Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 9 marzo 2013
Grave congiuntivite Processuale.
Il Pdl convoca tutti gli iscritti (così, almeno, sappiamo chi sono) a manifestare contro la magistratura e contro i medici fiscali per l'orrida offesa perpetrata ai danni del Delinquolo nazionale affetto da "grave congiuntivite processuale".
La riunione preliminare è prevista presso la sede del San Raffaele (quello di don Verzè, per non sbagliare, non si sa mai ce ne fossero altri, ahimè).
Relatori per l'organizzazione della manifestazione saranno gli zerbinotti Ghedini e Alfano; interverranno, inoltre, dalle tangenziali, naturale loro posto di lavoro ed in diretta tv, anche le sue "olgettine".
Gli aderenti sono pregati di munirsi di codice iban necessario per per ricevere l'accredito del rimborso dell'Imu in cambio dell'abnegazione dimostrata.
Ghedini: "Berlusconi barellato..."
Francamente non sapevo che per una congiuntivite, si barellasse.
Il primario oculistica e oftamologia del San Raffaele si presta a dire cacchiate in tv per salvaguardare il Delinquolo...
Quanto avrà guadagnato? Uno scudo fiscale a divinis?
Sorge spontanea una domanda: ma il bunga bunga può provocare la congiuntivite?
Ma la congiuntivite può portare alla morte?
(Domanda spontanea di chi non ha perso la speranza...)
Mi domando: ma se si fosse inventato una colica renale, non sarebbe stato più credibile?
Almeno la farsa della statuina era stata costruita meglio....
Povero Alfano, costretto a fare il deficiente in pubblico...
venerdì 8 marzo 2013
“Aiuto, arrivano i grillini”. Scene di panico a Montecitorio. - Francesco Lo Sardo
"Pronto Palermo? Qui Roma". Come i 1500 dipendenti della Camera si preparano all'arrivo dei deputati Cinquestelle. Tra telefonate in Sicilia e riscoperta della sobrietà.
«Pronto Palermo, palazzo dei Normanni? Qui Roma, Montecitorio…». Si dice che ci sia una linea rossa telefonica più rovente di quella tra Mosca e Washington negli anni di Kruscev e Kennedy: è la hot-line tra la segretaria generale di Montecitorio e la segreteria generale dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, il parlamento di palazzo dei Normanni. Il motivo è semplice. Mentre l’irriducibile popolino del «ci vorrebbe una bomba sotto Montecitorio» sghignazza e si frega le mani in attesa dello show della carica grillina al Palazzo inneggiando alla berlina per gli onorevoli – la vituperata casta dei politici ormai rassegnata a tagli e automutilazioni indifferibili – c’è un’altra casta, silenziosa e felpata, rimasta all’ombra dei riflettori, che trema: è quella dei funzionari della camera, una delle più protette amministrazioni d’oro dello stato, organo costituzionale al pari di senato, corte costituzionale, governo e presidenza della repubblica. Una struttura operosa e silente che a Montecitorio conta mille e cinquecento dipendenti, articolata secondo la scala piramidale gerarchica che va dal grado più alto di consigliere di V livello – quello dei “funzionari”, in cima a tutti il segretario generale vertice supremo dell’amministrazione – al I livello, quello che include gli assistenti parlamentari, più conosciuti come “commessi” abito nero, gradi dorati e coccarda tricolore.
L’ascensore d’élite diventa plebeo
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naif neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’elite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naif neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’elite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
La hot-line dei segretari generali
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del nuovo governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro i circa 4.300 euro). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Ma c’è anche la soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale, la riduzione del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del nuovo governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro i circa 4.300 euro). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Ma c’è anche la soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale, la riduzione del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Crocetta e i biscotti
E’ questo il futuro che aspetta anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata è tuttamade in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, che la forza con cui Crocetta ha preso il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio e palazzo Madama – per ora in assenza di un decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande auterità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli, confidando che i politici facciano come sempre da parafulmini, che l’ira popolare di cui si alimentano i grillini resti concentrata su deputati e senatori. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura il cortocircuito tra stampa e grillini.
E’ questo il futuro che aspetta anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata è tuttamade in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, che la forza con cui Crocetta ha preso il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio e palazzo Madama – per ora in assenza di un decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande auterità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli, confidando che i politici facciano come sempre da parafulmini, che l’ira popolare di cui si alimentano i grillini resti concentrata su deputati e senatori. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura il cortocircuito tra stampa e grillini.
Microchip e rivoltelle
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito alla stampa di assistere alle procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno, per esempio, i grillini quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema voto anti-pianisti elettronico in aula? Altro che microchip sottopelle. Meglio che la stampa non veda. E come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna della camera quando i grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei del palazzo? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto finché a violare le regole è un deputato, una singola testa calda, è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E poi, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera e senato dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il “rischio sganassoni”, si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che passano – non ne escono se non per andarsene in pensione, hanno già visto di tutto: e tutto masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti e manettari dipietristi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando il raccontoUn marziano a Roma di Ennio Flaiano, l’extraterrestre di cui dopo un po’ nessuno si curava, già corre feroce il motto: “A grilli’, facce ride”. Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito alla stampa di assistere alle procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno, per esempio, i grillini quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema voto anti-pianisti elettronico in aula? Altro che microchip sottopelle. Meglio che la stampa non veda. E come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna della camera quando i grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei del palazzo? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto finché a violare le regole è un deputato, una singola testa calda, è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E poi, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera e senato dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il “rischio sganassoni”, si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che passano – non ne escono se non per andarsene in pensione, hanno già visto di tutto: e tutto masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti e manettari dipietristi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando il raccontoUn marziano a Roma di Ennio Flaiano, l’extraterrestre di cui dopo un po’ nessuno si curava, già corre feroce il motto: “A grilli’, facce ride”. Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
Lo scontro tra pretesa di cittadinanza e aspirazione alla sudditanza. - Sergio Di Cori Modigliani
“Che ne sai tu di un campo di grano?......conosci me….la mia realtà…..”.
E’ una fase estremamente interessante, non vi è dubbio.
Su questo punto siamo davvero tutti d’accordo.
In solo otto giorni lo scenario della commedia umana nazionale ha completamente modificato il proprio copione standard.
Se non altro, gli italiani cominciano ad abituarsi all’idea di elaborare, confrontarsi, litigare e scannarsi, su qualcosa di tangibile e reale: il governo, quale governo, quale alleanza, quali programmi, come dovrebbe essere il rapporto tra media e parlamentari, ecc.
Considerando il fatto che, fino a un anno fa, il paese disquisiva, in maniera allarmante, di inaccessibili mega-complotti planetari (Bilderberg, trilateral, massoneria, consorzi bancari) oppure delle farfalline tatuate di Belen, non si può negare che sia stato fatto un grande passo avanti come maturità civica.
E’ il primo chiodo nella bara del berlusconismo.
Siamo, a mio avviso, oggi, in un momento particolare che va affrontato in maniera zen.
I vagiti del post-Maya ci impongono, giocoforza, di tenere a freno l’appetito bulimico (della serie “tutto e subito”) che spinge a chiedere e pretendere immediate soluzioni ad aspetti e problematiche che in questo momento sono irrisolvibili, perché la maggior parte delle risposte che vengono fornite (qualunque sia la provenienza) sono irrilevanti in quanto interscambiabili: sono il risultato di domande sbagliate. E valga una per tutte: “Come intende affrontare il M5s il problema del gigantesco debito pubblico?”. La risposta (qualunque essa sia) è irrilevante e inutile. E’ la domanda che è errata, perché il disavanzo pubblico non è il problema, quindi che Senso ha parlare della soluzione di un non problema? Caso mai sarebbe più interessante chiacchierare a proposito del “come mai ci hanno fatto credere che il disavanzo pubblico fosse un problema presentando se stessi come la soluzione?”.
Finchè non verranno affrontate le nuove domande, sguazzare nel fango mediatico e gettarsi nella mischia feisbucchiana, al grido di non toccate Grillo oppure giù le mani dal piddì, è inutile e va bene come sfogo personale alla propria frustrazione individuale. Niente di più.
Ciò che è indubbio consiste nella sveglia collettiva: benvenuta.
E un risultato (a livello nazionale) lo si può già archiviare con grande soddisfazione
Sono trascorsi solo otto giorni dall’esito elettorale e l’Italia da totale retroguardia si è trasformata in avanguardia europea, trasformando il M5s nella punta di diamante di una ben più vasta associazione di comunità europee, che stanno fibrillando, scaldando i motori, pronti a produrre i loro grillini locali in salsa catalana, bavarese, provenzale. L’impatto è stato immediato, profondo e davvero molto ma molto esteso.
Si tratta del pensionamento definitivo dello sistema di rappresentanza dei partiti politici storici, ormai inadatti a rispondere alle domande autentiche dei bisogni collettivi.
Si tratta forse dell’inizio della fine (che potrebbe anche essere momentanea, chi lo sa?) della democrazia rappresentativa, per essere sostituita dalla democrazia diretta.
Tutto lo sforzo che i partiti italiani, in questo momento, stanno facendo nel tentativo di salvare il salvabile, cercando di mettere una pezza immediata allo squarcio sulla fiancata del loro Titanic è inutile. Ma non lo sanno, non se ne rendono conto, altrimenti avrebbero provveduto anni fa a correggere la rotta. Bersani, Cicchitto, D’Alema, sembrano degli alti ufficiali sulla plancia di comando che urlano “dobbiamo cambiare immediatamente la rotta” consultando carte dal sapore surreale mentre la gente si assiepa sgomitando per un posto nelle scialuppe di salvataggio. Nel frattempo, Draghi consulta le mappe nella sua cabina, convinto che presto stupirà il mondo con le nuove linee da seguire nella geografia europea.
E se questo processo è partito dall’Italia, non è una sorpresa: era l’unica nazione in Europa in cui poteva avvenire.
Avviene qui per diversi motivi. L’Italia è la nazione più ricca d’Europa. Il patrimonio nazionale è indicato dall’Ocse, dall’Istituto di Statistica e dall’Onu intorno ai 9.000 miliardi di euro, quindi è in grado di reggere alla perfezione qualsivoglia sussulto di natura economica, sociale, politica. L’Italia è la seconda potenza industriale d’Europa. L’Italia è tuttora la più importante nazione manifatturiera del continente europeo, la quarta nel mondo. Il suo punto debole e più fragile, in questo specifico momento della Storia, si è rivelato, secondo me, uno spaventoso boomerang per il capitalismo mondiale: quello di essere un paese medioevale, ovvero ancora in fase pre-capitalista, con una struttura mista di statalismo e oligarchia dove i sindacati e i partiti della sinistra sono diventati gli autentici guardiani protettori dello status quo finendo per impedire alla nazione l’ingresso nella modernità. Proprio perché arretrata rispetto al capitalismo avanzato, l’Italia nel momento in cui il capitalismo occidentale affronta la sua crisi mortale, si trova nella situazione di vantaggio di poter saltare “direttamente” alla fase della post-modernità senza eccessivi contraccolpi, perché questa è l’unica via –davvero la sola possibile- per poter superare l’attuale crisi di sistema. Basti pensare che le più importanti famiglie italiane (la maggior parte delle quali sconosciute alla massa dei cittadini) sono le stesse di 40 anni fa, di 80 anni fa, di 150 anni fa, di 400 anni fa, con delle minime new entry. In tutto il resto d’Europa, il capitalismo ha promosso nuove ricchezze perché il concetto di profitto (legato al duro lavoro) aveva sostituito quello dei medioevali rentiers, ovvero la rendita passiva finanziaria legata ai grandi patrimoni aristocratici. In Italia le 1.200 famiglie più ricche in assoluto non producono nulla, se non danaro. L’Italia è l’unica nazione in Europa che non ha mai fatto la rivoluzione borghese entrando nella modernità capitalista, perché in Italia non esiste la concorrenza, non esiste una società del merito e della competenza tecnica, non esiste una società dell’efficienza che premia chi si impegna, imprende e applica il proprio ingegno, rispettando le regole; queste sono tutte caratteristiche delle democrazie capitaliste avanzate. In questo paese completamente ignorate.
In una realtà come questa, lo Stato centrale ha rappresentato una “finzione simbolica” ovverossia “ha finto di essere capitalista”. In verità, in Italia, il concetto di cittadino –come forma più avanzata e riconosciuta della democrazia capitalista- non è mai esistito.
In Italia esistono soltanto sudditi, come nelle monarchie assolute europee spazzate via dalla rivoluzione francese in poi.
L’italiano è vissuto sempre dentro una finzione collettiva, incorporando l’idea che “quella” (cioè la nostra) fosse l’unica modalità di socialità moderna. Tutte le ideologie, tutti i governi, si sono sempre comportati di conseguenza, dal fascismo mussoliniano al comunismo rivisto di D’Alema & co., laddove “il partito” ha sostituito il monarca: benefico con chi è deferente, lo omaggia, lo serve; micidiale e perfido con chi lo contesta. Lo scontro tra la destra e la sinistra, in Italia, è stata – finita la sanguinosa guerra civile - una pantomima usata per imbavagliare, ipnotizzare, depistare la gente: è sempre stata una guerra tra fazioni aristocratiche, una lotta tra signorie, uno scontro tra baroni.
Non è un caso che oggi, nell’occhio della tempesta, il sistema partitico attuale PD-SEL & co., una volta controllati i dati scorporati statistici delle elezioni, dopo aver visto che il M5s ha preso una alta percentuale dei propri voti dal bacino di utenza della sinistra, scatena una furibonda campagna mediatica per convincere la gente a pensare che Beppe Grillo sia un fascista, che il movimento a cinque stelle sia una organizzazione fascista, chiamando a raccolta il mai sopito zoccolo duro ideologico, pensando così di farla franca e darla ad intendere; nello stesso identico modo in cui lo ha fatto, ad ogni campagna elettorale, il PDL nei confronti del PD. Entrambi hanno evocato (ed evocano tuttora) fantasmi di un’poca che non esiste più.
I dati elettorali lo dimostrano con chiarezza: i grandi, veri sconfitti di queste elezioni sono i comunisti e i fascisti in tutte le loro liste civiche dai nomi più impensati.
Per il semplice motivo che non esistono più.
L’Italia non è la Grecia come speravano Francesco Storace e Oliviero Diliberto.
Non esistendo una evoluta borghesia moderna capitalista (se non rare nobili eccezioni) in grado di avvantaggiarsi del vuoto pneumatico sociale provocato dalla scomparsa dei fasci littori e delle falci e martelli, gli oligarchi aristocratici hanno pensato di poter occupare quel territorio psico-sociale attraverso i loro nuovi valvassori: i partiti.
L’esistenza del web e le nuove tecnologie avanzate hanno nel frattempo fondato la società post-moderna, un luogo virtuale che abolisce il tramite, la distribuzione, la rappresentanza, la mediazione: i cittadini si incontrano e si scambiano informazioni, notizie, merci, sogni, ambizioni, desideri, soldi, progetti, “direttamente” attraverso una formidabile forma di energia composta da gangli interconnessi che ha spinto il popolo italiano (l’ultimo in occidente a usare la rete) ad acquisire una consapevolezza, questa sì davvero rivoluzionaria: l’idea di essere stati finora sudditi e non cittadini.
La cittadinanza è una diversa idea dell’esistenza che ripropone l’idea della comunità condivisa, di un senso della collettività che si sviluppa sulla base della identificazione di bisogni comuni per cui il simbolo da combattere non è più il feticcio (la svastica o la falce e martello) bensì il banchiere avido che non dando credito obbliga il vicino di casa a fallire e in molti casi, troppi, lo spinge al suicidio non vedendo nessuna possibilità di ripresa. Come avveniva nei secoli scorsi a chi non riusciva a far fronte agli obblighi imposti dall’aristocrazia fondiaria.
Gli attuali partiti sembrano pesci rimasti imbrigliati nella rete, che boccheggiano perché manca loro l’aria. Vederli annaspare nei talkshow in preda all’asfissia, anche quando sono grossi come Fabrizio Cicchitto o Massimo D’Alema fa davvero impressione; è un po’ come vedere un gigantesco tonno preso nella rete mentre le funi la tirano su dal mare. I pescatori lo guardano e aspettano.
Come ha detto il grande Karl Kraus: “I nani, quando il sole volge al tramonto, acquistano le sembianze dei giganti, ma sempre nani sono: è una pura illusione percettiva”.
E’ come appaiono ora i rappresentanti dell’attuale classe politica dirigente italiana.
Siamo al tramonto di un’epoca storica: gli italiani hanno scoperto il diritto a essere riconosciuti, rispettati e identificati, prima di ogni altra cosa, come cittadini.
E’ avvenuto grazie alla rete, che ha tessuto l’allacciamento dei gangli e ha consentito la connessione tra le singole individualità umane, vittime da sempre del divide et impera.
La rete –per sua definizione- unisce perché crea collegamenti, connette e quindi determina un flusso di energia costante, perenne, e come tale accende: chi vuole può anche trovare insospettabili lampadine per comprendere, capire, acquisire consapevolezza. Se la va a cercare, non aspetta di essere imbonito dal capo bastone di turno.
La nuova realtà – e sono i vagiti del post-Maya - consiste nell’irruzione sulla scena dei cittadini.
Tramonta l’epoca dei peones e dei portatori d’acqua.
Gli italiani, poco a poco, cominciano a gustare il sapore (appena scoperto) del proprio sacrosanto diritto alla cittadinanza, che obbliga chi esercita il potere a considerare se stesso come un semplice pubblico ufficiale al servizio della collettività e non più come esponente rappresentante di interessi consolidati.
L’Italia è stata volutamente ingessata, volutamente immobilizzata, per impedire l’allargamento della sfera di intervento della cittadinanza e fare in modo che la ricchezza venisse distribuita limitatamente ai piccoli circoli garantiti dalla politica dei partiti.
In un paese come l’Italia i signori che ne erano al comando hanno esercitato il potere sostenendo sempre di “non potersi muovere” perché esisteva sempre un nemico che ne impediva i movimenti. Adesso, costringerli ad attuare riforme, atti pragmatici, azioni di bene comune, li mette nella condizione di rinunciare alla loro stessa essenza, e ne decreta l’ estinzione per disfunzionalità.
L’Europa ci segue con molta attenzione perché stiamo diventando un gigantesco laboratorio sociale operativo di una nuova formula che è l’unica in grado –a costo zero- di poter contrastare la strategia dei colossi della finanza facendo saltare i giochi: rifondare il concetto di cittadinanza che comporta l’abbattimento del concetto di sudditanza.
E’ un processo destinato all’espansione, ad allargarsi sempre di più, a dilagare.
Basta non farsi prendere dalla fretta e tantomeno dalla paura.
Siamo al tramonto, non dimentichiamolo.
Ci offrono il quotidiano show di nani, offerti dal mondo spettacolare mediatico, con l’abilità degli illusionisti che li mostrano come se fossero dei giganti.
L’unico pericolo è il loro colpo di coda disperato.
Che due palle. - Andrea Scanzi
Che due palle. Ma che due palle. Ma che due palle. "Se falliamo noi, violenza sulle strade". La frase (detta al Time) diventa per le solite testate: "Grillo minaccia". Ma minaccia de che?
1) Grillo ripete questa frase da mesi, in ogni Tsunami tour, (quasi) in ogni intervista. E finora non se n'era accorto nessuno.
2) Grillo dice quella frase non come auspicio (ehhhhh?), ma come constatazione. Ovvero: "Noi siamo l'ultima speranza, il paese è stremato, se falliamo anche noi (che siamo pacifisti e democratici) questi si incazzano e prendono i forconi, arrivano Alba Nuova e Le Pen come altrove". E' un'analisi forse apocalittica (non credo), ma minacciosa proprio no. Se i disoccupati, gli esodati e i nuovi poveri non avranno risposte a breve (che, sia chiaro, deve dare anche il M5S e in fretta), come volete che reagiscano? Prendendo un tè con D'Alema?
3) "Puntiamo al 100%". Anche questa frase la ripete da mesi. C'è pure nel mio libro e c'è anche nel volume con Casaleggio e Fo. E' l'apoteosi (secondo lui) della vittoria dei cittadini. Ovvero: "I politici professionistici non ci devono essere più, li vogliamo sostituire con gente comune come stiamo facendo. Quando ce l'avremo fatta, avremo raggiunto l'obiettivo e ci scioglieremo come movimento". Utopico, discutibile. Quello che si vuole. Ma cosa (cazzo) c'entrano le minacce e il fascismo? Qui mancano proprio i fondamentali della materia, dai. Non si sa proprio di cosa si parla. A troppa gente è arrivato un meteorite addosso (un meteorite prevedibilissimo) e non sa più come comportarsi. Datevi una svegliata, ragazzi, su. Questo "giornalismo" da titoloni sparati, che fraintende e inventa per uccidere il nemico "fascista e nazista", è davvero avvilente. (e fa il gioco di Grillo: più lo attaccate sul nulla, più lui gioca sul complotto e i suoi lo sostengono ancora di più).
Andrea Scanzi
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