lunedì 23 maggio 2011

Occupare i telegiornali è stato solo un autogol. - di Giuliano Ferrara


La scelta di apparire quasi a reti unificate e di usare un linguaggio incattivito come mai rischia di essere un favore ai suoi detrattori.


Ho passato un bel pezzo della mia vita a difen­dere come potevo e sa­pevo Berlusconi, a cui ho sempre riconosciuto, in amicizia militante e mai servi­le, grandissimi meriti storici nel tentativo di tirare fuori l’Ita­lia dalla crisi della Repubblica e dalla rovina della giustizia, e una simpatia di tratto liberale e scanzonato senza eguali; e quando non ero d’accordo, è successo spesso, riprendevo forza ed energia dal modo di­sgustoso scelto dai suoi avver­sari per combatterlo.

La mostri­ficazione, la teoria del nemico assoluto,l’orrore del guardoni­smo giornalistico, della faziosi­tà dispiegata, le accuse forsen­nate di stragismo, di mafia, ac­compagnate dalla totale resa al più sinistro spirito forcaiolo: questo mi è sempre bastato per dirmi senza problemi ber­lusconiano e per prendere il mio posto, costante negli anni, nella battaglia contro la deriva ideologica e di stile della sini­stra più scalcinata e ipocrita del mondo, prigioniera di una cultura demagogica che la di­vorava.

Vorrei continuare la corsa, ma se la strada è quella dell’invadenza arrogante a reti unificate, del monologo che umilia gli interlocutori e gli elet­tori, del semplicismo e del ba­by talk arrangiato, sciatto, po­veramente regressivo, mi man­ca il fiato.

Va bene che Enzo Biagi face­va i suoi show el­ettorali con Be­nigni per bastonare il Cav sotto elezioni quando era capo del­l’opposizione, ma quale esper­t­o impazzito di marketing poli­tico ha suggerito al premier di presentarsi in tutti i tg come un propagandista, di diminuire la sua autorità e credibilità di pre­sidente del Consiglio e di lea­der del partito di maggioranza relativa di una grande nazione occidentale con discorsi da bet­tola strapaesana?

Chi gli ha consigliato di perdere all’istan­te i voti dei cattolici diocesani abbracciando a Milano, dove le intemerate leghiste più sprovvedute non hanno mai at­­tratto consensi, la crociata del­la lotta a zingaropoli o il truc­chetto del trasferimento in terra meneghina di al­cuni ministeri romani, subi­to contraddetto dal sindaco della Capitale?
Che cosa può portare il capo di una classe dirigente che dovrebbe pun­tare su libertà e responsabili­tà ad avallare, dopo la magra figura dell’attacco ad perso­nam a Pisapia, e senza le do­vute scuse, l’idea che la vitto­ria dell’avversario nella lotta per il Municipio porterebbe terrorismo e bandiere rosse a Palazzo Marino?

Perché farsi del male con parole d’ordine primitive, giocando irrespon­sabilmente la carta dei cosid­detti «valori conservatori» in una offensiva lanciata da gen­te di governo contro «gay e drogati», una caricatura del motto Dio-patria-e-fami­glia, quando quella carta è sempre stata pudicamente scartata quando si doveva giocarla con sensibilità e in­telligenza nelle occasioni giu­ste e per motivi giusti?

Spero che la Moratti vinca e che Pisapia perda il ballot­taggio, per ovvie e argomen­ta­te ragioni politiche e ammi­nistrative che si stanno per­dendo nei fumi sulfurei di un incendio ideologico senza senso.

Ma intanto non voglio che Berlusconi perda la fac­cia nella contesa, che il suo comprensibile radicalismo politico, il suo accento popo­lare e diretto nel linguaggio, diventino un incattivito vani­loquio della disperazione.

Non lo merita lui e non lo me­ritano coloro che si sono bat­tuti e si battono per ciò che lui ha rappresentato.

Ero in­curiosito dal suo silenzio pro­lungato, dopo il primo turno elettorale, mi auguravo fosse indizio di un ripensamento dopo l’ozio della ragione di questi ultimi tempi, e i vizi e le sconfitte che quell’ozio ha generato.

Chiunque conosca Berlusconi e la storia del ber­lusconismo sa quel che man­ca a questo punto della para­bola: mancano la sicurezza di sé, un minimo di ottimi­smo, la capacità originaria di sfidare le convenzioni, di fa­re cose nuove e liberali, di smascherare le ipocrisie al­trui, di parlare pianamente e urbanamente anche il lin­guaggio più irriducibile e aspro, manca il gentile «mi consenta», manca il Berlu­sconi ilare e sapido che rom­pe il monopolio dell’informa­zione, che disintegra ogni for­ma di conformismo, che spiazza e interloquisce con la società italiana alla sua ma­niera originaria.

Vedo in questa deriva la vit­toria dell’avversario di tutti questi anni, e di quello più in­carognito e miserabile. Farsi simili alla caricatura che il ne­mico fa di te è il peggiore erro­re possibile per un leader po­litico. È l’errore che può ca­gionare «l’ultima ruina sua», che lo isola con le tifoserie, che ne avvilisce l’indipen­denza intellettuale e di tono, la credibilità personale.





1 commento:

  1. Io non so quali meriti Ferrara attribuisca a B., ma apprezzo che anche lui abbia colto una pessima "caduta di tono" assunta dal suo guru ultimamente.
    Se fin'ora B. aveva solo palesato la sua errata interpretazione della parola "etica", ora ha dimostrato di non esserne mai stato degno rappresentante.

    E se un Ferrara arriva a ravvisare un errore nel suo comportamento, vuol dire che anche chi non lo aveva mai visto per quello che è veramente, ora incomincia a notare che, forse, "il re è nudo"!

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