Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 25 ottobre 2012
Beppe Grillo sconvolge la Sicilia. - Roberto Puglisi
Beppe Grillo ha già vinto le elezioni, perché ha cambiato, in Sicilia, la fisionomia del campo di gioco. Un bilancio dei diciassette giorni che sconvolsero l'Isola. Noi l'avevamo detto. QUI
PALERMO- Lo hanno attaccato, sbeffeggiato per la nuotata in odore di icona post-dittatoriale, con poderose bracciate nello Stretto di Messina. Lo hanno messo in mezzo. Lo hanno additato per brutalità ideologica, per anti-politica endemica, corredata di tendenze machiste in chiave elettorale. La verità accertata, al momento, è una sola: Beppe Grillo appare già, senza nemmeno bisogno di aspettare il responso notarile dell'urna, come il vero vincitore morale delle elezioni regionali in Sicilia.
Anzi, gli strali che in pochi temerari hanno avuto il coraggio di lanciargli contro sono rimbalzati sulla spessa corazza mediatica del fondatore del Movimento 5 Stelle che non ha sbagliato un colpo. L' hanno, invece, rafforzato e santificato. Le accuse sono state vissute, sulla pelle del popolo deluso, come i colpi rancorosi di un decrepito sistema di potere che tenti di frapporsi, con i suoi trucchi estremi, al radioso sol dell'avvenire.
Nessuno sa chi sia davvero Beppe Grillo, a parte gli adepti – nelle cui file cui coesistono sessantottini delusi, orfani di Silvio, furbi di tre cotte e ragazzi valorosi –, nessuno conosce l'esatta dimensione del leader che si profila all'orizzonte. E' la tenera maschera del suo "Cercasi Gesù", quando il "comico genovese" stupì con una interpretazione delicata e strepitosa? E' la linguaccia malata di senso civico che sputava sacrosante bestemmie contro il sistema dal palco di Sanremo, quando invitò il pubblico ad alzarsi, "perché io vi faccio ridere e poi mi fanno un culo così?"? E' un uomo cinico che si appresta a cogliere il frutto di una calcolata arte della scena? E' l'utile idiota, il fantoccio di una consorteria composta dalla Casaleggio associati, dalla Spectre, dalla Banda Bassotti e dal Kgb?
Nessuno, appunto, lo sa. Solo una cosa sappiamo e, per onestà di racconto, va scritta: Beppe Grillo, in appena diciassette giorni, dalla nuotata, al comizio di Palermo che si terrà oggi e che Livesicilia seguirà con un video in diretta, alla chiusura di campagna con Giancarlo Cancelleri che è – lo ricordiamo agli smemorati – il vero candidato del Movimento a Palazzo d'Orleans, ha sconvolto la Sicilia, l'arcaica Sicilia col suo sottomondo di riti, consuetudini e ombrosi accordi sottobanco.
I siciliani lo hanno osannato e acclamato. Lo hanno inseguito su ogni piazza, assediato sul treno e rincorso. C'è uno schema mentale prestabilito dalla storia che rende Grillo invincibile. L'idea radicata che sia necessario, a tutti i costi, il nuovo per seppellire le macerie del passato. Un concetto ardimentoso e pericoloso: in Italia, generalmente, ha accompagnato la restaurazione, in altri contesti no. Il signor G. Ha cavalcato l'onda a meraviglia, con sapienza tattica e accortezza. Ha già vinto, perché ha cambiato il campo di gioco.
Prendiamo atto e promettiamo: cercheremo di non chiamarlo più "il comico genovese", dal presente rigo in poi. Beppe Grillo fa sul serio.
http://livesicilia.it/2012/10/25/beppe-grillo-sconvolge-la-sicilia/
Comunque si pensi Grillo ha vinto. - Donato Didonna
Comunque la si pensi, Grillo ha rivoluzionato pacificamente il modo di fare politica in Italia incentrando la comunicazione e l’organizzazione in rete del suo movimento e raccogliendo, low cost, un notevole consenso.
Nel prossimo test siciliano, il M5S “rischia” seriamente di diventare il primo partito e, forse, di esprimere pure il presidente, smentendo così clamorosamente la tesi craxiana dell’ “incomprimibile costo della politica” che di fatto legittimava il finanziamento illecito dei partiti. Il costo della politica è quindi comprimibile e, come direbbe Grillo, poiché la politica si è ridotta ai soldi, bisogna togliere i soldi dalla politica per ridar spazio alle passioni civili.
Detto e fatto! Tra le foto che non vedremo mai della campagna elettorale siciliana, ci sono quelle che ritraggono attivisti del M5S a pulire le piazze dopo i comizi, per lasciarle meglio di come non fossero state trovate, coerentemente con quanto fatto dagli stessi in questi anni in cui si erano adoperati per pulire spiagge, arenili, vie cittadine, ecc. per pura passione e amore verso la cosa pubblica.
Non so a quanto, solo sei mesi fa, i bookmaker avrebbero prezzato questa scommessa e, a dire il vero, neanche se l’avrebbero mai presa in seria considerazione, eppure ci deve essere una valenza strategica se sia gli Alleati che Grillo hanno scelto di sbarcare in Sicilia per cominciare proprio da qui la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo gli uni e dalla partitocrazia l’altro. Perché è evidente che il risultato siciliano avrà ripercussioni sulle successive tornate amministrative e politiche come un fiume in piena anche perché il M5S sta dimostrando capacità logistiche e organizzative davvero notevoli, su basi esclusivamente volontarie.
Grillo il 26 (dopodomani) lascerà comunque la Sicilia mentre rimarranno un bel po’ di candidati eletti all’Ars già il 29. Ho seguito sin dai primi passi (2005) il movimento in Sicilia e mi rendo conto che molti critici parlino non per esperienza diretta. La democrazia è un fenomeno popolare anche se promossa all’origine da elite. In una democrazia non ci si può porre perciò “elitariamente” al di sopra di essa per bacchettarla nel caso si discosti dai propri gusti: la democrazia non è una forma di governo perfetta, ma è solo la migliore che conosciamo. Se i partiti tradizionali si fossero comportati diversamente, il M5S non sarebbe neanche nato, ma così non è stato e la democrazia ha reagito in questo modo, partorendo questo fenomeno che è comunque democratico, anche se non manca certo di un po’ di populismo, di indulgenza con il sicilianismo becero, di credulità verso teorie dei complotti, di ingenuità programmatiche e pure delle dinamiche interne interpersonali comuni ad ogni organizzazione umana. Ma al di là di tutto questo che va comunque paragonato al marcio dei partiti, Grillo e il M5S parlano al cuore della gente in modo credibile e incitandola ad un salutare attivismo civico: “non ci sono salvatori da attendere”.
Il consenso comporta responsabilità: se gli eletti del M5S avranno l’intelligenza politica di farsene carico sopravviveranno altrimenti saranno dimenticati come molti candidati oggi in corsa, dagli impresentabili cuffariani divisi equamente tra Crocetta e Musumeci, all’onnipresente Lombardo attraverso i suoi uomini, alle persone perbene, pure presenti in altre liste minoritarie, che forse non supereranno neanche lo sbarramento.
In una regione in cui la principale industria è stata sinora rappresentata dalla politica e la cultura dominante è stata quella parassitaria, i pentastellati dovranno dimostrare la capacità di fungere invece da efficace antiparassitario all’interno dell’Ars con misure che ripristino il valore del merito, della corretta competizione tra gli operatori, che rimuovano i disincentivi a investire, che taglino senza pietà le spese improduttive e l’invadenza di una burocrazia fine a se stessa perché non c’è nulla di più opposto alla mentalità parassitaria e mafiosa dell’affermazione di questi valori liberali. Se l’impresa riuscirà in Sicilia, non potrà non avere successo anche in Italia e potremo finalmente vedere una luce in fondo al tunnel.
Trattativa Stato-mafia, Mancino chiede il giudizio del tribunale dei ministri.
Dopo la richiesta di stralcio della sua posizione per mancanza di “connessione” con quelle degli altri imputati, l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, attraverso i suoi legali, ha depositato al gup Piergiorio Morosini, davanti al quale si terrà l’udienza preliminare del procedimento sulla trattativa Stato-mafia, una istanza con cui si chiede di trasmettere gli atti al tribunale dei ministri.
Secondo l’ex politico Dc, imputato del reato di falsa testimonianza, il gup dovrebbe dichiararsi incompetente a decidere e inviare il fascicolo al tribunale dei ministri, competente in quanto all’epoca della presunta trattativa Mancino era ministro dell’Interno. Sulla richiesta, probabilmente, il gup si pronuncerà il 29 ottobre, data in cui avrà inizio l’udienza sulla trattativa. Nel procedimento sono coinvolti, oltre a Mancino, i vertici del Ros di quegli anni: il generale Mario Mori, l’ex comandante Antonio Subranni e l’ex capitano Giuseppe De Donno che nel 1992 avrebbero avviato il dialogo con Cosa nostra tramite Vito Ciancimino. E ancora i capimafia Bernardo Provenzano, Totò Riina, Luca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà e Massimo Ciancimino, figlio di don Vito. Nella lista anche l’ex ministro dc Calogero Mannino e il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. L’uno, accusato di avere dato input alla trattativa perché temeva di essere ucciso, l’altro perché si sarebbe proposto come intermediario con i clan dopo l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima.
Le accuse per quelli che vengono ritenuti i principali protagonisti del patto, che parte delle istituzioni avrebbero stretto con Cosa nostra per fare cessare le stragi, sono diverse: minaccia a corpo politico dello Stato per i boss, i carabinieri, Dell’Utri e Mannino. Concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro per Ciancimino jr e falsa testimonianza per Mancino.
mercoledì 24 ottobre 2012
Truffa, indagata la segretaria di Bersani: “Pagata dalla Regione, lavorava per il Pd”. - Emiliano Liuzzi e Nicola Lillo
Quella arrivata oggi è una tegola per il segretario del Pd. Zoia Veronesi, storica segretaria di Pier Luigi Bersani, è indagata dalla procura di Bologna per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna. Secondo gli inquirenti Veronesi, lavorò al fianco di Bersani a Roma, prendendo comunque lo stipendio dalla Regione in un arco di tempo di un anno e mezzo.
Il pubblico ministero che conduce le indagini,Giuseppe Di Giorgio, ha inviato un invito a rendere interrogatorio, che si terrà nei prossimi giorni. La donna, che era dipendente della Regione fino al 28 gennaio 2010, era stata distaccata con un provvedimento della stessa Regione a Roma, dove doveva intrattenere rapporti con le “istituzioni centrali e con il Parlamento”. Ma la guardia di finanza ha appurato che non esiste traccia della sua prestazione lavorativa a favore della Regione in quel periodo, tra il 2008 e il 2009. Avrebbe dunque lavorato, a detta dei pm, per altri a spese della Regione. Un ruolo che era giudicato determinante, ma in realtà Veronesi non venne mai sostituita per ricoprire quell’incarico.
Il 28 gennaio 2010 Veronesi si dimette. Scrive l’Ansa il 6 maggio di quell’anno: “La procura di Bologna sta indagando sulle questioni denunciate negli esposti presentati dal deputato e coordinatore provinciale Pdl Enzo Raisi il 19 marzo scorso e riguardanti l’ufficio della presidenza della Regione Emilia Romagna e quello dell’assessorato alle attività produttive. Il reato ipotizzato dal pm Giuseppe Di Giorgio, titolare dell’inchiesta, e’ abuso di ufficio. In un caso c’e’ un indagato, anche se l’iscrizione sul registro degli indagati rappresenta un atto dovuto. In particolare, Raisi, venivano segnalate presunte anomalie o irregolarita’ sull’incarico assegnato all’ex segretaria di Pier Luigi Bersani Zoia Veronesi, come dirigente professional per il raccordo con le istituzioni centrali e il Parlamento, ruolo che, secondo Raisi all’epoca e secondo i magistrati oggi, le avrebbe permesso di continuare a lavorare per Bersani.
Il legale di Veronesi, l’avvocato Paolo Trombetti, ha spiegato che “il pm ci ha invitato a rendere un interrogatorio, cosa che faremo senz’altro perché abbiamo interesse a chiarire che non c’è stata alcuna irregolarità da parte di chicchessia, tanto più dalla signora Veronesi”. “Respingiamo – continua Trombetti – l’accusa di truffa, non c’è alcuna ombra. Chiariremo tutto. È una vicenda in cui nulla le può essere rimproverato”. Oggi Veronesi non è più una dipendente della Regione, ma lavora tra Roma e Bologna alle dipendenze del Partito democratico. E sicuramente è stipendiata dalla federazione di Roma, perché il suo nome non figura tra quelli dei funzionari stipendiati del Pd di Bologna.
L’inchiesta che vede coinvolta la segretaria di Bersani è nata nel 2010 da un esposto (su cinque presentati sulla mala gestione della Regione Emilia Romagna) del deputato di Futuro e Libertà, Enzo Raisi e del consigliere comunale di Bologna Michele Facci (Pdl). Veronesi, quando furono presentati gli esposti, interruppe il suo rapporto con la Regione e venne assunta a Roma dal Partito Democratico.
Zoia Veronesi è l’assistente personale del segretario del Pd, lo affianca dal 1993. Iniziò a collaborare con Bersani, infatti, quando divenne presidente della Regione Emilia Romagna, nei primi anni novanta. Da allora Veronesi lo ha seguito in ogni nuovo incarico, da parlamentare, a ministro dello Sviluppo Economico fino a oggi da segretario politico.
Dal giugno del 2008 al gennaio 2010 venne inquadrata in una nuova posizione dirigenziale per tenere il “raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento”. Una posizione istituita dalla Regione (a firma del capo di gabinetto, Bruno Solaroli) il 27 maggio 2008, poco dopo la caduta del governo Prodi.
Quello che Raisi si domanda è se fu solo “una coincidenza il fatto che la Regione abbia istituito una nuova posizione dirigenziale nel maggio 2008, cioè subito dopo la formazione e il cambio del nuovo governo nazionale per permettere alla signora Veronesi di rimanere a Roma, anche dopo il venire meno dell’incarico al ministero?”. Zoia Veronesi, dopo la presentazione dell’esposto e l’inchiesta della magistratura, si è poi dimessa dalla Regione il 28 gennaio 2010 e dall’aprile successivo ha accettato di lavorare di nuovo con Bersani diventato segretario del Pd.
Enzo Raisi ha spiegato che “nel 2010 feci cinque esposti sulla mala gestione della Regione. Uno di questi riguardava la Veronesi. Avevo avuto dei documenti e delle carte dove si configuravano dei reati a suo carico. Ho verificato la loro veridicità, presentandoli alla magistratura”. Inoltre il coordinatore regionale di Fli in Emilia Romagna ha aggiunto al fattoquotidiano.it che per quella nuova posizione dirigenziale “questa signora fu nominata dirigente senza una laurea”
Nel Partito Democratico si mostrano sereni. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha accolto con “assoluta serenità” la notizia dell’indagine nei confronti della sua storica segretaria. Mentre da Largo del Nazareno dicono che “a onor del vero, per il partito, Zoia, ha fatto per molto tempo del volontariato”. Ed è questa la posizione assunta dalla difesa di Veronesi. L’avvocato Trombetti ha infatti spiegato che Veronesi “lavorava per la Regione a Roma e in quel periodo ha fatto solo attività volontaria per Bersani, fuori dall’orario di lavoro, tenendo la sua agenda”.
Il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha spiegato che “le indagini allo stato sono circoscritte alla signora Veronesi. Ovviamente sono stati acquisiti ed esaminati tutti i documenti sull’iter burocratico relativo al distacco a Roma”.
Il Pd, in una nota, fa sapere che si tratta di un’indagine vecchia, e forse non casualmente emersa oggi alla vigilia delle primarie. In realtà qualcosa è accadiuto in questi giorni: Veronesi, infatti, dovrà essere interrogata e i magistrati, pochi giorni fa, le hanno recapitato l’avviso di garanzia: prima non sapeva di essere indagata se non per vie ufficiose.
Diffamazione, emendamento Pdl vieta di parlare male della Casta.
L'onorevole Lucio Malan, impegnato a votare al posto di un collega.
Dal senatore Malan una norma per inasprire le sanzioni per chi offenda "corpo politico, giudiziario o amministrativo" con attribuzioni di "spese folli, inefficienze non sussistenti o paragoni falsi".
Non bastavano le maxi multe, non bastava la norma per imbavagliare gli editori, ora nel disegno di legge Salva Sallusti che riforma il reato di diffamazione spunta un emendamento firmato dal Pdl Lucio Malan che punta a tutelare ‘la casta’ politica e istituzionale dalla pubblicazione di articoli che rivelino spese folli, come quelle, ad esempio, per i festini dei consiglieri regionali del Lazio o mega stipendi di chi riveste un ruolo pubblico ma che non sono esattamente conteggiabili perché magari frutto di cumuli.
E’ quanto in sostanza prevede l’emendamento che a breve verrà depositato in aula al Senato sull’offesa a un corpo politico o amministrativo. In base alla proposta del senatore Malan – già noto alle cronache della Casta per essere stato pizzicato a votare per colleghi assenti, per una espulsione dal Senato dopo il lancio del regolamento contro l’allora presidente Marini, per avere contrattualizzato moglie e nipote nel suo staff – chi riporterà notizie ritenute offensive, anche solo perché si parla di inefficienza di una pubblica amministrazione, ci sarà un aumento delle pene. Nel testo si legge che le pene per diffamazione a mezzo stampa sono aumentate “se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio. Costituisce in ogni caso offesa a tali soggetti, l’attribuzione di specifiche gravi inefficienze non sussistenti, di gravi eccessi non reali di spese, di emolumenti presentati come eccessivi e non realmente erogati, di paragoni falsi con altre analoghe istituzioni o procedure, e ogni altra attribuzione di fatti non reali, i quali suscitino il discredito nei confronti di detti soggetti”.
Il testo è lo stesso dell’emendamento che lo stesso Malan aveva già presentato in commissione Giustizia. Quel che cambia rispetto al testo della commissione è che il senatore aveva proposto anche di quantificare l’aumento della pena in “cinque volte” quella prevista. Ora la quantificazione è sparita. Malan spiega: “E’ giusta la trasparenza. Ma quando la trasparenza si trasforma in menzogna deve essere chiaro che questa è la diffamazione di un organo politico o amministrativo”.
Finmeccanica, la tangente per la maxi-commessa (saltata) e il ruolo di Berlusconi.
Affari, politica e il sospetto della più grande tentativo di corruzione (fallito) della storia: 550 milioni di euro di tangente da ripartire, secondo la gola profonda Lorenzo Borgogni, ex responsabile delle comunicazioni di Finmeccanica, tra l’ex ministro Claudio Scajola, l’onorevole Pdl Massimo Nicolucci e l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin. L’inchiesta Finmeccanica - con l’arresto di Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale e attuale senior advisor per i rapporti con la Russia, gli avvisi di garanzia all’ex ministro Pdl Claudio Scajola, al deputato Massimo Nicolucci e al presidente degli industriali napoletani Paolo Graziano - ieri è deflagrata aprendo nuovi scenari. Anche quello di pressioni su Silvio Berlusconi da parte dell’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola, in carcere da mesi per i finanziamenti all’editoria e gli appalti per le carceri modulari a Panama. Ma non solo: il Cavaliere, stando alle carte, avrebbe raccomandato un senatore Pdl per un ulteriore affare in Indonesia. Il politico poi avrebbe poi chiesto “provvigioni” a Finmeccanica come compenso dell’intermediazione. Insomma, in questa vicenda, che per le cifre fa impallidire la storica maxi-tangente Enimont l’ex presidente del Consiglio sembra sponsorizzare potenziali corrotti.
I nuovi sviluppi dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Francesco Greco e dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock portano anche in Brasile, Panama, Russia. Un sistema di corruzione internazionale che potrebbe avere precedenti solo guardando indietro di 20 anni. Gli inquirenti hanno messo nel mirino due importati affari, che tuttavia non sono andati in porto. Si parla di commesse da 180 milioni di euro per la fornitura di elicotteri, cartografia del territorio e sistema di vigilanza costiera, sempre a Panama: 18 milioni di euro la mega mazzetta che avrebbe dovuto intascare il presidente panamense Ricardo Martinelli) , vicenda che il gip definisce “raccapricciante”. E di un contratto per la fornitura di navi da guerra alla Marina militare brasiliana, un business da ben cinque miliardi di euro.
Berlusconi, Lavitola e l’ex dg convocato a Palazzo Grazioli. Lo stretto rapporto tra l’ex premier e il faccendiere Valter Lavitola è lo sfondo invece su cui si muove la vicenda dell’appalto Fincantieri-Finmeccanica per navi al Brasile. Giuseppe Bono, dg di Finmeccanica dal 1997 al 2000 e ad Fincantieri dal 2002, ascoltato a Napoli il 26 settembre scorso racconta dell’accordo stipulato da Fincantieri e il governo brasiliano per una fornitura di navi per un valore di 5 miliardi di euro, ripartiti al 60% per la sua azienda e al 40% per Finmeccanica e società del gruppo fornitrici di sistemi di controllo e combattimento. Dopo la stipula dell’accordo “Lavitola – dichiara agli inquirenti – venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l’attività svolta ….io non ritenevo che l’azienda dovesse alcunché al Lavitola, perché non aveva ricevuto alcun incarico in tal senso…. Fui convocato telefonicamente da Berlusconi a Palazzo Grazioli … Lavitola mi aveva preannunciato questa telefonata. Andai con l’avvocato Iannucci…In quell’occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile; ebbi la netta impressione che Berlusconi era pressato da Lavitola”. Il top manager aggiunge che quell’incontro si svolse tra febbraio e marzo 2011 e poi non ebbe più occasione di incontrare Lavitola per le vicende brasiliane. Per gli inquirenti l’inchiesta vede ancora una volta giocare un ruolo attivo dell’ex direttore dell’Avanti . Nei confronti del giornalista il gip ha respinto la richiesta di un nuovo arresto, essendo già detenuto con accuse simili, mentre ha ordinato il carcere, per concorso in corruzione internazionale.
Scajola “canale privilegiato”. E’ Lorenzo Borgogni, ex responsabile comunicazioni esterne di Finmeccanica, a mettere nei guai l’ex ministro e ha rivelare il sistema. In un verbale del novembre dell’anno scorso racconta: “Pozzessere mi disse che Graziano era parte attiva, oltre a Fincantieri e Finmeccanica, nell’affare delle fregate e mi disse chiaramente di aver capito il motivo per il quale Fincantieri – nostra partner nell’affare – era molto più avanti di noi, e cioè di Finmeccanica; in poche parole Pozzessere mi disse che il dott. Bono di Fincantieri e Graziano gli avevano chiaramente detto di aver trovato un canale tra l’Italia e il Brasile tale da agevolarli nei rapporti con l’allora ministro della Difesa brasiliano Jobin, canale trovato da Graziano. Subito dopo tale colloquio, che avvenne nel 2009, io chiamai immediatamente, chiesi di incontrare e incontrai il mio amico Graziano, che conoscevo da tempo, appunto per chiedergli quale fosse il suo canale e se c’era la possibilità che anche noi di Finmeccanica potessimo beneficiare di tale canale privilegiato”. “In quell’occasione, siamo tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, Graziano mi disse – prosegue Borgogni – che il canale privilegiato tra Fincantieri e il governo brasiliano era rappresentato dall’onorevole Claudio Scajola e dal parlamentare napoletano, della corrente di Scajola, on.Nicolucci, e ciò perché Scajola era molto legato al ministro della Difesa brasiliano Jobin; preciso che, anche se all’epoca Scajola era ministro dello Sviluppo economico, in realtà il suo dicastero non aveva nulla a che vedere con l’affare della fornitura delle fregate nel quale era invece semmai coinvolto il ministero della Difesa. In tale occasione il mio amico Graziano scese nei dettagli e mi spiegò che lui aveva creato il contatto tra l’on. Nicolucci di Napoli e il dott. Bono di Fincantieri e che l’on. Nicolucci era praticamente un emissario dell’on. Scajola il quale appunto aveva il contatto con il ministro brasiliano Jobin. Dunque Scajola, contattato attraverso Nicolucci, si era impegnato ad intervenire su Jobin appunto per favorire Fincantieri”.
La tangente dell’11 per cento. Sempre nello stesso verbale Borgogni spiega il meccanismo: “Ancora successivamente Pozzessere mi disse di aver appreso da Bono, o comunque da Fincantieri, che in cambio delle agevolazioni era stato pattuito un ritorno che avrebbe dovuto pagare la stessa Fincantieri quale contratto di agenzia dell’ammontare dell’11 per cento dell’affare complessivo, pari quest’ultimo, per la sola parte di Fincantieri, a 2,5 miliardi di euro”. La “cifra di ritorno percentuale, secondo quanto riferitomi da Pozzessere, doveva essere parzialmente destinata tra Scajola e Nicolucci da una parte e Jobin dall’altra. In una fase immediatamente successiva appresi sia da Pozzessere sia dall’ad Guarguaglini, evidentemente messo a parte da Pozzessere, che era stata chiesta anche a noi di Finmeccanica la stessa percentuale di ritorno dell’11 per cento della nostra parte di affare, pari anch’essa a 2,5 miliardi di euro; a tal riguardo Guarguaglini mi disse di aver detto a Pozzessere che la percentuale massima di ritorno che lui era disposto a pagare era quella del 3 per cento. Come ho detto tale percentuale doveva essere pagata sia da Fincantieri sia da Finmeccanica tramite la stipula di un contratto di agenzia in Brasile in capo ad un agente evidentemente indicato dal ministro Jobin. Non so se Finmeccanica o qualche società del gruppo ha già stipulato un contratto di agenzia, credo che Fincantieri l’abbia sicuramente stipulato, almeno così mi è stato detto”.
Il senatore Caselli “raccomandato” da Silvio per l’affare indonesiano. Tra i protagonisti dell’inchiesta entra anche un altro personaggio Pdl. E’ il senatore Esteban Caselli, originario dell’Argentina ed eletto nella circoscrizione estero, ripartizione America Meridionale, introdotto all’allora direttore commerciale della holding della Difesa, Paolo Pozzessere proprio da Berlusconi. Il politico voleva, come altri, ‘provvigioni’ da Finmeccanica. Il ruolo di Caselli, che per gli inquirenti napoletani potrebbe essere entrato anche nell’affare sfumato con l’Indonesia. Pozzessere racconta tutto agli inquirenti l’11 novembre 2011: “Nel marzo-aprile 2011 mi trovavo al circolo degli Esteri a Roma… quando ho ricevuto una telefonata dal presidente Berlusconi il quale mi chiese se Finmeccanica (o meglio Alenia e Agusta) erano interessate a vendere aerei e elicotteri al Governo dell’Indonesia: a tale domanda io risposi affermativamente e lui mi disse che c’era un suo amico, il senatore Esteban Caselli, che poteva esserci utile, nel senso che Caselli conosceva una persona che poteva esserci utile per la trattativa in Indonesia”.
Quella telefonata tra il manager e Berlusconi – che legge passi di una lettera in cui l’amico di Caselli afferma di essere “in grado di garantire la vendita libera da interferenze, in un’atmosfera di reciproca fiducia con il committente indonesiano” – è agli atti dell’inchiesta. “Dopo qualche giorno – continua Pozzessere davanti ai pm – mi chiamò il senatore Caselli e mi disse che mi avrebbe presentato tale Tsatsiky, che era l’uomo che poteva aiutarci nella trattativa”. Caselli fissò quindi un appuntamento con Tsatsiky nell’ufficio di Pozzessere per il 27 giugno, ma poi lo disdisi dicendo al manager di Finmeccanica che Tsatsiky “non gli aveva fornito sufficienti credenziali”. Le cose in realtà sarebbero andate diversamente, a sentire Pozzessere. Che racconta: “Dopo un po’di tempo un mio collega responsabile di Finmeccanica a Londra, Alberto De Benedictis, mi disse di aver incontrato Tsatsiky il quale gli aveva detto che il senatore Caselli gli aveva chiesto dei soldi per farlo incontrare con me e per avere un mandato di agenzia da Finmeccanica, o meglio da Alenia”. La cosa lasciò “molto perplesso” Pozzessere il quale, “non avendo voglia” di informare personalmente dell’accaduto Berlusconi, incaricò Valter Lavitola, “che è un uomo di Berlusconi … dicendogli che ero molto seccato”. Tempo dopo, ricostruisce sempre il manager di Finmeccanica, il senatore Caselli andò a trovarlo nel suo ufficio “per tutt’altra vicenda”. In quell’occasione i due non parlarono “dei fatti precedenti”, ma il parlamentare – dice ai pm Pozzessere – “mi propose la vendita di un elicottero al ministero dell’Interno e io gli dissi di mettersi in contato con Agusta e cioè la società del gruppo che si occupa di elicotteri; a tal riguardo gli diedi il nominativo della persona di Agusta. Nella medesima circostanza il Caselli mi chiese quale sarebbe stata la provvigione e io gli risposi freddamente che lui era un Senatore della Repubblica e che, semmai, in presenza di presupposti commerciali, la provvigione per un mediatore/agente esperto del settore e per un affare di quel tipo, pari a 4,5 milioni di euro, poteva andare dal 5% al 10%. Ritengo che anche tale vicenda non è andata in porto”.
L’elicottero di Putin. Uno dei filoni porta l’attenzione degli inquirenti in Russia, dove il dirigente arrestato ieri svolgeva per la holding il ruolo di “senior advisor” e dove lo stesso ex direttore commerciale di Finmeccanica intendeva, secondo i magistrati, trasferirsi nel timore di restare coinvolto nella vicenda giudiziaria. In una intercettazione telefonica tra Marco Acca, responsabile vendite del settore militare di AgustaWestland e l’amministratore delegato Bruno Spagnolini. Quest’ultimo, in particolare, raccomanda all’interlocutore, in una conversazione del 16 aprile scorso a proposito di elicotteri (l’inchiesta in origine si concentrava su una mazzetta da 12 milioni di euro per una fornitura di elicotteri all’India, ndr): “Quando parlate di di, se dovete dire che ci volano vari Capi di Stato così, non menzionate Putin perché… Siccome me l’ha detto il...Presidente cioè cioè e loro gliel’avevano fatto vedere…Lei può dire ci volano una miriade di Capi di Stato…ma senza che nessuno dica Putin o che ne so…”. Il gip di Napoli Dario Gallo, nell’ordinanza ricorda che si fa riferimento a elicotteri Agusta e alla loro vendita in favore di vari capi di Stato stranieri. “Lo stesso Spagnolini – scive il gip – aggiunge che ciò è voluto dal presidente (evidente il riferimento a Orsi Giuseppe, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica)”. Dal momento che lo stesso Orsi aveva già parlato dell’acquisto di un elicottero da parte di Putin in un’intervista, questo “cambio di atteggiamento – spiega il giudice – è secondo i pm da ravvisare nell’esigenza di tenere riservati gli affari di Finmeccanica con Putin e la Russia in generale”.
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