Mentre il bullo di Palazzo Chigi è momentaneamente scomparso dai radar dei media politicamente asserviti, un altro soporifero cattokomunista si è insediato sulla poltrona del comando, sfoderando le solite bufale, più spudorate di sempre: il Jobs Act è stata un’ottima riforma e i voucher «non sono il virus che semina il lavoro nero» … intanto sono partite le lettere di licenziamento per 1666 lavoratori dell’Almaviva di Roma, i sindacati svaporano come neve al sole, la povertà è in progressivo aumento e l’Italia rischia il commissariamento dalla Troika per la storia del Monte Paschi di Siena.
Nel frattempo Luca Lotti, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e rinominato Ministro dello Sport nel governo Gentiloni, 4° governo non votato da nessuno, è sotto indagine per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’ambito dell’indagine avviata dalla Procura di Napoli sulla corruzione in Consip, la centrale di appalti della Pubblica amministrazione.
Immediatamente compare un post stranito su FB: «Sarei indagato per rivelazioni di segreto d’ufficio. È una cosa che semplicemente non esiste. Inutile stare a fare dietrologie o polemiche. Sto comunque tornando a Roma per sapere se la notizia corrisponde al vero e, in tal caso, per chiedere di essere sentito oggi stesso. È una cosa che non esiste e non ho voglia di lasciarla sospesa».
E poi continua: «Noi non scappiamo dalle indagini: siamo a totale disposizione di ogni chiarimento da parte dell’autorità giudiziaria. La verità – del resto – è più forte di qualsiasi polemica mediatica e non vedo l’ora di dimostrarlo».
La famiglia Renzi, il ministro Lotti, la Consip, altissimi esponenti dei Carabinieri … insomma un giglio putrido invischiato in un caso di corruzione da 2,7 miliardi di euro, ma tutti i riflettori e le sirene del mainstream sono accese sulla giunta Raggi che «potrebbe essere indagata», sull’indagine Muraro, sulla bocciatura del bilancio, sull’arresto di Marra … vicende che vengono ripetute fino alla nausea sulle prime pagine e in tutti i tg, mentre lo scandalo napoletano è rapidamente scomparso dai radar, dopo i titoli rassicuranti sul comandante Del Sette subito ascoltato in Procura e seguito a ruota da Lotti.
Eppure anche l’inchiesta di Napoli meriterebbe qualche attenzione in più. L’appalto che i pm ritengono truccato è piuttosto consistente: acquisti per 2,7 miliardi deliberati dalla Consip (società pubblica al 100% del Tesoro) per la PA. E i personaggi coinvolti sono tra i più potenti d’Italia: Renzi, suo padre, il suo più fedele ministro, i comandanti dei Carabinieri italiani e toscani, i vertici della prima agenzia appaltante del Paese.
I fatti … i pm Woodcock, Carrano e Parascandolo incaricano i carabinieri di riempire di microspie gli uffici Consip, dove il dirigente Marco Gasparri avrebbe promesso alcuni lotti della maxi commessa all’imprenditore Alfredo Romeo, anch’egli indagato per corruzione. Ma immediatamente l’amministratore di Consip Luigi Marroni chiama una ditta per bonificare gli uffici, che toglie le cimici due giorni dopo l’installazione. Gli inquirenti allora se ne accorgono e interrogano Marroni, il quale spiffera 4 nomi: Del Sette, Saltalamacchia, Luca Lotti e Filippo Vanoni.
Vannoni, amico da una vita di Renzi, che l’ha nominato presidente della municipalizzata Publiacqua, dichiara che non solo Lotti&C, ma anche Matteo sapeva in anticipo dell’indagine segreta. Molto strano che tutti i protagonisti dello scandalo siano fedelissimi di Renzi, sia i due generali (uno comandante in Toscana, l’altro nominato comandante generale proprio da Renzi), che i due imprenditori (Russo, compagno di viaggio di Tiziano Renzi e Romeo, finanziatore dichiarato della fondazione renziana Big Bang).
(Tiziano, il padre dell’ex premier Matteo Renzi. La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che lo vedeva coinvolto, accusato di bancarotta fraudolenta ed ha chiesto l’archiviazione. L’indagine era nata dopo il fallimento della società Chil Post srl, che distribuiva giornali e volantini.)
E Renzi perché non smentisce e non querela Vannoni? Forse perché dice la verità? L’unico che sembra aver avuto un briciolo di dignità sembra essere il generale Del Sette, che ha chiesto di non essere confermato nel suo incarico, che scade tra poco … e invece il governo Gentiloni ha deciso di prolungare l’incarico per altri due anni. (Marco Travaglio, 28 dicembre 2016). Perché i generali avvertono subito l’entourage di Renzi, rischiando grosso, se nessuno del Giglio Putrido era indagato? Forse sanno che nel gioco ad incastro sono tutti coinvolti e cercano di proteggere il premier e la sua famiglia. Lotti e Del Sette dicono naturalmente che è tutto falso, allora perché non querelano Marroni per calunnia e non lo fanno licenziare dalla Consip? Forse perché dice la verità?
Luca Lotti e compagni sono innocenti fino a prova contraria e Tiziano Renzi non è indagato, però resta una domanda: Marroni è amico dei Renzi, padre e figlio, allora perché l’amministratore di una società nominato dal governo Renzi dovrebbe accusare gli amici di Matteo Renzi di avergli rivelato l’esistenza di un’indagine nelle cui carte potrebbero esserci elementi imbarazzanti su Tiziano Renzi?
Del resto il fatto che esistesse un sistema corruttivo all’interno di Consip era già stato rivelato da una puntata di Report del dicembre 2013. Cos’è dunque Consip ? È una società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, istituita in origine per la gestione di attività informatiche riservate allo Stato in materia di contabilità e finanza pubblica, poi diventata centrale di committenza nazionale, con il fine di razionalizzare gli acquisti nella pubblica amministrazione.
L’inchiesta di Report mostrava una malata connessione tra poteri politici e affari, e denunciava il cosiddetto “sistema Romeo”, che fa capo all’imprenditore campano Alfredo Romeo, proprietario della Romeo Gestioni, una società di servizi che si era aggiudicata una larga fetta del miliardo e 34 milioni di euro di appalti gestiti da Consip per conto di svariati enti pubblici. Tali servizi riguardavano la gestione di pulizia, facchinaggio e manutenzione di enti, quali il Senato della Repubblica, la Presidenza del Consiglio, comuni, province e regioni, tribunali e altri. Tale sistema si fonderebbe sulla capacità del Romeo, condannato in secondo grado per corruzione in concorso e turbativa d’asta dalla Corte d’appello di Napoli (assolto poi in Cassazione nel maggio 2016 con formula piena), accusato di tessere strette relazioni con influenti politici locali e nazionali, le quali garantirebbero un occhio di riguardo nei confronti delle società dello stesso Romeo per l’aggiudicazione di alcune gare di appalto (sintesi dell’Interpellanza presentata alla Camera da Luigi Gallo deputato del M5S).
Fatto sta che nel 2014 la società pubblica bandisce un’altra gara d’appalto di facility management, suddivisa in più lotti, forniture pluriennali a università e pubbliche amministrazioni, per un valore totale di circa 2,7 milioni di euro. Ora, tre di questi lotti se li aggiudicano le società di Alfredo Romeo. Dunque a distanza di nove anni Romeo torna nell’occhio del ciclone, per un presunto reato di corruzione, in quanto avrebbe offerto somme consistenti di danaro in contanti a Marco Gasparri, alto dirigente Consip, in cambio dell’assegnazione di appalti alle sue società. Già da tempo i pm monitoravano le attività del gruppo Romeo e avevano predisposto una serie di intercettazioni ambientali, facendo innestare un virus spia Trojan sul cellulare di Romeo e di altri indagati.
(Alfredo Romeo)
Nell’indagine è coinvolto anche un personaggio non comune. Si chiama Carlo Russo, 33 anni, imprenditore di Scandicci, amico di Tiziano Renzi e in ottimi rapporti con l’imprenditore Alfredo Romeo. Sarebbe interessante capire se ci sono rapporti triangolari tra Tiziano Renzi, Carlo Russo e Alfredo Romeo. Ma l’ipotesi probabilmente non potrà avere riscontro dalle microspie in Consip che sono state neutralizzate dalla soffiata.
Non è la prima volta che il nome del padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, da agosto scorso segretario del PD di Rignano sull’Arno, si trova coinvolto in indagini giudiziarie, all’inizio dell’anno era stato sfiorato dalla triste vicenda di Banca Etruria. Solo la scorsa estate era arrivata per lui l’archiviazione circa l’indagine che lo vedeva accusato di bancarotta fraudolenta nel quadro del fallimento della società di distribuzione editoriale Chil Post. Sembra che avesse chiesto agli ospiti che andavano a trovarlo di lasciare il cellulare dentro casa e di appartarsi con lui in un bosco vicino per parlare: segno che avrebbe temuto la presenza di cimici in casa.
Sarebbe dunque necessario riflettere sul diffuso malaffare che coinvolgerebbe importanti membri del Giglio Magico, che troverebbe la sua naturale matrice in terra toscana, dove il Partito Democratico sostanzialmente ha un potere incontrastato dal secondo dopoguerra, attraverso un’odissea paradossale che passa dal PCI, PDS, DS fino al PD renziano, un partito sfacciatamente neoliberista.
Un potere accumulatosi nel tempo anche grazie allo stretto intreccio tra cooperative rosse e bianche, supermercati Coop, Arciconfraternita della Misericordia, clero progressista e banche locali. Un potere che inizia molto prima di Renzi, che spicca il volo proprio grazie alla promessa di rottamare una classe politica invischiata in affari con la famiglia Ligresti o garante della nomina di Mussari a MPS, uomo molto vicino a D’Alema. Insomma il sistema piovra del PD toscano ha progressivamente allargato i tentacoli sul territorio italiano fino ad arrivare a Palazzo Chigi. Ma niente paura, molto meglio parlare di terrorismo e della sindaca Raggi.
Semplicemente perché i mezzi di distrazione di massa orientano le opinioni dell’elettorato verso notizie irrilevanti rispetto all’agenda dettata dall’establishment finanziario, e dunque la gestione truffaldina del potere avviene sotto gli occhi di tutti i cittadini spettatori, senza che questi però se ne possano accorgere, perché quello che non serve alle élites deve essere taciuto e oscurato.
La corruzione politica del paese dunque non è un problema minimamente marginale rispetto alla sudditanza europea e alla perdita di senso dello stato, dato che sono le tre componenti necessarie per la conduzione a buon fine del processo di dissoluzione della sovranità politica italiana in quell’organismo sovraordinato che si chiama Unione Europea.
Del resto il giglio, le fleur-de-lys, è una figura ambivalente della simbologia araldica (informazione di sanpap) … a partire dal Medioevo divenne l’emblema della regalità, ma dietro l’immagine stilizzata del fiore cela l’ombra di un rospo o di una rana, abitanti della palude, che sguazzano volentieri tra il fango … come tra il fango dell’ipocrisia e della truffa sguazzano i componenti del giglio putrido del renzismo italiano.
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