Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 11 ottobre 2012
Facebook non paga le tasse: è l'antisocial network. L'Independent gli fa le pulci.
ROMA - «Antisocial network». Il titolo scelto dall'Independent per denunciare la gestione fiscale del padre di tutti i social network non lascia adito a dubbi. Facebook, stando ai dati pubblicati dal quotidiano britannico, avrebbe infatti pagato solo 238mila sterline di tasse per le sue attività nel Regno Unito a fronte d'introiti pari a 175 milioni.
Il trucchetto utilizzato è del tutto legale ed è per altro prassi comune per i colossi dell'era 2.0 come Apple, Google e Amazon: esportare i profitti in Irlanda, dove si trova il quartier generale di Facebook per l'Europa (Amazon, dal canto suo, ha scelto invece il Lussemburgo). La cifra di 175 milioni di sterline è stata fornita dalla società di analisi indipendente Enders Analysis mentre i dati fiscali del gigante da 1 miliardo di utenti sono stati reperiti attraverso visure camerali. «È immorale che queste società di successo non paghino le tasse nei paesi in cui sono basate e fanno profitti», ha detto all'Independent John Mann, deputato laburista e membro della commissione parlamentare del Tesoro. «Traggono immensi benefici dall'infrastruttura internet del nostro Paese ma non fanno nulla per contribuire».
Facebook non ha voluto commentare sulla stima degli affari condotti nel Regno Unito e attraverso un portavoce ha commentato: «Come è normale che sia per un'azienda presente in decine di nazioni sparse per il mondo, compiliamo report sulle nostre attività locali; queste informazioni però non rispecchiano necessariamente le performance globali quindi sarebbe un errore tirare delle conclusioni sulla base di questi report».
http://www.ilmessaggero.it/tecnologia/hitech/facebook_evade_tasse_independent_antisocial_zuckerberg/notizie/224911.shtml
Formigoni rilancia: giunta nuova e molto ridotta nei numeri.
Formigoni non ci sta e non è disposto ad accettare diktat dalla Lega Nord. Alla minaccia dei leghisti di abbandonare il governo lombardo, messa in campo con le dimissioni presentate dagli assessori del partito del Carroccio, il presidente della regione risponde contrattaccando, minacciando di far cadere tutto il castello di governi regionali del Nord Italia messi in piedi nell’ultima tornata elettrorale. E nel pomeriggio ha dichiarato: «Indipendentemente da tutti, siccome il presidente eletto sono io e voglio dare risposte ai cittadini lombardi, ci sarà una forte discontinuità che metterò in atto nei prossimi giorni: una riduzione molto forte della giunta che sarà rinnovata nella composizione».
«Se cade la Lombardia – ha voluto precisare –, i leghisti sappiano che cadranno anche il Veneto e il Piemonte, che fanno parte dello stesso accordo elettorale che mi ha portato a essere nuovamente il presidente della Regione». Niente scherzi, dice dunque Formigoni a Maroni e compagni, se fate lo sgambetto a me, qui in Lombardia, il Pdl saprà come reagire nelle due realtà dove al momento governa la Lega, il Veneto con Zaia e il Piemonte con Cota. «Spetta a loro decidere se far cadere le tre giunte», ha concluso sibillinamente.
Una posizione forte, quella di Formigoni, testimoniata anche dal fatto che appena saputo delle dimissioni degli esponenti leghisti ha provveduto a togliere loro le deleghe destituendoli dall’incarico di assessore e cominciando già a pensare a chi affidare importanti poltrone come quella di assessore alla Sanità.
Dopo avere risposto alla Lega, Formigoni ha voluto sottolineare la sua opinione riguardo la questione che ha coinvolto l’assessore Domenico Zambetti, accusato di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta. «Ha tradito il suo presidente e il suo partito», ha detto senza mezzi termini il presidente regionale, aggiungendo che la vicenda è di «una gravità assoluta ed è del tutto inaccettabile».
Ora la palla passa dunque alla Lega, che nelle intenzioni avrebbe invece sperato che la decisione finale fosse presa dal loro alleato. L’unica cosa certa, a questo punto è che le alternative sono due: il rimpasto, suggerito anche dal segretario del Pdl Angelino Alfano, che ha chiesto a Formigoni di «azzerare tutto e ricominciare da capo» o le elezioni anticipate, chieste a gran voce dall’opposizione, che ha minacciato le dimissioni di massa ma che per ora sembra restare alla finestra in attesa degli eventi.
CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
Intanto il giudice della IV sezione penale di Milano lo ha condannato per diffamazione a 900 euro di multa mentre il pm Mauro Clerici aveva chiesto per lui una condanna a un anno di reclusione e 500 euro di multa. In più dovrà risarcire la somma complessiva di 110.000 euro ai Radicali. Secondo l'accusa, il governatore lombardo aveva accusato con una serie di dichiarazioni alla stampa il partito dei Radicali di ''avere ordito un complotto'' contro di lui, incolpandoli di avere manipolato le firme a sostegno della sua lista.
«Se cade la Lombardia – ha voluto precisare –, i leghisti sappiano che cadranno anche il Veneto e il Piemonte, che fanno parte dello stesso accordo elettorale che mi ha portato a essere nuovamente il presidente della Regione». Niente scherzi, dice dunque Formigoni a Maroni e compagni, se fate lo sgambetto a me, qui in Lombardia, il Pdl saprà come reagire nelle due realtà dove al momento governa la Lega, il Veneto con Zaia e il Piemonte con Cota. «Spetta a loro decidere se far cadere le tre giunte», ha concluso sibillinamente.
Una posizione forte, quella di Formigoni, testimoniata anche dal fatto che appena saputo delle dimissioni degli esponenti leghisti ha provveduto a togliere loro le deleghe destituendoli dall’incarico di assessore e cominciando già a pensare a chi affidare importanti poltrone come quella di assessore alla Sanità.
Dopo avere risposto alla Lega, Formigoni ha voluto sottolineare la sua opinione riguardo la questione che ha coinvolto l’assessore Domenico Zambetti, accusato di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta. «Ha tradito il suo presidente e il suo partito», ha detto senza mezzi termini il presidente regionale, aggiungendo che la vicenda è di «una gravità assoluta ed è del tutto inaccettabile».
Ora la palla passa dunque alla Lega, che nelle intenzioni avrebbe invece sperato che la decisione finale fosse presa dal loro alleato. L’unica cosa certa, a questo punto è che le alternative sono due: il rimpasto, suggerito anche dal segretario del Pdl Angelino Alfano, che ha chiesto a Formigoni di «azzerare tutto e ricominciare da capo» o le elezioni anticipate, chieste a gran voce dall’opposizione, che ha minacciato le dimissioni di massa ma che per ora sembra restare alla finestra in attesa degli eventi.
CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
Intanto il giudice della IV sezione penale di Milano lo ha condannato per diffamazione a 900 euro di multa mentre il pm Mauro Clerici aveva chiesto per lui una condanna a un anno di reclusione e 500 euro di multa. In più dovrà risarcire la somma complessiva di 110.000 euro ai Radicali. Secondo l'accusa, il governatore lombardo aveva accusato con una serie di dichiarazioni alla stampa il partito dei Radicali di ''avere ordito un complotto'' contro di lui, incolpandoli di avere manipolato le firme a sostegno della sua lista.
‘Ndrangheta in Lombardia, in un pizzino il patto dei clan con l’assessore Zambetti. - Davide Milosa e Mario Portanova.
“Hai visto quel “pisciaturu” (ndr: uomo di poco conto) di Zambettti come ha pagato … eh … lo facevamo saltare in aria … Ciru’ … eh … tu l’avevi letta la lettera che gli hanno mandato?”. Così un presunto ‘ndranghetista, Eugenio Costantino, parla di un assessore regionale della Regione Lombardia, Domenico Zambettti, con delega alla Casa, arrestato oggi con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso e altri reati. Costantino si riferisce a un “pizzino”, in pratica un patto pre-elettorale con il politico del Pdl che alle elezioni regionali del 2010 ha poi conquistato 11mila preferenze, risultando tra i più votati in assoluto. E’ uno dei particolari che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandro Santangelo su richiesta del pm Giuseppe D’Amico, della Direzione distrettuale antimafia di Milano. L’inchiesta è stata condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri, avviata dal comandante Antonino Bolognani e proseguita dal suo successore Alessio Carparelli.
Spiega ancora Costantino: “Gli hanno mandato una lettera dopo… tramite me… che quando l’ha letta, figlio mio… le orecchie si sono “incriccate così”… e fino a quando non ha risolto il problema … che lì gli è andato … lu “diabete””. Una lettera ben fatta, tanto che si vedeva “che avevano gente laureata nel gruppo”, che conteneva la “cronostoria (sic) di come sono iniziate le cose, di come erano i patti e di come andava a finire”. Di fronte al documento compromettente, l’assessore Zambetti si sarebbe “messo a piangere”, sempre nel racconto del presunto uomo delle cosche al nord. “E piangeva per la miseria, si è cagato sotto, cagato completo, totale”. Per gli ‘ndranghetisti questa è una ”soddisfazione”. Perché “il potere lo hanno i politici e la legge, però ogni tanto vaffanculo, con l’aiuto degli amici, una soddisfazione ogni tanto ce la prendiamo… vaffanculo… lui lo sai quante persone fa piangere? Ecco perché io sarò sempre dalla parte della delinquenza”.
IL BOSS ALL’ASSESSORE: “ATTENTO AL MANGIARE”. In una telefonata intercettata il 15 marzo 2011 Giuseppe D’Agostino, legato al clan Morabito, parla con l’assessore Zambetti con “toni decisi e autorevoli, nei quali è possibile scorgere una sottintesa quanto velata minaccia”, nota il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. D’Agostino si interessa dello stato di salute dell’assessore: “Bisogna fare attenzione”, e dopo una lunga pausa aggiunge “con il mangiare”. E il politico appare “spaventato e rassegnato”. D’Agostino prosegue: “Mi permetto di ricordarle la faccenda della figlia del nostro amico”, riferendosi alla “questione relativa all’assunzione della figlia di Eugenio Costantino”, considerato “rappresentante” della cosca Mancuso. La telefonata, secondo il gip, ottiene “il suo scopo”. Il politico risponde al presunto boss: “Ok, tranquillo che lo farò”. E D’Agostino: “Tante, tante buone cose lei e la famiglia, stia tranquillissimo su tutto, stia bene”.
EXPO 2015, MERCE DI SCAMBIO: “ZAMBETTI CI DARA’ I LAVORI”. C’è l’Expo 2015 tra la nerce di scambio del presunto patto politico-mafioso. Degli appalti per la grande esposizione in programma a Milano parlano Eugenio Costantino e un altro arrestato, Alessandro Gugliotta. Il primo prospetta al suo interlocutore “la possibilità di ottenere agevolazioni nell’assegnazione di lavori e appalti pubblici gestiti dalla Regione Lombardia come reiteratamente promessogli dallo stesso assessore regionale Domenico Zambetti”. Dice Costantino in una conversazione intercettata: “Però, adesso ti faccio un esempio… Se Zambetti ci dà un lavoro, o noi gli diciamo: ‘Mimmo, guarda che c’è quel lavoro, c’è che ce lo devi far dare, adesso tu sai che c’è l’Expo, lui ci può aiutare, e lì guadagniamo tutti noi. E ancora: “Noi dobbiamo dirgli: ‘Mimmo noi sappiamo che c’è il bando di questa cosa, lui me l’ha detto chiaro, noi sappiamo che lì si può prendere… Lui farà di tutto per farcelo avere… Lui ci aiuta non è una persona cattiva, a me risponde sempre al telefono quando lo chiamo…”.
Come rilevato da altre inchieste sulla ‘ndrangheta in Lombardia, il rapporto con la politica è sempre funzionale a far girare il sistema delle aziende mafiose: “Vedi che guadagniamo anche noi anche perché noi le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono, però lui ha detto anche una cosa, se voi trovate un lavoro segnalatemelo. Quindi noi dobbiamo trovare dei lavori e lui ce li fa fare in qualche modo…”.
“HO ORGANIZZATO 200 CENE ELETTORALI, TANTO PAGANO I CONTRIBUENTI”. ”Ho organizzato forse duecento cene fino adesso (…) io sto facendo parecchie campagne elettorali (…) mi sono scelto i più belli locali di Milano”. Così il presunto boss della ‘ndrangheta, Eugenio Costantino, intercettato, spiega a un’amica il suo attivismo nell’organizzazione di cene per campagne elettorali nel Milanese, comprese quelle per l’assessore regionale Zambetti, arrestato oggi. “Oh, l’assessore che gli abbiamo fatto noi la campagna elettorale, hanno speso più di quattro milioni di euro, mamma mia, quattro milioni di euro”, dice ancora Costantino al telefono nel giugno 2011. E all’amica, che gli chiede chi abbia pagato quegli eventi per le campagne elettorali che lui organizza, il presunto boss risponde: “Gli investitori, allora un po’ il partito diciamo se è la sinistra un po’ la sinistra se è il Pdl… noi chi li paga, siamo noi contribuenti”.
“IL CANDIDATO E’ UN BUSINESS”. Le carte dell’inchiesta raccontano l’avvicinamento a Vincenzo Giudice, esponente del Pdl, per convogliare voti sulla figlia Sara, candidata per il Terzo Polo al consiglio comunale di Milano nel 2011. Vincenzo Giudice è indagato, mentre Sara è estranea all’inchiesta, ma gli inquirenti sottolineano l’inconsapevolezza dei legami criminali degli interlocutori. Ma un’intercettazione del solito Costantino illustra la strategia politica della ‘ndrangheta a Milano. Sara Giudice ”non è con il Pdl”, realizza a un certo punto Costantino, ma “sta ragazza che si presenta, è con una lista civica, però la cosa è buona, perché, essendo con una lista civica, se loro riescono a fargli fare il primo posto, come preferenza, lei si piglia, fa la consigliera sicuro. Stiamo parlando del Comune di Milano. Una ragazza laureata di 23- 27 anni, fa una carriera, non ci vuoi niente eh. E’ tutto un business”.
IL VOTO DELLE COSCHE. Ma come avviene il controllo dei voti in Lombardia, secondo l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia? Le 4mila preferenze (su oltre 11mila totali) raccolte in favore di Zambetti alle Regionali del 2010 “mediante la pressione rappresentata dalla forza di intimidazione dell’associazione mafiosa” sarebbero state vendute al politico per la somma, pagata “in più rate” e in contanti,di almeno 200 mila euro. Costo unitario, 50 euro a voto. “Gli esponenti della cosca Barbaro-Papalia procuravano circa 500 voti nella loro area di tradizionale influenza (Corsico, Buccinasco ed hinterland Sud di Milano)”, si legge nell’ordinanza. Eugenio Costantino, quello dell’intercettazione sul pizzino, “aveva procurato circa 700- 800 voti nell’area del Magentino“, tra Milano e Novara. E a Milano città “venivano raccolti complessivamente 2.500 voti di preferenza”, per la maggior parte raccolti da Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, ex sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi. Ambrogio, secondo i magistrati della Dda, li raccoglieva soprattutto nei quartieri periferici della città “forte dei suoi legami con ambienti della criminalità napoletana, siciliana e calabrese”.
A portare acqua al politico del Pdl sarebbero stati, oltre ai Barbaro-Papalia, altri nomi ricorrenti della ‘ndrangheta in Lombardia, come il clan Onorato, protagonista dell’inchiesta Metallica. Ed emergono contatti su questo fronte con Domenico Pio, accusato di essere il capo della ‘ndrangheta a Desio, città brianzola dove l’inchiesta Infinito del 2010 provò un’ampia collusione politico-mafiosa.
LA SORELLA DEL BOSS ALL’AZIENDA DELLE CASE POPOLARI. Non solo gli appalti di una grande opera come l’Expo. L’assessore Domenico Zambetti si sarebbe speso in favore delle cosche anche per favori più “spiccioli”. Per esempio, l’ordinanza riporta “la promessa fatta da Zambetti a Eugenio Costantino di interessarsi per il rinnovo del contratto da parrucchiera in favore di Mara Costantino, sorella dell’indagato; l’attivazione di Zambetti per procurare l’assegnazione di una casa Aler in favore dell’amante di Costantino; l’assunzione – su sollecitazione di Costantino e di Giuseppe D’Agostino – di Teresa Costantino, figlia di Eugenio, presso l’Aler, ente pubblico controllato dall’assessorato di Zambetti, e la successiva assegnazione alla stessa di mansioni più gradite presso la Direzione Generale del predetto ente pubblico”.
Altre notizie da Tiscali
Costi politica, Lombardia: tre consiglieri indagati per truffa aggravata e peculato.
Ispezioni a sorpresa nella sede del Consiglio regionale lombardo e nelle Marche. Al Pirellone i finanzieri hanno sequestrato i rendiconti completi delle spese sostenute dai gruppi di Pdl e Lega Nord dal 2008 al 2012. In particolare, la documentazione riguarda i loro viaggi, cene e spese di comunicazione e rappresentanza.
Dopo Lazio, Campania, Emilia Romagna e Piemonte, oggi tocca a Lombardia e Marche. Ispezione a sorpresa degli agenti della Guardia di Finanza nei due consigli regionali per compiere acquisizioni per accertamenti sulle spese dei gruppi regionali. Al Pirellone risultano indagati i consiglieri Davide Boni (Lega), Franco Nicoli Cristiani e Massimo Buscemi (Pdl) per peculato e truffa aggravata. Al centro viaggi, cene e spese di comunicazione e rappresentanza del gruppo consiliare Pdl-Lega tra il 2008 e il 1012. I finanzieri hanno acquisito tutta la documentazione presso l’assessorato al Territorio e Urbanistica, l’assessorato alla Cultura e Giovani, la Presidenza e l’ufficio di Presidenza. L’indagine riguarda in particolare le spese da loro sostenute ”nel periodo intercorso tra l’inizio di questa legislatura e marzo 2012”, come hanno affermato in una nota congiunta il presidente del consiglio regionale della Lombardia Fabrizio Cecchetti (Lega Nord) e i vicepresidenti Carlo Saffioti (Pdl) e Sara Valmaggi (Pd).
In sostanza, quando era presidente del Consiglio regionale Davide Boni, che si è dimesso da presidente del Consiglio regionale a seguito delle accuse di corruzione a suo carico. Buscemi, ex assessore alle Risorse idriche, è inoltre marito della figlia di Pierangelo Daccò, il faccendiere accusato di associazione per delinquere, bancarotta e altri reati nell’inchiesta sul dissesto dell’ospedale San Raffaele, è stato condannato con rito abbreviato a 10 anni di carcere.
Lombardia – I finanzieri che questa mattina sono entrati al Pirellone hanno portato via borsoni e trolley contenenti presumibilmente dei documenti, che sono stati prelevati al nono piano del grattacielo, dove si trova l’ufficio legale del Consiglio. ”Non abbiamo nulla da nascondere, ed è curioso che per indagini che non riguardano i fondi dei gruppi ma i singoli consiglieri regionali vengano acquisiti i documenti di tutto il gruppo consiliare, e solo di Pdl e Lega Nord’’, ha detto il capogruppo regionale del Pdl Paolo Valentini. “La richiesta di documenti da parte della Guardia di finanza – ha sottolineato il capogruppo della Lega Nord Stefano Galli – è collegata all’indagine in corso riguardante il consigliere regionale Davide Boni e non riguarda l’inchiesta sull’utilizzo dei fondi consiliari in corso in altre Regioni italiane”. A quanto si apprende, per ora non ci sarebbero state acquisizioni di documenti negli uffici degli altri gruppi consiliari, e l’intervento delle Fiamme gialle si sarebbe concentrato negli uffici di Pdl e Lega Nord.
Altre notizie da Tiscali
Sara Giudice, da eroina anti Minetti ai voti della ‘ndrangheta: “Un complotto”.
Nel pieno dello scandalo escort, Sara Giudice diventò una sorta di eroina della politica pulita. Giovanissima esponente del Pdl milanese, aveva criticato apertamente l’elezione di Nicole Minetti nel listino bloccato del consiglio regionale della Lombardia. Sommersa di critiche dai fedelissimi di Silvio Berlusconi, era passata a Fli, raccogliendo oltre 1000 voti alle comunali del 2011, restando fuori dal consiglio solo per lo scarso successo del Terzo polo di Fini e Casini. Ora proprio quei voti la proiettano nell’incubo dell’inchiesta per voto di scambio politico-mafioso che ha portato in carcere l’assessore regionale lombardo alla casa Domenico Zambetti. Sara non è indagata, perché il contatto con l’emissario delle cosche lo ha avuto suo padre Vincenzo Giudice (nella foto padre e figlia insieme a una manifestazione) già presidente del consiglio comunale di Milano per il Pdl, che infatti è finito sotto inchiesta. Dopo l’arresto di Zambetti, Sara Giudice ha convocato i giornalisti davanti a Palazzo Marino, sede del Comune, e ha parlato apertamente di un “complotto” organizzato per distruggerla politicamente (guarda il video). Comunque sottolineano gli inquirenti nelle carte dell’inchiesta, nessun elemento prova che il padre fosse a conoscenza dei rapporti criminali del suo interlocutore, né che la figlia fosse a conoscenza dell’accordo stretto.
Protagonista dell’avvicinamento, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del tribunale di Milano, Eugenio Costantino, indicato come un referente del clan Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), da tempo radicato in Lombardia, in particolare in Brianza. Presentandosi con le false generalità dell’”avvocato Roberto Licomo”, nel maggio 2011 Costantino ha incontrato Vincenzo Giudice “come rappresentante di una cordata di imprenditori e di liberi professionisti”. In quel momento, Giudice è presidente della Metro Engineering srl, società partecipata della Metropolitana Milanese Spa. Il sedicente avvocato, continua il gip, gli propone “un accordo corruttivo“. Vale a dire, ”la promessa di raccogliere voti a favore della figlia dello stesso Giudice, Sara, candidatasi alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale di Milano, a fronte della promessa concreta di assegnazione preferenziale di appalti e lavori pubblici per la costruzione della metrotranvia di Cosenza (di cui Mm aveva ottenuto l’appalto, ndr) e successivamente riguardanti le scuole”. Appalti che “come esplicitato dallo stesso Costantino, sarebbero stati girati a società e cooperative controllate da gruppi della ‘ndrangheta“. In seguito all’incontro, l’intermediario si è dato da fare per la raccolta dei voti – con un apporto finale stimato in 3-400 preferenze - rivolgendosi a “esponenti dei clan Di Grillo-Mancuso e Morabito-Bruzzaniti-Palamara“.
Il politico incontra il presunto emissario delle cosche due volte, tra aprile e maggio maggio 2011. Secondo il gip, ”Giudice rifiutò l’iniziale richiesta di erogazione di denaro in cambio dei voti a favore della figlia, e promise, quale corrispettivo dei voti, l’assegnazione dei predetti lavori pubblici”. Il tutto, sottolinea in più punti l’ordinanza, senza sapere nulla dei rapporti criminali della persona che si trovava di fronte.
Video shock a “Chi l’ha visto”, bambino portato via con la forza a Padova.
Video straziante trasmesso ieri sera durante “Chi l’ha visto”, su Rai Tre. Il filmato immortala un bambino di dieci anni, prelevato dalla polizia mentre si trovava a scuola, in un paese in provincia di Padova, e poi trascinato con la forza tra le urla disperate del piccolo e della zia, autrice del video. Il bimbo è al centro di una drammatica guerra tra i suoi genitori separati. Secondo l’ordinanza del giudice, avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura protetta per poi essere affidato al padre. Nel provvedimento si precisa anche che il papà avrebbe potuto avvalersi, se strettamente necessario, “dell’ausilio dei Servizi Sociali e della Forza Pubblica, da esplicarsi nelle forme più discrete e adeguate al caso”. Quando la polizia riesce a caricare il bambino nell’auto, la zia chiede le ragioni dell’accaduto. Un’ispettore donna le risponde che non è tenuta a dare spiegazioni. E aggiunge: “Io sono un poliziotto. Lei non è nessuno”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/11/video-shock-visto-bambino-portato-forza-padova/207122/
Il giudice ordina di affidarlo al padre: bimbo preso con la forza a scuola.
VENEZIA - Una lunga guerra di carte bollate tra genitori che dal 2004 si disputano la custodia del figlio che ora ha dieci anni e frequenta la quinta elementare, ha avuto ieri un drammatico epilogo in una scuola di Cittadella. Il bimbo portato via con la forza dalla propria classe ha cercato in tutti i modi di evitare il trasferimento in un istituto dove sarà ospitato, per preparare l'affidamento in via esclusiva al padre. Così ha stabilito un decreto della Corte d'appello di Venezia che è stato esibito da un drappello di assistenti sociali, un medico, dal padre del bimbo e alcuni poliziotti che si sono presentati dopo mezzogiorno alla direttrice dell'istituto, Marina Zanon.
In quelle pagine si stabilisce «l'allontanamento del minore dall'ambiente materno e il suo affido in via esclusiva al padre», con collocamento in una comunità. Era solo la prima di una serie di sequenze che si sono fatte sempre più concitate. Il dirigente scolastico non ha consentito agli agenti di entrare in classe. Ha chiesto al maestro di far uscire il piccolo e di portarlo in aula magna. Ma lui ha capito che erano venuti a prenderlo. Ci avevano provato altre quattro volte, dal 25 agosto in poi, ad eseguire il provvedimento che lo toglie alla madre, laureata in farmacia, per affidarlo al padre, un avvocato padovano.
La prima volta si era rifugiato nella sua cameretta, rimanendo aggrappato alla rete del letto ore. Anche le altre volte aveva opposto una resistenza tale da far sospendere l'esecuzione.
Visto il rifiuto ad uscire di classe, il direttore didattico ha preferito far allontanare gli altri compagni. Aggrappato al suo banco è rimasto solo il bimbo, il cui comportamento scolastico viene considerato irreprensibile. Ad entrare sono stati gli assistenti sociali, il medico e il padre. Ma la reazione è stata molto violenta.
L’ultima scena è la più drammatica, anche perché documentata da fotografie e riprese di una videocamera. Il bimbo è stato letteralmente portato via con la forza, visto che cerca di divincolarsi con altrettanto vigore dettato dalla disperazione. È a quel punto che intervengono anche un paio di agenti dell'Ufficio minorenni della questura. Due persone lo tengono per le gambe. Un altro lo afferra per le spalle, mentre lui tira calci. Cade a terra. Viene trascinato. Si dispera. Tutto inutile. Alla fine viene caricato su un'auto. Fuori dalla scuola ci sono la mamma e i nonni, riprendono la scena con una videocamera. Ci sono molti genitori, altri bambini. La madre ha annunciato che presenterà denuncia e ha chiesto la visita di un pediatra per accertare se il piccolo ha subito lesioni. La questura si è limitata a parlare di «notevoli difficoltà» nell’esecuzione di un provvedimento legittimo.
In quelle pagine si stabilisce «l'allontanamento del minore dall'ambiente materno e il suo affido in via esclusiva al padre», con collocamento in una comunità. Era solo la prima di una serie di sequenze che si sono fatte sempre più concitate. Il dirigente scolastico non ha consentito agli agenti di entrare in classe. Ha chiesto al maestro di far uscire il piccolo e di portarlo in aula magna. Ma lui ha capito che erano venuti a prenderlo. Ci avevano provato altre quattro volte, dal 25 agosto in poi, ad eseguire il provvedimento che lo toglie alla madre, laureata in farmacia, per affidarlo al padre, un avvocato padovano.
La prima volta si era rifugiato nella sua cameretta, rimanendo aggrappato alla rete del letto ore. Anche le altre volte aveva opposto una resistenza tale da far sospendere l'esecuzione.
Visto il rifiuto ad uscire di classe, il direttore didattico ha preferito far allontanare gli altri compagni. Aggrappato al suo banco è rimasto solo il bimbo, il cui comportamento scolastico viene considerato irreprensibile. Ad entrare sono stati gli assistenti sociali, il medico e il padre. Ma la reazione è stata molto violenta.
L’ultima scena è la più drammatica, anche perché documentata da fotografie e riprese di una videocamera. Il bimbo è stato letteralmente portato via con la forza, visto che cerca di divincolarsi con altrettanto vigore dettato dalla disperazione. È a quel punto che intervengono anche un paio di agenti dell'Ufficio minorenni della questura. Due persone lo tengono per le gambe. Un altro lo afferra per le spalle, mentre lui tira calci. Cade a terra. Viene trascinato. Si dispera. Tutto inutile. Alla fine viene caricato su un'auto. Fuori dalla scuola ci sono la mamma e i nonni, riprendono la scena con una videocamera. Ci sono molti genitori, altri bambini. La madre ha annunciato che presenterà denuncia e ha chiesto la visita di un pediatra per accertare se il piccolo ha subito lesioni. La questura si è limitata a parlare di «notevoli difficoltà» nell’esecuzione di un provvedimento legittimo.
In un video si sentono precise le parole pronunciate da una esponente delle forze dell'ordine nei confronti della zia del bambino che chiedeva spiegazioni e cercava di fermare lo scempio: Io sono un'ispettore di polizia, lei non è nessuno.
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