi comuni a cui siamo abituati. Se vogliamo recuperare i ritardi italiani che hanno depresso l’innovazione e gli investimenti, aumentato le diseguaglianze e scaricato il costo prevalente della fiscalità generale sui redditi da lavoro dipendente e sulle pensioni, non possiamo permetterci di sprecare neanche un euro.

Il Pnrr non è la panacea di tutti i mali, ma è una grande opportunità per invertire la tendenza, tornare sulla strada della crescita stabile, disinnescare le oltre 120 crisi aziendali, creare lavoro dignitoso, di qualità e sostenibile, ridurre le disuguaglianze, investire sulle questioni ambientali e di contrasto al cambiamento climatico.

Questa opportunità per diventare tangibile e concreta deve partire dalla verifica delle ricadute economiche e occupazionali, dalla presenza delle parti sociali nella governance ed essere accompagnata dalla costituzione di un patto tra gli attori coinvolti per seguire l’attuazione del piano complessivo – e non dei singoli progetti – e di tutte le riforme, imprescindibili, ad esso connesse, com’è emerso ieri dall’incontro tra i Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e il Premier Draghi.

La ricaduta a valle di quanto previsto nel Pnrr deve andare oltre la semplice informativa, deve essere strutturata, programmata e monitorata dettagliatamente al fine di valutarne l’impatto economico e occupazionale, per raccordarla con le urgenti e necessarie riforme strutturali che riguardano i temi del lavoro e dell’occupazione, della sanità e della Pubblica amministrazione, delle politiche industriali, energetiche e delle infrastrutture, della scuola e della giustizia, del fisco, delle politiche sociali e dell’ambiente.

Per noi della Cisl è importante che venga recuperato, in un cambiamento di questa portata, il confronto e la concertazione con le parti sociali in tutte le fasi del Piano, dalla progettazione, alla realizzazione e infine al monitoraggio, sia dei tempi che di corrispondenza agli indicatori definiti. Ma per fare ciò bisogna andare oltre gli slogan e accantonare le posizioni ideologiche.

Nel corso dell’ultimo anno, e da quando l’Europa ha pensato al Next Generation Eu (Ngeu) abbiamo elaborato proposte, documenti, osservazioni ed emendamenti volti innanzitutto alla tutela, alla salvaguardia e alla valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Per rendere il nostro Paese più vivibile, giusto e innovativo, utilizzando le opportunità e gli strumenti che l’Europa ci mette a disposizione, abbiamo declinato nella nostra azione sindacale a tutti i livelli, da quello internazionale a quello locale, la cosiddetta Giusta Transizione: nessuno deve essere lasciato indietro.

E in questa roadmap verso l’uscita dalla crisi che implica diverse transizioni, tra cui quella energetica, non si può fare a meno dell’utilizzo del gas, nella misura in cui le altre fonti alternative e rinnovabili non sono ancora in grado di rispondere al totale fabbisogno energetico. 

Siamo i primi ad avere coscienza e ad affermare che il lavoro si tutela anche tramite il perseguimento dell’innovazione organizzativa e tecnologica, e chiediamo, ancor di più oggi, che si velocizzino con il massimo impegno le due transizioni gemelle (ecologica e digitale) prevedendo anche, tra gli obiettivi prioritari, un ripensamento del sistema dell’istruzione che sia legato alle emergenti e nuove competenze che accompagni le persone. Solo definendo opportuni percorsi di formazione e riqualificazione professionale, adeguati ammortizzatori sociali, efficaci politiche attive, informazioni trasparenti con il diretto coinvolgimento e partecipazione di tutti, si potrà avere il necessario consenso per raggiungere gli obiettivi di ripresa del Pnrr che non prescindono da quelli di decarbonizzazione e di lotta ai cambiamenti climatici.

IlSussidiario.net

Covid: Varato il nuovo decreto, in CdM scontro sul coprifuoco ma Draghi si impone.

 

Resta alle 22 fino all'1 giugno, dopo maggio potrebbe essere valutata una delibera per eliminarlo.

Il Consiglio dei ministri chiamato a dare il via libera al decreto per le riaperture dal 26 aprile è terminato. Il provvedimento prevede che sarà mantenuto almeno fino al primo giugno il coprifuoco alle 22. Dopo maggio potrebbe essere valutata, dopo un'ulteriore analisi dei dati epidemiologici, una delibera per eliminarlo o far partire il provvedimento dalle ore 23. Sarà possibile sedersi ai tavoli nei ristoranti al chiuso dal primo giugno.

La Lega, a quanto si apprende, ha annunciato in Consiglio dei Ministri che si asterrà sul voto sul decreto.

Il nuovo decreto legge Covid sarà valido dal 26 aprile al 31 luglio. 

SCUOLA - "Dal 26 aprile e fino alla fine dell'anno scolastico si torna in classe anche nelle scuole superiori (secondarie di secondo grado).

La presenza è garantita in zona rossa dal 50% al 75%. In zona gialla e arancione dal 70% al 100%." E' quanto prevede il decreto sulle riaperture che quindi aumenta dal 60% al 70% il limite minimo per le superiori in presenza nelle zone gialle e arancioni. Per le università il dl prevede che "dal 26 aprile al 31 luglio nelle zone gialle e arancioni le attività si svolgono prioritariamente in presenza. Nelle zone rosse si raccomanda di favorire in particolare la presenza degli studenti del primo anno".

GREEN PASS - "Le certificazioni verdi rilasciate dagli Stati membri dell'Unione sono riconosciute valide in Italia. Quelle di uno Stato terzo se la vaccinazione è riconosciuta come equivalente a quella valida sul territorio nazionale." E' quanto prevede il decreto sulle riaperture approvato in Cdm nel passaggio in cui si disciplina il "green Pass" per la circolazione tra Regioni italiane anche di diverso colore.

VISITE - "Dal 26 aprile e fino al 15 giugno, in zona gialla e arancione, è possibile andare a trovare amici o parenti in una abitazione privata (diversa dalla propria) in 4 persone al posto di 2."

SPOSTAMENTO TRA REGIONI - "Dal 26 aprile chi è munito di certificazione verde potrà spostarsi da una Regione all'altra anche se si tratta di zone rosse o arancioni." E' quanto prevede il decreto riaperture. Secondo quanto stabilito dal decreto "può avere il certificato verde:

• chi ha completato il ciclo di vaccinazione (dura sei mesi dal termine del ciclo prescritto)

• chi si è ammalato di covid ed è guarito (dura sei mesi dal certificato di guarigione)

• chi ha effettuato test molecolare o test rapido con esito negativo (dura 48 ore dalla data del test)"

CINEMA E TEATRI - In relazione all'andamento epidemiologico e alle caratteristiche dei siti che ospitano cinema, teatri, sale concerto e live club, si potrà autorizzare la presenza anche di un numero maggiore di spettatori all'aperto rispetto ai 500 previsti al massimo al chiuso e ai mille all'aperto o al 50% della capienza, nel rispetto delle indicazioni del Cts e delle linee guida. E' quanto prevede il dl.

EVENTI SPORTIVI - E' possibile autorizzare lo svolgimento di eventi sportivi di particolare rilevanza anche prima dell'1 giugno. Per tali eventi, e tenuto conto delle caratteristiche dei siti, è possibile autorizzare la presenza di un numero maggiore di 1.000 spettatori per gli impianti all'aperto o di 500 per quelli al chiuso. 

IL 'TAGLIANDO' - Un 'tagliando' al decreto legge a metà maggio, per valutare la sussistenza di presupposti per allentare eventualmente le misure nel caso che i dati epidemiologici lo permettano. E' quanto si apprende da fonti di Governo.

LO SCONTRO - Una riunione pre-Consiglio dei ministri lunga un'ora e piuttosto animata ha segnato lo scontro nel governo sul nodo del coprifuoco. Uno scontro che ha visto la Lega in prima linea per prolungare l'orario del coprifuoco dalle 22 alle 23. E alla fine è stato lo stesso premier Mario Draghi a stoppare la modifica al coprifuoco decisa nell'ultima cabina di regia. E, secondo più di un ministro presente, il capo del governo avrebbe mostrato anche una certa irritazione sul cambio di linea, sul coprifuoco, rispetto a quanto già stabilito collegialmente. Sul mantenimento del coprifuoco alle 22 si erano già espressi favorevolmente i ministri di Pd, M5S e Leu. Il Cdm, slittato oltre le 18, alla fine ha confermato sostanzialmente la bozza del decreto riaperture, incluso il "no" ai ristoranti al chiuso la sera a maggio e all'anticipo di uno slittamento dell'orario del coprifuoco. Ed è a quel punto che la Lega ha annunciato la sua astensione sul provvedimento.

Il leader della Lega Matteo Salvini difende la decisione di sostenere il governo e conferma che il suo partito non voterà il decreto. "Voteremo il prossimo di decreto, se aiuterà i lavoratori. Questo no. Se sono convinto vado in fondo: la scelta di sostenere Draghi è stata giusta, sarebbe stato più comodo starne fuori ma ora l'Italia merita impegno e sacrifici. Se siamo zona giallo è grazie alla Lega, però se 500 persone possono chiudersi in un cinema perchè 20 non a cena, o in due in palestra. Chiediamo rispetto". "La Lega chiede di dare fiducia agli italiani che hanno dimostrato per un anno pazienza e rispetto delle regole. Non potevamo votare un decreto che continua a imporre chiusure, coprifuoco, limitazioni. I dati sanitari fortunatamente sono in netto miglioramento: negli ultimi giorni sono migliaia i letti di ospedale che si sono liberati".

Fonti del Pd di governo dopo il Cdm definiscono "equilibrato" il risultato del lavoro del Consiglio dei Ministri. "La piattaforma che abbiamo condiviso e che sosteniamo è un punto di equilibrio giusto tra l'esigenza di ripartenza e la tutela della salute. Ravvisiamo nell'atteggiamento della Lega la conseguenza di una contraddizione che è quella di un continuo susseguirsi di ultimatum che portano a questo tipo di incidenti di percorso". "Il Pd da sempre è per le riaperture in sicurezza e la strada indicata da Draghi, graduale ma attenta a tutelare salute ed economia, è quella giusta. La scelta di Salvini è irresponsabile e crea confusione nel Paese". E' quanto fanno sapere fonti del Nazareno. "Questo è il momento della responsabilità e della coesione nelle scelte di governo per consentire al Paese di ripartire in sicurezza. E' incomprensibile che la Lega punti a privilegiare un interesse di partito e per questo rompa l'unità del governo su decisioni tanto delicate. La speranza è che si tratti solo di una parentesi e che venga chiusa quanto prima". Così Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera

Fonti di governo del Movimento 5 stelle si dicono rammaricate per le decisioni del Carroccio. "Spiace per atteggiamento Lega. Questo Governo è nato per incoraggiare la coesione nazionale. Oggi è stata messa in discussione l'unità delle nostre decisioni. In un momento come quello che stiamo vivendo, l'interesse per il Paese viene prima di quello di partito. Purtroppo dalla Lega è un film già visto, che non ha pagato." 

"Con il decreto varato oggi in Cdm abbiamo definito una road map per riaperture intelligenti e in sicurezza - come aveva chiesto Forza Italia - introdotto un green pass italiano, riportato la gran parte degli studenti in aula, ripristinato la fascia gialla, che era stata sospesa per legge. Come ha affermato Antonio Tajani, siamo soddisfatti, ma si può migliorare". Lo afferma Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali, sottolineando che FI "insisterà perché si ponga rimedio ad alcune incongruenze sui settori della ristorazione, dello sport e del wedding, ma questo resta il decreto della ripartenza in sicurezza".

COSA CHIEDEVANO LE REGIONI - "Consentire, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, i servizi di ristorazione sia al chiuso che all'aperto, senza distinzione di trattamento in base agli orari di somministrazione, la proroga del coprifuoco dalle 22 alle 23, la ripresa delle attività individuali in palestra al chiuso e in piscine all'aperto, già a partire dal 26 aprile". Sono queste - a quanto si apprende- le ulteriori osservazioni e modifiche alla bozza del decreto-legge che dovrà essere varato e che, a seguito delle interlocuzioni con il Governo, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha trasmesso ai ministri Gelmini e Speranza. I governatori chiedono anche "la riapertura del settori wedding e l'avvio anticipato, rispetto a quanto disposto in bozza, dei mercati, l'uniformazione delle date di riapertura degli spettacoli all'aperto e degli eventi sportivi all'aperto". 

ANSA

Astrazeneca, nuovo articolo degli scienziati tedeschi sul vaccino: “Scoperto il meccanismo che può provocare le trombosi gravi”.

 

Il team guidato dal professor Andreas Greinacher dell'Università di Greifswald in uno nuovo articolo pubblicato su Research Square e non ancora sottoposto a peer review suggerisce qual è la reazione a cascata innescata da alcuni componenti del vaccino e in particolare dall'acido etilendiamminotetraacetico (EDTA).

Un meccanismo a cascata innescato da alcuni componenti del vaccino e in particolare dall’acido etilendiamminotetraacetico (EDTA) è la causa dei rari casi di trombosi grave che si sono verificati dopo la somministrazione di Vaxzevria, il composto di AstraZeneca. È la conclusione a cui è giunto il team di scienziati tedeschi guidato dal professor Andreas Greinacher, dell’Università di Greifswald, in uno nuovo articolo pubblicato su Research Square e non ancora sottoposto a peer review. “I componenti del vaccino – si legge nelle conclusioni dello studio – formano complessi antigenici con PF4, l’EDTA aumenta la permeabilità microvascolare e i componenti del vaccino causano reazioni infiammatorie acute. La formazione di antigeni in un ambiente proinfiammatorio offre una spiegazione per la produzione di anticorpi anti-PF4. Gli anticorpi anti-PF4 ad alto titolo attivano le piastrine e inducono l’attivazione dei neutrofili e la formazione di NETs, alimentando la risposta protrombotica VITT”, ovvero la trombosi indotta dal vaccino AstraZeneca.

In uno studio pubblicato meno di due settimane fa sulla rivista scientifica The New England journal of medicine, il gruppo di lavoro guidato da Greinacher aveva infatti già concluso che ci fosse un nesso tra il vaccino e le trombosi. Gli scienziati tedeschi l’hanno ribattezzata “trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino” (VITT), spiegando che la reazione che si innesca dopo la inoculazione “imita clinicamente la trombocitopenia autoimmune indotta da eparina“. Proseguendo le loro ricerche, sono arrivati a suggerire che la tecnologia alla base del siero di AstraZeneca, alcuni dei suoi componenti e la potente reazione immunitaria che induce possono portare a una cascata di eventi che annienta diversi meccanismi che normalmente tengono sotto controllo il sistema immunitario umano. Anche se, come ha spiegato il professor Greinacher in una conferenza stampa internazionale, “potrebbero volerci anni per chiarire la causa in tutti i dettagli”.

Le reazione non corrette del sistema immunitario e il processo infiammatorio iniziano subito dopo la vaccinazione, anche se i primi sintomi compaiono solo dopo 4-5 giorni. I risultati raccolti da Greinacher e dal suo gruppo di lavoro hanno poi rilevato il ruolo dell’acido carbossilico EDTA. Secondo Greinacher, è probabile che le componenti del vaccino siano un cofattore della reazione immunitaria che porta alle trombosi. Non è ancora chiaro infatti il motivo per cui la reazione si verifica solo in rarissimi casi e soprattutto tra le persone sotto i 60 anni (il motivo per cui per ora il vaccino AstraZeneca è stato raccomandato solo per gli over 60). Secondo l’ipotesi formulata da Greinacher durante la conferenza stampa, può essere che la trombosi si verifiche solo quando tutti gli elementi che tengono sotto controllo il sistema immunitario si “guastano” contemporaneamente.

Non è ancora chiaro se questo tipo di meccanismo si verifica anche per gli altri vaccini a vettore virale come AstraZeneca, tra cui Johnson&Johnson. L’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha concluso martedì che esiste un “possibile legame con le trombosi rare” e che “si sono verificati in persone di età inferiore a 60 anni”. Greinacher ha annunciato che gli scienziati dell’università di Greifswald hanno iniziato una collaborazione con la stessa multinazionale Johnson&Johnson, per poter analizzare anche i campioni del vaccino Janssen e capire quale relazioni ci sia tra le somministrazione e i casi di trombosi che finora si sono verificati.

ILFQ

mercoledì 21 aprile 2021

Avrà 50 miliardi dal Recovery Plan: è partita la guerra per la guida di FS. - Marco Palombi

 

La guerra non tanto fredda per la guida di Ferrovie dello Stato è ormai aperta anche in pubblico. Ieri nientemeno che il Financial Times ha ripreso una notizia pubblicata mesi fa sulla stampa italiana (da Il Domani per la precisione): l’esistenza di un’inchiesta a Roma sui rapporti tra FS e Generali nell’ipotesi che la compagnia assicurativa sia stata favorita in questi anni come fornitore della società pubblica; in questo contesto – altro fatto noto – si parla di due risarcimenti per malattia pagati all’ad Gianfranco Battisti, all’epoca a capo dell’Alta velocità, per oltre 1,7 milioni di euro. Effettivamente un’enormità, ma l’attuale numero 1 di Ferrovie, in corsa per la riconferma a maggio, non era indagato mesi fa e non è indagato ora, come specifica anche il FT.

E allora perché un’inchiesta vecchia di mesi e un fatto (i risarcimenti a Battisti) che fu oggetto di interrogazioni parlamentari di Matteo Renzi e soci addirittura nell’ottobre 2019 finisce ora sul più importante quotidiano finanziario europeo? Perché entra nel vivo la partita delle nomine pubbliche: il cda di Ferrovie dello Stato, attorno a cui da oltre un anno e mezzo si combatte una battaglia senza esclusione di colpi, va in scadenza a maggio ed è una poltrona che oggi fa persino più gola di prima. Come raccontato sul Fatto di lunedì, Rfi – cioè la società di Ferrovie che costruisce e gestisce le linee – ha progetti d’investimento di suo per 79 miliardi nei prossimi anni, mentre nella versione del Recovery Plan del governo Conte c’erano investimenti in ferrovie per 26,7 miliardi, che saranno pressoché raddoppiati – secondo indiscrezioni – dall’extradeficit da 30 miliardi in sei anni voluto dall’esecutivo Draghi. Non solo: “Cresce ancora la quota delle Ferrovie”, ci informava ieri Il Sole 24 Ore senza spiegarci di quanto. Il motivo per cui “cresce”, però, è assieme chiaro e bizzarro: “Le ferrovie sono considerate da Bruxelles un investimento 100% green e il rafforzamento di questo capitolo aumenta la possibilità per l’intero piano di superare ‘l’esame’ di ecologia”. In sostanza a Bruxelles ritengono che ogni investimento ferroviario sia un bene per l’ambiente: un non sequitur da antologia di cui nessuno dovrebbe stupirsi visto che è alla base, per dire, del sì all’alta velocità Torino-Lione.

In sostanza, Ferrovie dello Stato sarà il principale investitore singolo del Piano di ripresa italiano, motivo per cui la poltrona di amministratore delegato fa oggi ancora più gola di prima: al netto di eventuali appetiti illegittimi, per così dire, è un posto dal quale si può disegnare un pezzo del futuro del Paese e, ovviamente, aggregare un non disprezzabile sistema di potere. Battisti – che finora è stato discretamente speranzoso nella riconferma, al contrario del suo nemico interno, il presidente Gianluigi Castelli – è figlio della stagione “gialloverde” e fu nominato in quota M5S: da allora Matteo Renzi e l’area a lui più vicina del Pd, prima e dopo la scissione, gli hanno fatto la guerra sognando il ritorno dell’ex amministratore delegato Renato Mazzoncini, ahi lui azzoppato da un paio di disavventure giudiziarie, o almeno di qualcuno a lui vicino (c’è chi fa il nome del dirigente Fabrizio Favara).

Per quanto imbarazzante, va registrato che il nuovo articolo con vecchia storia del FT non ha scatenato il solito profluvio di dichiarazioni. A sera – piccolo segnale – l’unico dichiaratore risultava il capogruppo Pd in commissione Trasporti della Camera Davide Gariglio, piemontese e pasdaran pro-Tav, già renziano, oggi nella riserva degli ex detta Base riformista (Lotti, Guerini, etc.): “Le indagini sugli indennizzi milionari versati per infortuni occorsi ai manager del Gruppo Ferrovie dello Stato gettano un’ombra sull’operato degli attuali vertici dell’azienda”, la sua stentorea presa di posizione.

Particolare che segnala il vero problema di questa vicenda: non è chiaro su quali basi, discutendo con chi e attraverso che criteri Mario Draghi – che ha già fatto capire che nominerà da solo i vertici delle principali partecipate – sceglierà il prossimo ad di Ferrovie. Influirà un articolo del Financial Times, giornale con cui ha avuto storicamente ottimi rapporti e che ha ospitato il suo lungo intervento sulla pandemia?

IlFQ


Il ricambio delle classi dirigenti e la lezione del Pd. - Tommaso Merlo - Libertà di pensiero

 

Per risanare il Pd dovrebbero andarsene a casa tutti i dirigenti, dal primo all’ultimo. La politica la fanno gli uomini. Per cambiarla devi cambiare gli uomini che la fanno. Punto. 

Vale per il Pd come per ogni ambito del nostro vecchio e ottuso sistema paese. Affidandosi a Letta, il Pd dimostra di non aver imparato nulla dalla sua eterna crisi o che i suoi dirigenti non hanno in realtà nessuna intenzione di cambiare alcunché. 

Letta potrà organizzare tutte le assise che vuole e girare le sezioni del partito una ad una, potrà proclamare “nuove fasi” e “rilanci” ma alla fine il Pd tornerà la bolgia correntizia di sempre. Basta guardarsi alle spalle. Scissioni, terremoti, faide. Un segretario dopo l’altro. Eppure il Pd non è cambiato di una virgola. Questo perché se vuoi rinnovare un partito devi rinnovare la sua classe dirigente. Non ci sono scorciatoie. È questa la lezione del Pd. Per arrivare ai vertici di un partito, un politicante deve investire anni della sua vita. Seguire qualche mentore, assorbire logiche e prassi. E solo quando rispecchierà il sistema verrà premiato dallo stesso. Una volta in cima il politicante replicherà gli schemi che ha appreso e che gli hanno permesso di emergere e non ha nessun interesse a cambiare alcunché. 

Vale per il Pd come per qualunque ambito. Ed è questo uno dei mali più gravi del nostro paese. Il ricambio delle classi dirigenti è fondamentale per l’igiene democratica ma anche per la funzionalità del sistema. Il ricambio favorisce il cambiamento. Nuove generazioni portano mordente, coraggio, desiderio d’incidere sulla realtà e non di conservare l’esistente. Il ricambio delle classi dirigenti favorisce l’emergere di nuove sensibilità e punti di vista e quindi stimola nuove idee e programmi. Solo le generazioni figlie dell’era storica che si vive possono rappresentare genuinamente le istanze del momento ma anche i sentimenti. L’ansia di progresso, la fame. Un paese in mano ai nonni è fragile e stanco e con la testa rivolta all’indietro. Un paese in mano a chi no ha futuro, non ne ha. Il ricambio delle classi dirigenti evita poi la formazione del sempiterno fossato tra potenti e cittadini, tra potenti e realtà. La società è in continua evoluzione e solo con un ricambio frequente si mantiene il passo. In un’era di rapidi cambiamenti come questa è ancora più evidente. L’Italia è ferma anche perché è in mano a classi dirigenti che non appartengono a questo paradigma e non lo comprendono. Il ricambio previene anche personalismi e rivalità tra correnti e capibastone. Sprechi di tempo e di energie. Con beghe personali che si trascinano per decenni e non hanno nulla a che fare coi destini del paese. Il ricambio previene poi la formazione di reti e rapporti di potere che piegano l’interesse collettivo. Il ricambio impedisce anche la formazione di caste e cioè dirigenti che si coalizzano per restare in sella, dirigenti che si arricchiscono e si fanno risucchiare dalle lusinghe dello status ammosciandosi e perdendosi in deliri autoreferenziali. È questa la lezione del Pd. Il ricambio delle classi dirigenti è uno dei mali più deleteri del nostro sistema paese. Un problema culturale prima ancora che politico. Un problema di egoismo delle classi dirigenti ma anche di nuove generazioni che invece di ribellarsi cedono al comodo e più redditizio conformismo. Oggi il Pd si affida a Letta, l’ennesimo salvifico segretario. Ma per risanare e rilanciare il Pd dovrebbero andarsene a casa tutti i dirigenti lasciando spazio alle nuove generazioni. La politica la fanno gli uomini. Per cambiarla devi cambiare gli uomini che la fanno. Vale per il Pd come per ogni partito come per ogni ambito di questo vecchio ed ottuso sistema paese.

Tommaso Merlo