sabato 1 maggio 2021

Open, i renziani contro i pm: “Cartabia mandi gli ispettori”. - Giacomo Salvini

Alberto Bianchi, Marie Elena Boschi

 I deputati Iv chiedono l’intervento anti-Procura.

Indagare sulla fondazione Open, l’ex cassaforte del renzismo, e su tutto il Giglio magico, ai deputati di Italia Viva proprio non va bene: deve intervenire il ministro della Giustizia Marta Cartabia con “un’ispezione ministeriale” nei confronti dei pm di Firenze per capire chi abbia passato ai giornali le informazioni sull’inchiesta in corso e quanto sia stato speso per le perquisizioni. A chiedere l’intervento della Guardasigilli sono tre deputati renziani – Lucia Annibali, Roberto Giachetti e Catello Vitiello – con un’interpellanza alla Camera sull’indagine in corso. Tema da cui si dovrebbero tenere lontani anni luce per un palese conflitto d’interessi: l’inchiesta fiorentina riguarda la fondazione considerata dai pm “un’articolazione di un partito politico” (il Pd renziano) e vede indagati per finanziamento illecito il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai e il presidente di Open, Alberto Bianchi. Renzi aveva già attaccato la procura sull’inchiesta (“un assurdo giuridico, i pm cercano la ribalta mediatica”) ma non si è mai arrivati a tanto: oggi i renziani chiedono l’intervento di Cartabia.

Nell’interpellanza, i tre deputati di Iv attaccano la procura sulle perquisizioni nei confronti di membri della fondazione e di suoi finanziatori, sul merito dell’inchiesta e sulle notizie uscite sui giornali. In primis, Annibali, Giachetti e Vitiello si improvvisano esperti del diritto e definiscono le perquisizioni con “circa 300 agenti della Gdf” un dispiego di forze “sproporzionato rispetto alle operazioni da effettuare alcune delle quali verificabili anche tramite ordine di esibizione”. Secondo i tre deputati renziani non c’era alcun motivo di perquisire i finanziatori che sono “privati cittadini che, nel rispetto della normativa vigente, in seguito all’abolizione del finanziamento pubblico, hanno contribuito, tramite operazioni bancarie tracciate e trasparenti, con risorse proprie, al finanziamento di iniziative in capo a una Fondazione regolarmente registrata”. E siccome in seguito la Cassazione si è espressa sull’illegittimità di sequestri nei confronti di Carrai e Davide Serra (non indagato), i deputati chiedono a Cartabia il rendiconto dell’operazione: quante siano state “le unità delle forze dell’ordine impiegate” e “a quanto ammontino i costi”. Annibali&c. poi provano a “smontare” l’indagine: sostengono che le pronunce della Cassazione su Carrai e Serra “nei fatti smentivano l’impianto stesso dell’inchiesta” ma nonostante questo il 7 novembre i pm fiorentini si sono incaponiti mandando un avviso di garanzia a Renzi, Boschi e Lotti.

Infine se la prendono con chi ha passato a La Verità notizie sull’iscrizione nel registro degli indagati di Renzi e gli altri e sulla pubblicazione di appunti sequestrati a Bianchi: il giornale, è la tesi dei renziani, apprende le notizie “presumibilmente da fonti interne alla Procura”. Per questo chiedono – vista la “gravità del fatto” – che la ministra ordini un’ispezione per individuare “i responsabili della violazione del segreto d’ufficio”.

ILFQ

Ce l’hanno Durigon. - Marco Travaglio

 

Fate finta di non sapere niente e immaginate questa scena. Il sottosegretario 5Stelle all’Economia parla con Beppe Grillo dell’inchiesta sul figlio per stupro e gli dice di non preoccuparsi perché “il generale che fa le indagini lo abbiamo messo noi”. Nell’ordine, accadrebbe questo: telegiornali, giornali e talk sparerebbero la notizia a reti ed edicole unificate per almeno tre settimane consecutive; destre e sinistre invocherebbero la testa del reprobo e subito il premier Draghi e il ministro Franco convocherebbero il sottosegretario per cacciarlo a pedate dal governo; Sgarbi, Sallusti, Belpietro, Giletti e Santoro direbbero che loro l’avevano detto che le indagini erano compiacenti; Stampubblica intimerebbe a Enrico Letta di rompere ogni dialogo presente e futuro col M5S; il giornale di De Benedetti scriverebbe che è tutta colpa di Conte.

Invece, a dire che “il generale che fa le indagini l’abbiamo messo noi”, è stato il sottosegretario leghista all’Economia Claudio Durigon, parlando – a quanto pare – delle indagini sui 49 milioni di fondi pubblici fatti sparire dal suo partito, costringendo la Procura di Milano a ribadire piena fiducia nei finanzieri che conducono l’inchiesta. Infatti, intorno al caso, regna un meraviglioso silenzio. Solo i 5Stelle e Calenda chiedono le dimissioni, mentre l’interessato – invece di spiegare le sue parole immortalate in una registrazione dal sito Fanpage – minaccia fantomatiche “dieci querele” (a chi, visto che ha fatto tutto da solo?). Salvini tira in ballo Grillo e i 5Stelle (che non c’entrano nulla perché Durigon ha fatto tutto da solo). E il giornale di De Benedetti gli va dietro: “I Cinque stelle attaccano Durigon dopo le tensioni con la Lega sul video di Grillo”. Si ripete tale e quale il giochetto seguìto al video di Grillo: il Tempo riporta una frase di Salvini su un “qualcosina” che gli ha spifferato la sua avvocata e senatrice Bongiorno sul presunto stupro di gruppo, la sottosegretaria M5S Claudia Macina domanda cosa sia quel “qualcosina”, tutti chiedono le dimissioni della Macina anziché di Salvini e della Bongiorno e la ministra Cartabia redarguisce la Macina anziché Salvini e la Bongiorno. Noi ovviamente, non avendo alcun dubbio sull’integrità e la probità di Draghi, immaginiamo che avremo presto sue notizie e che intanto il ministro Franco ritirerà le deleghe al sottosegretario (la Guardia di Finanza dipende proprio dal Mef). Intanto, già pregustiamo la prossima puntatona (almeno una) di Non è l’Arena, il programma senza macchia e senza paura di Massimo Giletti. Possibilmente con una telefonata-trappola a Durigon organizzata dal consulente Fabrizio Corona che, per camuffarsi e incastrarlo meglio, gli fa l’accento svedese.

ILFQ

venerdì 30 aprile 2021

Andrea Scanzi

 

Ecco, queste sono le cose che mi fanno andare via di testa. Letteralmente.
Scopro questa notizia da Filippo Rossi. Ne parla anche La Stampa.
Un signore di 90 anni, Angelo, era tenuto di fatto segregato da una “rsa” di Torino. Inchiodato al letto, bloccato da una fascia che lo teneva fermo e si apriva solo con una chiave apposita. Non era libero di muoversi, non si poteva alzare neanche per i bisogni.
La struttura vietava pure l’accesso ai parenti dei pazienti. Ma stiamo scherzando?
Per fortuna il medico curante nonché nuora, Caterina Rusz, è riuscita comunque a entrare, rimanendo sconvolta dalle condizioni in cui ha trovato il suocero, “ospite”della struttura da poco tempo.
Così la nuora: “Era tutta la settimana che trovavo mio suocero legato al letto quando andavo a vistarlo. Quel mattino (il 21 marzo n.d.r) lui mi disse: ‘Ti prego, portami via da qui. Portami vai e chiama i carabinieri’”.
Ancora la nuora: “Andai la prima volta a visitarlo in quanto suo medico curante il secondo giorno che era ricoverato. Era legato. Mi dissero che era stato ordinato dal medico della struttura. Era mattino inoltrato: Angelo non lo avevano neanche pulito. Era lì che aspettava il suo turno. Come si fa a tenere una persona nelle sue deiezioni? Mio suocero, ogni giorno l’ho lavato io”.
La struttura è stata denunciata dalla famiglia di Angelo.
Io non ho parole, ragazzi. Le ho finite.

Andrea Scanzi Fb

Silvio Berlusconi ricoverato da 22 giorni per «strascichi del Covid». - Simona Ravizza

 

L'ex premier è al San Raffaele dal 6 aprile. I ben informati sulla sua salute parlano di esami con qualche valore anomalo.

Da 22 giorni in ospedale. Silvio Berlusconi è ricoverato dal 6 aprile al San Raffaele, dov’è arrivato direttamente in elicottero di ritorno da Châteauneuf-Grasse (Valbonne), la località dove ha casa la figlia Marina. Dall’ospedale nulla filtra sulle sue condizioni, ma i ben informati assicurano che, al contrario di altri ricoveri considerati strategici per le vicende processuali, stavolta le condizioni del leader di Forza Italia sono da tenere particolarmente sotto controllo. Esami con qualche valore anomalo.

I problemi di salute di Berlusconi.

Il motivo? Problemi immunitari, che possono essere anche uno strascico del Covid: Berlusconi era risultato positivo al coronavirus il 2 settembre scorso. Il peggioramento delle sue condizioni di salute — e in particolare, l’insorgere di una polmonite bilaterale — lo aveva costretto al ricovero all’ospedale. Le dimissioni il 14 settembre. E adesso, oltre ai soliti problemi cardiaci, l’ex premier sconterebbe ancora gli «strascichi del Covid», come spiega il suo legale, l’avvocato Federico Cecconi, al termine dell’udienza del processo Ruby ter, sospeso fino a che Berlusconi non verrà dimesso. «Sulle sue condizioni mi limito a dire che è ancora ospedalizzato — ha detto Cecconi — non fatemi dire altro. Penso che a nessuno di noi — ha aggiunto — possa fare piacere essere ricoverato da tre settimane».


CorriereDellaSera

L’ultima di Renzi il Saudita: editorialista di Arab News. - Lorenzo Giarelli

 

Nuovo impegno per Matteo diventato “columnist”. L’esordio è un articolo in lode ad AlUla, “città del futuro e del passato”.

Matteo Renzi ha un nuovo lavoro. Non pago delle attività di senatore, leader di partito, imprenditore, conferenziere, componente del FII Institute saudita e della Royal Commission per AlUla, adesso l’ex premier è anche editorialista per Arab News, storico quotidiano con sede a Riyad e considerato molto vicino al regime. Un ruolo che conferma il recente trasporto di Renzi per il mondo arabo, sancito da numerose trasferte – ultima delle quali il Gran premio di Formula 1 in Bahrein – e dalla ormai celebre definizione di “Nuovo Rinascimento” che il leader di Italia Viva dedicò all’Arabia Saudita del suo amico principe Bin Salman.

L’editoriale d’esordio di Renzi è di qualche giorno fa ed è disponibile nella versione online del quotidiano. Titolo: “AlUla can be the city of the future, as well as of the past”; AlUla può essere la città del futuro, così come del passato. L’articolo contiene una sbrodolata di elogi per la città saudita, al centro di un progetto di urbanistica green di cui si occupa la già menzionata Royal Commission. Renzi si affida subito alle citazioni, scegliendo di aprire le sue 5 mila battute con l’immarcescibile “la bellezza salverà il mondo”, prima di avventurarsi in un parallelo tra AlUla e la storia di Matera.

Secondo Renzi – e qui ci permettiamo di tradurre dall’inglese, sperando di non scalfire prosa e contenuto dell’elaborato – “negli anni ‘50 Matera era povera e trascurata tanto che gli abitanti furono spostati in alcuni nuovi quartieri residenziali”, finché negli anni ‘80 non si decise per una “rinascita” attraverso “investimenti pubblici e privati”. Tutto questo per dire che oggi AlUla può seguire quel modello di città in cui “una comunità moderna vive in armonia con il suo passato”.

AlUla è allora “una grande opportunità”, anche grazie all’irreprensibile lavoro della Corona: “AlUla e l’Arabia Saudita stanno seguendo un approccio community-inclusive e culture-first”. Il Regno, insomma, citato come esempio di inclusività sociale oltreché di attenzione per la cultura. Prepariamoci, perché nei prossimi decenni “AlUla sarà un museo vivente” e il progetto della Royal Commission di cui Renzi fa parte è “assicurare che gli abitanti della regione siano centrali nel successo a lungo termine della città”.

Un inno ai diritti civili che prepara il lettore a una certa enfasi letteraria che sopraggiunge quando Renzi immagina l’imminente età dell’oro della regione: “L’obiettivo è connettere la comunità di AlUla con il resto del mondo in una maniera che rinforzerà, ispirerà e soddisferà le persone e il Regno per le generazioni a venire”. E siccome c’è ancora spazio per un paio di frasi fatte, meglio ribadire che “AlUla può diventare una città del futuro, non solo del passato”; d’altra parte – Renzi lo ripete proprio – “la bellezza salverà il mondo” e quindi, per sillogismo aristotelico, presto AlUla salverà un po’ tutti noi.

Da notare come il giornale, a fine articolo, inserisca due annotazioni. La prima è la stessa che compare nella pagina personale di Matteo Renzi sul sito di Arab News, quella in cui viene annoverato tra i “columnist” del quotidiano e in cui saranno raccolti i suoi articoli. Accanto alla foto di Matteo, c’è la sua presentazione (non è chiaro se autoprodotta): “Matteo Renzi è ex sindaco di Firenze, ex primo ministro italiano e componente del board della Royal Commission for AlUla”. Con comodo oblio per gli attuali incarichi politici nel nostro Paese, evidentemente trascurabili di fronte ai nuovi impegni sauditi.

La seconda annotazione, in corsivo, è un avviso che si utilizza di solito quando i giornali ospitano contributi di persone che potrebbero pensarla in maniera diversa rispetto alla linea editoriale: “I punti di vista espressi dagli autori di questa sezione sono personali e non necessariamente riflettono la linea di Arab news”. Frase di rito, ma vista la volatilità politica del personaggio meglio mettere le mani avanti. Pure in Arabia Saudita.

ILFQ

La soluzione politica. - Marco Travaglio

 

Non so voi, ma io trovo lunare l’alato dibattito che s’è alzato alla notizia che finalmente la Francia ha arrestato alcuni nostri terroristi dopo averli protetti per decenni. Chi dice che oggi non sono più gli stessi di allora, chi rimpiange la “dottrina Mitterrand”, chi sostiene che catturarli è vendetta e non giustizia, chi invoca la pacificazione, la fine della guerra, la soluzione politica, chi tira in ballo la “riconciliazione” in Sudafrica, chi chiede “la verità” e propone liberazioni in cambio di confessioni. Ora, la verità su quei 12 assassini è scritta nelle sentenze definitive della Cassazione “in nome del popolo italiano”: basta leggerle. Chi vuole aggiungere qualcosa vada dal giudice e lo faccia, ma senza altri sconti oltre a quelli previsti dal Codice: Battisti ha sempre negato qualunque delitto e poi, appena arrestato ed estradato ha confessato tutto. Dalla cella. “Vendetta” è quando la vittima rende pan per focaccia al colpevole; quando il colpevole viene processato secondo le norme e le garanzie dello Stato di diritto, si chiama “giustizia”. La dottrina Mitterrand c’entra come i cavoli a merenda: per quanto assurda, prevedeva l’asilo a chi non si fosse macchiato di delitti di sangue e non avesse condanne definitive (oltre a rinnegare la lotta armata): due condizioni opposte a quelle dei 12 beccati o fuggiti l’altroieri. Dire che arrestarli oggi non ha senso perché sono cambiati è il classico nonsense. Ovvio che sono cambiati: nessuno resta uguale per 30 anni. Ma, se non fossero fuggiti 20 o 30 o 40 anni fa, avrebbero già scontato la pena e sarebbero fuori, visto il concetto elastico di “certezza della pena” vigente in Italia. È proprio perché a suo tempo si sottrassero alla giustizia e al carcere che finiscono dentro solo ora: colpa loro e di nessun altro.

Comodo darsi alla latitanza, fare la bella vita protetti dai governi e dagli “intellettuali” amici, raccontare balle su libri e giornali, e poi, quando finalmente arriva il redde rationem, strillare “non siamo più quelli di una volta”. Che cos’è, un macabro scherzo? Negli anni 70 in Italia, diversamente dal Sudafrica, non ci fu alcuna “guerra civile”: c’erano terroristi rossi e neri (a volte coperti o infiltrati da apparati deviati dello Stato) che ammazzavano a sangue freddo politici, magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, sindacalisti, operai, gente comune. Chi dovrebbe pacificarsi con loro: i morti ammazzati? Gli orfani e le vedove? Il perdono è una scelta individuale: chi vuole lo dà, chi non vuole non lo dà. Ma lo Stato non deve pacificarsi con nessuno perché non ha dichiarato guerra a nessuno. Furono i terroristi a dichiararla unilateralmente allo Stato e ai suoi servitori. L’unica soluzione politica è chiudere bene a chiave le celle, perché non scappino un’altra volta.

ILFQ