lunedì 23 marzo 2020

Divanisti alla riscossa. - Marco Travaglio



Purtroppo abbiamo disgrazie più gravi di cui preoccuparci. Quindi il ritorno degli sciacalli da divano, che in tempi normali farebbe schifo, in quest’apocalisse fa soltanto pena. Ieri, mentre l’Italia (e soprattutto la Lombardia) contava altri 651 morti e 4 mila nuovi contagiati, uno stormo di avvoltoi si levava in volo per azzannare Giuseppe Conte, reo nientemeno che di aver comunicato i contenuti del nuovo Dpcm con un breve messaggio su Facebook alle 23.20 di sabato. Il più lesto a speculare è stato l’Innominabile, che in tre righe è riuscito a infilare tre baggianate sesquipedali. “Noi rispettiamo le regole del Governo sulla quarantena” (e che pretende, una medaglia?); “Ma il Governo rispetti le regole della democrazia. Si riunisca il Parlamento” (che c’entra il governo se il Parlamento non si riunisce? Forse Conte-Tejero ha schierato i carrarmati dinanzi a Montecitorio e a Palazzo Madama per impedire l’ingresso a una folla di parlamentari ansiosi di entrare?); “Si facciano conferenze stampa, non show su Facebook: è una pandemia, non il Grande Fratello” (in che senso quei 7 minuti su Fb sono uno show o un reality? Chi è stato, fra Conte e l’Innominabile, a esibirsi ad Amici da Maria De Filippi col chiodo alla Fonzie?).
Poi si sono aggiunti Salvini e Meloni, che almeno non fanno parte della maggioranza. La Meloni delira di “intollerabili i metodi da regime totalitario” (qui la battuta si scrive da sé), “dichiarazioni trasmesse in orari improbabili” (lei preferiva le 22,51 o le 23.08), “con continui ritardi” (rispetto a cosa? A che ora esattamente la dichiarazione sarebbe arrivata in orario?), “attraverso la pagina personale su Facebook, come se in Italia non esistessero le Istituzioni, la televisione di Stato e la stampa” (in questi giorni tutti i capi di stato e di governo del mondo si rivolgono alle proprie nazioni in diretta, anziché affidarsi a freddi comunicati). Salvini tiene subito a precisare di essere rimasto, anche nell’ora più buia, il cazzaro di sempre: “Meglio tardi (troppo tardi) che mai, ieri notte ci hanno dato retta” (parola di quello che solo il 27 febbraio strillava “Riaprire tutto, negozi, discoteche, musei, gallerie, bar”); “non è questo il modo di agire e dare certezze agli Italiani” (parola di uno che ha “governato” in diretta Fb per un anno e mezzo, anche in piena emergenza Papeete). Al coro degli alti lai si unisce l’Ordine dei giornalisti, improvvisamente allergico alle comunicazioni dirette del premier (sempre esistite in tutto il mondo da che mondo è mondo), dopo decenni di silenzi sui “colleghi” che facevano domande-assist concordate o applaudivano B. e l’Innominabile.
Anche stavolta, non si capisce quale peccato mortale avrebbe commesso il premier. Non certo sospettabile di sfuggire alle domande, visto che quasi ogni giorno rilascia interviste ai quotidiani. Sabato, mentre era collegato con sindacati, Confindustria, 20 presidenti di Regione, Protezione civile, ministri e capi-delegazione giallorosa per decidere quali settori industriali e commerciali chiudere o lasciare aperti, a Otto e mezzo il solito tromboncino da divano strillava come un ossesso che era una vergogna il silenzio di Conte, dopo averlo accusato per settimane di parlare troppo. Finita la maratona di riunioni, il premier ha messo giù il discorso e poi l’ha letto, anticipando un Dpcm molto dettagliato, che è stato limato e integrato fino a ieri pomeriggio. Siccome tutti sapevano, per l’enorme numero dei soggetti coinvolti, che cosa grosso modo bolliva in pentola, ha chiarito appena possibile (cioè alle 23.20) la sostanza delle nuove restrizioni, rinviando i dettagli al testo uscito ieri e in vigore oggi. Non c’era tempo per convocare in extremis una conferenza stampa, che peraltro sarebbe andata deserta come le ultime (i cronisti lavorano in gran parte da casa). E occorreva evitare nuove fughe di notizie (e di persone) come quelle che gli erano state rinfacciate sul Dpcm dell’8 marzo. Ma qualunque cosa faccia Conte è sempre sbagliata: sia che parli sia che taccia, sia che anticipi le fughe di notizie sia che le insegua. Come se il dramma fossero le forme, i mezzi, gli orari delle sue comunicazioni. E come se fosse lui a deciderne i tempi per biechi motivi che peraltro nessuno spiega, e non le circostanze eccezionali. Per fortuna gli italiani sanno distinguere chi lavora da chi specula. Ed è questo che manda ai matti sciacalli e avvoltoi.
Siccome non c’è limite al peggio, un sedicente “Patto trasversale per la scienza”, ultimo travestimento di Burioni&C., diffonde una “diffida legale” alla virologa Maria Rita Gismondo invitandola ad abiurare pubblicamente alle sue convinzioni che costituirebbero il reato di “notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. In attesa che si allestiscano le pire per la nuova caccia alle streghe, segnaliamo a Burioni un cazzaro che il 2 e l’11 febbraio dichiarava: “In Italia il rischio è 0. Il virus non circola”, “Dobbiamo avere paura del coronavirus così come abbiamo paura dei fulmini”. Il suo nome è Burioni: al rogo anche lui.

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