lunedì 31 dicembre 2012

AGENDA MONTI ? PIU’ INTERESSANTE LA SUA RUBRICA. - Giuseppe Germinario



Alcuni amici mi hanno sconsigliato di indugiare sul promemoria di Montihttp://www.ilpost.it/2012/12/24/agenda-monti/agenda-monti-01/ Una perdita di tempo per un documento dal sapore preelettorale. Quanto all’ecumenismo, ha poco da invidiare alla letteratura che ha infestato le precedenti e infesterà l’attuale campagna. Già a poche ore di distanza dalla pubblicazione, la cruda realtà degli eventi comincia a beffarsi, però, delle intenzioni pie e ipocrite impresse a futura memoria. A pagina 12, il documento recita “Per aiutare la crescita sostenibile del settore agroalimentare italiano occorre fermare la cementificazione e limitare il consumo di superficie agricola come proposto nel disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo”; a poche ore di distanza lo stesso Monti, sostenuto dai buoni uffici di Corrado Passera, autorizza, oltre all’aumento del 70% della tariffa riscossa per ogni passeggero, il raddoppio delle piste dell’aeroporto di Fiumicino con il conseguente esproprio, a prezzi di mercato e relativo sovrapprezzo legato all’esercizio di attività, della quasi totalità dell’area agricola Maccarese, uno dei terreni agricoli più fertili esistenti in Italia e la probabile urbanizzazione della parte restante. Un’opera in gran parte superflua solo con un semplice processo di ottimizzazione delle attuali strutture aeroportuali.

Il particolare intrigante risiede nei Benetton, proprietari dell’azienda agricola, acquistata a suo tempo a prezzi politici dallo Stato e contemporaneamente importanti azionisti di Adr, gestore dell’aeroporto http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/27/aeroporti-di-roma-lultimo-regalo-di-monti-a-benetton/456079/ 

Probabile che l’accavallarsi degli impegni in “Agenda”, porti a qualche incongruenza, qualche distrazione se non allo sdoppiamento della personalità del nostro Primo Ministro “tecnico”. Come vedremo, non si tratta, però, di un episodio isolato. Lo stesso Monti deve, in qualche maniera, essere cosciente della sua eccessiva propensione ad aderire a realtà antitetiche tra loro e temere che qualcosa sfugga al controllo se non alla sua coerenza di immagine; il suo vezzo di prendere appunti e rinviare di qualche tempo le decisioni, tra le altre cose, deve servire a riordinare le scadenze e gli argomenti; qualche particolare può sempre sfuggire.

Una qualsiasi espressione dell’uomo rivela sempre, per quanto mimetizzati, una rappresentazione, un “non detto”, un “mondo vitale”; l’Agenda, a suo modo, ne rivela tante del nostro Professore sino a farlo scendere sempre più dall’Olimpo alle beghe e furberie del conflitto politico quotidiano. 

L’EUROPA di MONTI

Innanzitutto l’Europa, il tema su cui ha costruito la propria immagine, la propria carriera e il consenso generale delle forze politiche, almeno sino a qualche giorno fa. “L’Italia deve battersi per una Europa più comunitaria e meno intergovernativa, più unita e non a più velocità, più democratica e meno distante dai cittadini” “per la costruzione di un’autentica Unione economica e monetaria basata su una più intensa integrazione fiscale, bancaria, economica e politico istituzionale”, con “il prossimo Parlamento europeo munito di mandato costituzionale”. L’obbiettivo è, quindi, l’Unione economica e monetaria con un aggiustamento istituzionale e la partecipazione di tutti. L’eterno apparente primato dell’economia, principio fondante, sin dagli anni ’50, dell’Unione Europea. È la prosecuzione senza sussulti dell’attuale processo eternamente propedeutico all’Unione politica, con l’Europa intesa in realtà come campo di battaglia e di confronto degli stati europei, con un mercato comune fintamente omogeneo che diventa la via di trasmissione di ineguaglianze ed egemonie su base nazionale e che se liberalizzato alle stesse condizioni  non farà che accentuare le gerarchie su quella base; il tutto ancora una volta diretto  e orientato dal giocatore-arbitro d’oltre-atlantico, gli USA  e con un riequilibrio parziale e temporaneo di forze legato ai giochi della superpotenza. Un elemento di chiarezza che ha scatenato le prime critiche dei federalisti duri e puri (BarbaraSpinelli) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/27/moderatamente-europeo.html?ref=search, spinto analisti più seri a rivelare sprazzi di verità (Lucio Caracciolo) http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PKXQS, a far uscire dal guscio e dire senza veli ciò che Monti tenta in realtà di mascherare (Pelanda)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PLXZ9 e la ultradecennale retorica europeista ha cercato di nascondere. Rimando sull’argomento ai miei numerosi scritti e a un prossimo libro della redazione. Sulla base di queste premesse l’Italia deve recuperare credibilità confermando “il rispetto delle regole di disciplina delle finanze pubbliche, le priorità strategiche definite in sede europea, le raccomandazioni specifiche che l’Unione Europea rivolge ogni anno come parametri di riferimento per la formulazione della sua politica economica”. L’accettazione di condizioni capestro in cambio di una qualche forma di redistribuzione, di indebitamento europeo sostenuto da una scarsa corrispondente sovranità politica continentale e con politiche industriali attive delegate agli stati nazionali sulla base della loro specifica forza economica e politica, comprese le possibilità di dumping sociale e fiscale consentite dai rispettivi quadri sociali dei paesi. Una credibilità, quindi, frutto della completa accondiscendenza e, tutt’al più, accresciuta dalla capacità di stringere ulteriori rapporti di subordinazione con la potenza dominante. Su questo Monti ha acquisito certamente una sua forza particolare, non dettata dalla potenza del paese che formalmente rappresenta. Tutto quello che sta avvenendo nella gestione della politica estera, nella riorganizzazione della difesa, nella resistenza all’integrazione subordinata delle proprie industrie strategiche a quelle tedesche e nell’accondiscendenza trionfalistica a quelle americane lascia intravedere questa impostazione; come pure l’assordante silenzio su una qualsiasi caratterizzazione dell’Unione Politica europea, una qualsiasi autonomia del continente dalle scelte strategiche degli Stati Uniti, semplicemente perché non esiste una visione geopolitica europea e un progetto politico europeo fondato su basi praticabili. Il manifesto parla, infatti, surrettiziamente di credibilità acquisita dall’Italia confermando la sua vocazione a “sostenere il multilateralismo”, rinsaldando “i legami con gli Stati Uniti promuovendo un più forte legame transatlantico”. Come possa conciliare una vocazione di equilibrio di forze con una cieca sudditanza militare e politica, Monti deve ancora riuscire a spiegarlo; quello che ha in mente è in realtà un mondo tendenzialmente unipolare con aree regionali gestite da potenze periferiche. Una visione che accomuna, purtroppo, tutte le principali forze politiche del paese; chi attraverso una rappresentazione manichea, chi attraverso una visione globalista e sovranazionale e sovrastatale dei rapporti internazionali. Una visione che trova radici in processi ben avviati da tempo, compresi quelli di integrazione industriale e militare, e che cercano una prima istituzionalizzazione nelle trattative attualmente in corso tra Stati Uniti ed Unione Europea sulla creazione di un mercato unico euro-atlantico. Gli ostacoli sono ancora numerosi, ma le intenzioni sono purtroppo serie.

LA CRESCITA DI MONTI 

In questo contesto, Mario Monti traccia la “strada per la crescita” andandola a cercare “dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi. La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane.” Cosa intenda il Professore per “finanze pubbliche sane” è presto detto: il rispetto di quanto concordato con l’Unione Europea, la Germania e gli organismi sovranazionali a controllo americano prima ancora che una riorganizzazione della spesa pubblica sui cui principi ispiratori ci sarebbe, comunque, molto da discutere. Un paese privo di fondamentali strumenti sovrani, inserito in una Unione senza forma statuale precisa e autentico colabrodo nella rete internazionale, non ha del resto tante altre valide alternative. Continua, quindi, la rappresentazione del deficit pubblico come male assoluto, piuttosto che un pesante handicap in un contesto scelto più o meno consapevolmente dalle classi dirigenti nazionali sinora susseguitesi. In un contesto, quindi, di pareggio di bilancio e di riduzione annuale, per circa dieci anni, del 5% dello stock di debito il nostro tenta di spiccare il volo prospettando la riduzione e il riequilibrio dei carichi fiscali perseguiti “anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio”. Sfioriamo la fantafinanza, combinata con il ribaltamento della politica fiscale adottata dallo stesso Monti e condizionata dalla ricerca di “meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali”. Cosa sia stata l’attuale politica di accertamenti fiscali e la presunta riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria lascia poche speranze per il futuro e poggia su una presunzione di liquidità dei patrimoni che in realtà si sta riducendo implacabilmente con l’avanzare della crisihttp://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri> http://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri. Uno degli strumenti fondamentali di risparmio e riqualificazione è la spending review. Un principio rivoluzionario per i sistemi di gestione amministrativa dello Stato italiano che presuppone un cambiamento dei criteri di formazione del bilancio, dei progetti di spesa, della quantità e delle modalità dei livelli di controllo  e una uniformità dei criteri di organizzazione delle pubbliche amministrazioni secondo due/tre moduli organizzativi legati alle finalità delle strutture. Un impegno notevole in un contesto, determinato soprattutto dalla istituzione delle regioni, che ha invece consentito la creazione di amministrazioni dai compiti similari ma secondo principi organizzativi divergenti, con scarsa gerarchia di sovranità e conseguenti conflitti di competenze e con il sorgere di un nuovo polo di attrazione, la burocrazia europea, che ha inevitabilmente indebolito ulteriormente il controllo centrale delle amministrazioni periferiche, in particolare regionali. L’eliminazione di alcune agenzie, ad esempio la Cassa per il Mezzogiorno, ha accentuato ulteriormente questo sfilacciamento e la formazione di centri di potere frammentati e relativamente autonomi, collegati direttamente, spesso, con analoghi centri esteri. Sono processi maturati attraverso decenni; le loro mancanze non possono essere, quindi addebitati, ai tredici mesi di Governo Monti, anche se Monti è stato senza dubbio uno degli artefici, non certo tra i più importanti, di queste dinamiche. Quello che va addebitato a tutta la compagine governativa, è la relativa “sorpresa” con cui hanno scoperto l’entità del problema studiosi, accademici e manager impegnati da una vita su queste tematiche e catapultati nel Governo; la stessa “sorpresa” che li ha colti nello scoprire che per avviare una riforma ed una riorganizzazione non è sufficiente la Legge, con questo glissando bellamente su decenni di esperienza e di elaborazioni sociologiche a partire da Weber e da Merton. Un dilemma esistenziale che pare solo sfiorare  i nostri tecnici se è vero che parlano di “armonizzare i bilanci pubblici” e di “monitoraggio e valutazione della legislazione” senza altri riferimenti precisi tesi a ricreare centri di potere sostitutivi; una “sorpresa” legata al passato di questi personaggi, ai loro legami storici e alla loro impostazione elitaristica.

Una impostazione del genere non poteva che portare a delle conferme e proposte fumose , velleitarie le quali, dietro una parvenza di eguaglianza  e di condizioni paritarie di opportunità, pongono le premesse di una precarizzazione e di un degrado ulteriore, questa volta legalizzato, del tessuto sociale, una riduzione del dualismo storicamente presente nel paese attraverso l’abbassamento dei livelli di diritto e un declassamento della sua condizione produttiva e industriale. 

In assenza di un reale mercato comune europeo e di forti soggetti industriali nazionali efficienti, anzi spingendo alla frammentazione dei pochi attualmente presenti, propugna la liberalizzazione unilaterale delle attuali grandi reti di servizio, consegnandoli alla mercé degli investitori stranieri sino a teorizzarne, secondo il candore apparente propugnato dall’Istituto Leoni, l’assoluta neutralità rispetto alle strategie e ai giochi politici dei vari stati nazionali.


COME PENELOPE, PEGGIO DI PENELOPE 

Come Penelope, molto peggio di Penelope, vittima della retorica del fai da te, cerca di incentivare parzialmente la formazione di “start up”, nuove aziende legate alla creatività imprenditoriale individuale specie in settori di avanguardia, di favorire una maggiore dimensione delle aziende distruggendo, liquidando o dismettendo, però, contestualmente le residue grosse piattaforme industriali necessarie a sostenere le sperimentazioni imprenditoriali. Nella recente intervista sull’Olivetti http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2> http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2, abbiamo evidenziato molto bene, invece, quali siano le principali dinamiche necessarie a creare realtà industriali di avanguardia, compresa quella tanto mitizzata ma disconosciuta, nel concreto evolversi, della Silicon Valley. Analogamente, con la stessa approssimazione e demagogia, Monti, Fornero, Passera & Company sembrano attribuire una funzione salvifica all’attribuzione uniforme di una integrazione di reddito di diciotto mesi ai disoccupati, con contestuali corsi di qualificazione, di per sé sufficiente a garantire la rioccupazione. L’occupazione, in realtà, dipende in piccola parte da quello che ha da offrire la forza lavoro, in gran parte da quello che ha da offrire la realtà industriale e produttiva del paese; tanto è vero che segmenti importanti di personale qualificato e scolarizzato del paese stesso sono costretti a cercare lavoro all’estero o ad accettare condizioni precarie di lavoro o assistenza familiare o pubblica a casa propria.
Così obbiettivi di uniformità di prestazioni assistenziali e di riduzione conclamata di precariato si trasformano in strumenti di pauperismo e disoccupazione, come la recente vicenda dei contratti non rinnovati dei precari, degli esodati e dei cassintegrati sta dimostrando.

La lotta all’evasione fiscale, l’emersione del sommerso diventano una invocazione e un imperativo morale  piuttosto che una politica concreta legata alla crescita qualitativa e quantitativa del tessuto produttivo e sociale. I nuovi Savonarola propendono, quindi,  verso la caccia all’untore e verso il cinismo più bieco.

A volte particolari spesso secondari rivelano la statura dei personaggi che ci governano meglio di tante analisi complesse. Mesi fa Corrado Passera, alla domanda sulle opportunità da cogliere  da parte dei laureati specializzati, indicò prioritariamente la fuga all’estero; detto da un padre di famiglia è comprensibile, da un ministro responsabile della spesa pubblica di formazione per centinaia di migliaia di euro ad unità formata è rivelatore dell’inesistente legame di questi personaggi con l’interesse nazionale; analogamente il Ministro Grilli, alla domanda di come mai gran parte dei ceti medi professionali non vedessero riconosciuti il corrispettivo delle proprie competenze e fossero vittime dell’appiattimento al ribasso dei redditi, attribuì la responsabilità, in realtà il merito alla crisi.

MONTI, IL TRAGHETTATORE

In realtà Monti ha da percorrere una via decisa da altri ma attraverso corridoi molto stretti. Deve tagliare, ridurre e riorganizzare drasticamente la spesa pubblica e l’amministrazione statale ma possiede scarsa competenza tecnica, vista la sistematica distruzione di classe dirigente avvenuta nel paese in questi ultimi quarant’anni ed è vittima dell’incapacità di creare il necessario blocco sociale nazionale riformatore necessario a dare forza e continuità a questi progetti. Una incapacità aggravata dalle scarse prospettive che può offrire. Da una parte è l’Incaricato a impedire la formazione potenziale di questi blocchi, dall’altra è vittima lui stesso della rappresentazione che lo guida. Blatera del potere dei consumatori nel libero mercato, in realtà alimenta la formazione di lobby parassitarie e la liquidazione dei pochi centri decisionali autonomi di questo paese, con la complicità delle stesse agenzie antitrust e di garanzia; invoca la moralità, le riforme e l’efficienza dei servizi e delle reti, in realtà contribuisce ad alimentare le tentazioni parassitarie dei settori della borghesia nazionale, la complementarietà subordinata delle realtà produttive del paese e le scorribande predatorie, senza o con scarse contropartite, dei vari agenti esteri; copre con una patina egualitaria una politica di ridimensionamento dello stato assistenziale, compresa la larga componente parassitaria e di adeguamento della realtà normativa alla precarietà della struttura economica per rendere presentabile la futura alleanza con la cosiddetta sinistra.

La differenza con il PD è che mentre quest’ultimo risolve il problema dell’occupazione, in particolare di giovani e donne, con una tautologia, semplicemente proponendo assunzioni, presupponendo quindi una richiesta inevasa di personale, Monti affida ai meccanismi di mercato la creazione di opportunità di lavoro.

I reali agenti di questi processi, nella loro navigazione impervia ed incerta, hanno bisogno di esecutori comunque convinti ed in parte inconsapevoli della portata di queste scelte.

Monti, nella sua mediocrità, è senza dubbio uno di questi; ha dalla sua la consapevolezza che “abbiamo due alternative. O cercare di conservare il welfare state com’è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente. O provare a rendere il sistema  più razionale o aperto all’innovazione” Più in generale la consapevolezza di una visione  dinamica rispetto ad una difesa statica dell’esistente. Ha il vantaggio di avere una controparte paralizzata nella difesa statica degli interessi, anche elementari o popolata da mestatori demagoghi pronti a liquidare al miglior offerente i migliori propositi o a finire vittima della propria stessa demagogia.

Le acrobazie del personaggio, prima garante tecnico, poi attore politico diretto in competizione con gli altri nella campagna elettorale, più che per indole per evidenti pressioni esterne, svelano la fluidità della situazione. Nel bailamme generale, ci sono forze che hanno compreso la posta in gioco. Per costrizione e convinzione hanno assunto la bandiera del cambiamento e l’iniziativa per gestirlo in qualche maniera. Tra questi, la forza principale appare la Chiesa Cattolica, o meglio la sua istituzione e parallelamente ad essa la pletora di imprenditori più subordinata ai centri esteri e più legata alle rendite delle reti di servizio, quella delle nicchie espressamente congeniali agli spazi consentiti dal mercato euro-atlantico e tutti quei centri in qualche maniera legati da sessant’anni di fedeltà all’alleanza atlantica.

La prima, dopo sonore batoste sia nel settore finanziario (vedi il caso Fazio/Banca d’Italia) che in quello delle scelte politiche strategiche (legami con la chiesa ortodossa) e della gestione morale (pedofilia, ect), ha pensato bene di rientrare politicamente nell’ovile e di gestire e ricontrattare le condizioni di accesso alla gestione del welfare alle nuove condizioni imposte, attraverso soprattutto il terzo settore e con l’alleanza e la mobilitazione delle forze collaterali. Si tratta però di forze che non sono in grado di esprimere una reale classe dirigente, espressione di ceti residuali e collaterali,  che abbisognano di personalità in grado di catalizzarle in qualche maniera e che non hanno ancora nemmeno raggiunto un livello sufficiente di compattezza. Il divario tra ambizioni e forze in campo mi pare al momento evidente. Le attuali convulsioni in Comunione e Liberazione, nelle ACLI e nella Coldiretti, con le ricorrenti tentazioni di ritorno agli ovili originari del PDL e del PD, sono rivelatrici delle incertezze del momento. Non a caso Monti ha segnalato che lo scontro reale e la destrutturazione definitiva del quadro politico avverrà dopo le elezioni, sempre che non sia lui a cadere vittima dei conflitti.

Oltre che per il completamento dell’Agenda e il suo arricchimento di contenuti, la sua propensione a prendere appunti  e a temporeggiare sulle decisioni dipende quindi dalla necessità di consultare , documento ancora più importante, la propria rubrica. Di quell’elenco nei prossimi mesi conosceremo la gran parte dei nomi delle figure locali e di secondo rango più esposte; degli ispiratori potremo immaginare la provenienza a meno che, nei posti che contano, comincino a volare gli stracci e si renda necessario un rivolgimento delle scelte. Accade raramente, ma accade.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11275

domenica 30 dicembre 2012

Ilva, disinformazione al veleno contro il gip Todisco. - Alessandra Congedo



TARANTO – Certa stampa non resiste proprio alla tentazione di attaccare le toghe. Spesso lo fa a sproposito. Basta leggere cosa riporta il sito de “Il Foglio”, giornale diretto da Giuliano Ferrara: “Mentre le toghe più scintillanti d’Italia si buttano in politica c’è un  magistrato, a Taranto, che (ancora) non ha deciso di candidarsi. Ma  troverebbe la propria casa ideale tra i Verdi o tra i militanti  vendoliani di Sel. E’ Patrizia Todisco, magistrato della procura di  Taranto, che ha presentato alla Corte costituzionale un ricorso per  conflitto di attribuzione fra poteri dello stato contro il decreto legge  del governo che legifera sui temi ambientali, consentendo all’Ilva di  operare con i suoi altiforni a condizione che rispetti le nuove regole  che esso stabilisce” (http://www.ilfoglio.it/soloqui/16361).
Ai nostri (sempre attenti) lettori non sarà sfuggita la grossa inesattezza contenuta in queste righe: non è stato il gip Todisco a presentare il ricorso, ma il pool di magistrati (tutte toghe verdi, rosse o arancioni?) della Procura di Taranto che indaga sull’inquinamento prodotto dall’Ilva. Lascia senza parole questo attacco alla Todisco che viene tirata in ballo senza alcun senso, solo al fine di screditare lei e ciò che rappresenta: la giustizia. Inutile soffermarsi, poi, su ipotesi degne della più assurda fantapolitica.  Abbiamo già provveduto ad inviare una mail al direttore Ferrara e alla sua redazione per far notare il passo falso compiuto. Attendiamo risposta.

PIU’ A DESTRA DELL'AGENDA MONTI. ECCO L'INTERVISTA CHE PROVA CHE BERSANI CI HA VENDUTO ALLA GERMANIA



La vera campagna elettorale, quella per accreditarsi dove si prendono decisioni, la si fa sul Financial Times. Che ha dedicato molto spazio alle elezioni italiane. Segnaliamo questa intervista del Financial Times a Pierluigi Bersani in versione maresciallo Pètain. Quello dei giorni che precedettero la formazione della repubblica collaborazionista di Vichy.

Cosa dice di grave Bersani ?

La prima è che è favorevole ad un irrigidimento del fiscal compact, il patto sul bilancio che impegna a tagli di spesa pubblica di decine di miliardi l'anno per un ventennio. La seconda è che impegna l'Italia ad ulteriori politiche di austerità. Fin qui siamo a Monti forse con qualche parola più cruda sull'irrigidimento del fiscal compact. 

Ma dove Bersani, nel tentativo di accreditarsi in Europa, riesce a superare a destra Mario Monti è sulla questione del commissario unico europeo. Si tratta di una figura, già oggetto di trattativa nei precedenti round europei, che avrebbe potere di veto sulla stesura dei singoli bilanci nazionali. Per cui se un paese decidesse di finanziare scuola, sanità, servizi sociali, in autonomia nazionale, questa figura avrebbe potere di bloccare una decisione sovrana. Il più convinto artefice di questa proposta, che ha incontrato il favore di Barroso, è il superministro tedesco dell'economia Schauble. Monti, diplomaticamente, nelle settimane scorse aveva fatto scivolar via questa proposta (assieme ad altri paesi). Monti è un uomo di destra, convinto di svendere il paese, ma sa che la cessione di sovranità va sempre saputa trattare con accortezza.

E cosa ti fa Bersani? Per accreditarsi in Europa si dice pronto ad accettare la proposta Schauble. Al Financial Times Bersani si dice pronto ad accettare la cessione di sovranità. Ovviamente si bada bene dal dirlo all'elettorato italiano. Qui è da considerare una cosa. Esistono due tipi di cessione di sovranità: una, quella con contropartite, fa parte di un processo di integrazione continentale. L'altra, senza contropartite, spiace dirlo ma si chiama resa ad una potenza straniera. Nessun dubbio che Bersani voglia incarnare i panni del nuovo Pétain che, a suo tempo, decise che la resa praticamente senza contropartite alla Germania fosse l'unica strada razionalmente praticabile.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11278

Sanità, approvati i nuovi Lea Stretta contro gli esami inutili.


Il ministero vara la proposta dei Livelli essenziali di assistenza: entrano ludopatia e parto indolore.

Arrivano i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza, e si registra una stretta sugli esami inutili che costano caro al Servizio sanitario nazionale. Nel documento del ministro della Salute Renato Balduzzi si prevedono controlli su «almeno il 5%» delle ricette, e per facilitarli è chiesto l'obbligo da parte del medico di motivare la prescrizione degli accertamenti.
RIDURRE GLI ONERI - In una nota diffusa dal ministero si spiega che l'obiettivo è puntare «sull'appropriatezza dell'assistenza specialistica ambulatoriale» con conseguente «riduzione degli oneri a carico del Ssn». Le Regioni dovranno attivare «programmi di verifica sistematica» e saranno date anche « "indicazioni prioritarie" per la prescrizione di prestazioni di diagnostica strumentale frequentemente prescritte per indicazioni inappropriate». Senza l'indicazione del «quesito o del sospetto diagnostico» la ricetta sarà «inutilizzabile».
COSA PREVEDONO I LEA - Maggiore diffusione del parto indolore (con l'epidurale), riconoscimento di 110 malattie rare, cinque nuove patologie croniche, ludopatia (dipendenza dal gioco) e la sindrome da Talidomide (un medicinale diffuso negli anni Cinquanta per le donne in gravidanza che poteva avere conseguenze sul nascituro): sono alcune nelle novità contenute nella proposta di aggiornamento dei Lea, che ora dovrà passare il vaglio del ministero dell'Economia, della Conferenza Stato-Regioni e l'esame delle commissioni parlamentari. Il ministero sottolinea che è stata data priorità all'esenzione per le patologie croniche e rare.
ALTRE MALATTIE - Entrano nei Lea anche enfisema polmonare e asma cronica (broncopneumopatie croniche ostruttive, Bpco, al II stadio - moderato, III stadio - grave, e IV stadio - molto grave), le malattie croniche infiammatorie delle ossa (osteomieliti croniche), le patologie renali croniche (con valori di creatinina clearance stabilmente inferiori a 85 ml/min), il rene policistico autosomico dominante e la sarcoidosi al II, III e IV stadio, cioè malattie che interessano più tessuti e organi con formazioni di granulomi e che comportano problemi polmonari, cutanei e oculari.
RISPOSTE CONCRETE - L'approvazione dell'aggiornamento dei livelli essenziali rappresenta «una risposta concreta a molte persone e a molte famiglie che soffrono», sottolinea Balduzzi, che aggiunge: «Anche nelle difficoltà economiche il nostro Servizio Sanitario Nazionale si dimostra capace di dare risposte concrete». (fonte Ansa)

Siria, continuano le violenze: 200 morti di cui 23 bambini.


Siria, continuano le violenze: 200 morti di cui 23 bambini


Lakhdar Brahimi, inviato speciale Onu, ha affermato che la “soluzione” del conflitto siriano “deve avvenire nel 2013, possibilmente prima del secondo anniversario della crisi”. Durante una conferenza stampa al Cairo, Brahimi si è detto certo che “una soluzione è ancora possibile anche se la situazione è molto grave e peggiora di giorno in giorno".

Ancora violenza e altre vittime in Siria. C’è stato un nuovo massacro con un bilancio, quello di ieri tra Aleppo e Damasco, di oltre 200 morti di cui 23 bimbi.  Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo l’esercito è tornato a bombardare due quartieri di Homs, dopo aver ripreso ieri parte della città con un’azione che ha lasciato sul terreno altre 12 vittime. Centinaia di civili sarebbero stati uccisi nell’offensiva delle forze governative siriane che ha portato alla riconquista del quartiere di Deir Baalbeth. I residenti sono stati costretti a uscire dalle loro case e concentrati in un impianto petrolchimico dove sono stati giustiziati sommariamente, afferma il gruppo dei comitati di coordinamento locale. Fra le vittime, numerose donne e bambini. 
Lakhdar Brahimi, inviato speciale Onu per la Siria, ha affermato che la “soluzione” del conflitto siriano “deve avvenire nel 2013, possibilmente prima del secondo anniversario della crisi”. Durante una conferenza stampa al Cairo, Brahimi si è detto certo che “una soluzione è ancora possibile anche se la situazione è molto grave e peggiora di giorno in giorno. La crisi siriana è scoppiata nel marzo 2011 con la repressione delle prime rivolte prima di sfociare nel violento conflitto armato. La comunità internazionale può ritrovarsi sull’accordo raggiunto a Ginevra lo scorso giugno. Dico che una soluzione può trovarsi, quest’anno, nel 2013, e, se Dio vuole, prima del secondo anniversario della crisi”, ha detto il diplomatico algerino, durante una conferenza stampa nella sede della Lega Araba, ricordando l’inizio della rivolta, nel marzo 2011. “Una soluzione e’ ancora possibile ma diventa ogni giorno più complicata”. Secondo Brahimi, l’accordo di Ginevra, che prevede la creazione di un governo transitorio, può essere concretizzato dalla comunità internazionale: “Ho discusso questo piano con la Russia e la Siria”, ha detto l’inviato, reduce da una settimana di contatti proprio a Damasco e Mosca. Proprio al termine dei colloqui con la diplomazia russa, sabato, Brahimi ha detto che a Damasco la scelta è tra “l’inferno e la soluzione politica”.

Usa, tutte le promesse non mantenute di Obama per limitare l’uso delle armi. - Marco Quarantelli


Barack Obama


Nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d'affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. Dopo la strage di Tucson nel 2011 il Dipartimento di Giustizia mise a punto una lista di provvedimenti ma le elezioni erano troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.

Mercoledì 19 dicembre nella briefing room della Casa Bianca l’aria era irrespirabile. Dopo l’eccidio dei  20 bambini di NewtownBarack Obama sa che sul controllo delle armi non potrà limitarsi alle solite promesse. “Il vicepresidente Biden metterà a punto un piano da approvare entro gennaio per impedire che tragedie simili si ripetano”, ha scandito il presidente. Quando un giornalista gli ha fatto notare che finora non ha fatto nulla per evitare che pistole e fucili invadessero le case degli americani, Obama “è apparso irritato – scrive il New York Times - ha tirato in ballo la crisi, il collasso dell’auto e due guerre che hanno richiesto tutta la sua attenzione”. Un nervosismo dettato dalla consapevolezza: nei primi quattro anni del suo governo il settore ha conosciuto un boom senza precedenti. A fine 2012 il giro d’affari toccherà quota 11,7 miliardi di dollari. “Obama è la miglior cosa che sia mai accaduta all’industria delle armi”, ha spiegato a theblaze.com Jim Barrett, analista di C.L. King & Associates Inc., società di analisi di New York.
Nella prima campagna elettorale, Obama aveva seminato promesse a piene mani. “Aveva giurato che avrebbe lottato contro le lobby  - ricorda il Brady Center To Prevent Gun Violence, la più attiva e potente tra le organizzazioni che si battono per il gun control - e che avrebbe fatto leggi in grado di frenare la diffusione delle armi“. Nella convention democratica dell’agosto 2008, il futuro presidente promette per la prima volta di reintrodurre il bando contro le armi automatiche in vigore tra il 1994 e il 2004: “Terremo gli AK-47 lontano dalle mani dei criminali”, annuncia nel discorso di investitura. Ma pochi giorni fa, dopo la strage di Newtown, è stato costretto a rinverdire l’impegno mai mantenuto.
Ogni mossa di Obama in materia è da sempre ponderata al millesimo. Il 26 giugno 2008 la Corte Suprema stabilisce il diritto degli americani ad essere armati, annullando una legge che da 32 anni a Washington proibiva di tenere in casa una pistola per difesa personale. La decisione è storica, l’argomento è delicato, le urne sono vicine: schierarsi contro il verdetto sarebbe un suicidio elettorale. Così Barack si limita ad un commento indolore: “Possiamo proteggere il diritto della gente a possedere una pistola e al contempo la sicurezza dei nostri bambini”. Undici mesi dopo, il 12 maggio 2009, il suo Senato dava l’ok a una legge voluta da George W. Bush per consentire di introdurre armi semi-automatiche nei parchi nazionali.  
L’ultima promessa, prima di Newtown, risale ai fatti di Tucson, in Arizona: l’8 gennaio 2011 un 22enne apre il fuoco durante un comizio della deputata Gabrielle Gifford e uccide 6 persone. Il Dipartimento di Giustizia mette a punto una lista di provvedimenti per migliorare il sistema di controllo sul background degli acquirenti: l’idea – scrive il New York Times - è quella di incrociare i dati della Social Security Administration e dell’Fbi su chi ha fatto richiesta della licenza, per evitare che l’arma finisca nelle mani di criminali o psicopatici. Il presidente ne parla due mesi dopo in un editoriale scritto per l’Arizona Daily Star, ma tutto si ferma lì: le elezioni del 2012 sono troppo vicine e le proposte finiscono in archivio.
Ora che è stato rieletto e l’ondata emotiva per la strage di Newtown è fortissima, Obama ha un’occasione storica: infrangere il tabù del diritto garantito dal Secondo Emendamento di possedere armi. Al Congresso i democratici hanno il controllo del Senato, ma la Camera è rimasta in mano ai repubblicani e la partita si giocherà tutta lì. Il Grand Old Party promette battaglia: “I criminali troverebbero comunque il modo di entrare in possesso di armi – ha detto al New York Times Jim Jordan, deputato repubblicano dell’Ohio – quindi eventuali restrizioni sarebbero inutili”. Howard Coble, North Carolina, fa appello alle statistiche: “Tradizionalmente gli Stati che hanno regole più rigide non vedono diminuire il loro tasso di criminalità”.
Domenica 16 settembre la senatrice democratica Dianne Feinstein ha chiesto di riportare in vita il bando contro le armi d’assalto in vigore fino al 2004 e Obama si è detto d’accordo. Ma potrebbe non bastare. Quella legge, scrive il Washington Post, aveva una lunga serie di falle propiziate a suon di milioni dall’azione di lobbying della National Rifle Association e utilizzate dai costruttori per continuare a produrre indisturbati: fosse stata in vigore oggi, il fucile da guerra Colt AR-15 sarebbe stato fuorilegge e James Holmes non avrebbe potuto utilizzarlo il 20 luglio per fare strage nel cinema di Aurora, ma se l’assassino avesse deciso di usare il gemello Colt Match Target Rifle, differente dal primo solo per una manciata di particolari, avrebbe potuto comperarlo indisturbato. Magari anche sceglierlo su internet, sul catalogo dedicato ai fucili d’assalto dalla catena di supermercati Walmart. 

La natura.



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