lunedì 17 maggio 2021

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Il terzo tragico Fantozzi. “Sono contento di tornare a lavorare con Sallusti che mi riportò a Libero proprio dal Giornale e ringrazio l’editore per la voglia di continuare a scommettere su Libero“ (Pietro Senaldi, appena retrocesso da direttore a condirettore di Libero, Adnkronos, 14.5). Com’è umano, lei.

Bruciante attualità. “Le telefonate segrete del Duce. Dalle conversazioni con Hitler alle chiacchierate con Claretta: oggi iniziamo la pubblicazione delle carte riservate di Mussolini” (Libero, 16.5). Seguiranno i dialoghi di Cesare e Cleopatra e i barriti degli elefanti di Annibale.

L’insuccesso dà alla testa. “I sondaggi ci danno sempre per morti. Però nel 2018 abbiamo impedito il governo Di Maio, nel 2019 il governo Salvini, nel 2021 il governo Conte ter. Lasciamo pure che gli amanti dei reality si trastullino coi sondaggi, noi facciamo politica. E i risultati arrivano” (Matteo Renzi, segretario Iv, Corriere della sera, 10.5). Ultimo sondaggio di Repubblica: 2 per cento. E i risultati arrivano.

Fonti purissime. “Sull’incontro dell’autogrill (tra Renzi e lo 007 Mancini, ndr) abbiamo consultato fonti parlamentari di alto livello, a cominciare da quelle di Italia Viva” (Tommaso Ciriaco, Repubblica, 15.5). Ah beh allora.

Chi l’avrebbe mai detto. “Cade il velo sulla sfida di Salvini a Draghi. Il leader della Lega precipita il governo in un limbo pericoloso. La vicenda del Papeete non gli ha portato consiglio” (Stefano Capellini, Repubblica, 16.5). Viva costernazione a Repubblica: puntavano tutto sull’affidabilità di Salvini.

Il Ponte del Merlo. “(Il Ponte sullo Stretto, ndr) questo vecchio sogno della sinistra meridionalista…” (Francesco
Merlo, Repubblica, 16.5). Uahahahahahah.

Le mele con le patate. “Che D’Alema, dopo aver dato del principe dei corrotti a Craxi, e avere detto, sempre parlando di Craxi, che la politica non è un mestiere con cui arricchirsi, ecco, sarebbe un finale troppo perfetto anche per lui, se D’Alema chiudesse siffatta carriera fischiandosi i soldi dei socialisti” (Mattia Feltri, Stampa, 14.5). Qualcuno prima o poi spiegherà a questo genio la differenza tra una tangente e uno stipendio.

Prescrizione brutta. “Vergogna Bergamin. Il killer terrorista mai stato in cella ora l’ha fatta franca. Il leader dei Pac salvato dalla prescrizione” (Giornale, 12.5). Vi ricorda mica qualcuno?

Foglio d’ordini. “Per SuperMario la ‘luna di miele’ con gli italiani si sta consumando… Su Draghi si erano concentrate aspettative smisurate: compatibili forse con la statura del personaggio, ma non con la natura anomala del suo governo e la struttura fragile del Paese… I nostalgici che si ostinano a osservare il presente con gli occhiali del passato, e a ripetere ogni volta ‘quando c’era Conte’, dovrebbero mettersi l’anima in pace. L’era gialloverde è morta, quella giallorossa è moribonda e anche l’Avvocato del Popolo non si sente più tanto bene (vedi il collasso dei 5Stelle)… Draghi ascolta tutti, poi decide da solo… La scelta di Elisabetta Belloni è stata esemplare: un Consiglio dei Ministri convocato 15 minuti prima, senza ordine del giorno, e poi il blitzkrieg che ha liquidato Vecchione in un amen. Draghi è ‘metodo’… È ‘totus politicus’… Per il modo in cui mette il sub-governo dei partiti di fronte al fatto compiuto… Ha dato una chiara assertività al riposizionamento atlantico del Paese e ai rapporti con l’America di Biden… Questi sono fatti, non opinioni. E anche in questo caso, gli orfani di Conte se ne dovrebbero compiacere, invece che rammaricarsene… Sabotare la Pax Draghiana è peggio che un delitto” (Massimo Giannini, Stampa, 16.5). “Belloni cambia il volto dei Servizi”, “Dai rapporti con Erdogan all’omicidio Regeni: le sfide dell’ambasciatrice”, “C’è il via libera ai test salivari” (Stampa, 16.5). Ah ecco cos’erano: i test salivari alla Stampa.

Metodi. “Renzi: col metodo Davigo addio Csm” (Riformista, 14.5). Lui preferiva il metodo Lotti-Ferri-Palamara.

Il titolo della settimana/1. “Si chiude il lodo su via Solferino. Il palazzo valeva 33 milioni in più. Gli arbitri: non c’è stata lite temeraria da parte di Rcs. Ma non ci sarà un risarcimento” (Corriere della sera, 15.5). È il modo del giornale di Cairo di comunicarci che Cairo ha perso il contenzioso con Blackstone. Cari colleghi, vi siamo vicini nel momento della prova.

Il titolo della settimana/2. “Di Matteo ‘gela’ Davigo: ‘Chiunque avrebbe capito che le accuse ad Ardita in quei verbali erano false’” (Dubbio, 15.5). Ottimo sistema per sveltire i processi: anziché fare le indagini, si chiama il primo che passa a dare un’occhiata.

Il titolo della settimana/3. “Assegno unico per tutti dal 2022. Draghi: ‘Riforma epocale’” (Sole 24 ore, 15.5). È il modo del giornale confindustriale di comunicarci che l’assegno per le famiglie con figli, promesso per il 2021, slitta al 2022.

Il titolo della settimana/4. “Se Travaglio ti bacia sei già bell’e morto” (Paolo Guzzanti, Riformista, 13.5). Strano: eppure non ricordavo di aver baciato Paolo Guzzanti.

IlFQ

Dal Piano Ue ai decreti il Parlamento ormai s’è ridotto a passacarte. - Giacomo Salvini

 

Immobilismo - Si decide tutto con i Dl del governo.

Mercoledì 12 maggio, interno Senato. Di fronte alle due mozioni di Lega e Forza Italia in cui si chiedeva di “abolire il coprifuoco”, il ministro dei Rapporti col Parlamento Federico D’Incà è costretto a riunire i capigruppo di maggioranza per evitare la spaccatura in Aula. Il centrodestra vorrebbe eliminare subito il coprifuoco e riaprire tutti i locali al chiuso, ma Pd e M5S si oppongono. E così inizia una lunga trattativa sull’ordine del giorno di maggioranza da presentare il giorno successivo. Il capogruppo leghista Massimiliano Romeo vorrebbe usare la parola “abolizione” in riferimento al coprifuoco ma è troppo, il fronte rigorista spinge per “allungamento”. Alla fine, dopo una buona mezz’ora di litigi, arriva la mediazione: “Superamento progressivo”. E così via: su ogni singola virgola, una trattativa. E raccontano che questo copione si ripeta sempre più spesso nella maggioranza del governo Draghi. Risultato: il Parlamento è immobile da mesi. “L’iniziativa legislativa delle Camere ormai è ferma – racconta un ministro – e ne vedremo delle belle quando in Parlamento arriveranno le riforme legate al Recovery”. E non è un caso che sabato Matteo Salvini lo abbia detto senza tanti giri di parole: “Questo governo non farà le riforme”.

D’altronde basta seguire i lavori parlamentari per farsi un’idea. Il Parlamento, da quando si è insediato il governo Draghi, ha solo fatto da passacarte all’esecutivo: dal 13 febbraio le Camere hanno approvato 9 leggi, escludendo le 4 ratifiche, di cui 8 conversioni di decreti approvati dal governo (4 di questi risalgono al Conte-2). Una media di 3 leggi al mese, molto più bassa, secondo i dati di OpenPolis, della media di 4,9 dall’inizio della legislatura. L’unica legge di iniziativa parlamentare approvata è stata quella che ha istituito la giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, il 18 marzo.

Di fronte all’immobilismo delle Camere, è stato il governo a sostituire di fatto il potere legislativo. Nei primi 90 giorni, l’esecutivo ha approvato 10 decreti legge e 5 decreti legislativi. Per quanto riguarda i decreti legge, se già il Conte-2 ne aveva fatto largo uso per rispondere all’emergenza pandemica, il governo Draghi non si è fatto problemi: ha una media di 3,3 al mese. La più alta degli ultimi 10 anni, secondo i dati OpenPolis: il governo giallorosa aveva una media di 3 decreti al mese, quello di Enrico Letta di 2,78 e di Mario Monti di 2,41. Senza considerare che questa settimana ne arriveranno altri due: il nuovo dl sulle riaperture e il Sostegni bis.

Che i parlamentari ormai siano diventati solo degli “schiaccia bottoni” lo dimostra anche l’iter delle conversioni dei decreti. Le Camere sono talmente ingolfate che non c’è mai il tempo per il doppio passaggio parlamentare – almeno uno alla Camera e uno al Senato – e quindi, visti i tempi contingentati (entro 60 giorni un decreto decade), ognuno degli 8 dl convertiti è stato veramente discusso in una sola delle due Camere prima di arrivare blindato nell’altra. Senza alcuna discussione. Con l’effetto tragicomico che, per quanto riguarda i decreti Covid, quando vengono convertiti risultano già superati da un decreto successivo: il Parlamento deve ancora approvare quello del 31 marzo e del 21 aprile.

L’immobilismo del Parlamento è dovuto anche dalle divisioni di una maggioranza così ampia. E così ci sono progetti di legge che non vedono mai la luce. Il caso più noto è il ddl Zan che fa litigare Lega e Pd-M5S: è fermo in Senato da 192 giorni. Ma non è nemmeno quello che da più mesi giace nei cassetti delle commissioni. La legge sul conflitto d’interessi è ferma da 220 giorni, il voto ai 18enni per il Senato da 247 e la legge elettorale “Brescellum” da 246. Per non parlare del ddl sul processo penale su cui si è posato uno strato di polvere: per arrivare alla presentazione degli emendamenti ci sono voluti 420 giorni. In Parlamento ora sono arrivati anche il ddl sullo Ius Soli e sul fine vita. Ma, vista la malaparata, se ne riparla dalla prossima legislatura.

IlFQ

Fauci: 'Il covid si può controllare ma non eliminare'.

Antony Fauci

Dovremo continuare a vaccinare con richiamo ogni anno o anno e mezzo.

"Non credo si possa eliminare il Covid. Possiamo controllarlo..

Dovremo continuare a vaccinare con richiamo ogni anno o anno e mezzo. Ma possiamo interrompere questa pandemia, possiamo ridurre le infezioni in modo che non sia più una minaccia pubblica". Lo ha detto l'immunologo americano Anthony Fauci, intervistato da Fabio Fazio a 'Che tempo che fa'. Fauci ha ricordato che un solo agente patogeno è stato finora eradicato, quello del vaiolo.

Il vaccino anti-Covid da assumere in pillole "non è ancora una realtà", ma "ci stiamo lavorando insieme a Pfizer".

"Negli Usa stiamo vaccinando con Pfizer gli adolescenti dai 12 anni in su, e credo che il via libera alle vaccinazioni da questa età verrà dato molto presto anche in Italia e altrove, perché i dati che noi abbiamo sono molto sicuri".

Fauci ha aggiunto che comunque "bisogna evitare di dichiarare una vittoria prematura" sulla pandemia. "Non abbiamo ancora vinto questa battaglia. Ma a differenza dell'anno scorso - ha aggiunto - ora abbiamo i vaccini. Se la maggior parte della popolazione sarà vaccinata riusciremo a ridurre le misure di sicurezza". Alla domanda se vede possibile una ripresa improvvisa della pandemia che costringa a nuove chiusure, Fauci ha risposto: "C'è sempre questa possibilità se facciamo le cose che non dobbiamo fare. Ma se stiamo attenti e continuiamo a vaccinare e non togliamo le limitazioni fino a quando la stragrande maggioranza della popolazione sarà vaccinata, ne usciremo. Ma bisogna procedere a piccoli passi, non è qualcosa che si può spegnere come l'interruttore della luce".

ANSA

domenica 16 maggio 2021

Quell’asse Draghi-Renzi sui Servizi. - Gaetano Pedullà

 

A volte guarda che strane le coincidenze! Il direttore del Dis (il coordinamento dei Servizi segreti) Gennaro Vecchione informa il Copasir, cioè il Parlamento, che lo 007 Marco Mancini ha incontrato Matteo Renzi nell’autogrill di Fiano Romano senza informare i superiori, e 48 ore dopo viene licenziato anzitempo dal premier Mario Draghi. Vecchione è noto che fu voluto in quel ruolo da Giuseppe Conte, mentre Mancini è altrettanto risaputo che proprio nei giorni di quello strano incontro in autostrada, a dicembre dell’anno scorso, ambiva all’incarico di vice direttore dell’Aise (Servizi di sicurezza esterna).

Sempre in quegli stessi giorni Renzi minacciava di sfiduciare il Governo anche perché Conte – non vedendo chiaro in quei giochetti di potere in corso – si teneva stretta la delega ai Servizi. Si è trattata, dunque, di una stagione che fa poco onore a un apparato fondamentale dello Stato, e di fronte alla quale Draghi sembra che provi pure a cancellare le tracce sostituendo Vecchione con la neo direttrice Elisabetta Belloni.

Naturale che ieri l’ufficio di presidenza del Copasir abbia chiesto all’unanimità al premier di aprire un’inchiesta interna per sapere cosa si sono detti Renzi e Mancini, premesso che la storiella di consegnare dei dolci non se la beve nessuno. Se però, invece di fare chiarezza, Palazzo Chigi fa asse con lo statista di Rignano, allora scordiamoci di far luce su questo episodio, e quel che è peggio non meravigliamoci di tornare con la mente all’epoca di quei Servizi deviati che hanno accompagnato gli anni più bui della storia repubblicana.

LaNotizia

Carta straccia. - Marco Travaglio

 

Il giornalismo fantasy ci ha già dato molte soddisfazioni negli ultimi mesi del governo Conte, raccontando che il problema erano il Recovery Plan, la Ue, il Mes, la cybersecurity, i bonus a pioggia, i banchi a rotelle, le Regioni a colori, la prescrizione, l’“anima” e altre minchiate assortite. Ora però si supera con le fantacronache del cambio della guardia al Dis, il Dipartimento di Palazzo Chigi che coordina le due agenzie operative d’intelligence Aisi (sicurezza interna) e Aise (sicurezza esterna). C’è nientemeno che la telefonata virgolettata tra Draghi e Conte sull’avvicendamento Vecchione-Belloni: conversazione che conoscono solo i due protagonisti, non certo avvezzi a raccontare ai giornali quel che si dicono. E ci sono i “retroscena” del ribaltone che, in barba al dovere di trasparenza, il governo non spiega (così come per la cacciata di Arcuri, di Borrelli e di 14 membri del Cts su 26). Anziché motivare quelle legittime scelte al Parlamento e all’opinione pubblica, si fanno filtrare sui giornali amici veline più esilaranti di una barzelletta. Prima si dice che Vecchione paga la ripresa degli sbarchi dalla Libia: ma non attacca, perché il Dis non è operativo e il dossier Libia è esclusiva dell’Aise, il cui capo però resta al suo posto. Allora si fanno uscire spezzoni apocrifi dell’audizione di Vecchione al Copasir (in “seduta segreta” ah ah ah) per dipingerlo come un mezzo scemo solo perché non sa nulla dell’incontro fra il caporeparto Mancini e Renzi all’autogrill: come se la responsabilità fosse sua. Forse, per saperne di più, bisognerebbe convocare i due interessati.

Vecchione arriva al Dis nel 2018, quando Mancini è lì da tre anni, e lì lo lascia a far le pulci alle spese di Aisi e Aise, scontentando un sacco di gente e risparmiando un sacco di soldi. Mancini però vuol tornare operativo e punta, in forza dell’anzianità, alla vicedirezione Aise nel giro di nomine di fine 2020. Ma all’Aise non lo vogliono: il suo passato con Pollari e Tavaroli pesa ancora. Così Conte, a dispetto del pressing renziano, non lo promuove. Intanto Mancini cerca sponde dai due Matteo. Purtroppo un’insegnante lo riprende all’autogrill e informa Report. Ora i fantasisti di Rep sposano la tesi renziana del complotto (l’insegnante è un’emissaria di Mancini o forse di un suo nemico: massì, abbondiamo!). E tirano in ballo Gratteri, che avrebbe chiamato Renzi perché ricevesse Mancini. Come se i due – in rapporti amichevoli da quando il primo era premier, cioè da sei anni – per parlarsi avessero bisogno di Gratteri. Il quale comunque, tabulati telefonici alla mano, sfida Rep a dimostrare una sua telefonata a Renzi. Ingenuo com’è, pensa ancora che tutto ciò che si stampa su carta sia un giornale.

IlFQ



sabato 15 maggio 2021

Ieri Falcone e Borsellino, oggi Palamara: non ci sono più i magistrati di una volta? Le inchieste di FQ MillenniuM in edicola.


Il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 15 maggio, racconta la crisi di credibilità delle toghe. Di Matteo: "Se non cambiamo noi ci cambieranno altri". Gli scandali del passato e il ruolo della riforma Mastella. Che, dice Palamara, "ha aperto al carrierismo sfrenato". E alla possibilità per la politica di condizionare le nomine. "Per tenere buono il rottweiler", dice oggi Mastella. Intanto spunta il primo sindacato alternativo all'Anm, contro la logica delle correnti. Fra gli animatori, Clementina Forleo e Alfredo Robledo.

Ieri Falcone e Borsellino, oggi Palamara. Non ci sono più i magistrati di una volta? Il mensile FQ MillenniuM, diretto da Peter Gomez, nel nuovo numero in edicola da sabato 15 maggio racconta la crisi di credibilità della magistratura italiana, travolta dal caso Palamara che ha svelato intrighi, spartizioni correntizie e accordi con la politica nelle nomine ai vertici delle procure più importanti, a cominciare da quella di Roma. A questo si è poi aggiunto il caso Amara sui verbali d’interrogatorio usciti dalla Procura di Milano e recapitati in forma anonima al Fatto Quotidiano e poi a Repubblica. Un cambio di era rispetto alla lunga stagione dello scontro fra magistratura e politica, del pool antimafia di Palermo e del pool anticorruzione di Milano, delle polemiche roventi sui processi a Silvio Berlusconi?

«Bisogna rendersi conto che da troppo tempo ormai i magistrati liberi, coraggiosi e indipendenti vedono il Consiglio superiore della magisratura come un organo dal quale diffidare, fonte di possibili ritorsioni», accusa Nino Di Matteo, magistrato della procura nazionale antimafia che del Csm fa parte, in una lunga intervista al mensile. Della crisi di credibilità delle toghe ora prova ad approfittare la politica, mette in guardia il magistrato che in Sicilia ha indagato sulle stragi e sulla Trattativa: «Ci dobbiamo rendere conto che se il cambiamento non parte da noi, saranno altri a cambiare la magistratura, per limitarne l’autonomia e l’indipendenza e subordinarla al potere politico». Una tentazione che Di Matteo attribuisce a «una volontà trasversale ai vari schieramenti politici».

Ma davvero la vicenda Palamara è indice di una degenerazione, o certe pratiche ci sono sempre state, e la differenza la fa solo il software spia “trojan” inoculato dalla Procura di Perugia nello smartphone del magistrato sotto inchiesta? Da un lato, ricostruisce FQ MillenniuM, di simili intrighi è costellata la storia giudiziaria italiana, basti pensare ai magistrati iscritti alla loggia P2, al “porto delle nebbie” di Roma dove finivano per arenarsi le inchieste che toccavano il potere, fino alle manovre per sbarrare la strada a Giovanni Falcone al vertice dell’ufficio istruzione di Palermo. E, in anni più recenti, il caso P3 e i tentativi di condizionare la Corte costituzionale sul Lodo Alfano che avrebbe garantito l’immunità all’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi.

Dall’altro lato, però, negli anni una svolta c’è stata, ed è la riforma Mastella del 2007, portata avanti dal governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. La riforma ha abolito il criterio dell’anzianità per le nomine di vertice e ha attribuito maggiori poteri al procuratore capo rispetto ai suoi sostituti. E ha finito per introdurre «il carrierismo sfrenato che porterà la magistratura a cambiare pelle», dice a FQ MillenniuM proprio Luca Palamara. I curricula dei diversi candidati spesso sono perfettamente equiparabili e allora «sul merito prevale l’appartenenza alla corrente». Nel contempo, per i politici si è aperta la possibilità di provare ad addomesticare certe procure spingendo un candidato gradito: «L’idea di responsabilizzare il procuratore, rafforzando le sue prerogative, può essere vista anche nell’ottica di individuare dei procuratori di riferimento», ammette Palamara.

In qualche modo lo ammette anche Clemente Mastella, pur rivendicando la bontà di quella rivoluzione. In quel periodo storico, ricorda al mensile, «c’era una forma di narcisismo dei magistrati, tutti volevano essere Di Pietro, perché volevano andare sui giornali». Dopo la riforma, «il procuratore capo non poteva più restare al suo posto a vita, ma gli attribuimmo un potere maggiore, così che non dovesse più sottostare al diktat di un sostituto che magari era appena arrivato e non aveva esperienza. È vero: il potere del pm da diffuso diventa gerarchico. Lo rivendico come fattore positivo». E se questo apre la strada al politico che intende “scegliere” il capo della Procura che si occupa o potrebbe occuparsi di lui o del suo partito? «C’è sempre una forma di paura dei politici, data la forza della magistratura, quindi tenti di tenerti buono il rottweiler. Però è sbagliato».

Sulla crisi di credibilità della magistratura intervengono sul mensile fra gli altri Gian Carlo Caselli, che ripercorre anche il suo rapporto con Magistratura democratica, e Luigi De Magistris, che parla di un “golpe giudiziario” ai suoi danni, che lo ha portato a lasciare la toga per darsi alla politica, fino a diventare sindaco di Napoli. La rivolta contro il sistema Palamara – o meglio, contro il sistema ben più generalizzato che le intercettazioni a Palamara hanno solo in parte messo a nudo – ha spinto alcuni colleghi a tentare un’impresa senza precedenti: la creazione di un sindacato alternativo all’Associazione nazionale magistrati, storica e solitaria rappresentanza delle toghe italiane. Ad animarlo fra gli altri Clementina Forleo e Andrea Mirenda, con l’appoggio di Alfredo Robledo. Tre magistrati che – raccontano – hanno subito attacchi e provvedimenti disciplinari anche perché sprovvisti dell’ombrello di una corrente. Il nuovo sindacato Mia (Magistrati italiani associati) conta al momento una trentina di supporter. Nello Statuto in discussione, dichiara Mirenda, giudice di sorveglianza a Verona, ci sarà «la rotazione degli incarichi direttivi e semidirettivi e il sorteggio dei membri del Csm, come anticorpi decisivi contro il rischio di dar vita all’ennesima corrente».

IlFQ

Berlusconi verso le dimissioni, lo conferma Licia Ronzulli.

 

Il leader azzurro ricoverato da lunedì al San Raffaele.

Silvio Berlusconi sarà dimesso presto dal San Raffaele dove è ricoverato dall'11 maggio scorso per una complicanza legata al post covid. Lo ribadisce la senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli, raggiunta telefonicamente. "Si va verso le dimissioni", ha detto Licia Ronzulli.

Tutto è cominciato lunedì sera, quando Berlusconi, avrebbe accusato un certo malessere che lo avrebbe spinto al ricovero al San Raffaele dove poter eseguire terapie specifiche per lenire alcuni disturbi sorti dopo il Covid.

Tre giorni dopo il ricovero sono iniziate le indiscrezioni circa un suo aggravamento, i rumors su presunti attacchi di gastrite e di difficoltà di ossigenazione del sangue. Fonti ben informate non negavano la complessità dei problemi ma assicuravano che non c'era "nessun allarme rosso, nessun pericolo di vita".

Ieri le prime notizie, non del tutto rassicuranti. "Mi ha chiamato Berlusconi, non sta benissimo ma ne uscirà", ha riferito il leader della Lega, Matteo Salvini. Nel pomeriggio notizie più confortanti sul miglioramento e le imminenti dimissioni confermate oggi dalla Ronzulli.

ANSA

Ieri lo davano aggravato, oggi pensano di dimetterlo.
Non che io abbia mai creduto alle paventate complicanze del post covid e tanto meno ad un aggravamento della sintomatologia, ho pensato, piuttosto, a qualche marachella sessuale dalla quale potrebbe esserne uscito alquanto malconcio, vista l'età avanzata, oppure alla paura di una condanna penale che, dati i suoi precedenti, non gli permetterebbe di perdurare ancora nella carica rivestita in Parlamento, anche se spesso latita da esso.
Questo essere spregevole usa il Parlamento come fosse una cosa di sua proprietà e ciò che più fa impressione è che c'è chi lo segue e lo osanna come un dio.
Poveri esseri senza senno o, peggio ancora, senza dignità.
Cetta